La costituzione economica europea e il progetto di Trattato

Transcript

La costituzione economica europea e il progetto di Trattato
La costituzione economica europea e il progetto di Trattato
costituzionale
Giampiero di Plinio*
* Professore straordinario di Diritto pubblico comparato nella Facoltà di Economia
dell’Università G. D’Annunzio (Chieti-Pescara, Italia); 42, Viale Pindaro – 65100 Pescara, Italia tel. +39 (0)85 4537614; fax +39 (0)85 692480; e-mail [email protected]
Sommario: – 1. Nucleo materiale e forza giuridica della costituzione
economica europea. – 2. La costituzione economica nel progetto di Trattato
costituzionale: revisione o maquillage? – 3. La costituzione del mercato e della
concorrenza. – 4. La costituzione monetaria. – 5. La costituzione finanziaria. Il
coordinamento delle finanze pubbliche e delle politiche economiche degli Stati
membri. – 6. Il bilancio dell’Unione. – 7. L’ombra di Keynes e il futuro della
costituzione economica europea. – 8. Riferimenti bibliografici.
1. – Nucleo materiale e forza giuridica della costituzione economica
europea.
Il «progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa» (da qui in
avanti, il progetto) non introduce una nuova costituzione economica europea,
ma recepisce quella esistente. L’Unione europea, infatti, ha già una costituzione
economica, che incide sui processi di formalizzazione della costituzione
europea (Pernice e Mayer, 2003) e sulla costruzione di una reale «cultura
costituzionale» dell’Europa (Snyder, 1998). Ciò non conferma affatto i luoghi
comuni secondo cui l’Unione è diventata, o diventerà uno Stato: non è
necessario che l’Europa si faccia Stato perché moneta unica e patto di stabilità
trasformino in modo irreversibile le costituzioni nazionali. D’altra parte, lo Stato
è figura regressiva (Giannini, 1988, p. 19; contra, Ferrara, 2002, p. 169); la
stessa «dottrina dello Stato» è incapace di spiegare le attuali transizioni
(Häberle, 1999) essendo nata sulla spinta di altri contesti, in altri tempi (Della
Cananea, 2003). Comunque, non occorre che ci sia uno Stato-Europa perché vi
sia già una costituzione europea (Oppermann, 2003, p. 354): «the European
Union is already a full-blown polity with a constitution» (MacCormick, 1999), e
Ingolf Pernice individua un «“post-national” concept of constitution» (Pernice,
2001, 18 ss.).
La costituzione economica europea può essere scomposta in tre contesti
analitici: una costituzione del mercato unico, una costituzione monetaria, una
costituzione finanziaria. La prima raccoglie le norme fondamentali della
disciplina del mercato nelle sue varie tonalità e implicazioni (concorrenza,
mercato unico, organizzazione dei mercati, libertà economiche e poteri
conformativi delle medesime, regolazioni incidenti sul mercato e sulla
concorrenza, incentivazioni considerate sotto il profilo dell’incidenza sugli
assetti del mercato, comprese quelle comunitarie e i contratti delle pubbliche
amministrazioni, iniziativa economica pubblica in quanto concorrente sul
mercato). La seconda comprende la politica monetaria, compreso il controllo sui
fenomeni in grado di influenzare la moneta (nonché le relative discipline, come
ad esempio la politica valutaria, la vigilanza sulle banche, l’organizzazione dei
mercati finanziari, la disciplina dei sistemi di pagamento, ecc.). La terza
racchiude le politiche di bilancio in senso ampio (nei suoi sottoinsiemi e
pertinenze, quali finanza comunitaria, politiche fiscali, politiche macroeconomiche e di spesa, procedure, finanze nazionali, diritto contabile pubblico),
e infine incentivazioni, regolazioni, iniziativa pubblica, amministrazioni nazionali
e subnazionali, servizi e politiche di welfare considerati sotto i profili del
condizionamento finanziario e del rapporto risorse/risultati nel quadro delle
politiche di stabilità e crescita.
Ciascuna di esse ha un distinto nucleo fondante profondamente
caratterizzato: la prima è fondata sul principio dell’unità del mercato e
dell’eguaglianza senza discriminazione di nazionalità (Cassese, 2001;
Cosculluela Montaner, 2003), sulla transnazionalità della regolazione (Joerges,
1997) e sul corollario della protezione dell’acquis (Mestmaecker, 1995, p. 111);
la seconda sulla stabilità monetaria (Ortino, 1992); la terza sulla stabilità
finanziaria (Della Cananea, 2001) e sulla crescita economica.
Ciascuna di esse, inoltre, corrisponde ad aree o frazioni della sovranità degli
Stati e dell’Unione: sovranità economica in senso stretto, sovranità monetaria,
sovranità finanziaria (o di bilancio); mentre nel primo caso e nel terzo esiste un
grado di condivisione in forma sussidiaria con gli Stati membri, nel secondo
caso è espiantata, cioè interamente traslata sul livello europeo, in un contesto
non raggiungibile dagli Stati membri, né manipolabile da Consiglio o
Commissione e tanto meno dalle istituzioni parlamentari. Su questo punto
esistono due diverse impostazioni, una “politica” e una “tecnica” (Randzio-Plath,
Padoa-Schioppa, 2000). La seconda ha più forza materiale, essendo ormai da
tempo le Banche centrali nazionali organismi “funzionalmente europei”,
innestati nel Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), e la Banca
centrale europea (BCE) istituzione «pienamente» indipendente dalle Istituzioni
europee (Cassese, 2001, p. 918 s.). A stretto rigore, alla sovranità monetaria
non si può applicare il modello della multilevel governance; per l’Eurozona ciò
vale anche sul piano formale, mentre per gli Stati opt-out si possono ipotizzare
effetti equivalenti sul piano materiale (Di Plinio, 2003).
La costituzione economica europea influisce, in forme e livelli di intensità
differenti, sulle costituzioni economiche degli Stati membri, collegando i due
livelli di governance e creando continuità fra essi secondo una linea progressiva
di sviluppo storico. Al processo di comunitarizzazione del controllo sul mercato
unico si è sommato, in pochi anni, l’effetto esplosivo della nuova costituzione
monetaria europea, che ha accentuato e accelerato le trasformazioni, ha
elevato l’equilibrio monetario e il pareggio tendenziale di bilancio a livello di
valori costituzionali primari, ha sottratto agli Stati la sovranità monetaria e quella
di bilancio, ha escluso la finanziabilità della politica economica con la manovra
monetaria (Ortino, 1995), ha agganciato la spesa pubblica e le grandezze
macroeconomiche ad un elemento quantitativo, il prodotto interno lordo, ha
riconfigurato gli ordinamenti economici nazionali in funzione di coerenza con la
moneta unica e ha costituzionalizzato l’obbligo di rientro e di produttività della
spesa pubblica, a livello sia nazionale che europeo, nel senso che solo se la
spesa avrà effetti di allargamento del prodotto interno lordo sarà giuridicamente
possibile, nel bilancio degli Stati come in quello dell’Unione, finanziare
incrementi di spesa in valore assoluto.
Anche se saranno necessarie ulteriori riforme, specie in materia di mercati
finanziari e sistemi di pagamento (Gjersem, 2003; Merusi, 2001; Avgerinos,
2003), la stabilità monetaria e finanziaria è comunque divenuta il fondamento
della costituzione economica; la sovranità economica degli Stati è stata
conseguentemente accerchiata da un contesto di rigidi vincoli macroeconomici
e di bilancio riconducibili ai principi funzionalisti dei primi articoli del Trattato,
vincolanti non solo per gli Stati ma anche per la Comunità (Padoa Schioppa,
1997, p. 43; Cassese, 2001, p. 217), e funzionali alla protezione e al
rafforzamento dell’equilibrio economico complessivo.
Tutto questo ha una serie di effetti di ritorno sulle costituzioni economiche
nazionali e sugli altri segmenti della costituzione economica europea. In primo
luogo, risulta costituzionalizzato il principio del condizionamento finanziario
della spesa pubblica, compresa quella per welfare e diritti (e dei corrispondenti
livelli di burocrazia e di servizio pubblico erogato dalle pubbliche
amministrazioni). Un ulteriore effetto è quello del trasferimento sulle
amministrazioni e sui procedimenti amministrativi e, a ritroso, sulla produzione
normativa, del vincolo di produttività della spesa pubblica. L’Europa ha da
tempo sviluppato interesse in questa direzione, perché consente una migliore
attuazione delle regole del mercato unico, in particolare in relazione ai contratti
delle pubbliche amministrazioni; tutti gli Stati hanno introdotto riforme fondate
su programmazione di bilancio, piani esecutivi e controlli di gestione, le quali, a
catena, hanno coinvolto anche i regimi organizzativi delle amministrazioni,
mediante la riunificazione in capo a centri di spesa di budget, obiettivi,
competenze e responsabilità direttamente collegate alla performance della
gestione. In secondo luogo, si sviluppa una pressione che mira a una riduzione
netta in termini assoluti della dimensione delle pubbliche amministrazioni; la
tendenza, per effetto della traslazione del vincolo di stabilità ai vari livelli
territoriali di governo, si trasferisce anche a questi, accentuando competizione
territoriale e federalismo fiscale (Atripaldi e Bifulco, 2001). Ciò colpisce
direttamente gli apparati amministrativi, compresi gli apparati di
regolamentazione, e la proprietà pubblica, ed è direttamente causa di
privatizzazioni (anche nel diritto del lavoro pubblico), di liberalizzazioni, e di
deregolamentazione (Di Plinio, 2000).
