1. L`art. 37, comma 13, del Codice dei Contratti Pubblici ha subìto

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1. L`art. 37, comma 13, del Codice dei Contratti Pubblici ha subìto
Convegno IGI 25 novembre 2014
Intervento Avv. Stefano Cassamagnaghi – Partner Studio Pirola, Pennuto, Zei.
“QUOTE DI PARTECIPAZIONE E DI ESECUZIONE. DEROGABILITÀ DELLE NORME SUI REQUISITI
DI RTI E CONSORZI ORDINARI”
1. L’art. 37, comma 13, del Codice dei Contratti Pubblici ha subìto col tempo diverse
modifiche. Originariamente prevedeva che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo
dovessero eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al
raggruppamento. Dal 15 agosto 2012, a seguito del d.l. n. 95/2012 (convertito in L. n. 135/2012), il
c.d. “principio di corrispondenza” è stato riferito ai soli lavori pubblici. Successivamente l’art. 12,
comma 8, d.l. n. 47/2014 (convertito in L. n. 80/2014) ha abrogato l’intero comma.
In parallelo, è stato modificato anche il Regolamento, e in particolare l’art. 92 relativo ai
lavori. Al comma 2 – nella formulazione risultante dalla novella apportata dal d.l. n. 70/2011
(convertito in L. n. 106/2011), come successivamente sostituito dall'art. 12, comma 9, del citato d.l. n.
47/2014 – si è previsto che per i raggruppamenti temporanei e per i consorzi ordinari di tipo
orizzontale “Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta,
possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti
dall'associato o dal consorziato”, e che “I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le
quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione
della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti
dalle imprese interessate”.
È rimasta invece immutata la disciplina del Regolamento per gli appalti di servizi e
forniture, e in particolare, il comma 2 dell’art. 275, che stabilisce, per i raggruppamenti e consorzi
ordinari, che “il bando individua i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi necessari
per partecipare alla procedura di affidamento, nonché le eventuali misure in cui gli stessi devono
essere posseduti dai singoli concorrenti partecipanti. La mandataria in ogni caso deve possedere i
requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”.
Negli appalti di lavori è dunque venuto meno l’obbligo di corrispondenza tra quote di
partecipazione e quote di esecuzione: i lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote
liberamente stabilite in sede di offerta ed è consentita in corso di esecuzione la modifica delle stesse
con l’autorizzazione della stazione appaltante, previa verifica della compatibilità della modifica con i
requisiti di qualificazione delle imprese interessate.
Per quanto riguarda invece gli appalti di servizi e forniture, in seguito all’abrogazione
del comma 13 dell’art. 37, è venuto definitivamente meno qualsiasi dubbio in merito all’applicabilità
agli stessi del principio di corrispondenza tra quote di partecipazione e quote di esecuzione.
2. Al fine di meglio comprendere le ragioni e la portata delle modifiche normative è
opportuno fare un passo indietro, cercando di comprenderne l’origine, che è diversa tra i lavori, da
un lato, e i servizi/forniture, dall’altro.
Per i lavori, la novella trae sostanzialmente origine nel noto parere del Consiglio di Stato
n. 03014 del 26 giugno 2013, mentre per i servizi le radici affondano nel dibattito giurisprudenziale
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sull’applicabilità o meno agli stessi del principio di corrispondenza. Vale la pena di partire da
quest’ultimo dibattito, che ha visto il suo definitivo componimento in due sentenze dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato nel corso del 2014, la n. 7 e la n. 27; ancorché Ad. Plen. n. 27 poggi
le sue conclusioni su quanto affermato dalla n. 7, è preferibile far riferimento ad essa non solo per
ragioni temporali, ma anche perché la n. 7 è stata resa in materia di concessione di servizi.
