La medicina palliativa
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La medicina palliativa
COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Parere n. 35 del 29/1/2002 La medicina palliativa INDICE p. 3 Sintesi e conclusioni Il corpo del parere Parte I. La medicina palliativa p. 5 p. 5 p. 5 p. 5 a) La medicina e la morte nella contemporanea b) La medicina palliativa c) Il malato in fase terminale di malattia d) Quando la morte tocca il bambino società occidentale p. 7 p. 9 p. 11 p. 13 p. 13 Parte II. La realizzazione dell’Unità di Cure Palliative La normativa vigente Parte III. L’Unita’ operativa di Cure Palliative a) La realizzazione delle Cure Palliative: la rete b) Le risorse strutturali L’ospedale Le strutture ospedaliere ed extraospedaliere riabilitazione Residenza Sanitaria Assistenziale Residenza Protetta Assistenza Domiciliare Integrata L’Hospice c) Le risorse umane Il personale medico Il personale infermieristico Il medico di famiglia Il volontario Lo psicologo L’assistente spirituale L’assistente religioso L’assistente sociale e la famiglia del morente 1 di p. 16 p. 16 p. 17 p. 17 p. 17 p. 17 p. 17 p. 18 p. 18 p. 21 p. 21 p. 22 p. 22 p. 22 p. 23 p. 23 p. 24 p. 24 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Glossario p. 26 Bibliografia p. 28 I componenti del C.E. ASL2 savonese (1999-2002) p. 30 2 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Guarire una persona non sempre curare una malattia Cicely Saunders significa Sintesi conclusiva. Questo studio, condotto al fine di informare e richiamare l’attenzione, sia del personale che opera nel campo sanitario sia della pubblica opinione, in tema di cure palliative, prende in considerazione, nella parte introduttiva, il vissuto della fine della vita nella società di oggi, evidenziando il contrasto esistente tra l’aspettativa di guarigione e di buona salute, alimentata dai messaggi degli organi di informazione sulla base del progresso tecnologico e scientifico, a fronte di una realtà della morte che rimane immutata nel tempo. Quando la fine della vita si avvicina ineluttabile e la speranza di vita ulteriore non trova più spazio, ma prevalgono soltanto le sofferenze fisiche, psicologiche, sociali e familiari, la medicina diagnostica e terapeutica tradizionale, cui ci si è affidati fino a quello stadio della malattia, lascia spazio alla medicina palliativa, che prende in cura la persona malata nell’interezza dei suoi problemi. Questa medicina assiste e accompagna fino alla morte il malato, avvalendosi di diversi operatori sanitari, assistenti spirituali e sociali, volontari, persone tutte appositamente preparate, e organizzate in una rete di collegamento, che interessa la famiglia, il medico di medicina generale, le strutture ospedaliere, le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), e l’hospice, destinato ad accogliere il malato in fase avanzata di malattia, non assistibile in altra sede. In base alle normative vigenti e all’esperienza di altre strutture di accoglienza, si è ritenuto opportuno tratteggiare i requisiti fondamentali dell’hospice, sia per quanto riguarda gli ambienti e le attrezzature, sia per le caratteristiche organizzative e operative, sia per le risorse umane di cui deve disporre. Un particolare richiamo è rivolto alla necessità della preparazione e formazione del personale che opera nella rete delle cure palliative e della sua indipendenza dall’organizzazione ospedaliera, avendo ciascuna forma di assistenza una sua specificità. È proprio questa specificità che costituisce un ulteriore arricchimento per una cura personalizzata al paziente in fase molto avanzata di malattia degenerativa. Il Comitato Etico dell’ASL 2 Savonese, sensibile alle difficile e angosciosa situazione vissuta dalla persona affetta da una patologia inguaribile, ha organizzato un 3 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa incontro formativo con il dr. Carlo Peruselli, esperto palliativista. Ha successivamente delegato un gruppo di lavoro, costituito da membri di competenze che coprono ambiti vari (clinica S. Gandolfo, bioetica M. Lombardi Ricci, volontariato A. Pastore, assistenza infermieristica G. Voersio), di presentare una bozza di studio sulle cure palliative, per valutarla e discutere in seno al Comitato Etico riunito al completo. Il gruppo si è riunito in fase di lavoro preliminare nei giorni 30 ottobre, 20 novembre, 7 e 11 dicembre; e il Parere è stato discusso in seduta plenaria nei giorni 18 dicembre 2001, 17 gennaio 2002 e approvato definitivamente nella forma qui riportata nella seduta del 29 gennaio 2002. Il Parere vorrebbe essere non tanto, o non soltanto, un suggerimento per l’ASL n.2 Savonese che sta progettando la realizzazione di un hospice, ma anche lo stimolo per un dibattito pubblico su un tema e una condizione generalmente emarginata nell’occidente contemporaneo: l’esperienza del vivere la morte, propria e del prossimo. L’intento, con il quale si è lavorato, è stato di valutare quale possa essere la forma della migliore assistenza sanitaria alla persona che vive in fase avanzata di malattia, quando essa non sia più guaribile. Fermo restando che la migliore assistenza è quella che tiene conto di tutte le risorse, reali e simboliche, sanitarie sociali e individuali, di cui una comunità dispone, ma anche degli elementi che possono costituire un ostacolo a tale realizzazione, si è ritenuto opportuno evidenziare la condizione attuale della medicina nella società occidentale contemporanea (Parte I), nonché la normativa vigente (Parte II). Solo successivamente (Parte III) si è cercato di proporre una tipologia di assistenza centrata sulla persona malata e la sua famiglia, sui suoi bisogni e sulle risposte che è possibile, cioè realistico, aspettarsi. Parte I. La medicina palliativa 4 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa a) La medicina e la morte nella società occidentale contemporanea Parlare di cure palliative (cf. Glossario) non vuole affatto dire, come spesso si crede, parlare di cure inefficaci o inutili. Indica, invece, il ricorso alle sole cure veramente utili per il malato che vive l’esperienza di una malattia non soltanto inguaribile ma che lo conduce inesorabilmente alla morte. Ma proprio la morte costituisce, oggi, qualcosa che non ci è più familiare e che troviamo particolarmente faticoso vivere. Per l’uomo delle culture passate, essa aveva la forma di un’esperienza di breve durata, nel senso che, sia che fosse procurata da un trauma grave sia da un esito di malattia, copriva più o meno quello che si diceva il tempo dell’agonia. Era inserita tra gli eventi della vita quotidiana; non era, infatti, inusuale subire la perdita di molti membri della famiglia, in particolare bambini. Di essa si parlava e la si celebrava in rituali che costituivano uno tra i momenti della vita sociale. Oggi molte cose sono cambiate. Se la morte nella società premoderna non alterava significativamente gli equilibri del nucleo familiare e il numero alto dei componenti creava una situazione favorevole alla cura domiciliare dei malati, attualmente, in famiglie numericamente ridottissime, la perdita di uno dei componenti genera profondi squilibri. La morte raccontata non ha più voce, di essa si tace, la parola è sparita persino dagli annunci funebri; gli stessi riti che l’accompagnano, per consentire all’uomo di adattarsi al lutto, sono minimizzati. Anche per la morte vissuta non c’è più spazio, è emarginata dalla comunicazione pubblica (al massimo se ne parla in termini statistici) e marginizzata dalla vita quotidiana, perché la si può affrontare soltanto se è preceduta e accompagnata dalla sua accettazione come evento della vita, per quanto esperienza estrema e drammatica. Metafore, simboli, miti sono le forme allusive con cui l’uomo ha cercato di dire, di raccontare la morte vissuta, nel tentativo di rispondere a quegli interrogativi che la morte lancia all’uomo e a cui nessuno può sfuggire: perché la malattia e la sofferenza? Costituiscono gli strumenti, sociali ed individuali, che consentono all’uomo di dare un senso alla morte. Sprovvisto di questi, per l’uomo diventa quasi impossibile affrontare l’esperienza del morire, soprattutto se si verifica in un contesto di malattia. C’è un'altra difficoltà, oggi, che ostacola la percezione della naturalità della morte ed è di tipo non più culturale ma tecnico-scientifico. Può suonare strano, ma proprio lo sviluppo scientifico e tecnico costituisce un ostacolo psicologico ad affrontare la malattia e ad accettare la medicina palliativa. Infatti, con lo svilupparsi della conoscenza scientifica, che porta la scienza medica a specializzarsi prima, ad iperspecializzarsi poi; con l’affinarsi della tecnologia medica e dell’informatica finalizzata alla biologia e alla medicina (bioinformatica), l’arte medica finisce per scivolare poco a poco verso una tecnica medica, volta soprattutto a ripristinare funzioni e parametri nell’organismo affetto da patologia e meno attenta alla condizione dell’uomo malato. Il primo passo è la reificazione del corpo, che porta a considerare gli organi nella loro oggettività organica e impersonale. Lo stretto legame tra osservazione oggettiva e misurazione quantitativa è la condizione che ha reso possibile lo sviluppo tecno-scientifico della medicina. Con il passaggio dalla medicina anatomo-clinica alla medicina fondata sulla biologia molecolare (biomedicina), gli aspetti psico-sociali risultano sempre più trascurati. Si tratta di uno scivolamento quasi 5 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa strutturale, in quanto il progresso medico-scientifico ha portato due grandi novità. Da un lato, ha dato