L’approccio formalista nella spiegazione di questi processi porta a risultati
deludenti, perché rende invisibile l’azione di fenomeni oggettivi di dimensione
ultrastatale.
L’accelerazione delle trasformazioni nel governo dell’economia, in particolare
in materia di mercato, finanza pubblica e moneta, non deriva infatti da azioni
coscienti e premeditate di poteri mondiali occulti o palesi finalizzate a usurpare
la sovranità degli Stati nazionali, ma da cascate di eventi in larga misura
oggettivi e incontrollabili (in senso critico: Silverstein, 2003). In questa ottica le
dislocazioni transnazionali della sovranità monetaria e finanziaria possono
essere viste come risposte obbligate alle crisi economiche, monetarie,
finanziarie e fiscali degli Stati interventisti, innestate dai processi di
globalizzazione dell’economia (Stiglitz, 2002). Se si accetta questo punto di
vista, la traslazione di sovranità verso l’Europa o altri poteri ultrastatali non è un
aspetto della globalizzazione, ma è la risposta ad essa (Habermas, 1999;
Cassese, 2002), così come il dominio della costituzione economica europea
sulle costituzioni nazionali non è un effetto oggettivo e ineluttabile ma la
migliore difesa degli Stati membri contro i rischi della globalizzazione.
Ciò consente di fondare una teoria della costituzione economica europea
indipendentemente dalla formalizzazione di una costituzione europea.
Le regole che la Comunità europea e l’Unione economica e monetaria
stabiliscono per i governi nazionali dell’economia esistevano, sotto forma di
imperativi economici, prima che i Trattati le formalizzassero: allargamento e
liberalizzazione del mercato, denazionalizzazione, privatizzazioni, deregulation,
stabilità finanziaria, equilibrio monetario, criteri di convergenza hanno il
fondamento comune in un processo che riduce i margini di manovra degli Stati
(Baldassarre, 2003) e dell’intervento dei pubblici poteri nazionali nell’economia
provocando la crisi delle «costituzioni keynesiane» (Buchanan e Wagner, 1991),
condizionandole a regole materiali e esigenze oggettive, quali il principio del un
mercato uniforme e senza discriminazioni (Cassese, 2001), o il rispetto di
equazioni parametriche, espresse in funzione della ricchezza effettivamente
prodotta. L’alternativa è la crisi fiscale, con la conseguente perdita di identità,
ricchezza, sovranità. Secondo Giuseppe Guarino (1992) il percorso obbligato
per fronteggiare questo tipo di crisi passa per Unione economica e moneta
unica.
Il nucleo fondante di tali regole non è determinato da nessuno, il loro
contenuto non è influenzabile dai pubblici poteri; la teoria giuridica dell’indirizzo
politico statuale ne risulta stravolta. Il processo ridimensiona e rialloca le
funzioni pubbliche, separa il controllo della moneta dalla politica economica,
riconfigura le regole della finanza, obbliga i pubblici poteri a metamorfosi
radicali, soggettive e oggettive, depotenzia le dottrine giuridiche e le obbliga a
riconvertirsi, modernizza le amministrazioni, ne impone la produttività e ne
razionalizza la spesa, decentra la fiscalità e innesta la competizione dei territori
e delle istituzioni, è incompatibile con inefficienza e corruzione dei funzionari,
smantella e ristruttura i processi di regolazione, sposta e riduce i confini
economici dello Stato, espande le libertà del mercato e la concorrenza. In tale
ottica, l’affermazione che nel dominio transnazionale la sovranità appartiene al
mercato (Guarino,1999) ha il senso più di processo di oggettivizzazione della
decisione economica pubblica che di traslazione della sovranità dallo Stato ad
altri “soggetti”.
Attraverso questa chiave di lettura, la globalizzazione si traduce in una forza
materiale di trasformazione delle costituzioni economiche e di convergenza dei
modelli costituzionali; questa forza viaggia da sola, e nessun atto di volontà è in
grado di invertirne la direzione.
2. – La costituzione economica nel progetto di Trattato costituzionale:
revisione o maquillage?
Le suddette considerazioni spiegano le ragioni per le quali anche se un
Trattato costituzionale non sarà approvato l’Europa continuerà comunque a
fondarsi su una solida costituzione economica; per le stesse ragioni, il progetto
non introduce una “nuova” costituzione economica, né una revisione della
precedente.
Il preesistente ordinamento di moneta, finanza e mercato, compresi i relativi
effetti sulle strutture costituzionali degli Stati membri, e il relativo modello di
governance, transitano senza modificazioni di sostanza nel nuovo contesto
giuridico. Di conseguenza, il progetto si presenta, quanto al governo
dell’economia, come una sorta di testo unico delle disposizioni dei precedenti
Trattati, rispetto ai quali apporta semplificazioni e razionalizzazioni, ma non
cambiamenti di rilievo. Alcune delle innovazioni introdotte nel progetto riflettono
le Propositions conjointes franco-allemandes sur la gouvernance économique,
(CONV 470/02, CONTRIB 180), presentate alla Convenzione il 22 dicembre
2002.
Rinviando ai successivi paragrafi un esame più dettagliato delle varie
articolazioni della costituzione economica, conviene in questa sede procedere a
un rapido esame del contesto generale, al fine di verificare se il progetto
introduce rotture, blocchi o inversioni negli ingredienti principali che hanno
consentito nel corso del tempo il processo di solidificazione della costituzione
economica europea: alludo alla studiatissima serie di meccanismi, strutture e
contesti che ruotano intorno alla configurazione transnazionale di Commissione
e Corte di giustizia (Pernice, 2003), vale a dire i “colli di bottiglia” attraverso cui
è passato il processo di integrazione comunitaria.
Fin dalla prima occhiata, emerge che tali ingredienti sono tutt’altro che
devitalizzati; essi sono infatti rafforzati (quelli già formalizzati nei Trattati), o
traslati e quindi protetti in regole formali (quelli generati dal law in action).
Ciò vale, in primo luogo, per le Istituzioni a derivazione transnazionale. La
posizione costituzionale della Corte di giustizia è assolutamente conservata,
incastonata ora nel contesto del «giudiziario europeo» con qualche asimmetria
istituzionale, com’è conservata e rafforzata la natura di “signora” del diritto
europeo (art. I-28, par. 1) nel suo collegamento con le giurisdizioni nazionali,
che ora viene implicitamente istituzionalizzato attraverso la conferma della
qualità dei giudici nazionali come giudici comuni europei (Chiti, 2003, p. 140 s.;
Curti Gialdino, 2003, p. 60).
Il ruolo della Commissione è stato potenziato, sia come istituzione
indipendente che come potere propulsivo (Curti Gialdino, p. 57 s., 82; Carbone,
Gianniti e Pinelli, 2003). Nell’ambito del tradizionale compito di watchdog dei
Trattati, sono conservati alla Commissione i poteri di sorveglianza
sull’applicazione del diritto europeo e di esecuzione del bilancio, le funzioni di
coordinamento e gestione, la rappresentanza esterna dell’Unione (art. I-25, par.
1); ad essi si aggiungono la formalizzazione di un potere generale di
esecuzione degli atti obbligatori dell’Unione, se questi prevedono l’esecuzione
da parte dell’Unione (art. I-36, par. 2), il conferimento dei poteri di iniziativa dei
programmi finalizzati alla conclusione di accordi interistituzionali (art. I-25, par.
1), l’allargamento del potere esclusivo di proposta dagli atti del Consiglio (art.
250 CE) agli “atti legislativi” (art. I-25, par. 2), il conferimento dell’autonomo
potere di trasmettere un proprio parere allo Stato membro per il quale essa
ravvisi un rischio di disavanzo eccessivo e del potere di proposta nella
decisione del Consiglio che constata l’esistenza di un disavanzo eccessivo,
ovviamente non esteso alla decisione di applicazione delle sanzioni (art. III-76,
par. 5 e 6).
In secondo luogo, il progetto di costituzione acquisisce e valorizza tutti gli
elementi attraverso cui il metodo transnazionale comunitario ha acquistato nel
tempo il suo dinamismo, in particolare mediante la costituzionalizzazione
formale del principio di prevalenza del diritto comunitario sui diritti nazionali (art.