2.1 La sentenza n. 27 della Plenaria riferisce che, prima della novella del 2012 (che ha
circoscritto il principio di corrispondenza ai soli lavori), i principi affermati dalla giurisprudenza
erano i seguenti: (a) la corrispondenza sostanziale, già nella fase dell'offerta, tra le quote di
partecipazione all’a.t.i. e le quote di esecuzione delle prestazioni, costituendo la relativa
dichiarazione requisito di ammissione alla gara, e non contenuto di obbligazione da far valere solo
in sede di esecuzione del contratto; (b) l’obbligo di corrispondenza tra quote di partecipazione ed
esecuzione aveva la funzione di conoscere preventivamente, da parte della stazione appaltante, il
soggetto incaricato di eseguire le prestazioni e la misura percentuale, al fine di rendere più spedita
l’esecuzione del rapporto, individuando ciascun responsabile; di agevolare la verifica della
competenza dell’esecutore in rapporto alla documentazione di gara; e di prevenire la partecipazione
alla gara di imprese non qualificate; (c) trattandosi di un precetto imperativo che introduce un
requisito di ammissione, quand’anche non esplicitato dalla lex specialis, si produce una
eterointegrazione ai sensi dell’art. 1339 c.c., sicché la sua inosservanza determina l’esclusione dalla
gara; (d) tale obbligo di dichiarazione in sede di offerta si impone per tutte le tipologie di a.t.i.
(costituite, costituende, verticali, orizzontali), per tutte le tipologie di prestazioni (scorporabili o
unitarie, principali o secondarie), e per tutti i tipi di appalti (lavori, servizi e forniture),
indipendentemente dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria; (e) poiché l’obbligo
di simmetria tra quote di esecuzione e di partecipazione è imposto ex lege, è necessaria e sufficiente
l’indicazione in sede di offerta delle quote di partecipazione, cui la legge attribuisce un valore
predeterminato, che è quello dell’assunzione dell’impegno, da parte delle imprese, di eseguire le
prestazioni in misura corrispondente.
L’Adunanza Plenaria ha ricordato che all'interno di tale indirizzo giurisprudenziale si era
sviluppato un filone esegetico che prevedeva un ulteriore necessario parallelismo, anche fra quote di
partecipazione, requisiti di qualificazione e quote di esecuzione. Tuttavia, tale impostazione,
secondo i Giudici di Palazzo Spada, andava respinta perché in contrasto con il tenore testuale delle
disposizioni del codice dei contratti pubblici (e segnatamente, i commi 4 e 13 dell’art. 37), che non
consentono di avallare una siffatta opzione interpretativa. Il parallelismo inoltre si poneva in
contrasto con la sistematica del codice (e del Regolamento), che disciplina in maniera completa e
nella sede propria il regime della qualificazione delle imprese anche riunite in a.t.i., per i lavori,
mentre affida alla legge di gara ogni determinazione in materia per gli appalti di servizi e forniture,
salvi i limiti sanciti dagli artt. 41 – 45 del Codice.
Secondo la Plenaria, dunque, successivamente alla novella introdotta dal d.l. n. 95/2012,
deve ritenersi che l’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione
sancito dal più volte menzionato comma 13, sia rimasto circoscritto ai soli appalti di lavori, mentre
per gli appalti di servizi e forniture continua a trovare applicazione unicamente la norma sancita dal
comma 4 dell’art. 37, che impone alle imprese raggruppate il più modesto obbligo di indicare le
parti del servizio o della fornitura facenti capo a ciascuna di esse, senza pretendere anche l’obbligo
della corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione; fermo restando, però, che
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ciascuna impresa deve essere qualificata per la parte di prestazioni che si impegna ad eseguire, nel
rispetto delle speciali prescrizioni e modalità contenute nella legge di gara. Rimane inteso, in
entrambi i casi, che le norme in questione continuano a esprimere un precetto imperativo da
rispettarsi a pena di esclusione e sono dunque capaci di etero-integrare i bandi silenti.
Il principio di diritto sancito dalla Plenaria è quindi che “anche nel testo dell’art. 37
antecedente la modifica apportata dal D.L. n. 95/2012 negli appalti di servizi da affidarsi a
raggruppamenti temporanei di imprese non vige ex lege il principio di necessaria corrispondenza
tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza,
essendo la relativa disciplina rimessa alle disposizioni della lex specialis di gara”1.