alla medicina strumenti diagnostici e terapeutici sempre più potenti contro le malattie; la capacità di controllare le patologie è migliorata al punto che si può vivere nella malattia anche per anni, come mostra bene la figura del malato cronico, che fino a qualche lustro fa costituiva un’eccezione. Dall’altro, proprio in conseguenza di questo traguardo, il tempo del morire si è dilatato fino a coprire giorni, settimane e mesi, effetto secondario e non voluto del progresso medico. Questo tempo, che oggi si vive diffusamente in ospedale, si caratterizza come tempo nel quale la medicina tecnologica torna, inaspettatamente, sprovvista di strumenti miracolosi e si trova costretta ad ammettere la naturalità della morte. Ma questo evento risulta in disarmonia con l’immagine che la medicina dà di sé attraverso l’informazione mediatica, per la quale diviene una sorta di bacchetta magica, che guarisce sempre e sempre più: se ancora per qualche patologia la guarigione appare lontana, è questione di tempo, la ricerca scientifica troverà la soluzione. L’illusione è che anche per la morte ci sia guarigione. Lo stesso medico, pur sapendo che non può rendere immortale l’uomo, vive con grande fatica e disagio la morte del suo paziente. E questo, nonostante per secoli il medico abbia inserito, senza difficoltà, la morte, come fatto naturale, nella tensione salute/malattia; in fondo la sua attività si realizza molto spesso nel confronto diretto con la morte. Forse emerge in questo fatto la debolezza strutturale della formazione universitaria, che tende a preparare, e giustamente, il medico a guarire, ma porta scarsa attenzione al rapporto del medico con chi non è più tecnicamente trattabile. Gli studi universitari preparano il futuro medico e specialista a tenere in vita il proprio paziente, lottando contro la morte per un tempo sempre più lungo, ma poco insegnano circa il morire come esperienza concreta e singolare, circa i bisogni esistenziali del malato, circa i modi della comunicazione. Così, la tensione di chi vive il proprio morire e di chi assiste e vorrebbe soccorrere il morente incontra difficoltà ulteriori rispetto al dolore che da sempre accompagna la morte e di cui tutti noi, purtroppo, abbiamo fatto esperienza. Si tratta dell’incapacità/impossibilità di dire la sofferenza della morte in una società che si vuole vittoriosa su di essa; della difficoltà di accogliere questa esperienza nel vissuto quotidiano per ragioni culturali come di struttura sociale e sanitaria; del bisogno assai accresciuto nel morente di condividere la tragedia di vivere la propria morte sentendosi ancora trattato da persona viva. A questo disagio contribuisce anche l’informazione mediatica, che non solo disegna una medicina onnipotente – come si è accennato, ma traduce le conquiste scientifiche in imminenti conseguenze terapeutiche. Questo tipo di informazione induce nel cittadino un’attesa spesso esagerata nei confronti del medico e della équipe di assistenza. Attese impossibili rendono difficile il dialogo medico/paziente, come pure paziente/familiari; il problema se dire la verità al morente ha in questo quadro la sua origine e giustificazione. Si viene a creare una situazione paradossale: si vive una vicenda, la morte imminente, di cui si deve tacere e che va mascherata. La malattia inguaribile diventa per tutti i soggetti coinvolti – persona in fase terminale di malattia, équipe sanitaria, familiari, amici, volontari – un’esperienza sconvolgente, perché perdura nel tempo ed è vissuta in un dialogo espropriato di parole, in un silenzio che grida la sua assurdità. Sono in particolare il medico e il personale infermieristico che si 6 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa trovano a vivere, giorno dopo giorno, insieme all’uomo malato e morente il tempo del morire. Si tratta di un’esperienza e di un fatto della vita professionale e questa considerazione ci obbliga ad uscire dall’astrattezza per ricordare che non esiste il medico, l’infermiere, il paziente, ma questo medico e quest’infermiere, con reazioni personali al succedersi delle morti dei loro assistiti, questo paziente con l’urgenza dei suoi bisogni individuali, per i quali attende risposta, e che generano sofferenza. Si tratta, per esempio, di: - bisogni fisici, indotti dall’esigenza di un controllo del dolore dovuto alla patologia, sia da essa provocato in modo indiretto, sia indotto dalle terapie di controllo; - bisogni psichici: connessi con il prodotto delle reazioni della mente al vissuto di frustrazione e alla disgregazione delle prospettive future: ansia, paura, depressione, aggressività; alla difficoltà a riconoscere la continuità della propria identità al di là del contrasto tra l’io malato e debole con l’io sano e indipendente che era prima della malattia; - bisogni psicologici, primo fra tutti la necessità di ripercorrere la propria vita per correggere errori, modificare relazioni o comportamenti, dare o ricevere perdono, ma in questa ricostruzione della propria biografia scatta l’esigenza di sentire vicino a sé qualcuno che sia disposto ad ascoltare la narrazione; - bisogno di riconoscimento sociale, legato alla perdita dei ruoli nella famiglia, nel lavoro, nella società, alla mancata comunicazione ed isolamento in cui si trova; - bisogni spirituali, il trovarsi incalzati dalla morte non può che suscitare domande profonde. Perché proprio a me? Perché questa sofferenza? Perché devo morire? Domande sul dopo la vita terrena, domande della metafisica, ma estrapolate da dibattuti astratti e rivolte all’équipe curante. Domande cui è difficile dare risposta, ma che non possono essere soffocate e che esigono ascolto. È questa una delle ragioni dello spiazzamento che le persone sane sperimentano sotto gli interrogativi, molto spesso silenziosi, espressi soltanto dallo sguardo del morente. Vivere insieme l’estremo dilatarsi del morire, novità culturale e professionale connessa col progresso medico-scientifico, richiede un’adeguata preparazione, che non può esaurirsi nei confronti dei curanti, ma deve coinvolgere anche la società civile, per giungere ad un reale cambiamento nei confronti della morte vissuta e raccontata. La morte è e resta un evento della vita, la consapevolezza della morte un’esperienza tipicamente umana. Per questa ragione, in anni recenti, accanto alla medicina tradizionalmente volta alla ricerca delle cause che generano la patologia e al ripristino della funzionalità organica, o come spesso si dice alla guarigione, si è costituita una forma di assistenza che consiste in un insieme di attività rivolte al malato e alla sua famiglia, per rispondere ai suoi bisogni reali e concreti. Là dove l’approccio tradizionale dichiara che la tecnica medica è senza strumenti efficaci, una nuova forma di medicina scopre altri strumenti d’intervento, la cui dimensione peculiare è la dimensione non scientifica ma essenzialmente antropologica, il dialogo e il contatto fisico. Si tratta della medicina palliativa. 7 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa b) La medicina palliativa Con questo termine si allude ad una nuova forma di cura, volta a dare una migliore qualità di vita al morente. Già nota nei secoli passati, nella forma moderna sorge dall'iniziativa di alcuni operatori, che hanno accolto la sfida della contraddizione tra la condizione concreta del morente e la censura pubblica di tale condizione esistenziale. Siamo nel 1967 quando Cecily Saunders, medico, con un infermiere e un’assistente sociale propongono una nuova forma di accoglienza per il malato dalla patologia inguaribile e non più controllabile con le terapie note o sperimentali. Quando si parla di malattia inguaribile, subito la mente va all’oncologia, ma non è questa l’unica patologia a cui si rivolge la medicina palliativa; essa accoglie ogni persona affetta da malattie ribelli a qualsiasi terapia. Il primo passo, che ha portato alla filosofia delle cure palliative, è stato quello di prendere atto che, nel caso del morente, la malattia ha vinto la medicina; tale consapevolezza ha consentito il passo successivo: il centro dell’attenzione si sposta dal paziente alla persona sofferente. Per questo, tutte le malattie croniche o che riducono la qualità di vita e la sopravvivenza delle persone che ne sono affette meritano di essere trattate con l’approccio tipico delle cure palliative, anche in compresenza con terapie tradizionali. La medicina palliativa ha consapevolezza che il ripristino della salute o il controllo a lungo termine della malattia sono impossibili, per questo pone attenzione alla qualità di vita più che alla sopravvivenza quantitativa del malato, cercando di alleviare i sintomi con trattamenti il cui scopo principale è confortare il paziente. Di qui lo sforzo di affrontare tutti gli aspetti che animano la sofferenza - quello fisico (dolore, spossatezza, perdita dell’appetito, inabilità invalidanti), quello psicologico (paura della morte, ansia, perdita dell’autonomia), quello sociale (difficoltà oggettive, preoccupazioni per la famiglia, perdita del proprio ruolo), quello spirituale – e insieme di rispettare due diritti fondamentali del malato: a) ricevere tutte le cure adatte a togliere il dolore e ad alleviare le varie sofferenze, b) non essere sottoposto a terapie i cui effetti negativi sulla qualità della vita superano i benefici attendibili (o ottenibili). Per realizzare questo obiettivo è indispensabile delineare una strategia di cura personalizzata sul singolo paziente. Infatti, la malattia si manifesta nel corpo, ma in realtà costituisce un evento nella vita di ciascuno e quindi ha un prima, un tempo che precede l’esperienza in atto, fatto anche