I-10), e la riproduzione della clausola dei poteri impliciti, sotto il nome di
clausola di flessibilità, spostata ora tra i principi fondamentali (art. I-17). Non mi
pare che la formulazione della norma, sebbene introduca passaggi aggiuntivi ed
elementi di bilanciamento, sia tale da escludere (come sostiene Curti Gialdino,
2003, p. 45 s.) che con essa si possa realizzare un’ampia integrazione. Come
nell’attuale art. 308 CE è necessaria l’unanimità del Consiglio, su proposta della
Commissione. La novità è nella incomprensibile “previa approvazione” del
Parlamento europeo, che tuttavia non dovrebbe essere difficile da ottenere, e
nella più giustificata attivazione dell’allarme preventivo ai Parlamenti nazionali
per il controllo sulla sussidiarietà, ma i conflitti relativi saranno comunque decisi
dalla Corte di giustizia. D’altra parte, almeno per ora, nel governo dell’economia
al livello europeo esiste già un esteso e compatto quadro di competenze.
In particolare, è riaffermato l’approccio funzionalista, come si può
argomentare dalla formulazione a cascata degli obiettivi dell’Unione (art. I-3).
Infatti, dal punto di vista della costituzione economica europea, appare
conservata e valorizzata l’esigenza che i processi decisionali siano orientati e
misurati non sulle sommatorie degli indirizzi politici nazionali, ma sulla
prevalenza dell’obiettivo transnazionale dell’Unione, che non è più soltanto la
costruzione del mercato unico, ma la sua conservazione (art. I-3, par. 2),
attraverso la funzionalizzazione degli strumenti e delle competenze ad un
nucleo di obiettivi, fondato sulla stabilità delle determinanti monetarie e
macroeconomiche (sviluppo equilibrato e sostenibile), e su una economia
sociale di mercato «fortemente competitiva», come si afferma in apertura del
par. 3 dell’art. I-3. È ovvio che solo attraverso la solidità di tali contesti potranno
essere garantiti gli altri obiettivi di piena occupazione e alla crescita sociale
welfare, espressamente richiamati nei capoversi successivi dello stesso
paragrafo, e la stessa struttura del sistema dei diritti della Carta di Nizza
(Corcuera Atienza, 2002; Freixes Sanjuán y Remotti Carbonell, 2002),
transitato nella seconda parte del progetto, al quale va data un’interpretazione
funzionalista, non solo in relazione alla sua effettività (Chiti, 2002), ma quale
icona standardizzata dei diritti, compatibile con mercato unico e concorrenza,
che funziona da interfaccia del funzionalismo nel processo di allargamento
dell'Unione (Di Plinio, 2001).
Una differente interpretazione (Pinelli, 2003, p. 33-34) legge nella
formulazione dell’art. I-1, par. 1, la fine del dinamismo funzionalista. A chi scrive
sembra che la riconduzione a unità dei «pilastri», nel quadro di una attribuzione
armonica di «competenze» da condurre con il «modello comunitario» (art. I-1,
par. 1) non intenda affatto cancellare la metodologia funzionalista di
Commissione e Corte di giustizia: supremazia del diritto comunitario,
allargamento del metodo comunitario e conservazione della clausola dei poteri
impliciti ne sono diretta conferma. Sarebbe, ad esempio, davvero arduo
immaginare che la Corte possa giudicare sull’applicazione dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità senza utilizzare un core transnazionale di
finalità nella valutazione dei contesti specifici. Che poi il modello comunitario
riguardi «l’esercizio» e non «l’attribuzione» delle competenze è del tutto ovvio,
ed è precisamente la situazione rilevabile dai Trattati attualmente vigenti, ma,
come è avvenuto nell’applicazione di questi ultimi, non impedirà alla meccanica
funzionalista di svilupparsi ancora. D’altra parte la sovranità è «una risultante
storica, destinata a mutare con il variare della forza dei diversi fattori che, di
volta in volta, entrano in gioco», per cui occorre «spostare l’attenzione
dell’interprete dal tema astratto della titolarità a quello concreto dell’esercizio dei
poteri sovrani» (Cheli, 1997, p. 11).
È in questa ottica che l’art. III-1 del progetto attribuisce all’Unione il compito di
assicurare la coerenza dell’intera funzione di governo descritta nelle sue
componenti nella parte III, «tenendo conto dell’insieme degli obiettivi
dell’Unione e in conformità del principio di attribuzione delle competenze»;
l’implicito rinvio all’art. I-1 evidenzia ancora la necessità del «modello
comunitario» nell’esercizio delle suddette funzioni. In aggiunta, l’art. III-6
specifica che le condizioni di funzionamento dei servizi di interesse economico
generale sono «segnatamente economiche e finanziarie», come definite da
apposita legge europea, fatte salve, ovviamente, le regole in materia di aiuti
concessi dagli Stati membri (art. III.55, III.56, III-136). Ciò significa che, al di
fuori del campo di applicazione di queste regole, Stati e Unione hanno il
compito di incentivare il più possibile l’allargamento dei servizi di interesse
economico generale, rimanendo tuttavia sempre all’interno sia della sostenibilità
economico-finanziaria degli interventi in rapporto ai principi di stabilità
finanziaria e monetaria dell’Unione e degli Stati membri, sia del rispetto delle
condizioni di concorrenza nel mercato interno. Non a caso l’art. III-17 prevede
una procedura di cautela per il controllo sugli effetti delle disposizioni adottate
dagli Stati in applicazione dell’art. III.6 e il ricorso diretto (in deroga agli art.
III.265 e III.266) alla Corte di giustizia (che giudica a porte chiuse), da parte
della Commissione o degli altri Stati membri contro «l’uso abusivo» dei poteri
contemplati dall’art. III-6.
3. – La costituzione del mercato e della concorrenza.
All’interno del quadro descritto, la formulazione dei principi della concorrenza
per il mercato interno, così come la politica commerciale comune e l’unione
doganale, restano legate, nell’architettura del progetto, all’acquis comunitario,
che viene interamente costituzionalizzato, e affidate alla competenza esclusiva
dell’Unione (art. I-4, I-12, par. 1), mentre le funzioni materiali in ordine al
mercato interno sono comprese nella competenza concorrente (art. I-13, par.
2); quanto al governo e ai controlli, le suddette competenze restano nelle mani
della Commissione, che risulta addirittura rafforzata.
Il progetto considera il mercato interno una struttura centrale della costituzione
europea, come può argomentarsi dal richiamo alla giurisprudenza della Corte di
giustizia quale «fonte di interpretazione» del diritto, nel quadro dei principi della
continuità giuridica della futura Unione europea rispetto agli ordinamenti attuali
(art. IV-1). Curti Gialdino (2003, p. 80), evidenzia la scelta del progetto di
accorpare le varie norme in materia e collocarle in apertura del titolo III, ma
anche altre innovazioni proposte dalla Convenzione rafforzano la compattezza
della disciplina del mercato interno, riconducendo ad esempio all’interno della
procedura legislativa ordinaria le regole in tema di sicurezza sociale /art. III-22),
le deroghe alla libertà di stabilimento delle imprese (art. III-24), l’accesso alle
attività di lavoro autonomo e il riconoscimento dei diplomi (III-26), la libertà di
circolazione dei servizi (art. III-29).
Il gruppo Governance economica, nella sua relazione finale alla Convenzione,
aveva suggerito l’adozione del metodo comunitario (voto a maggioranza
qualificata nel Consiglio) per le misure concernenti il mercato interno o la tutela
ambientale, da individuare in un apposito elenco (cfr. Relazione finale del
Gruppo VI “Governance economica”, CONV 357/02, WG VI 17, del 21 ottobre
2002); tuttavia il progetto conserva il metodo intergovernativo (voto all’unanimità
del Consiglio dei ministri, previa consultazione del Parlamento europeo e del
Comitato economico e sociale), per gli atti normativi di ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri (art. III-64).
Rinviando ai paragrafi successivi la trattazione di alcuni aspetti della
costituzione monetaria e finanziaria rilevanti anche per l’ordinamento del
mercato, possiamo qui rapidamente osservare che l’impianto della Carta dei
diritti nel progetto non dovrebbe avere effetti di rilievo sui principi chiave e sui
fondamenti della vigente costituzione economica europea, in particolare su
mercato, concorrenza e libertà comunitarie, per tre ordini di ragioni. In primo
luogo la Carta è complessivamente arretrata rispetto ai principi comuni delle
costituzioni nazionali (De Siervo, 2001, p. 157) e ai modelli di protezione
elaborati dalle Corti costituzionali e dalla stessa Corte di giustizia (Pagano,
2001, p. 180 s.); di conseguenza, essa non avrà un impatto economico
sensibile. In secondo luogo, la Carta è già orientata al mercato: la struttura e i
contenuti delle sue disposizioni ne rispecchiano i valori e ne presuppongono il
pieno vigore (Di Plinio, 2001), e, a differenza di alcune costituzioni nazionali, le
libertà economiche classiche sono elencate insieme agli altri diritti fondamentali
(art. II-16 e II-17); lo stesso Preambolo della Carta ricorda puntualmente che
l’Unione «si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e
assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali
nonché la libertà di stabilimento», e l’art. II-52, par. 1, nel sottoporre le
limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà al rispetto del principio di
proporzionalità, afferma che esse sono ammesse solo se sono effettivamente
necessarie per proteggere i diritti altrui o «finalità di interesse generale
riconosciute dall’Unione». In terzo luogo, la Carta è e sarà interpretata dalla
Corte di giustizia, che è stata il motore della difesa e dello sviluppo della
missione funzionalista dell’Unione, e il completamento della costituzione
materiale europea sul versante dei diritti passerà senza problemi per la via
giurisdizionale (Toniatti, 2001).