2.2 La Plenaria, pur partendo dal tema del rapporto tra quote di partecipazione ed
esecuzione, afferma pertanto il principio di diritto sul diverso rapporto tra requisiti (quota di
qualificazione) e quota di partecipazione, ed è questo l’elemento di maggior rilievo, anche per la
sua portata espansiva al settore dei lavori pubblici. Prima di passare a questi è utile però segnalare la
sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, del 30 settembre 2014, n. 4865, sempre in materia di
servizi. La gara oggetto di giudizio era antecedente all’entrata in vigore del d.l. 95/2012 – che ha
limitato il principio di corrispondenza ai soli lavori – e conteneva una clausola che consentiva
all’impresa capogruppo, tenuta a soddisfare per proprio conto non meno del 60% dei requisiti
richiesti, di sopperire alle eventuali carenze delle altre imprese associate, sempreché il
raggruppamento nel suo insieme raggiungesse il 100% dei requisiti.
Il Consiglio di Stato ha ricordato che “il comma 13, di per sé, contiene solo la regola della
necessaria corrispondenza fra la “quota di partecipazione” all’A.T.I., e la “quota della prestazione”
e che “anche il possesso dei requisiti debba essere distribuito fra gli associati in uguale
proporzione (rectius: che ciascun associato debba possedere i requisiti in misura non inferiore alla
quota di partecipazione) non è enunciato direttamente dalla norma, ma è stato desunto ad opera
della giurisprudenza”. Pur non volendo mettere in discussione tale orientamento giurisprudenziale,
la Sezione si domanda se tale regola si applichi solo in mancanza di una diversa prescrizione del
bando, o al contrario sia tanto cogente da precludere agli enti appaltanti di disporre altrimenti.
Ebbene, il Collegio ha ritenuto che “la regola sia derogabile – entro limiti ragionevoli – e che
pertanto la soluzione adottata nel disciplinare di cui si discute sia legittima”.
La sentenza argomenta che poiché la “soglia di qualificazione, in termini di quantum del
fatturato, o del giro di affari, etc., però, non è stabilita né direttamente né indirettamente dalle fonti
normative, ma è lasciata alla discrezionalità dell’appaltante…” la stessa “può essere più elevata o
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Cons. Stato, Ad. Plen. n. 7/2014 ha invece affermato questo principio di diritto: "la norma sancita dall’art. 37, co. 13,
codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), che impone ai concorrenti riuniti, già in sede di
predisposizione dell’offerta, l'indicazione della corrispondenza fra quota di partecipazione al raggruppamento e quota
di esecuzione delle prestazioni (per i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14 agosto 2012 e per i soli
contratti di appalto di lavori a decorrere dal 15 agosto 2012) - pur integrando un precetto imperativo capace di
imporsi anche nel silenzio della legge di gara come requisito di ammissione dell'offerta a pena di esclusione - non
esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ovvero dalla disciplina
dei contratti pubblici di appalto e come tale, a mente dell’art. 30, co. 3, del medesimo codice, non può trovare
applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio".
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meno elevata a seconda delle valutazioni di opportunità fatte discrezionalmente dall’ente
appaltante”. Pertanto, se “l’ente appaltante poteva a sua discrezione – senza incorrere in vizi di
legittimità – stabilire una soglia di qualificazione più bassa e/o modalità più semplici di
dimostrazione dei requisiti, … ne consegue che non si può considerare illegittima quest’ultima
clausola, se il suo effetto pratico è quello di consentire un risultato (un relativo allargamento della
partecipazione) che non è in contrasto con lo spirito dell’ordinamento e si sarebbe potuto
legittimamente perseguire anche in altro modo”.