di dialogo con altri medici, a volte di ricoveri, che, a seconda di come sono stati vissuti, renderanno più o meno difficile vivere la fase finale della vita come i rapporti con i curanti. Di questi elementi il medico palliativista non può non tenere conto perché contribuiscono all’esattezza del quadro clinico del paziente e fanno della disfunzione dell’organo la malattia concretamente vissuta da ogni persona. Se questo è l’obiettivo, il compito che si prefigge è di assicurare al paziente un’assistenza globale, che tenga conto di tutte le dimensioni della vita umana; per questo si fa carico anche dei componenti la famiglia del malato, in quanto anch’essi fanno parte della sua storia passata. Spesso sono proprio le relazioni intrafamiliari, preesistenti all’insorgere del dramma della malattia dall’esito infausto, che concorrono a rendere più doloroso l’avvicinarsi della morte, come attestano coloro che dedicano le 8 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa loro cure ai morenti (vedi bibliografia). I problemi sono tanti, a cominciare dall’ambiente ospedaliero, spesso poco adatto al clima di una buona comunicazione; per questo l’intervento della medicina palliativa ha carattere pluridisciplinare e vede il concorso di differenti professionalità che, insieme, progettano l’assistenza più adeguata alla specifica persona soggetto di cura. Il vero quesito a cui si tenta di dar risposta non è tanto nell’orizzonte del binomio trattamento/non trattamento, quanto piuttosto nella ricerca dell’intervento più opportuno e appropriato per controllare la patologia nella sua specifica sintomatologia al fine di rendere migliore la qualità di vita del soggetto. Infatti, esistono situazioni di maggiore gravità e penosità, quando la fase di malattia inguaribile è ormai molto avanzata, la sofferenza accresciuta, la prognosi di vita di breve tempo, circa due mesi. Verso questo malato e la sua famiglia l’assistenza palliativa si fa più acuta; l’assistenza si protrae 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e concerne tutti i problemi del malato, compresi quelli non strettamente clinici. L’impegno della medicina palliativa non è quello filantropico del tenere la mano, ma scoprire e sfruttare la struttura giusta per la persona malata nella sua concreta fase di malattia, ospedale, domicilio, residenza opportunamente attrezzata, che si presenti come la forma meno estraniante dalla vita quotidiana. Fino a pochi decenni fa, una struttura con tali caratteristiche non esisteva. Infatti, l’ospedale è via via diventato un luogo deputato ad interventi per patologie acute e suscettibili di controllo grazie alla tecnologia medica diagnostica e terapeutica. Non è un luogo pensato per lungo-degenti, perché i macchinari sofisticati, l’alta specializzazione tecnologica del personale è giusto siano finalizzati al ripristino, totale o parziale, della salute. Il perdurare di uno stato patologico ormai non controllabile nella sua inesorabile evoluzione, se non nella riduzione dei sintomi, richiede un ricovero con caratteristiche diverse, ma non per questo meno specialistiche. A questa esigenza la medicina palliativa ha risposto con la struttura dell’hospice (cf. Glossario). L’assistenza alla persona affetta da malattia inguaribile deve comprendere una buona capacità nel controllo dei sintomi specifici delle singole patologie (terapia del dolore, cf. glossario), una grande capacità di ascolto ed accoglienza, che si manifesta in un dialogo di vera comunicazione, aperta sia ad avviarsi verso il campo inquietante dei “perché?” suscitati dalla sofferenza umana e dalla morte, sia al riconoscimento dell’incapacità/impossibilità di rispondere a domande che vogliono indagare il senso della vita e del destino dell’uomo, che ne mettono sfacciatamente a nudo l’estrema fragilità, contraria alla figura di uomo vincitore di ogni male. Alta umanità e umiltà, grande competenza nelle scienze della comunicazione umana, poca tecnologia sono il fondamento e il motore della nuova struttura sanitaria dell’hospice, che si pone come la più recente forma di assistenza sanitaria in connessione con le altre già presenti nel territorio. c) Il malato in fase terminale di malattia Con questa espressione si intende, come si diceva sopra, quel soggetto la cui diagnosi, qualsiasi sia, prevede una prognosi di circa due mesi di vita. La malattia è una vicenda che colpisce tutti i viventi, ma l’esperienza della malattia è una condizione squisitamente umana; è lo stato di percezione che la propria vita è 9 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa minacciata, che qualcosa di estraneo alla volontà del soggetto guida la vita quotidiana e si manifesta attraverso il corpo. I sintomi sono ciò che più conta nel quotidiano del morente, perché il loro apparire o sparire può annunciare una ricaduta o inaugurare la via della guarigione. Essi non rappresentano soltanto la conferma della patologia diagnosticata, ma sono la metafora della vita minacciata, della morte incombente: non si tratta di questo o di quell’organo, ma della possibilità di vita! Per questo essi sono la via maestra del dialogo; mediante l’ascolto del racconto che la persona malata fa della sua malattia, chi circonda il malato è in grado di avviarsi a comprendere la sua singolarità. Perché, se certe necessità sono comuni a tutti i pazienti, altre sono assolutamente individuali. Saranno comuni i sintomi fisici come il dolore, spesso cronico e grave, che va contrastato con un adeguato controllo. Per raggiungere questo traguardo non è sufficiente, anche se necessario, limitarsi al trattamento antalgico di tipo farmacologico, occorre anche capire la complessità dei meccanismi che creano il dolore, la sua correlazione con l’ansia e la depressione. Infatti, il dolore è modificato nella sua percezione da fattori soggettivi, familiari, ambientali, culturali e, non certo ultimi come importanza, da fattori connessi con l’ambiente clinico e l’attitudine dell’équipe nei confronti della persona sofferente. Per indicare tale complessità si usa l’espressione di dolore totale. Per una corretta valutazione del dolore totale, quindi, occorre conoscere il mondo del soggetto che si cura, credere in ciò che dice quando narra la sua malattia, credere nel malato, raccogliere la storia del tipo particolare di dolore, valutare la qualità della vita quotidiana. Ma bisogna anche tener sempre presente che la vita sana è ben altro dalla vita malata, i parametri sono assolutamente diversi; questo è il punto di partenza per prendere sul serio il paziente, per credere in lui. Ci sono, infatti, aspetti nella vita del malato che troppo spesso vengono da noi sani sottovalutati. Basta pensare ad alcuni tra i più significativi per accorgersene: - All’umiliazione del corpo sofferente, del corpo spogliato nel letto, spesso pervaso da tubicini e cannule, abbruttito nell'aspetto esteriore, incapace di svolgere le più elementari e vitali funzioni organiche. Il corpo malato, che si sfascia, si piaga, emette odori sgradevoli, diviene l'immagine concreta, visiva, della perdita di identità del soggetto. - Al senso di vulnerabilità, sconosciuto nella vita sana, che spesso ritorna nelle invocazioni rivolte a chi l’assiste, alla ricerca di conforto: “Così debole proprio io che sapevo affrontare qualsiasi imprevisto e superare ostacoli!" - Alla fatica dei piccoli gesti quotidiani. Banali finché si è sani, ma quando si è gravemente ammalati ogni gesto, anche il più semplice - star seduti sul letto, muovere un passo, nutrirsi - si trasforma in un atto eroico. La volontà non conta più; per quanto ci si sforzi, il corpo è senza forze, non risponde ai desideri e ai comandi che gli si danno, non resta che la constatazione: "Io che non ero mai stanco!" - All’incertezza legata al proprio futuro, aggravata dal contrasto tra il bisogno di sapere e la paura di conoscere cosa ne sarà della propria vita. - All’alterata percezione della realtà: la vita quotidiana che finchè si è sani va da sé, è un’ovvietà, mostra all’improvviso un volto nuovo. Nulla può essere lasciato ad un domani vago e atemporale. 10 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Per questo l’assistenza di tipo ospedaliera non rappresenta più la migliore opzione per questi pazienti, i quali, non sono più soltanto affetti da malattia cronico-degenerativa, ma sono in fase molto avanzata di malattia non più trattabile con terapie curative. Per questi soggetti l’intervento migliore è finalizzato a far trascorrere il tempo finale della vita nel modo più confortevole sotto varie prospettive, clinica, fisica, psicologica, psichica, familiare, sociale. Per questo il soggetto dell’assistenza medica non è più il paziente, ma la persona malata e la sua famiglia. È verso questo gruppo sofferente che si dirige l’assistenza da parte di professionisti di varia competenza, ciascuno deputato a conoscere meglio i bisogni soggettivi e generali del malato e a condividere con i colleghi questa conoscenza per trovare insieme la migliore soluzione per quel particolare individuo e la sua famiglia. Qui il concetto di rete (vedi parte III, par. a) è la via privilegiata per dare alla persona il luogo migliore dove risiedere a seconda della sua percezione della sofferenza e della sua situazione clinica. d) Quando la morte tocca il bambino Se, come si è detto in precedenza, il morire è qualcosa che, oggi più che in passato, è difficile vivere, quando la morte si avvicina al bambino diventa devastante. L’assenza di un luogo, reale e simbolico, in cui poter parlare del mistero della morte dell’innocente, l’oblio delle parole che dicono la fragilità delle creature umane, sono alla base della