4. – La costituzione monetaria.
La struttura del governo della moneta resta fondata sul modello precedente
(Zsolt De Sousa, 2003): la competenza esclusiva dell’Unione per la politica
monetaria (art. I-12, par.1, I-29, III-88 ss.) è affidata al Sistema europeo delle
Banche centrali (SEBC) degli Stati membri che hanno adottato l’Euro e alla
BCE (cui è attribuito il potere esclusivo di emissione), mentre le funzioni
europee relative anche agli Stati opting out sono circoscritte al coordinamento
generale delle politiche (art. I-14, par. 1), compresi i contesti e gli strumenti
della politica monetaria, fatte salve le deroghe previste nell’art. III-91. Una
significativa innovazione rispetto alla costituzione monetaria vigente è l’aggiunta
di una apposita sezione sugli Stati appartenenti a Eurolandia, che formalizza il
Consiglio dei ministri finanziari della zona euro (sezione 3 bis: «Disposizioni
specifiche agli Stati membri appartenenti alla zona euro»; per altri dettagli v.
infra, § 5).
Una questione riguarda l’inquadramento formale delle Istituzioni monetarie nel
contesto organizzativo costituzionale. L’esclusione della BCE dal «quadro
istituzionale unico» (art. I-16) e la sua collocazione nel capo II della parte I,
rubricato «Altre istituzioni e organi» (art. I-29) ha sollevato giustificati rilievi critici
(Carbone, Gianniti e Pinelliì, 2003, p. 97), difficilmente superabili con la
considerazione che le ragioni dell’esclusione (che comprende anche la Corte
dei conti) vanno ricercate nella natura prevalentemente tecnica, piuttosto che
politica o di garanzia, del ruolo di tali Istituzioni (Curti Gialdino, 2003, p. 63). E
un’altra piccola “dimenticanza” terminologica del progetto attribuisce «piena»
indipendenza alla Commissione e ai membri della Corte dei conti, ma qualifica
la BCE istituzione «indipendente» e non «pienamente indipendente». In realtà
non si tratta di una mera questione terminologica. Non a caso la Banca centrale
europea, nel parere ufficialmente reso al Consiglio sul Trattato Costituzionale,
sottolinea con molta cura che «La BCE nota di essere stata definita nell'articolo
I-29, par. 3, come indipendente mentre l'espressione pienamente indipendente
viene utilizzata in relazione sia alla Commissione (articolo I-25, par. 4) sia alla
Corte dei Conti (articolo I-30, paragrafo 3). La BCE intende che la differenza
nella terminologia sia di natura meramente linguistica, senza che ciò rifletta
alcuna divergenza qualitativa tra l'indipendenza di tali istituzioni e quella
riconosciuta alla BCE; tuttavia, per ragioni di coerenza, essa suggerisce che tali
espressioni vengano utilizzate in maniera uniforme» (Parere BCE, del 19
settembre 2003, su richiesta del Consiglio dell'Unione europea, relativo al
progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, CON/2003/20,
in G.U.C.E., C 229, del 25-9-2003, p. 9).
Quanto sopra spiega perché la BCE afferma, con estrema attenzione alle
parole, che la sua valutazione del progetto «si basa su due premesse cruciali e
correlate fra loro. In primo luogo, la sostanza dello statuto e degli altri protocolli
di interesse per la UEM non verrà modificata e tali documenti saranno allegati
alla costituzione, della quale costituiranno parte integrante, come previsto
nell'art. IV-6. In secondo luogo è tutte le parti del progetto di costituzione,
compreso lo statuto e gli altri protocolli di interesse per la UEM, manterranno il
proprio valore di normativa primaria, ad esempio un livello gerarchico pari a
quello delle altre parti del trattato» (parere BCE, del 19-9-2003, cit., p. 7.)
È evidente che, nella costituzione economica europea, dimensione, potenza e
incidenza economica di queste due figure sono profondamente differenziati: la
Corte dei conti, per quanto neutrale e indipendente, è organismo strumentale,
mentre la BCE costituisce il vertice della sovranità monetaria unica dell’Unione
europea. Sotto questo profilo si può notare che l’articolo I-29 costituzionalizza
tutte le caratteristiche sostanziali della BCE, in particolare l’indipendenza,
l’autonomia finanziaria, la personalità giuridica e la capacità regolamentare,
compreso il potere di emanare atti giuridicamente vincolanti; conseguentemente
deve ritenersi che la costituzione monetaria precedente sia stata interamente
recepita, nella sostanza, dal progetto (Carbone, Gianniti e Pinelli, 2003, p. 131).
Il dibattito su cosa vada o non vada scritto sul progetto è pertanto una
questione di parole. Tuttavia, le parole a volte uccidono, e si può allora
comprendere la ragione per cui la BCE propone che la rubrica del titolo IV della
parte I del progetto venga modificata in «Assetto istituzionale dell'Unione»,
abbracciando quindi l'insieme degli organismi istituzionali, cioè le istituzioni
dell'Unione, nel capo I, e BCE, Corte dei Conti e organi consultivi nel capo II. La
rubrica del capo I dovrebbe essere modificata in «Istituzioni dell'Unione»,
coerentemente con il titolo dell'art. I-18. Con tali modifiche, la BCE farebbe
parte dell'«assetto istituzionale dell'Unione» senza essere compresa tra le
«istituzioni dell'Unione», ma anche queste farebbero naturalmente parte
dell'«assetto istituzionale dell'Unione». La BCE suggerisce inoltre che il SEBC,
inteso come e «Eurosistema», sia formalmente esplicitato e incluso nel
contesto dell’art. I-29; infine, anche il principio di indipendenza delle Banche
centrali nazionali dovrebbe trovare collocazione nella parte I del progetto
(parere BCE, del 19-9-2003, cit, p. 8). Le modifiche proposte sono le seguenti:
a) nell'art. I-29, par. 1, la seconda frase dovrebbe essere così sostituita: «La
Banca centrale europea e le banche centrali nazionali degli Stati membri che
hanno adottato la valuta dell'Unione, denominata euro, costituiscono
l'Eurosistema. L'Eurosistema conduce la politica monetaria dell'Unione»
(ovviamente sarà anche necessaria una disposizione generale che indichi che il
SEBC deve essere letto come «Eurosistema» ogni qualvolta vi siano riferimenti
alle funzioni relative all'euro o agli Stati membri che hanno adottato l'euro); b)
nell’art. I-29, par. 3, andrebbero sostituite la prima frase (dalla seguente: «La
Banca centrale europea è un'istituzione dotata di capacità giuridica e
indipendente nelle sue finanze») e la terza frase (dalla seguente: «Nell'esercizio
dei propri poteri e nell'assolvimento dei propri compiti e doveri, la BCE, le
banche centrali nazionali nonché ciascun membro dei rispettivi organi
decisionali godono di piena indipendenza»).
Sovente sono espresse, anche in sedi tecniche, preoccupazioni a causa
dell’autonomia dei santuari della moneta; varie teorie della “cospirazione
mondiale” sono state elaborate al riguardo (v. ad es. Griffin, 1995); l’onda di
attrazione dell’orbita “globale” della BCE potrebbe concludersi con l’espianto
definitivo delle Banche centrali dagli Stati, e anche dalla stessa Unione europea
(Ortino, 2003, p. 161).
Il vero problema, tuttavia, non è se e come combattere tali processi, ma come
applicare ad essi i dogmi del costituzionalismo, in particolare la dottrina del
potere limitato. La conclusione del caso OLAF mostra che la BCE non è
“intoccabile” (cfr. Corte giust., sent. del 10-7-2003, causa C-11/00,
Commissione c. BCE, in http:// curia. eu. int / jurisp / cgi-bin / form. pl?lang=it),
ma non prova il bisogno di «legittimazione di carattere democratico» della
Banca (Malatesta, 2003, p. 84; una discussione sul punto e altre questioni in
Leino, 2000), né la supremazia del diritto comunitario derivato sulla BCE
(Dutzler, 2001), ma solo l’esigenza di limitazione del potere, cioè di controlli che
assicurino la correttezza procedurale delle azioni della BCE e la sua
responsabilità per la violazione della costituzione, senza violare la sua
indipendenza quanto alla determinazione dei contenuti delle sue decisioni e
delle sue competenze materiali, che essa deve scegliere sulla base della
propria qualità tecnica, e non su suggerimento o su pressione di altri; in questo
senso, il controllo difende l’indipendenza della Banca. Si tratta di un aspetto
cruciale nella stessa teoria delle autorità indipendenti, che ovviamente non è
possibile approfondire in questa sede.