A questo punto, il Collegio collega la forma di comunicazione o compensazione dei requisiti
fra le imprese partecipanti alla ATI all’istituto dell’avvalimento sostenendo che: “Nella vicenda in
esame, non vi è stato un vero e proprio avvalimento, né del resto ve ne era bisogno. L’avvalimento
propriamente detto – formalizzato con apposito contratto - si ha quando il soggetto ausiliario è
estraneo alla gara ed al successivo contratto. In questo caso si discute invece della possibilità di
consentire all’interno dell’A.T.I. una forma di comunicazione o compensazione dei requisiti, ferma
la necessità che l’A.T.I. nel suo insieme li soddisfi integralmente. Ora, nell’ambito di un sistema
che contempla l’avvalimento propriamente detto (inteso come intervento di un soggetto estraneo), è
giocoforza ammettere una siffatta compensazione o comunicazione di requisiti fra le imprese
associate in A.T.I., siccome il più comprende il meno…omissis… Ai fini della presente controversia
è sufficiente dire che se il disciplinare di gara espressamente consentiva una forma di
comunicazione dei requisiti – di fatto una forma di avvalimento atipico – all’interno di un’A.T.I., la
relativa clausola non violava alcun principio generale e non può essere considerata illegittima”.
Il Consiglio di stato accosta in definitiva tale forma di contagio dei requisiti tra le imprese in
raggruppamento ad una sorta di avvalimento interno, ormai pacificamente riconosciuto2.
Tuttavia, ai fini di questo intervento, lo spunto più interessante della sentenza – che. pur
coeva alle pronunce della Plenaria, non ne tiene pienamente conto – si rinviene nella parte in cui il
principio di corrispondenza tra quote di qualificazione (requisiti) e quote di partecipazione è
affermato come derogabile entro “limiti ragionevoli”.
3. Con riferimento ai lavori si è segnalato inizialmente che, venuto meno il principio di
corrispondenza, il Regolamento prevede ora che le quote di “partecipazione” possono essere
liberamente stabilite (entro i limiti di qualificazione) e che i lavori sono “eseguiti” secondo le quote
indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della
stazione appaltante.
La norma pone alcuni problemi interpretativi afferenti all’esistenza o meno di limiti a
tale libertà di fissazione delle quote, nonché al tipo di potere che la stazione appaltante è chiamata
ad esercitare in sede di autorizzazione alla modifica delle quote in sede esecutiva.
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Sul punto si veda la Determinazione AVCP n. 2/2012. È utile ricordare che l'articolo 63 della Direttiva 2014/24/EU
(c.d. nuova direttiva appalti) contempla in maniera esplicita l’avvalimento interno: "Se un operatore economico si affida
alle capacità di altri soggetti per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria,
"l'amministrazione aggiudicatrice può esigere che l'operatore economico e i soggetti di cui sopra siano solidalmente
responsabili dell'esecuzione del contratto. Alle stesse condizioni, un raggruppamento dì operatori economici di cui
all'articolo 19, paragrafo 2, può fare valere le capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti".
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A tale ultimo proposito, pare si possa agevolmente sostenere che in sede di
autorizzazione la stazione appaltante non debba far altro che verificare la sufficienza delle
classifiche SOA rispetto alle modifiche delle quote di esecuzione, nonché la permanenza della quota
maggioritaria in capo alla mandataria. Soddisfatti tali requisiti, l’autorizzazione non potrà essere
negata.
Più articolata è la questione relativa alla libertà di fissazione delle quote, per affrontare
la quale occorre ritornare al citato parere n. 3014/2013 del Consiglio di Stato. In tale sede, nel
respingere la domanda di annullamento dell’art. 92, comma 2, del Regolamento, si affermò che tale
disposizione va interpretata nel senso che una mandataria, pur in possesso di una qualificazione
superiore al 40% dell’importo dei lavori, potrebbe decidere di partecipare al raggruppamento per
una quota inferiore, ovvero che la mandante, pur in possesso dei requisiti per il 10%, possa
partecipare per una quota inferiore: “Tale interpretazione, che è l’unica legittima, ed è stata
peraltro confermata dal Ministero nella sua relazione, sottrae la norma alle censure sollevate. I
motivi di ricorso partono, infatti, dal paventato presupposto che la disposizione in esame possa
essere interpretata nel senso di imporre alla mandataria non solo di possedere una quota minima
del 40 % dei requisiti di qualificazione, ma anche di partecipare all’ATI nella medesima misura
minima, nonché alle mandanti di partecipare a loro volta nella misura minima del 10%”.