difficoltà che incontriamo a parlare con il morente della sua condizione. E il morente, se è un adulto, sa bene quali sono le cose di cui si può parlare e quelle di cui si deve tacere per essere in sintonia con i valori della società occidentale contemporanea e, così facendo, facilita il gioco dell’occultamento della morte. Cose che il bambino tanto più ignora quanto più è piccolo, in quanto libero da infrastrutture culturali e da rimozioni sociali. Ed ecco che il minore pone i suoi “perché?”, che hanno come effetto di catapultare l’adulto fuori del campo della rimozione verso il mondo del mistero. La morte non può più essere contenuta nel fatto biologico, ridotta a fine della malattia, a ragionamento razionale; non si tratta di dare una prognosi, ma di prendere parte all’evidenza che la vita dell’uomo non è eterna ma ha limiti contro cui si può ben poco, in altre parole essa ritorna cifra del mistero. Normalmente l’esistenza della morte è nascosta al bambino, ma può esserlo soltanto fino a quando egli non vi si trova direttamente coinvolto. La prima esperienza della morte che il bambino vive è la morte di un animaletto domestico; essa è spesso accompagnata da senso di colpa, prodotta dal timore che sia conseguenza di giochi o gesti bruschi verso la bestiola. Anche il bambino, a modo suo, si pone il perché della morte e la tentazione del mondo adulto di proteggerlo con il silenzio non fa che aumentare la sua sofferenza. Certo non è facile parlare della morte con il bambino, eppure è necessario trovare una forma per comunicare con lui, perché è ritenuto dannoso per il suo equilibrio giocare con lui il dramma del tacere la verità. Infatti, egli capisce il senso della morte attraverso le reazioni della famiglia, da come i genitori vivono la sofferenza, dalla sincerità del dialogo, soprattutto dal linguaggio non verbale. I bambini hanno una straordinaria capacità di afferrare il non detto (non dimentichiamo che il primo modo di comunicazione che impara il bambino è proprio non verbale), nel percepire che sono 11 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa attorniati dal segreto e interpretano questo silenzio come esclusione dal cerchio familiare. Il bambino morente crea problemi maggiori rispetto ad un paziente adulto anche perché egli non ha in serbo parole stereotipate, ma partecipa alla cura con emotività e sincerità. Per questo spesso diventa la spinta che aiuta l’adulto a uscire dalla chiusura del suo dolore. Prendersi cura di lui obbliga ad un dialogo vero, cioè all’ascolto di tutto ciò che l’interlocutore prova dentro di sé e vuole esprimere, e questo richiede tempo. Ma il tempo esistenziale non è una realtà cronologica, strutturata secondo le esigenze dei ritmi ospedalieri, bensì risponde ai bisogni interiori della persona. E il bambino ha un tempo suo, fatto di voli pindarici, di collegamenti in apparenza insensati, di analogie simboliche con il suo mondo infantile. È molto importante saper seguire e non precedere i bisogni e i desideri del bambino; fare in modo che egli senta che può fidarsi degli adulti, dei medici che lo fanno soffrire come dei genitori che non possono aiutarlo, che può fare sempre e a chiunque la domanda che lo angoscia. Il ruolo e il comportamento dell’équipe palliativista è fondamentale per aiutare i genitori del piccolo a sopportare l’immensa sofferenza; diventa indispensabile che ogni membro dell’équipe superi le sue reazioni individuali, condizionate dal vissuto personale, dallo stato fisico e psichico di quel momento. Diventa imprescindibile il dialogo tra i diversi professionisti coinvolti nell’assistenza, perché se manca questo confronto il lavoro procede con minore disponibilità e serenità. È indispensabile che nella preparazione professionale del personale palliativista sanitario ed extrasanitario trovino posto discipline psicologiche di supporto, per esempio per capire le domande che paiono estranee alla situazione, perché rivelano lo stato emotivo del paziente, le paure, il bisogno di essere consolati e rassicurati. I bambini malati hanno bisogno di allegria, che, meglio di parenti ed amici, proprio il personale curante può essere in grado di dar loro. Occorre preparare il bambino a cosa sta succedendo, ai mezzi per mitigare il dolore; questa procedura è utile per accrescere la sua sicurezza e fiducia nell’operato dell’équipe. Non dare false speranze, ma condividere con lui quel che prova in quel momento è il primo passo per costruire una alleanza terapeutica. Il gioco, il disegno, la musica sono conforti ma anche modi simbolici in cui egli cerca di esprimere i suoi sentimenti e attraverso di essi chi l’assiste può arrivare a capire le sue paure. E il compito primo del personale curante è di aiutarlo a dire la sua paura di morire. Esprimersi ha sempre valenza sanatrice. La paura della morte si presenta nel bambino soprattutto come paura della separazione, dell’abbandono. Non bisogna dimenticare fratelli e sorelle del piccolo malato; anche per costoro è indispensabile poter esprimere il loro dolore, essere tristi; nascondere la realtà renderà loro più difficile elaborare il lutto. Anche di fronte all’esperienza della morte di un congiunto o di un fratello, la tendenza sociale è di tacere; si porgono le condoglianze e si consolano i “grandi”, ma nessuno osa piangere con il bambino, condividere con lui la sofferenza, nonostante la condivisione sia l’unico modo per sopportare un dolore infinito. Parte II. Normativa vigente sulle cure palliative per malati terminali 12 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa 1. D.P.R. 21 luglio 1998: Piano Sanitario Nazionale ( pubblicato sulla G.U. n° 201 del 30 dicembre 1998). Si propone di realizzare i seguenti obiettivi generali: • potenziamento dell’assistenza medica ed infermieristica a domicilio; • erogazione dell’assistenza farmaceutica a domicilio, tramite la farmacia ospedaliera; • potenziamento degli interventi di terapia palliativa ed antalgica; • sostegno psico-sociale al malato ed ai suoi famigliari; • promozione e coordinamento del volontariato, destinato all’assistenza ai malati terminali; • realizzazione di strutture residenziale (hospice) autorizzate ed accreditate. 1. D. L. 28 dicembre 1998, n° 450, convertito con modificazioni dalla Legge 26 febbraio 1999 n° 39. L’art. 1 prevede che il Ministro della Sanità, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le provincie Autonome di Trento e di Bolzano, adotti un programma, su base nazionale, per la realizzazione, in ciascuna regione e provincia autonoma, in coerenza con gli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale, di una o più strutture ubicate sul territorio in modo da consentire un’agevole accessibilità da parte dei pazienti e delle loro famiglie, dedicate all’assistenza palliativa e di supporto, prioritariamente per i pazienti affetti da patologia neoplastica terminale, che necessitano di cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro famigliari. 2. Conferenza Stato-Regioni data 5 agosto 1999. Viene formalizzata l’intesa raggiunta tra Stato e Regioni sull’intera materia; viene avviato il programma per le strutture palliative con l’assegnazione di 256 miliardi alle Regioni. 4. Decreto del Ministro della Sanità 28 settembre 1999 (pubblicato sulla G.U. n° 55 del 7 marzo 2000), avente per titolo: “Programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative”. Di particolare interesse l’allegato 1 di detto Decreto, nel quale vengono definite le modalità di integrazione delle attività delle rete di cure palliative, e l’allegato 2, dove vengono precisate le linee attuative per la realizzazione della rete di cure palliative. 5. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 gennaio 2000, avente per titolo: “Atto di indirizzo e coordinamento recante i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per i centri residenziali di cure palliative”, pubblicato sulla G.U. n° 67 del 21 marzo 2000. Di particolare interesse l’allegato al Decreto. 6. Deliberazione del Consiglio Regionale n° 8 del 25 febbraio 2000, avente per titolo: “ Piano Sanitario Regionale per il triennio 1999/2001”; pubblicato sul supplemento ordinario n° 14 del B.U.R. in data 5 aprile 2000, il quale individua la seguenti azioni: 13 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa • • • • • • • adeguamento del personale per l’assistenza palliativa medica ed infermieristica a domicilio; potenziamento delle risorse tecnologiche; definizione di linee-guida per interventi di terapia palliativa ed antalgica e per il sostegno psicologico e sociale del malato e dei suoi famigliari; emanazione di direttive per l’assistenza domiciliare, per cure di controllo del dolore, secondo le indicazione della Legge 449/98 (Legge Finanziaria 1999); emanazione di direttive rivolte al coordinamento con il volontariato, per l’assistenza ai malati terminali; attivazione di posti letto dedicati, in strutture residenziali (hospice) , ove sia possibile garantire un alto grado di umanizzazione dell’assistenza come ad esempio un’adeguata accoglienza, anche ai famigliari (tenendo conto delle convinzioni religiose dei soggetti), per offrire assistenza e cura ai pazienti in fase critica, che per diverse motivazioni non possono essere seguiti in regime domiciliare, e per i quali il ricovero ospedaliero risulta non necessario ed inadeguato alle loro esigenze; assegnazione, da parte della Regione, delle risorse previste dalla Legge 39/99 (in funzione della mortalità per tumori) alle singole A.S.L., che individuano la sede degli hospice, d’intesa con le Conferenze dei Sindaci. 