5. – La costituzione finanziaria. Il coordinamento delle finanze pubbliche
e delle politiche economiche degli Stati membri.
Nonostante una specifica proposta di adozione di «procedure decisionali che
consentano, in particolare, di ravvicinare le aliquote e definire norme minime nei
settori dell'imposizione indiretta e della tassazione delle imprese», fatta dal
gruppo Governance economica (CONV 357/02, WG VI 17, cit.), l’avvento del
modello comunitario in materia di coordinamento delle politiche fiscali nazionali
è ancora rinviato, a causa della ferma opposizione dei rappresentanti del Regno
Unito; l’art. III-62 ribadisce infatti il voto all’unanimità del Consiglio dei ministri,
previa consultazione del Parlamento europeo, per gli atti normativi di
armonizzazione e ravvicinamento delle legislazioni fiscali degli Stati membri; in
materia di imposte dirette e di imposta sul reddito delle società, tuttavia, il
Consiglio, all’unanimità può decidere di passare alla maggioranza qualificata,
ma solo per l’approvazione di misure su cooperazione amministrativa e
repressione dell’evasione e delle frodi fiscali.
I vincoli di Maastricht sono interamente trasferiti nel progetto: a) il principio
dello sviluppo equilibrato e della crescita sostenibile, conformemente ai principi
di una economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. I-3, par. 3; art.
III-69) ; b) il principio del coordinamento europeo delle politiche economiche
nazionali (art. III-69, par. 1, art. III-70 e ss.); c) il principio dell’unicità della
politica monetaria e valutaria (art. III-69, par. 2, art. III-77 e ss.); d) il principio
della finanza sana e sostenibile, attuato mediante il divieto di disavanzo
pubblico relativamente eccessivo e il tendenziale pareggio o avanzo di bilancio
(art. III-76 e Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, che sarà
sostituito da una legge europea); e) il divieto di indebitamento eccessivo, in
proporzione del prodotto interno lordo (art. III-76; Protocollo sulla procedura per
i disavanzi eccessivi, cit.); f) il principio della incomunicabilità tra politica
monetaria e politica economico-finanziaria, che vieta alle banche centrali sia di
concedere scoperti di conto o altre facilitazioni ai governi e/o di acquistare titoli
di debito pubblico al di fuori del mercato ufficiale, sia di accettare istruzioni dai
governi (art. III-73 e III-80; Protocollo sullo Statuto del Sistema europeo delle
banche centrali); g) il principio antinflazionistico (art. I-29, III-69, par. 2 e 3, III77); h) il rispetto del Patto di stabilità e crescita (Consiglio europeo di Madrid del
15-16 dicembre 1995; Consiglio europeo di Amsterdam del 17 giugno 1997), in
applicazione dell'art. 104 CE (nel progetto, art. III-76).
La BCE ha lamentato, nel suo parere del 19 settembre 2003, (cit., p. 9), il
mancato inserimento del principio di stabilità nell’art. I-3 del progetto. Ha
pertanto suggerito di introdurre, nell'articolo I-3, paragrafo 3, del progetto un
riferimento alla «crescita non inflazionistica » come segue: «L'Unione si
adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa basato su una crescita
economica equilibrata e non inflazionistica … ». La preoccupazione appare
eccessiva e dettata più da esigenze di visibilità (Curti Gialdino, 2003, p. 83) che
di sostanza; in fondo il concetto di «crescita economica equilibrata» contiene un
implicito principio di controllo della stabilità dei prezzi. Le recenti tensioni su
Patto di stabilità e condizioni parametriche di convergenza, tornate alla ribalta
specie dopo le”deviazioni” franco-tedesche del 2002/2003, non hanno avuto
riflessi sul progetto. La temperatura sta tuttavia salendo e roventi polemiche
investono la rigidità dei vincoli fiscali (una difesa in Strauch e von Hagen, 2001;
v. anche Perotti, 2003). Ovviamente il problema si trasferisce al braccio di ferro
tra la visione «politica» e la visione «tecnica» del governo dell’economia, ma
fino a quando la politica monetaria resta nella sfera di BCE E SEBC è come se
il divieto di inflazione fosse scritto in grassetto in tutti gli articoli della
costituzione europea. I governi, ovviamente, possono rompere il giocattolo,
sfondando i parametri del disavanzo e trincerandosi dietro le necessità sociali e
nazionali; una battaglia di questa portata sarebbe, alla lunga, insostenibile per
la BCE e le Banche centrali. I governi e le Istituzioni europee, tuttavia,
potrebbero pentirsene amaramente.
Alcune modifiche delle regole sembrano tuttavia indispensabili, ad esempio
applicando il modello britannico (da un lato con il ricorso a maggiori
automatismi e ad un organo di verifica costituito da valutatori indipendenti, in
modo da eliminare la sfumatura “politica” del controllo della Commissione, e
dall’altro mediante l’applicazione della golden rule). Inoltre, si dovrebbe mettere
mano al problema delle finanze dei nuovi Stati membri, i cui parametri
macroeconomici sono talvolta drammaticamente lontani dalle regole del Patto
(Coricelli e Ercolani, 2003)
Inoltre, come fermamente chiesto da francesi e tedeschi (cfr. CONV 470/02,
CONTRIB 180, cit.), viene formalizzato il Consiglio dei ministri delle finanze
dell’eurozona (il c.d. euro-gruppo), con la competenza in materia di misure «per
rafforzare il coordinamento» della disciplina di bilancio nei Paesi dell’area e di
elaborazione, «per quanto li riguarda» degli orientamenti di specifici di politica
economica, purché compatibili con «quelli adottati per l’insieme dell’Unione»
(art. III-88). Un protocollo apposito disciplinerà il funzionamento della nuova
struttura (art. III-89).
Non è invece stata accolta la proposta di istituzionalizzare, sul modello del
Monetary Policy Committee introdotto dall’art. 13 del Bank of England Act (Di
Plinio, 2003), le riunioni tra l’euro-gruppo e la BCE, e a maggior ragione è stato
respinto il tentativo di introdurre forme di reserve powers sulla BCE.
L’euro-gruppo potrà anche decidere posizioni comuni per «garantire la
posizione dell’euro nel sistema monetario internazionale … e le misure
opportune per garantire una rappresentanza unificata nell’ambito delle
istituzioni e delle conferenze finanziarie internazionali» (art. III-90), e avrà la
rappresentanza dell’Eurozona nelle sedi finanziarie internazionali e nelle
relative sedi ufficiali. Gli Stati opt-out avranno pertanto un ulteriore, pressante,
motivo per accelerare l’adesione, che si va ad aggiungere alle esclusioni
precedenti, elencate nell’art. III-91. L’innovazione, che potrebbe consentire una
ulteriore accelerazione nel processo di integrazione, presenta delle inefficienze,
legate soprattutto al principio di rotazione della presidenza: in sostanza, non si
è arrivati al Ministro del tesoro europeo, a differenza di quanto è avvenuto per
gli affari esteri. Tuttavia, la possibilità di affidare presidenza e rappresentanza
esterna al membro competente della Commissione europea non è esclusa dal
progetto e neppure dal protocollo sul gruppo euro, per cui almeno fino a quando
l’opt-out degli Stati in deroga non sarà sciolto, e la struttura si identificherà
interamente nel Consiglio dei ministri finanziari (Curti Gialdino, 2003, p. 87).
La competenza sulle politiche macroeconomiche nazionali è spalmata sul
multilivello, nell’ambito della ripartizione in via concorrente (modello tedesco) e
all’interno del sistema di vincoli derivanti dal diritto comunitario, ma viene
rafforzato il principio dell’interesse comunitario e del coordinamento nell’ambito
del Consiglio (art. I-14). Accogliendo la richiesta del gruppo di lavoro su Europa
sociale, gli obiettivi economici e gli obiettivi sociali dell’Unione sono considerati
congiuntamente dal progetto (art. I-3, par. 3, I-11, par. 3); anche in relazione a
quanto si dirà in seguito (infra, § 7), non si può che condividere l’opinione che in
questi delicati argomenti occorra evitare atteggiamenti eccessivamente
ideologici (Curti Gialdino, 2003, p. 83): l’idea della indissolubilità delle politiche
economiche e sociali è affascinante, ma comporta rischi elevati se non si
premettono alcune condizioni materiali, economiche e finanziarie, senza le quali
nessuna politica sociale sarà possibile (Tietmeyer, 1996). Non a caso, nella
parte III del progetto, «scompare ogni riferimento al sistema di economia
sociale di mercato» (Curti Gialdino, 2003, p. 85), e, come visto in precedenza,
le oggettività macroeconomiche tornano a prevalere, o meglio a condizionare la
finanza dei diritti sociali (ma v. Abramovich e Courtis, 2002).
