brutto? e allora?

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brutto? e allora?
circolazione extracorporea
Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità
a cura di Peppino Ortoleva
BRUTTO?
E ALLORA?
FENOMENO FRIDAY: QUANDO L’ESALTAZIONE
È TESA VERSO NON CIÒ CHE È BELLO, MA VERSO CIÒ
CHE SI SENTE PROPRIO
120 MILIONI DI CLICK
La ragazzina che ha postato il video
su YouTube, Rebecca Black. Sotto, la
schermata di Friday
In queste esplorazioni sulla vita del film fuori dal cinema ci siamo confrontati più
volte con l’estetica del cult, con la tendenza diffusa tra i frequentatori della rete a
esaltare non ciò che giudicano bello ma ciò che sentono proprio. Un recente e importante libro di Patrice Flichy parla di “amatori”: nel senso di “dilettanti” ma anche di
persone che sovrappongono al piacere della fruizione una forma di
adesione affettiva, simile a quella che lega i tifosi alla loro squadra. Una
categoria trasversale ai media e ai generi: che mette in circolazione
film e canzoni, programmi TV e tranche de vie.
Non è casuale che le radici del cult moderno stiano nel gusto camp,
oggetto già negli anni ‘60 di un magnifico saggio di Susan Sontag
(Contro l’interpretazione, 1966): un gusto che preparava lo “snobismo
di massa”, innamorato come diceva Sontag non del bello ma della stilizzazione. E’ l’amore dell’eccesso (ama i fratelli Marx, non Chaplin;
Totò, non Eduardo, Comunardo Niccolai non Gigi Riva), e non solo esalta le citazioni in quanto citazioni, ma ancora con Sontag “vede tutto tra
virgolette”, esalta la distanza tra chi guarda, legge o ascolta, e il suo
oggetto. Esalta la soggettività, e favorisce il formarsi e il riformarsi
delle mode. E questo ci aiuta a comprendere un fenomeno proprio dell’estetica della rete: il senso del gesto di chi immette online i suoi brani
“preferiti”, e di chi li rielabora. Che non è un “dono”, ma una sottolineatura del carattere personale, e affettivo del suo rapporto con quei brani.
Se teniamo in mente il gusto camp, capiamo anche fenomeni stupefacenti e un po’ misteriosi, come il successo riscosso da prodotti che vengono da tutti, inclusi i loro “amatori”, definiti orrendi. Per esempio la canzone Friday
cantata da Rebecca Black, che in poco tempo ha superato i 120 milioni di ascolti. Che
cosa la rende così “attraente”? Di sicuro il carattere paradigmatico ed eccessivo
insieme: una musica banale e ripetitiva, dei versi che sembrano scritti per parodiare
le canzoni per adolescenti e che invece a quanto pare fanno sul serio, un videoclip
che sembra una parodia al quadrato, con la retorica dei programmi TV per teenager
profusa a piene mani. E il piacere una volta visto il
video di poterne dire tutto il male possibile. Un
successo solo in apparenza paradossale, perché
la logica dei numeri posti sotto il video ci dice,
comunque, che di successo si tratta. Guardare
per credere.
E naturalmente il cult genera le rielaborazioni.
Fermiamoci un attimo però: c’è anche una versione “as performed by Bob Dylan”. Non il Dylan
70enne di ora: quello 20enne tutto acustico. Una
messa in scena accurata, con l’immagine di un 45 giri inesistente ma plausibile, e
un’esecuzione con quella voce. L’icona sonora del forever young della canzone del
‘900, alle prese con una melodia da supermercato e con parole idiote, va per qualche
aspetto oltre la parodia. Ci dà l’impressione di salto nel tempo, di incontro paradossale tra generazioni ormai lontane, che non lascia indifferenti.
Che cosa la rende
così “attraente”?
Soprattutto il carattere
paradigmatico ed
eccessivo insieme
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2011