4. Deliberazione della Giunta Regionale della Liguria del 21 luglio 2000, attraverso la quale viene approvato il progetto relativo alla realtà territoriale ligure, con la realizzazione di 67 posti letto in strutture residenziali (hospice) suddivise tra: 5 ambiti sanitari e con un investimento di L. 10.350.000.000=. 5. Legge n° 12 del 8 febbraio 2001 (pubblicata sulla G.U. n° 41 del 19 febbraio 2001) avente per titolo: “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici efficaci sulla terapia del dolore”. 6. Decreto del Ministro della Sanità con allegato (pubblicato sulla G.U. del 14 maggio 2001) avente per titolo: “Linee guida sulla realizzazione delle attività assistenziali, concernenti le cure palliative” ,la Conferenza Stato-Regioni (ex art. 38 D.L. 1997 n° 281) ha sancito l’accordo nella seduta del 24 maggio 2001. Per usufruire del finanziamento stanziato, il Decreto dispone che le Regione e Provincie Autonome debbano inviare al Ministero della Sanità, nei tempi stabiliti, il programma per la realizzazione delle strutture per cure palliative ed i progetti preliminari per la realizzazione o l’adeguamento delle strutture rispondenti ai requisiti previsti dal D.P.C.M. 20 gennaio 2000, nonché i piani di comunicazione. La Legge 39/99 stanzia, inoltre, per l’annualità 2000 L. 53.532.000.000=, ai quali la Legge 29 dicembre 1999 n° 488 aggiunge L. 30.000.000.000. per ognuno degli anni 2000, 2001, 2002. Pertanto sono state rese disponibili L. 143.532.000.000=. La ripartizione tra le Regioni e le Province Autonome è stata effettuata in base ai parametri adottati precedentemente e, cioè, calcolati in base al tasso di mortalità regionale per neoplasia ed al tasso di mortalità generale. Il termine fissato per la presentazione dei progetti preliminari per la realizzazione o l’adeguamento delle strutture e la loro integrazione nella rete esistente è di 350 giorni dalla data di 14 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa pubblicazione in G.U. del Decreto Ministeriale. Inoltre, è stato stabilito il diritto alle Regioni ha stipulare convenzioni con istituzioni ed organismi senza scopo di lucro che dispongano di strutture dedicate all’assistenza palliative e di supporto, prioritariamente per i pazienti affetti da patologia neoplastica terminale. Sono ammessi anche i progetti presentati da istituzioni ed organismi a scopo non lucrativo, che svolgano attività nel settore dell’assistenza socio sanitaria. In entrambi i casi, i finanziamento assegnati alle Regioni possono essere finalizzati alla realizzazione, alla ristrutturazione ed all’adeguamento di strutture con vincolo di destinazione trentennale. 7. Decreto del Ministro della Sanità 26 aprile 2001 (pubblicato sul G. U. 14 maggio 2001), avente per titolo: “Corso pilota di alta qualificazione in cure palliative”,“Curriculum essenziale italiano per le cure palliative”. Parte III. L’unita’ operativa di cure palliative a) La realizzazione delle cure palliative: la rete 15 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa É evidente che un’assistenza di questo tipo deve muovere da una visione diversa dell’organizzazione dei servizi. Per questo, la concezione sottesa alla medicina palliativa è la rete. Solo una buona coordinazione tra i vari servizi esistenti nel territorio consente di trovare l’accoglienza migliore per ciascun paziente. Rete significa creare un progetto di cure palliative che coordini in modo efficace e rapido ospedale e territorio: medici di famiglia, Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), RSA, hospice, Unità di Cure Palliative (UCP). L’UCP è intesa come assistenza, caratterizzata da tutti i comfort necessari ad una persona in fase avanzata-avanzatissima di malattia, che risponde a condizioni cliniche, psichiche, psicologiche e sociali necessarie al paziente e alla sua famiglia per un rientro al domicilio o, per i malati in fase terminale, con l’obiettivo di accompagnare il morente e la sua famiglia ad una morte e ad un lutto il più sereni possibile. Spesso questi soggetti dimessi dalle unità di terapia ospedaliera, avendo superato la fase acuta mediante i trattamenti tradizionali ma che necessitano maggiormente di cure sintomatiche, di terapia del dolore, non sempre possono trovare assistenza adeguata al proprio domicilio. Per costoro è stata “inventata” una forma atipica di accoglienza sanitaria in particolari strutture definite hospice. Se una fra le condizioni per essere ammessi nell’hospice è la prognosi di circa due mesi di vita, diventa impossibile perder tempo in pastoie burocratiche, che vanno preventivamente sveltite e organizzate nell’interesse del malato. Una volta intravista la necessità di cura ritenuta più appropriata, non avrebbe senso ritardare la risposta al bisogno. Analogamente, occorre ridurre al minimo gli aspetti burocratici tra i soggetti interessati all’assistenza del malato, individuando spazi e compiti specifici. Da dati raccolti, si può affermare che una buona organizzazione risulta uno dei punti qualificanti dell’hospice e dell’UCP. Per una buona organizzazione di rete e una razionale utilizzazione dei servizi esistenti, diventa indispensabile individuare un responsabile del progetto, il quale deve avere una motivazione molto forte a demedicalizzare il morire per esaltare gli aspetti relazionali non solo verso il paziente/famiglia, ma anche verso gli altri operatori per lavorare bene in gruppo. Per questa ragione, generalmente la conduzione di questa U.O. è affidata ad un medico che abbia acquisito una specifica preparazione in medicina palliativa, distinta dall’U.O. di oncologia o dal polo oncologico. La relazione tra medici e altri operatori deve superare la figura di tipo gerarchico per farsi collaborativa. Quale l’obiettivo terapeutico verso i malati che si trovano in fase terminale della malattia? Se esiste un concetto dinamico di salute, cioè salute come ricerca di un equilibrio tra corpo, psiche e spirito, tra persona e altri soggetti, tra persona e ambiente, può esistere un concetto altrettanto dinamico di guarigione. Non soltanto recupero fisico, ma sforzo per raggiungere una pacificazione interna, psicologica, il coraggio e la forza interiore di vivere anche contro la malattia che logora e abbatte. Evento che si può realizzare soltanto se il malato non è lasciato solo ma accompagnato in questo cammino da un progetto di assistenza totale, cioè olistico. b) Le risorse strutturali 16 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa L’ospedale È per sua natura un luogo di accoglienza per diagnostica e terapia tradizionale di malati in fase acuta o evolutiva, ma che necessita ancora di un approccio medico e di risorse tecnologiche, in vista di una prevedibile guarigione o stabilizzazione della malattia. Risulta inadeguato nel caso della persona affetta da una patologia non più suscettibile di controllo e inguaribile, ma curabile dal punto di vista sintomatologico e umano. Si evidenzia una contraddizione tra il modello biologico della medicina che vuole e deve sempre guarire rispetto all’atteggiamento curativo della medicina palliativa che ha come postulato la centralità del paziente e i suoi bisogni, e quindi evita di mettere in atto interventi terapeutici che sono sproporzionati, ma è animata da una visione olistica per rispondere ai bisogni esistenziali della persona alla fine della vita Le strutture ospedaliere ed extraospedaliere di riabilitazione Esse si prefiggono essenzialmente un recupero delle attività motorie, finalizzato all’autonomia della persona e alla restituzione della stessa nel suo contesto sociologico. Le Residenze Sanitarie Assistenziali Le RSA sono strutture extraospedaliere finalizzate a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie assistenziali e di recupero a persone anziane, prevalentemente non autosufficienti non assistibili a domicilio o nei servizi semi- residenziali. Differisce dalle strutture riabilitative per la minore intensità delle cure sanitarie e per i tempi più prolungati di permanenza degli assistiti, che in relazione al loro stato psico-fisico possono trovare nella stessa anche ospitalità permanente. La Residenza Protetta La RP ospita soggetti autosufficienti e non, garantendo i soddisfacimenti dei bisogni primari, supportandoli nelle difficoltà personali, di autonomia e nelle disabilità. In particolare la RP garantisce all’ospite i seguenti interventi: - assistenza diretta alla persona (aiuto per l’igiene personale, per i pasti per le funzioni della vita quotidiana), comprensiva delle funzioni di assistenza tutelare; - attività di animazione per favorire le capacità di rapporto e di socializzazione e per sollecitare le potenzialità individuali culturali e creative, per offrire occasioni di ricreazione, svago e incontro; - prestazioni di medicina generale e assistenza infermieristico-riabilitativa (controlli medici, cura delle malattie, qualora non richiedenti ricovero ospedaliero, medicazioni e terapie, prestazioni riabilitative non complesse); - offre inoltre i normali servizi di tipo alberghiero. Non è, però, idonea ad accogliere persone in fase avanzata/avanzatissima e terminale di malattia. L’assistenza domiciliare integrata L’ADI è rivolta essenzialmente alla persona anziana, non autosuffiente, e fa fronte alle necessità di base svolte soprattutto dall’infermiere, fisioterapista, assistente sociale, con una supervisione del medico geriatra. 