Le misure di coordinamento sono differenziate: mentre per le politiche sociali il
coordinamento si effettua mediante interventi soft (art. I-14, par. 4, III-104), e
per le politiche occupazionali è previsto lo strumento degli «orientamenti» (art.,
I-14, par. 3, III-100), in ordine alle politiche macroeconomiche l’Unione dispone
degli «indirizzi di massima» e della procedura di sorveglianza multilaterale (art.
I-14. par. 1, III-71).
A questo riguardo, va rilevato che il gruppo governance economica della
Convenzione (CONV 357/02, WG VI 17, cit.) aveva proposto, nell’ambito della
distinzione tra politica monetaria europea, competenza esclusiva della
Comunità e affidata alla Banca centrale europea, e politica economica,
competenza degli Stati membri, un maggiore coordinamento delle politiche
economiche di questi ultimi, attraverso appunto la formalizzazione degli indirizzi
di massima per le politiche economiche, adottati dal Consiglio dell'Unione
europea. Le ulteriori proposte dal gruppo prevedevano: a) avvertimento della
Commissione rivolto direttamente allo Stato membro che si discosta da gli
indirizzi di massima o in condizioni di disavanzo pubblico eccessivo; b)
decisione del Consiglio, su proposta della Commissione, in merito alle misure
da adottare; c) coinvolgimento del Parlamento europeo nel metodo di
coordinamento aperto, i cui obiettivi, limiti e procedure avrebbero dovuto essere
inseriti nel trattato costituzionale.
Il progetto accoglie nelle linee generali tale modello, in particolare affidando
alla Commissione la potestà di emettere early warnings, ma ne smussa alcuni
angoli, evitando di accrescere il ruolo della stessa, alla quale l’art. III-71, par. 2,
non attribuisce, come richiesto dal gruppo, un autonomo «potere di proposta»,
ma solo una potestà di «raccomandazione» relativamente all’avvio della
procedura decisionale (maggioranza qualificata, con l’esclusione dal quorum
strutturale degli Stati membri interessati, e non come nel regime attuale,
all’unanimità) del Consiglio sulle raccomandazioni da indirizzare agli Stati
membri le cui politiche deviano dagli indirizzi di massima. Si è così persa
l’occasione di trasformare gli indirizzi di massima in un «vero documento di
programmazione economica e finanziaria a livello europeo», e di dare alla
Commissione un reale potere di monitoraggio sulla loro attuazione.
Come si può facilmente arguire, il sistema dei poteri di politica economica e
occupazionale manca di alcuni importantissimi strumenti di cui invece
dispongono i grandi Stati federali tipo federale; l’Europa è ancora lontana dal
disporre di un contesto di regolazioni automatiche e di misure (flessibilità nel
mercato del lavoro e nelle politiche fiscali, mobilità del lavoro, mobilità dei
capitali, bilancio europeo di dimensioni adeguate) che le consentano di
contrastare efficacemente l’eventualità di shock asimmetrici (Kalemli-Ozcan,
Sørensen e Yosha, 2003); l’art. III-72 si limita a prevedere che, in caso uno
Stato membro si trovi in difficoltà a causa di «calamità naturali o circostanze
eccezionali che sfuggono al suo controllo», con decisione europea del Consiglio,
su proposta della Commissione, viene concesso «a determinate condizioni»
aiuti finanziari europei; si tratta ovviamente di misure quantitativamente
irrilevanti, e, d’altra parte, se misure del tipo sono violentemente contestate
«dentro» gli Stati, e la richiesta di federalismo fiscale è alta nelle regioni
d’Europa, non funzioneranno neanche «tra» gli Stati. Ma il mix di moneta unica
e crisi locali è esplosivo; essendo impossibile la svalutazione, il rimedio (se
funziona) è dato da flessibilizzazione e deregulation, cioè un mediocre livello di
diritti sociali, oppure vincoli di bilancio e parametri rigidi, vale a dire
condizionamento finanziario del welfare, che, di fatto, significa comunque un
mediocre livello dei diritti sociali. In entrambi i casi, l’unico ingrediente che
funziona è la crescita economica, ovviamente sostenibile, che è il vero Holy
Graal delle costituzioni economiche del terzo millennio.
6. – Il bilancio dell’Unione.
No constitution without budgetary constitution: un evidente motivo di
frustrazione della Convenzione è quello di aver lavorato su una Costituzione
europea, strutturando polity e competenze, senza aver potuto dire nulla sul
bilancio dell’Unione (Guérot, 2003), che sarà riconsiderato, secondo i tempi di
Agenda 2000, nel 2006, dalla nuova Europa a venticinque (Seguiti, 2003).
Di conseguenza il progetto innova ben poco rispetto all’attuale regime – la cui
fonte principale (Colom, 2002) è l’accordo interistituzionale fra il Parlamento
europeo, il Consiglio e la Commissione, del 6 maggio 1999, sulla disciplina di
bilancio e il miglioramento della procedura di bilancio (in G.U.C.E, C 172 del 186-1999) – del quale si limita a costituzionalizzare la sostanza, con qualche
innovazione terminologica («quadro finanziario pluriennale» in luogo di
«prospettive finanziarie»), e una semplificazione procedurale articolata su tre
passaggi: a) la decisione intergovernativa sulle risorse (art. I-53); b) il quadro
finanziario pluriennale, deliberato dal Consiglio all’unanimità previa
approvazione del Parlamento, che si pronuncia invece a maggioranza
qualificata (art. I-54, par. 2, III-308); c) la codecisione, con un parere
obbligatorio della Corte dei conti, sulla legge europea di bilancio annuale (art. I55), nel contesto del quadro pluriennale e mediante una procedura più
scorrevole e semplificata rispetto alla procedura del Trattato CE (art. III-309
ss.) , e con l’estensione del regime anche alle spese in agricoltura, ma senza
novità sostanziali rispetto a quanto può considerarsi già acquisito nella
costituzione materiale.
Sembra eccessiva l’opinione che il lavoro della Convenzione abbia apportato
«modifiche sostanziali … sulle procedure di bilancio e sulle prospettive
finanziarie … in senso favorevole al Parlamento europeo» (Carabba, 2003,
159). La posizione del Parlamento, infatti, come pure la dimensione
programmatica pluriennale, sono già notevolmente definite nella costituzione
materiale, mentre l’abolizione della distinzione tra spese obbligatorie e spese
facoltative (già annullata, sotto il profilo procedurale, dall’estensione della
concertazione interistituzionale anche alle prime da parte del citato accordo) è
una conseguenza necessaria dei processi di riforma della PAC (cfr. G.U.C.E., L
270 del 21-10-2003), che trasferiscono la spesa comunitaria in agricoltura nella
gestione ordinaria; neppure costituiscono novità la condizione di specifiche basi
giuridiche ai fini dell’esecuzione delle spese (art. I-52, par. 4), già prevista
dall’art. 36 del citato accordo interistituzionale, o la formalizzazione del principio
di «sana gestione finanziaria» (art. I-52, par. 6), già desumibile dall’attuale
ordinamento della Corte dei conti europea (come riconosce lo stesso Carabba,
2003, 159) ed espressamente prevista nel regolamento CE 1605/2002 del
Consiglio, del 25-6-2002, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al
bilancio generale delle Comunità europee (in G.U.C.E., L 248 del 16-9-2002, 1
ss.). Inoltre, sul versante dell’appropriation, dato che l’art. I-53 del progetto
corrisponde integralmente all’attuale art. 269 CE, la posizione del Parlamento
europeo non si è allargata di un millimetro, perché la chiave di volta resta il
meccanismo strettamente intergovernativo dell’unanimità del Consiglio dei
ministri, rafforzato dall’adattamento nazionale, in materia di decisione sulle
risorse finanziarie dell’Unione.
7. – L’ombra di Keynes e il futuro della costituzione economica europea.
In conclusione, si può considerare verificata l’ipotesi della transizione senza
sostanziali cambiamenti della costituzione economica vigente nell’architettura
complessiva del progetto. Resta aperto un importante terreno, su cui non è
possibile in questa sede approfondire, vale a dire il versante costituzionale
“alto” dei diritti sociali e delle funzioni di redistribuzione dei pubblici poteri. La
risposta statale ai problemi sociali e strutturali del capitalismo è stata debole e
confusa. In tutti gli stati si è assistito all’instaurazione delle «costituzioni
keynesiane», a una dilatazione abnorme di trasferimenti, intervento pubblico e
apparati, senza che fosse correlativamente e proporzionalmente cresciuta la
base produttiva; lo stato sociale, dunque, ha iniziato a finanziare in misura
sempre maggiore se stesso, in presenza di una interruzione della funzione di
accumulazione. Indipendentemente dalle motivazioni (se il costo politico ed
economico derivante dalle istanze dei diritti e della socialità, impedisce
l'efficienza economica dell’intervento pubblico) è comunque certo che la
produttività in termini di accumulazione non vi è stata, e quindi la razionalità e la
legittimazione del disavanzo di bilancio sono venute a cadere, trascinando nel
crollo il modello costituzionale keynesiano, e anche lo Stato.