Secondo tale parere dunque le imprese raggruppate possono stabilire liberamente le
rispettive quote senza alcun limite (non solo superiore, ma anche) inferiore, talché la mandataria,
purché soddisfi comunque il 40% dei requisiti, potrà partecipare al raggruppamento anche per una
quota inferiore al 40%, e le mandanti, purché singolarmente abbiano i requisiti almeno per il 10%,
potranno partecipare anche per una quota inferiore a tale soglia. Sul punto non si può però non
segnalare che l’ANAC nel “bando tipo n. 2 (prezzo più basso per lavori di importo superiore a euro
150.000)” ha utilizzato sul tema espressioni non del tutto chiare: “Rispetto alla precedente
formulazione dell’art. 92, comma 2, si evince, quindi, che le quote di partecipazione al
raggruppamento possono essere ora liberamente stabilite, nel rispetto ovviamente dei limiti di
qualificazione di ciascun componente del raggruppamento e dei vincoli sopra richiamati (almeno
il 40% per la mandataria e almeno il 10% per le mandanti)”.
L’ANAC ha messo comunque in luce l’ambiguità, non solo terminologica, dell’attuale
disciplina. Nella propria bozza di “Determinazione sui criteri di interpretazione del nuovo art. 38,
comma 2 bis e art. 46 comma 1 ter del Codice”, l’Autorità afferma infatti che nella Determinazione
n. 4/2012 aveva precisato l’obbligo di specificare la parti da eseguire come requisito di ammissione
alla gara non suscettibile di regolarizzazione postuma, ma ora – tenuto conto della modifiche
normative intervenute – “l’obbligo dichiarativo in ordine alle quote di partecipazione al RTI non
sussiste né per i lavori né per i servizi e le forniture. Resta, naturalmente, confermato il principio di
corrispondenza tra qualificazione posseduta e le quote di esecuzione, che dovranno, comunque,
essere indicate”.
Nelle parole dell’ANAC si prospetta dunque la fine della rilevanza della quota di
partecipazione, come dalla stessa ribadito anche nell’ambito del già citato “bando tipo n. 2” in cui
afferma che “la locuzione, riferita ai lavori da eseguire “secondo le quote indicate in sede di
offerta”, a fortiori se combinata con l’abrogazione dell’art. 37, comma 13, del Codice, deve
intendersi riferita alle quote di esecuzione che il concorrente deve specificare in sede di offerta e
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che possono essere diverse dalle quote di partecipazione in raggruppamento. Tale interpretazione è
rafforzata dal fatto che le stesse quote di esecuzione possono essere successivamente modificate, in
fase di realizzazione dell’opera, con il consenso della stazione appaltante, nei limiti della
qualificazione posseduta da ciascun componente il raggruppamento. Naturalmente, le scelta della
quota di esecuzione e l’eventuale modifica in sede di esecuzione devono avvenire anche nel rispetto
delle prescrizioni in materia di modifiche soggettive di cui all’art. 37 del Codice (sul punto si veda
anche la determinazione dell’Avcp del 10 ottobre 2012, n. 4)”. Tuttavia, se si analizza il relativo
schema di disciplinare di gara predisposto dalla stessa ANAC, si nota che, a pena di esclusione,
viene richiesto di indicare nell’offerta sia le quote di partecipazione al raggruppamento che le quote
di esecuzione che verranno assunte dai concorrenti riuniti o consorziati.