17 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa L’Hospice L’hospice è una struttura residenziale finalizzata ad accogliere malati di qualsiasi età, affetti da patologie inguaribili, aventi una prognosi di sopravvivenza presumibilmente non superiore a 2 mesi, che abbiano superato le possibilità di cura specifica sia chirurgica sia chemioterapica e radioterapica, che necessitano di cure palliative. Si intende non soltanto persone affette da patologia tumorale, ma anche da AIDS, malattia di Hunntington, sclerosi multipla, sclerosi laterale amniotrofica, diabete mellito avanzato, malattie cardiovascolari, ematologiche… Il paziente può essere ricoverato in hospice in modo definitivo o temporaneo su richiesta della stessa persona malata o dei famigliari, dopo opportuna valutazione dell’équipe assistenziale, quando: - sono richieste cure che non possono essere effettuate a domicilio; - l’assistenza domiciliare diventa insostenibile per la famiglia; - il paziente vive in condizioni abitative inadeguate e con scarsa assistenza famigliare. L’attività di assistenza si basa su alcuni punti fermi che sono: - assunzione in cura del malato e della sua famiglia; - creazione di un ambiente il più possibile domestico; - controllo attento e puntuale dei sintomi, primo fra tutti il dolore; - attenzione particolare all’alimentazione ed ai problemi ad essa correlati; - instaurazione e mantenimento di una reale comunicazione tra operatori, malato e famiglia; - disponibilità dei familiari a collaborare per soddisfare i bisogni elementari del malato; - attuazione concreta del lavoro di équipe; - elevato rapporto operatori-pazienti. Il ricovero in hospice garantisce anche la disponibilità di assistenza specialistica in ambiente il più possibile simile a quello domestico. Attenzione deve essere posta all’organizzazione degli spazi prevedendo l’accoglienza dei famigliari e la loro collaborazione alle cure del malato. Essi devono poter pernottare con lui, soggiornare e cucinare. Occorre permettere di personalizzare la stanza con oggetti provenienti dal proprio domicilio, utilizzando contemporaneamente servizi e presidi propri dell’ambito ospedaliero, quali letto articolato, materasso antidecubito, bagno per disabili, sedie comode, possibilità di idroterapia, ecc. L’hospice può essere ubicato al di fuori di una struttura ospedaliera, oppure collocato presso l’ospedale, ma sempre autonomo nella sua funzionalità. L’équipe multidisciplinare dell’hospice mantiene contatti con quella delle cure palliative domiciliari, integrandone l’attività e assicurando la continuità dell’assistenza ai degenti e ai famigliari, anche dopo l’eventuale dimissione. Per quanto riguarda l’organizzazione dell’hospice è bene rispettare alcuni parametri, che indichiamo di seguito: 1. Requisiti minimi organizzativi Gli obiettivi che ci si prefigge raggiungere nell’hospice sono: il definire e il realizzare un programma personalizzato di cure palliative, orientato a migliorare la qualità della vita attraverso una risposta globale ed efficace ai bisogni della persona malata, considerando la sfera fisica, psico-emozionale, sociale e spirituale del soggetto e della famiglia; la realizzazione di una valida alternativa alla casa; l’assistenza del 18 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa malato fino alla morte, preparando al lutto i famigliari e aiutandoli anche nel tempo post morte. Inoltre compito del medico dirigente e dell’infermiere dirigente dell’hospice è anche l’aggiornamento specifico e l’istruzione del personale sanitario e non, l’educazione e il rinnovamento nella pratica medica degli operatori sanitari e dei volontari in termini umanistici. L’atteggiamento dell’équipe palliativista è un’acquisizione graduale e continua nel tempo, che si costruisce tramite l’esperienza diretta e la formazione. La specificità dell’hospice, rispetto ai servizi esistenti, si distingue per le seguenti caratteristiche: - nei confronti dell’unità ospedaliera per acuti, l’hospice si basa su una ideologia differente, che privilegia, alla cura della malattia, la cura della persona malata; la relazione tra le due strutture è generalmente unidirezionale, dall’ospedale all’hospice, salvo particolari necessità, perché la cura è sempre correlata ai bisogni della persona. L’hospice è una struttura di assistenza intensiva a basso contenuto tecnologico e alto contenuto umano; - rispetto alle strutture di riabilitazione l’intervento in hospice, pur rientrando, in parte, in una logica di recupero funzionale, si prefigge, al di la del tentativo di ripristinare funzioni motorie deficitarie, altri obiettivi, rappresentati dal ripristino di una miglior qualità di vita, di autostima, di autocontrollo, e di equilibrio psichico e spirituale. Se il malato riesce a vivere in armonia con sé il tempo che gli rimane da vivere, nella libertà di esprimere i propri sentimenti di rabbia e di angoscia come di progetti e di speranze, pur non essendo oggettivamente “sano”, soggettivamente sente di star bene (guarigione in senso olistico); - nei confronti delle residenze socio-assistenziali (RSA) e delle residenze protette (RP), che, non di rado, ospitano persone malate le cui condizioni cliniche necessiterebbero più di cure palliative che di interventi di diagnosi e terapia tradizionali, anche al di fuori della patologia oncologica, l’hospice presenta un livello di assistenza più intensiva e più attento al sollievo della sofferenza nelle ultime fasi della vita; - con il territorio l’hospice costituisce una vera e propria interfaccia e non può prescindere dalla rete dell’unità di cure palliative domiciliari (UCPD) e dal servizio dell’assistenza domiciliare integrata (ADI), nella logica del completamento del programma assistenziale, ponendosi come struttura di riferimento per le necessità di ricovero del malato terminale; - il rapporto con il medico di base, infine, si configura come una forma di assistenza integrativa che offre consulenza e supporto qualificato per affrontare la complessità dei problemi sanitari e assistenziali che si presentano nella fase avanzata della malattia. 2. Requisiti minimi strutturali Per realizzare al meglio la filosofia dell’hospice la collocazione della struttura è, di regola, in un’area residenziale sanitaria, a condizione che sia prevista la sua autonomia strutturale e funzionale. La superficie minima dell’unità è considerata di 400 mq, con una capienza minima 8 letti, distribuiti in camere singole (60%) o a 2 letti, con annesso bagno per disabili in ciascuna. Nelle stanze di degenza e nei servizi sono presenti prese per 19 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa ossigeno e per aspirazione, letti di degenza che non si presentino come letti ospedalieri pur avendone le caratteristiche (reclinabilità a 2 snodi), poltrona letto o letto per famigliare, televisore o presa per antenna, comodini da letto con ripiano girevole, tende alle finestre, tavolino, rialzi per WC, sedile doccia. Altre attrezzature consistono in comode, carrozzine, materassi antidecubito, archetti e trapezi, sollevatore, accessori per letti ignifughi, pompe infusionali per nutrizione enterale e parenterale. L’area residenziale comprende camere di degenza, soggiorno-sala da pranzo, locale per interventi di terapia diversionale, quali tecniche di rilassamento e musicoterapica, cucine, tisanerie accessibili alle carrozzine, in numero di una ogni 8 posti letto, locale di sosta della salma. Le tisanerie sono dotate di lavello, frigorifero, punto cottura, forno a microonde, armadietti, l’area operativa di arredi, attrezzature e elettrodomestici per la funzione dei locali, in base alla destinazione; possono costituire un luogo di soggiorno e degustazione. Nell’area residenziale deve essere funzionante un adeguato sistema di ricambio d’aria, e prese telefoniche sono installate in tutti i locali. E’ auspicabile anche la presenza di un’area verde adiacente alla struttura, senza barriere architettoniche e in grado di accogliere ospiti di tutte le età. L’area operativa è costituita dalla reception, dall’infermeria, dallo studio del medico e della caposala, dai servizi per il personale, dalla cucina, dal deposito pulito, dal deposito sporco, dal bagno centrale attrezzato per disabili, dallo spogliatoio del personale, dall’area dedicata alla fisioterapia. Se l’hospice è interno all’area ospedaliera, è bene che tale area sia autonoma, opportunamente attrezzata in linea con una riabilitazione specifica per la tipologia dei malati ospitati e con operatori anch’essi formati alla filosofia palliativa. È previsto l’utilizzo del personal computer con software applicativo gestionale. Nella dotazione delle attrezzature e degli arredi la ricerca del comfort per i morenti rappresenta una prevenzione ed una terapia per le sofferenze che possono intensificarsi in condizioni di disagio ambientale. Le caratteristiche degli arredi devono tenere in considerazione la frequente disabilità dei pazienti. 