La crisi dello stato sociale (De Cabo Martin, 1986; ; García Herrera, 1997) si è
presentata a) come crisi fiscale, cioè come “lacuna strutturale” tra le due parti
del bilancio, in quanto le spese statali sono aumentate più rapidamente dei
mezzi atte a finanziarle (O'Connor, 1971); b) come crisi di razionalità per
l'incapacità della forma e della struttura degli apparati pubblici di spesa e di
intervento di assicurare la continuità dell'accumulazione, con la conseguenza
che lo stato stesso si presenta piuttosto che come controllore, come produttore
di crisi di sistema: “essendo stata bloccata e trasformata in un sistematico
aggravio eccessivo dei pubblici bilanci, la crisi economica si è spogliata del
manto di fatalità sociale naturale. Se il management statale confrontato con la
crisi fallisce, esso ricade dietro pretese programmatiche che esso stesso ha
fatto valere, e ciò è punito con una sottrazione di legittimazione, sicché il
margine di azione si restringe proprio nei momenti in cui dovrebbe essere
ampliato” (Habermas, 1975a; Offe, 1977); c) come crisi di legittimazione,
perché il corpo sociale interpreta i segni diretti dell'arresto di accumulazione
(disoccupazione, caduta della produttività, inefficienza dei servizi) come
responsabilità indistinta dei pubblici poteri, e apre un conflitto con le istituzioni
dello stato sociale (Habermas, 1973; Id., 1975b). In teoria il sistema avrebbe
potuto avviarsi alla pianificazione integrale dell'economia e al socialismo; la
condizione di fondo perché ciò potesse avvenire non è politica, né attiene al
sistema dei diritti umani e fondamentali, ma è legata alla razionalità: gli apparati
pubblici totali avrebbero comunque dovuto assicurare l'accumulazione, anche
se l'appropriazione e il controllo del plusvalore sociale sarebbe stato
integralmente collettivizzato. Ciò non è storicamente avvenuto né in termini
parziali (negli stati a economia “mista”), né in termini totali (nelle economie
collettivizzate): nel primo caso le crisi hanno aperto una nuova trasformazione
nel governo dell’economia, nel secondo il sistema è storicamente crollato.
Una particolare attenzione, tuttavia, va riservata al rilievo che il
Krisismanagement dello stato sociale interventista è nato nel novecento come
risposta a crisi strutturali profonde e laceranti dell’accumulazione capitalistica,
alle crisi di sovrapproduzione e alla separazione tra domanda globale e offerta
globale, alla contraddizione di un processo di sviluppo elevato e di una
“eccedenza di capitale”, da un lato, e di una immensa quota della popolazione
senza reddito, alla quale è precluso il mercato, e della quale il mercato avrebbe
un disperato bisogno, in termini di domanda e di sbocchi (sul disegno
complessivo di queste problematiche, cfr. Di Plinio, 1998); queste ragioni
esistono ancora, anche se assumono oggi, ovviamente, dimensioni e caratteri
correlati ai tempi (Allegretti, 2002).
Chi si occuperà del Krisismanagement nel terzo millennio?
Il nodo da sciogliere è se il processo costituente europeo porti in sé, oltre ad
una nuova storica variazione delle forme di potere e ad una stabile
macroeconomia politica, anche i germi del governo sociale dell’economia, e sia
in grado di assicurare diritti, socialità e redistribuzione accanto alle intoccabili
fortezze d’acciaio costituite dal principio di concorrenza, dai parametri di
Maastricht e dal Patto di stabilità (Maduro, 1999; Freixes Sanjuán y Remotti
Carbonell, 2002) .
I difficili sentieri che portano «al termine della notte» nel viaggio dei diritti
sociali (prendo la suggestiva immagine da Salazar, 2001) possono intravedersi
più nella costituzione materiale europea che nel progetto di Trattato che
istituisce una costituzione per l’Europa.
Tuttavia, la storia materiale delle costituzioni economiche statali mostra come
lo shifting verso la socialità in Europa sia possibile solo a patto di non trasferire
gli errori del passato dal livello degli Stati al livello dell’Unione, e di maneggiare
con cautela estrema forze immense e delicate, come la moneta, la finanza e il
mercato, che possono in ogni momento, se non sono tenute sotto controllo,
impazzire, e distruggere in breve tempo quanto si è faticosamente costruito.
8. – Riferimenti bibliografici.
ABRAMOVICH, V., COURTIS, C. (2002), Los derechos sociales como
derechos exigibles, Madrid, Trotta.
ALLEGRETTI, U. (2002), I diritti fondamentali fra tradizione statale e nuovi
livelli di potere, in C. De Fiores (cur), Lo stato della democrazia, Milano, Franco
Angeli.
ATRIPALDI V. e BIFULCO R. (2001), [cur.], Federalismi fiscali e costituzioni,
Torino, Giappichelli.
AVGERINOS, Y.V.(2003), EU Financial Market Supervision Revisited: The
European Securities Regulator, NYU, Jean Monnet Working Paper 7/03, in
http:// www. jean monnet program. org / papers / 03 / 030701. rtf.
BALDASSARRE, A. (2003), Globalizzazione e internazionalizzazione delle
decisioni, in S. Labriola (cur), Ripensare lo Stato, Atti Conv. Napoli, 22-23
marzo 2002, Milano, Giuffrè.
BUCHANAN, J. M. e WAGNER, R. E. (1991), Democracy and Keynesian
Constitutions: Political Biases and Economic Consequences, in Constitutional
Economics, IEA Masters of Modern Economics Series, 91-112, Oxford,
Blackwell.
CARABBA, M. (2003), Il bilancio dell’Unione, in F. Bassanini e G. Tiberi (cur),
Una Costituzione per l’Europa. Dalla Convenzione europea alla Conferenza
intergovernativa, Bologna, Il Mulino.
CARBONE, L., GIANNITI, L. e PINELLI, C. (2003), Le istituzioni europee, in F.
Bassanini e G. Tiberi (cur), Una Costituzione per l’Europa. Dalla Convenzione
europea alla Conferenza intergovernativa, Bologna, Il Mulino.
CASSESE, S. (1991), La costituzione europea, in Quad. cost., 3/1991.
CASSESE, S. (2001), La costituzione economica europea, in Riv. it. dir. pubbl.
com., 6/2001.
CASSESE, S. (2002), Lo spazio giuridico globale, in Riv. trim. dir. pubbl.,
2/2002.
CHELI, E. (1997), Sovranità, funzione di governo, indirizzo politico, in G.
Amato e A. Barbera [cur], Manuale di diritto pubblico, II, quinta ed., Bologna, Il
Mulino.
CHITI, M.P. (2002), La Carta europea dei diritti fondamentali: una Carta di
carattere funzionale?, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/2002.
CHITI, M.P. (2003), Le norme sulla giurisdizione, in F. Bassanini e G. Tiberi
(cur), Una Costituzione per l’Europa. Dalla Convenzione europea alla
Conferenza intergovernativa, Bologna, Il Mulino.
COLOM, J. (2002), La politica finanziaria, in S. Fabbrini e S. Morata [cur],
L’Unione europea. Le politiche pubbliche, Bari, Laterza.
CORICELLI, F. e ERCOLANI, V. (2003), Quali modifiche al Patto di stabilità e
crescita, in http:// www. filtcgil. it / P_Econom / Ustudi / eco_c1b. htm
CORCUERA ATIENZA, J. (2002), La protección
fundamentales en la Unión Europea, Madrid, Dykinso.
de
los
derechos
COSCULLUELA MONTANER, L. (2003), Reflexiones sobre los presupuestos
constitucionales y de Derecho Comunitario Europeo y los principios generales
del Derecho Público Económico, en Estudios de Derecho Público Económico
(Libro Homenaje al Profesor Sebastián Martín-Retortillo), Madrid, Cívitas.
CURTI GIALDINO, C. (2003), Introduzione generale, in CIDE [cur], Una
Costituzione per la nuova Europa, Milano, Giuffrè.
DE CABO MARTIN, C. (1986), La crisis del Estado Social, PPU, Universidad
de Barcelona.
DE SIERVO, U. (2001), I diritti fondamentali europei e i diritti costituzionali
italiani (a proposito della Carta dei diritti fondamentali, in Dir. pubbl. comp. eur.,
1/2001.
DELLA CANANEA, G. (2001), Il patto di stabilità e le finanze pubbliche
nazionali, in Riv. dir. fin. sc. fin., 4/2001.
DELLA CANANEA, G. (2003 ), I pubblici poteri nello spazio giuridico globale,
in Riv. trim. dir. pubbl., 1/2003.
DI PLINIO, G. (1998), Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè.
DI PLINIO, G. (2000), Il common core della deregulation, (provv.), Pescara,
Quad. Dip. Sc. Giur.