4. In conclusione, non vi è dubbio che nell’attuale assetto normativo le quote di
partecipazione abbiano perso il loro ruolo decisivo, anche se prudenza imporrebbe di continuare ad
indicarle in sede di offerta. Quanto invece alla libertà consentita dall’ordinamento di diversamente
bilanciare le quote di qualificazione (requisiti) e le quote di esecuzione – o se vogliamo di
partecipazione/esecuzione – vi è da chiedersi se, anche alla luce del succitato parere del Consiglio
di Stato, la stessa sia da intendersi o meno senza limite alcuno. Ed infatti, ancorché la novella sia
dettata dalla comprensibile esigenza di non ingessare le quote di esecuzione, una simile libertà si
presta a qualche abuso o distorsione nella misura in cui può favorire, ab origine, la creazione di
raggruppamenti sovrabbondanti, prima necessariamente limitati, quantomeno nei lavori, dalle soglie
minime del 40% per la mandataria e del 10% per le mandanti, che consentivano la creazione di
compagini costituite, al massimo, da sette operatori economici.
I raggruppamenti sovrabbondanti, superata una fase di totale avversione, ora non sono più
considerati in sé illegittimi tanto che l’AVCP, con la Determinazione n. 4 del 10 ottobre 2012, ha
ritenuto “non ammissibile un divieto generale di partecipazione per i raggruppamenti
“sovrabbondanti” (sul punto, Cons. St., 11 giugno 2012, n. 3402), dovendo la questione essere
valutata in relazione alla eventuale concreta portata anticoncorrenziale…” 3 . Sul punto il
Presidente dell’ANAC, in un comunicato del 12 maggio 2014, ha chiarito che “le indicazioni
contenute nella determinazione n. 4/2012 devono essere intese nel senso che è sempre consentita la
possibilità di costituire raggruppamenti temporanei, anche sovrabbondanti, e che l’eventuale
esclusione può avvenire solo in alcuni casi particolari, cioè qualora ciò sia proporzionato
e giustificato in relazione alla tipologia o alla dimensione del mercato di riferimento. In
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La giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2013, n. 842) ha escluso l’ammissibilità di tale
fattispecie escludente, ponendosi in contrasto con il principio di tassatività delle clausole di esclusione
introdotto dall’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006. Il giudice amministrativo ha affermato che “un divieto di
tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto
comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica
di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato
mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irragionevole
compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni
di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta
partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da
ciò discende il carattere non immediatamente escludente della clausola, a nulla rilevando che la Società appellata la
intenda in modo differente, giacché non v’è evidenza, né a priori, né a seguito dell’effettiva partecipazione di essa alla
gara nella forma aggregativa prescelta, che l’ATI sovrabbondante stia creando un’aggregazione anticoncorrenziale”.
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ogni caso, si rammenta che l’esclusione non potrà mai essere automatica e che la stazione
appaltante, qualora ravvisi possibili profili anticoncorrenziali nella formazione del
raggruppamento, ha l’onere di valutare in concreto la situazione di fatto, richiedendo ai
concorrenti le relative giustificazioni, che potranno basarsi non solo su elementi legati ad
eventuali stati di necessità, in termini di attuale capacità produttiva, ma su ogni altro fattore
rientrante nelle libere scelte imprenditoriali degli operatori economici, come l’opportunità ovvero
la convenienza di partecipare in raggruppamento alla luce del valore, della dimensione o della
tipologia del servizio richiesto. Nell’ambito della valutazione di tali elementi, la stazione
appaltante dovrà, quindi, accertare se la formazione del raggruppamento ha avuto per oggetto o
per effetto quello di falsare o restringere la concorrenza, e solo in caso di esito positivo
dovrà essere disposta l’esclusione dalla gara”.
Senza entrare nel merito del complesso tema – che coinvolge anche il ruolo delle stazioni
appaltanti rispetto a quello dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – è chiaro che il
maggior spazio di libertà consentito ai raggruppamenti, da interpretarsi favorevolmente, potrebbe
creare qualche problema alle stazioni appaltanti di fronte a compagini fortemente dilatate e per le
quali le ragioni di opportunità e convenienza della costituzione di un siffatto raggruppamento siano
difficilmente ravvisabili. E questo, non solo nei lavori pubblici, ma anche nel settore dei servizi e
delle forniture, in relazione ai quali pare assumere un particolare significato il richiamo al limite di
“ragionevolezza” di cui alla citata sentenza n. 4865/2014 del Consiglio di Stato.
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