3. Caratteristiche organizzative Nell’hospice, come in tutta l’unità delle cure palliative, l’erogazione dell’assistenza è effettuata in équipe; le varie personalità condividono la valutazione del paziente, il processo decisionale è concordato tra i vari operatori e il programma personalizzato di intervento coinvolge sia il paziente sia la sua famiglia, considerando le problematiche sanitarie, socio-assistenziali, psicologiche, relazionali, affettive, culturali, economiche e spirituali, al fine di fornire adeguate risposte che tengano conto dell’interezza dell’individuo (approccio olistico). Da questa premessa derivano i requisiti minimi organizzativi del lavoro in hospice: - équipe multiprofessionale, composta dalle figure sottoindicate (par. c); - organizzazione del lavoro, con riunioni periodiche di tutti i membri dell’équipe per la formulazione del piano di intervento, verifica della sua fattibilità, successiva rivalutazione; - assistenza medica, con organizzazione del lavoro orientata ai bisogni concreti del paziente e al trattamento della sintomatologia in relazione alla malattia; 20 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa - assistenza infermieristica, con infermieri professionali e organizzazione del lavoro orientata alle necessità del paziente; - volontari, organizzati e appositamente formati; - controllo di qualità, effettuato dall’organismo competente. L’accesso ai servizi di diagnosi e cura per le indagini diagnostiche è, in hospice, molto limitato e si rivolge, in genere, soltanto alla diagnostica laboratoristica di base. Queste prestazioni devono essere fornite in modo agevole e rapido, indipendentemente dalla collocazione delle strutture. Anche l’accesso al servizio di farmacia deve essere garantito in modo continuativo; il consumo di farmaci è modesto, concentrandosi su alcune specialità (analgesici, antiinfiammatori, oppiodi, psicofarmaci, antibiotici, antispastici, gastroenterici). L’hospice deve avere a disposizione un sevizio di lavanderia e di cucina, con possibilità di pasti personalizzati. c) Le risorse umane É comprensibile come l’atteggiamento e la formazione del personale rappresentino una priorità per assicurare un’assistenza di altissima qualità a persone affette da malattie così importanti. A tal fine gli operatori devono essere selezionati in funzione della loro specifica sensibilità, motivazione e formazione palliativista a completamento della indispensabile professionalità. Il personale medico Pur esistendo corsi di formazione in cure al malato in fase terminale di malattia e in tecnica della comunicazione in sanità, la medicina palliativa non rientra ancora nel corso di formazione di base dello studente di medicina. E’ comunque evidente che il sanitario che opera in questo settore dell’assistenza debba essere equiparato, come profilo professionale, a quello dei medici delle altre unità ospedaliere. Il medico palliativista deve saper esprimere una valutazione clinica completa sulla persona che dovrà assistere. Deve aver pratica di counselling per saper ascoltare attentamente l’ammalato e condurre con lui un colloquio che comprenda tutti gli aspetti della sua vita; deve avere una buona pratica di medicina generale per effettuare una visita globale che prenda in considerazione i problemi fisici e psichici dell’ammalato; ma deve anche considerare quelli sociali, relazionali e psicologici. Inoltre deve avere una buona conoscenza delle terapie analgesiche, dei farmaci per il controllo dei sintomi e deve saper lavorare in équipe, in rapporto paritario con gli altri operatori dell’unità assistenziale, di cui terrà in considerazione osservazioni e consigli, riesaminando insieme, periodicamente, la situazione delle persone in cura. Deve saper coordinare il personale in rapporto collaborativo e interdipendente. Deve saper coinvolgere il medico di famiglia e ricorrere eventualmente allo specialista di competenza se l’evoluzione della patologia lo richiedesse; inoltre è suo compito facilitare la prescrizione e il reperimento dei farmaci necessari. 21 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Il personale infermieristico Il principale tramite di informazione sulle condizioni del paziente è l’infermiere, al quale si riconosce un cambiamento di ruolo in quanto, vivendo più tempo a contatto diretto con il malato, è in grado di coglierne confidenze, richieste necessità; questa consapevolezza lo pone in condizioni paritarie al medico con cui contribuisce ad elaborare il progetto di assistenza al malato. L’infermiere palliativista deve avere una preparazione tecnica e antropologica che supera quella richiesta per assolvere le competenze attribuitegli dal D. M. del sett. 94, in base al quale “partecipa all’identificazione dei bisogni di salute e dei bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obbiettivi; pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico; garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali, svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale”. Egli, infatti, deve saper cogliere i reali bisogni della persona malata in base al suo particolare modo di vivere la malattia non soffermandosi soltanto su quelle necessità che gli si vorrebbero attribuire a seconda della patologia. L’infermiere palliativista, in particolare se opera in hospice, deve tener presente che l’assistenza che è chiamato ad assolvere, a differenza di quella ospedaliera regolata da tempi oggettivi e da ritmi oggi imposti anche da valori economici, è regolata dai tempi soggettivi del malato, le cui necessità richiedono, di solito, attenzione ai particolari, anche semplici, quali la somministrazione del cibo e delle bevande, il posizionamento nel letto, la parola e il gesto di conforto anche con malato che non è più in grado di parlare ma che chiede semplicemente una persona vicino che testimoni ancora una contatto con la vita. Medico di famiglia Un aspetto fondamentale da tenere presente è che il medico di famiglia è gestore delle cure palliative insieme all’équipe; infatti, egli non può operare da solo, perché il modulo assistenziale è ad alta intensità. L’unità di cure palliative utilizza personale proprio, risorse del territorio, associazioni no profit. Per questo il concetto di rete è molto importante. Ma una buona organizzazione della rete e sfruttamento dei servizi esistenti deve partire da un’analisi dei bisogni locali. Il volontario Il volontario è sicuramente l’elemento più atipico dell’equipe, il successo del suo intervento è dovuto ad una profonda motivazione personale , alla comunicazione e alla disponibilità. I volontari sono selezionati dagli psicologi in base a criteri di personalità e motivazione ben precisi e partecipano a corsi di formazione per l’educazione al lavoro di gruppo e l’elaborazione dei problemi che tale lavoro comporta, vengono inoltre addestrati all’uso delle tecniche diversionali ed occupazionali importanti nell’offrire un ulteriore occasione di facilitazione delle relazioni interpersonali. Il loro ruolo non è solo quello di tenere compagnia al malato ma anche di aiutare i famigliari nel disbrigo di commissioni e pratiche burocratiche. 22 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Possiamo dire che essi costituiscono uno degli elementi basilari nell’assistenza domiciliare; proprio per la loro assenza di professionalità specifica, sanitaria o parasanitaria, svolgono funzioni molteplici che vanno dall’assistenza nelle mansioni più semplici, alla compagnia, all’ascolto confidenziale, allo sbrigare commissioni, dare aiuto nell’alimentazione… Lo psicologo La malattia vissuta costituisce una realtà assai complessa, molto diversa dalla malattia dei manuali di medicina. Essa comprende non solo gli aspetti organici ma tutti quei “trucchi” che la psiche di ciascuno mette in atto per difendersi dalla dura scoperta della propria vulnerabilità. Per questo, l’attività dello psicologo nell’ambito della medicina palliativa costituisce uno strumento terapeutico di supporto essenziale per i famigliari e per gli operatori coinvolti nell’assistenza i quali, a loro volta, potranno maturare anche un approccio psicologico nei confronti del malato. L’intervento dello psicologo si sviluppa in quattro situazioni: - controllo delle dinamiche dell’équipe: il contatto quotidiano con malati che evocano costantemente l’immagine della morte personale, l’inevitabile loro morire, la sofferenza e la disperazione loro e dei famigliari che viene scaricata sui membri dell’équipe, provocano in tempi più o meno brevi, usura, attenuazione dell’impegno, crisi depressive, aggressività (burnout); - supervisione dei volontari: il volontario può essere oggetto e causa di stress: Egli necessita di particolare protezione: infatti, solitamente non è preparato da un’abitudine di lavoro a confrontarsi con la morte; - colloqui con i famigliari: spesso i famigliari vivono dei sensi di colpa perché si sentono inadeguati o impotenti di fronte alla malattia inguaribile e hanno delle difficoltà di comunicazione. Un incontro con lo psicologo è solitamente efficace ad ottenere comprensione e a dare fiducia in se stessi; - colloqui con il malato: talvolta un colloquio tra psicologo e malato è in grado di rivelare aspetti e problemi sfuggiti ad altri componenti dell’équipe, permettendo una migliore comprensione e facilitando, in ultima analisi, tutti i rapporti di cura. L’assistente spirituale Indipendentemente dalle esigenze personali di ciascuna persona, è compito della medicina palliativa ascoltare tutti i bisogni soggettivi e cercare di dare ad essi una risposta. Per questa ragione, è contemplata nell’assistenza al malato in fase terminale di malattia anche una figura professionale in grado di rispondere ai bisogni spirituali del malato. La dimensione spirituale è più ampia di quella religiosa ed è la forza che anima la ricerca di significato della vita e degli eventi quotidiani, di cui spesso il morente sente il bisogno di parlare, proprio perché è un mondo che viene turbato dalla malattia in modo molto forte. La domanda fondamentale del morente e della sua famiglia “perché proprio a me?” scaturisce dal profondo del mondo spirituale, dal bisogno di esprimere paura angoscia inquietudine disperazione speranza, il bisogno di essere considerata una persona viva almeno fino al momento della morte. 