DI PLINIO, G. (2001), La Carta dei diritti nel processo di integrazione europea,
in G. F. Ferrari (cur), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il
costituzionalismo dei diritti, Milano, Giuffrè, 145 ss.
DI PLINIO, G. (2003), I modelli di Maastricht e la costituzione finanziaria e
monetaria britannica, in corso di pubbl. negli Atti del Convegno La costituzione
britannica - The British Constitution, Bari, 29-30 maggio 2003.
DUTZLER, B. (2001), Olaf or the Question of Applicability of Secondary
Community Law to the Ecb, EIoP, 5/2001, in http:// eiop. or. at / eiop / pdf /
2001-001. pdf
FERRARA, G. (2002), Verso la costituzione europea?, in Dir. pubbl., 1/2002.
FLORIDIA, G. e SCIANNELLA, L.G. (2003), Il corpo denso, l’anima incerta.
Come si è arrivati al testo finale della Convenzione europea, in Dir. pubbl. comp.
eur., 2/2003.
FREIXES SANJUÁN, T. y REMOTTI CARBONELL, J.C. (2002), El futuro de
Europa. Constitución y derechos fundamentales, Ideas y Políticas
Constitucionales, Valencia.
GARCÍA HERRERA, Miguel Angel (dir.), (1997), El constitucionalismo en la
crisis del estado social, Bilbao, Universidad del Pais Vasco.
GIANNINI, M.S. (1988), L'amministrazione pubblica dello stato
contemporaneo, volume primo del Trattato di diritto amministrativo, diretto da G.
Santaniello, Milano, Giuffrè, 1988.
GJERSEM, C. (2003), Financial Market Integration in the Euro Area, OECD,
ECO/WKP 2003/22, in http:// www. oecd. org / eco.
GRIFFIN, G. E. (1995), The Creature from Jekyll Island, Appleton, American
Opinion Publishing, Inc.
GUARINO, G. (1992), Pubblico e privato nell'economia. La sovranità tra
costituzione e istituzioni comunitarie, in Quad. cost., 1/1992.
GUARINO, G. (1999), La grande Rivoluzione: l’Unione europea e la rinuncia
alla sovranità, in Convivenza nella libertà, Scritti in onore di Giuseppe
Abbamonte, II, Napoli, Jovene.
GUÉROT, U. (2003), France, Germany and the Constitution and the
enlargement of Europe, in http:// www. weltpolitik. net / policy-forum / article /
1052. html.
HÄBERLE, P. (1999), Per una dottrina della costituzione europea, in Quad.
cost., 1/1999.
HABERMAS, J. (1973), Legitimationsprobleme im spätkapitalismus, Frankfurt
am Main, Suhrkamp Verlag.
HABERMAS, J. (1975a), La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Bari,
Laterza.
HABERMAS, J. (1975b), Legitimation Crisis, Boston, Beacon Press.
HABERMAS, J. (1999), The European Nation-State and the Pressures of
Globalization, in New Left Rev., 235/1999, 46 ss.
JOERGES, C. (1997), The Market without the State? The 'Economic
Constitution' of the European Community and the Rebirth of Regulatory Politics,
in http:// eiop. or. at / eiop / texte / 1997-019a. htm.
KALEMLI-OZCAN, S., SØRENSEN, B.E. e YOSHA, O. (2003), Asymmetric
Shocks in a Monetary Union: Updated Evidence and Policy Implications for
Europe, CEPR, 2003, in http:// europa. eu. int / comm / economy_ finance /
events / 2003 / workshop / sorensenetal. pdf.
LABRIOLA, S. (2003), (cur), Ripensare lo Stato, Atti Conv. Napoli, 22-23
marzo 2002, Milano, Giuffrè.
LEINO, P. (2000), The European Central Bank and Legitimacy Is the ECB a
Modification of or an Exception to the Principle of Democracy?, NYU, The Jean
Monnet WP, 11/2000, in http:// www. jeanmonnetprogram. org / papers / 00 /
001101. html)
MacCORMICK, N. D. (1999), Questioning Sovereignty, Oxford, Oxford
University Press.
MADURO, M.P. (1999), We Still Have Not Found What We Have Been
Looking For. The Balance Between Economic Freedom and Social Rights in the
European Union, in http:// www. fd. unl. pt / pt / wps / wp004-99. doc
MERUSI, F. (2003), Verso lo Stato Europa: il ruolo dei sistemi di pagamento
nell’eurosistema, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2/2001.
MESTMAECKER, E.J. (1995), De la Communauté économique à l'Union
économique et monétaire, in Rev. Aff. Eu., 1/1995.
O'CONNOR, J. (1971),The Fiscal Crisis of the State, New York, St. Martin's
Press.
OFFE, C. (1977), Lo Stato nel capitalismo maturo, Milano, Etas Libri.
OPPERMANN, T. (2003), Il processo costituzionale dopo Nizza, in Riv. trim.
dir. pubbl., 2/2003.
ORTINO, S. (1992), La Banca centrale nella costituzione europea, in Le
prospettive dell'Unione europea e la costituzione, Atti Conv. AIC, Milano, 4-5
dicembre 1992, Padova, Cedam, 1995.
ORTINO, S. (1995), La Banca centrale nella costituzione europea, in Le
prospettive dell'Unione europea e la costituzione, Atti del Conv. annuale AIC,
Milano, 4-5 dicembre 1992, Padova, Cedam.
ORTINO, S. (2003), Ripensare lo Stato nel ripensare le nuove forme politiche,
in S. Labriola (cur), Ripensare lo Stato, Atti Conv. Napoli, 22-23 marzo 2002,
Milano, Giuffrè.
PADOA SCHIOPPA, T. (1997), Il governo dell’economia, Bologna, Il Mulino.
PAGANO, E. (2001), Sui rapporti tra la Carta e i principi fondamentali
elaborati dalla Corte di giustizia, in Dir. pubbl. comp. eur., 1/2001.
PERNICE I. e MAYER, F.C. (2003), La Costituzione integrata dell’Europa, in
G. Zagrebelsky (cur), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Roma, Laterza,
p. 43 ss. (anche in http:// www. whi-berlin. de / costituzione. htm).
PERNICE, I. (2002), The European Constitution, in Europe's constitution – a
Framework for the Future of the Union, 16th Sinclair House Debate, May 11-12,
2001, Bad Homburg v.d. Höhe, Herbert-Quandt-Foundation, 2001.
PERNICE, I. (2003), Institutional Settlements for an Enlarged European Union,
WHI Paper 5/2003, in http:// www. whi-berlin. de / pernice-institutions. htm.
PEROTTI, R. (2003), Un Patto senza ambiguità, in http:// www. lavoce. info /
news / index. php? id=34.
PINELLI, C. (2003), Il Preambolo, i valori, gli obiettivi, in F. Bassanini e G.
Tiberi (cur), Una Costituzione per l’Europa, Dalla Convenzione europea alla
Conferenza intergovernativa, Bologna, Il Mulino.
RANDZIO-PLATH, C., PADOA-SCHIOPPA, T. (2000), The European Central
Bank: Independence and Accountability, Bonn, Zentrum für Europäische
Integrationsforschung (ZEI), in www. zei. de.
SALAZAR, C. (2001), I diritti sociali nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea: un “viaggio al termine della notte”?, in G. F. Ferrari (cur), I
diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, Milano,
Giuffrè.
SEGUITI, M.L. (2003), The Role of the European Union Budget in View of EU
Enlargement, in Pub. Budg. & Fin., 2/2003.
SILVERSTEIN, G. (2003), Globalization and the rule of law: “A machine that
runs of itself?”, in Int’l J. Const. L., I/3, 2003.
SNYDER, F. (1998), EMU Revisited. Are we Making a Constitution? What
Constitution are we Making?, Firenze, Istituto Universitario Europeo, WP Law,
6/1998.
STIGLITZ, J.E. (2002), Globalization and its Discontents. London, Allen Lane,
2002.
STRAUCH, R. e von HAGEN, J. (2001), Formal Fiscal Restraints and Budget
Processes as Solutions to a Deficit and Spending Bias in Public Finances – Us
Experience and Possible Lessons for Emu, ZEI WP B01-14, in http:// www. zei.
de / download / zei_wp / B01-14. pdf.
TIETMEYER, H. (1996), The European economy between global markets and
internal challenges, in http:// www. iue. it / PUB / JeanMonnet LecturesPDF /
JMLTietmeyer 1996En. pdf.
TONIATTI, R. (2001), La via giurisdizionale per la legittimazione dell’Unione
europea, in Dir. pubbl. comp. eur., 1/2001, 186 ss.
ZAGREBELSKY, G. (2003), (cur), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea,
Roma, Laterza.
ZSOLT DE SOUSA, H. (2003), The Ecb and Monetary Policy, Notre Europe
Policy Papers, 3/2003, http:// www. notre-europe. asso. fr / fichiers /
Policypaper3. pdf.