23 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa L’assistente delle varie religioni. Coloro che hanno dedicato tempo e attenzione all’assistenza dei morenti hanno riscontrato un bisogno di rivedere la propria vita, di dar senso alla vita trascorsa, di conciliazione, di conversione intesa come cammino verso l’accettazione anche di ciò che si presenta come definitivo. L’assistenza religiosa diventa l’offerta di un cammino di accompagnamento. Spesso il morente necessita più di un compagno nel cammino che di parole e risposte, necessita di aiuto a trovare la propria personale risposta alle proprie radicali domande. A questo scopo è auspicabile che l’ASL 2 savonese si apra alla prospettiva di pluralismo religioso, per rispondere alle varie esigenze presenti in una società multietnica. Il periodo di lutto A partire dalla considerazione che nell’hospice l’assistenza è rivolta alla persona malata e alla sua famiglia, il programma di cura prevede anche ad assistere i familiari nel periodo successivo alla morte del parente, per aiutarli ad elaborare il lutto. Sono momenti di conflitti emotivi molto forti; specialmente quando la morte succede a lunghi periodi di sofferenza, il primo sentimento che la famiglia prova è un senso di sollievo e proprio questa sensazione provoca un senso di colpa che rende difficile vivere il lutto in modo positivo. L’assistenza specialistica può trovare il percorso giusto per le singole persone per risolvere questo momento di crisi e contrasti, aiutando a riconoscere che la morte era un evento inevitabile. L’assistente sociale e la famiglia Il ruolo dell’assistente sociale è quello di aiutare la persona malata e la sua famiglia ad affrontare situazioni di vita quotidiana, che improvvisamente sembrano diventare irrisolvibili. La malattia mette a dura prova la resistenza sia fisica sia psichica e l’intervento dell’operatore sociale ha come scopo di contenere la sofferenza generata anche da problemi operativi dovuti all’aggravarsi della malattia. La malattia grave e in fase ormai terminale, infatti, è fonte di disagio anche per le conseguenze di tipo economico e pratico, di status sociale che il malato e la sua famiglia incontrano e che contribuiscono ad aumentare il grado di sofferenza. Può capitare che con l’ammalarsi del capofamiglia, sia esso uomo o donna, il peso dei problemi quotidiani si rovesci sull’altro coniuge, il quale si trova così a dover far fronte all’aspetto emotivo della vicenda e insieme a dover risolvere questioni pratiche. In questo frangente l’aiuto esterno è un mezzo per affrontare la nuova situazione, per ricostruire le relazioni familiari alla luce dell’evento-malattia inguaribile. Ecco perché l’ospedale tradizionale non può risultare il luogo più idoneo per dare valore alla vita del morente e della sua famiglia. Alcuni problemi concreti possono essere risolti usufruendo delle risorse locali, per questo il concetto iniziale di rete è fondamentale. L’équipe palliativista non può dimenticare la solitudine nella quale viene a trovarsi il morente e la sua famiglia, sia per l’affievolirsi della rete relazione sia per la necessità di una cura specifica, che proprio nella medicina palliativa trova una risposta concreta. È consuetudine dell’assistente sociale, come dell’équipe palliativista, mantenere vivi i rapporti con la famiglia anche dopo il decesso del parente, per appianare le 24 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa difficoltà che accompagnano la fase del lutto. Per tutto ciò è indispensabile che le informazioni sulla persona malata siano raccolte da ogni componente l’équipe e in essa circolino per consentire un buon coordinamento delle cure. GLOSSARIO Cure palliative: indica la cura totale prestata alla persona affetta da una malattia che non risponde più alle terapie, note o sperimentali, utilizzate per raggiungere la guarigione. Non vogliono prolungare né abbreviare l’esistenza dell’ammalato, ma provvedere al sollievo dei sintomi e del dolore, fisico e spirituale. Scopo è garantire la migliore qualità di vita sino alla fine. Esse, infatti, considerano la morte come un evento naturale e in questo rafforzano il valore della vita umana. Non escludono terapie mediche tradizionali qualora le condizioni cliniche della persona malata facciano ritenere opportuno farvi ricorso. Fase (o malattia) terminale: condizione patologica che apre ad una aspettativa di morte a breve scadenza come conseguenza diretta della malattia. Per una cattiva traslazione linguistica, si è finito per definire malato terminale quel paziente che si trova nella condizione suddetta. Il termine “terminale” è sinonimo di morente, e questa sostituzione conferma la difficoltà che abbiamo oggi a inserire la morte vissuta nella comunicazione sociale. C’è accordo unanime nel riconoscere che la persona che vive in stato vegetativo persistente non è un malato terminale, in quanto non è possibile per lui avanzare una prognosi di morte imminente, tanto che alcuni vivono anche per anni in tale condizione. Hospice: indica un atteggiamento più che un luogo preciso, anche se ha dato il nome ad una struttura, in genere di piccole dimensioni, in grado di ricoverare una dozzina di persone. Si tratta di un atteggiamento che privilegia le cure palliative rispetto a quelle terapeutiche e la qualità di vita rispetto alla quantità; che dà grande valore alla fase terminale della vita della persona malata. Per questa ragione integra le cure mediche con supporti di tipo sociale, psicologico, spirituale. Malato in fase terminale: paziente per il quale si prevede una sopravvivenza inferiore ai sei mesi e per i quali non esistano più terapie curative efficaci. Terapia del dolore Con questo termine si esprime il tormento, l’angoscia, l’essenza della patologia umana; dalla banale rinite alla complessa e talora ancora sconosciuta patologia neoplastica. Lotta esaltante per il medico, David contro Golia ed il medico, il medico algologo, l’anestesista che si dedica a questa battaglia, è il nuovo David. 25 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Lo scopo della terapia antalgica è quello di eliminare il “sintomo”, combattendo la causa che provoca il dolore. Purtroppo, anche se tale concetto è del tutto razionale, i medici spesso tendono ancora a curare il dolore esclusivamente come fenomeno sintomatologico. Le linee direttive generali che devono invece ispirare la terapia del dolore sono riconducibili a questi pochi capisaldi : · Impostare un giusto rapporto psicologico con il paziente · Effettuare un accurato studio del sintomo dolore, avvalendosi di collaborazione e consulenze multidisciplinari · Fare una diagnosi esatta · Acquisire tutte le tecnologie oggi a disposizione, sia farmacologiche che semi-invasive che invasive · Scegliere la tecnica terapeutica meno dannosa per il paziente. Se chi si appresta a “curare” il paziente affetto da DOLORE saprà sintetizzare questi concetti generali, il dolore acuto, quello cronico e quello neoplastico troveranno un professionista serio e pronto “alla battaglia”. Indicazione bibliografica Documenti: COMITATO NAZIONALE PER umana, 14 luglio 1995 LA BIOETICA, Questioni bioetiche relative alla fine della vita CONSIGLIO D'EUROPA, Raccomandazione 1418 del 1999, “Protection des droits de l'homme et de la dignité des malades incurables et des mourants”, Medicina e Morale, 6 (2000), pp.1217-1220 ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ, Dolore da cancro e cure palliative, Collana Rapporti tecnici 804, Ginevra, OMS, 1990 AA.VV., “Le cure domiciliari”, L'Arco di Giano, 2(1993), pp.35-170 AA.VV., Quaderni di cure palliative, Masson, articoli vari CLARK D. - TEN HAVE H. - JANSSEN R., “Un filo comune? Gli sviluppi del servizio di cure palliative”, Bioetica e Cultura, IX (2001/1), pp.27-41 CODICE DEONTOLOGICO febbrio1999 DELL’INFERMIERE, testo approvato dal Comitato Centrale, CONTI A. - ZANINETTA G., “Accanimento terapeutico: esperienza in un reparto di cure palliative”, Medicina e Morale, 4 (1999), pp.709-720 26 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa CORLI O., Una medicina per chi muore, Città Nuova, Roma, 1998 DE HENNELEZ M., La morte amica, Rizzoli, Milano, 1996 DI MOLA G., (a cura di), Cure palliative. Approccio multidisciplinare alle malattie inguaribili, 2 ed., Masson, Milano-Parigi-Barcellona, 1994 GARFIELD C. A., Assistenza psicosociale al malato in fase terminale, McGraw-Hll, Milano, 1987 HENRIQUET F., Accanto al dolore. 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La malattia mortale come situazione di crescita, Cittadella, Assisi, 1995 27 COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere sulla medicina palliativa Riferimenti in Internet: Associazione Europea per le Cure Palliative: http://www.eapcnet.org Federazione Italiana di Cure Palliative: http://www.fedcp.org Scuola Italiana di Medicina e Cure Palliative http://www.istitutotumori.mi.it Società Italiana di Cure Palliative http://www.sicp.it http://www.osservatoriocurepalliative.org CNB http://www.palazzochigi.it/bioetica/index.html Componenti del Comitato Etico Parere n. 35 del 29/1/2002 Prof.ssa Mariella Lombardi Ricci Dott. Franco Becchino Dott. Stefano Bonassi Sig. Maria Chighine Massida Dott. Sebastiano Gandolfo Dott. Aldo Pastore Dott. Paola Piscozzi Dott. Lorenza Repetto Dott. Luigi Robbiano Sig.ra Nadia Sguerso Dott. Franco Vairo Dr. Paolo Viglierchio I.I.D. Gabriella Voersio Presidente Vice Presidente Servizio Epidemiologia Ambientale Biostatistico Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro Presidente Centro Conferenza Ligure Per la tutela dei diritti del malato, Genova Clinico Rappresentante delle Associazioni di Volontariato Medico Legale, Dpt Medicina Legale e delle Assicurazioni, Università di Torino Responsabile U.O. farmacia dell’Ospedale S. Paolo, Savona Farmacologo, Dpt. Medicina Interna Sezione di Farmacologia e Tossicologia Clinica, Univ. Genova Dirigenza medica ospedale S.Paolo, Savona Segretaria del CE Direttore Sanitario ASL 2 savonese Clinico Rappresentante del Settore Infermieristico, Ospedale S.Paolo, Savona 28