filtro» in appello, fra ottimismo della volontà e pessimismo della

Transcript

filtro» in appello, fra ottimismo della volontà e pessimismo della
Archivio selezionato: Dottrina
IL «FILTRO» IN APPELLO, FRA OTTIMISMO DELLA VOLONTÀ E PESSIMISMO DELLA
RAGIONE
Giur. merito 2012, 10, 2013
Mauro Mocci
Magistrato
Sommario: 1. Considerazioni generali. 2. La potenziale applicabilità del filtro in rito. 3. Fra rito e
merito: il problema della genericità dei motivi. 4. La potenziale applicabilità del filtro nel merito. 5. Il
vaglio della Cassazione. 6. La preparazione della prima udienza, l'organizzazione del ruolo e la figura del
presidente di sezione; la necessaria collaborazione del personale di cancelleria. 7. La compatibilità con
l'attuale processo d'appello. 8. Conclusioni.
1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Dopo le rilevanti modifiche apportate al codice di rito nell'anno 2009, adesso, attraverso il «decreto
sviluppo» (1), il legislatore ha messo a punto un nuovo strumento per comprimere l'arretrato, modulato
apposta per il giudizio d'appello, quello che attualmente denuncia il maggior grado di «irragionevolezza»
nei termini temporali di decisione.
Storicamente, non è sempre stato così: l'incapacità delle Corti d'Appello di smaltire le sopravvenienze si
è progressivamente manifestata a partire dalla fine del secolo scorso, allorquando nel primo grado
(ossia nei Tribunali, fra l'altro non più giudici di appello delle appena soppresse Preture) è andata a
regime la riforma del 1990 sul giudice unico ed hanno cominciato ad operare pienamente le sezioni
stralcio, col compito di superare le identiche problematiche quantitative che oggi affliggono l'appello (2).
La bulimia decisoria che ne è seguita si è inesorabilmente scaricata sul giudice superiore, senza che
quest'ultimo potesse contare su adeguati aumenti di organico e neppure, si potrebbe dire, su una
«preparazione culturale» ad affrontare tale emergenza. In altri termini, i singoli consiglieri, abituati ad
operare in una struttura statica, se non immobile, ove la decisione doveva sovente essere un piccolo
trattato di diritto (per non fare brutte figure in Cassazione) ed il cui lavoro si traduceva nella stesura di
una due sentenze la settimana, avrebbero dovuto cambiare radicalmente la loro impostazione nel giro
di poco tempo: per poter governare l'arretrato, sarebbe stato necessario tenere una media di almeno
cinque sentenze settimanali.
Cadute tante volte nel vuoto le grida di dolore dei Presidenti delle Corti, nel corso dell'inaugurazione
dell'anno giudiziario, e rivelatisi sostanzialmente inefficaci per il giudice dell'appello i correttivi pensati
con la riforma del 2009 (che, anzi, in qualche caso hanno indotto il giudice di primo grado ad entrare
senz'altro in medias res, senza rendere possibile l'intelligibilità del fatto, complicando così enormemente
l'attività di comprensione in sede di gravame), il nuovo strumento del «filtro» è, se non altro, il
riconoscimento che la realizzazione del giusto processo in un tempo ragionevole passa attraverso la
doverosa considerazione della fase di secondo grado.
Il presente contributo vuole appunto esaminare la portata della novità legislativa dal punto di vista del
giudice d'appello (3).
Dispone, in particolare, l'art. 348-bis c.p.c. «Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza
l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice
competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta». Sono sottratti al filtro gli
appelli nei quali è previsto l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero (evidentemente per l'interesse
pubblico legato alle cause di cui all'art. 70 c.p.c.) e le cause già introdotte in primo grado attraverso il
rito sommario di cognizione (nelle quali l'esclusione, e dunque una verifica «piena» del gravame, deve
controbilanciare l'impostazione del rito).
A sua volta, l'art. 348-ter c.p.c. disciplina lo svolgimento processuale, prevedendo che il giudice nel
corso dell'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiari
l'inammissibilità dell'appello con ordinanza succintamente motivata «anche mediante il rinvio agli
elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi». L'ordinanza
di inammissibilità dovrà altresì contenere la statuizione sulle spese, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e potrà
essere pronunziata soltanto quando la prognosi negativa circa l'accoglibilità del gravame investa tanto
l'impugnazione principale, quanto quelle incidentali eventuali, purché tempestive. In caso contrario, si
dovrà procedere all'esame di tutti gli appelli.
In sede di conversione, è stata altresì aggiunta la modifica del contenuto dell'art. 342 c.p.c., che ora
impone all'appellante l'obbligo di indicare specificamente le parti del provvedimento impugnate, le
modifiche richieste rispetto alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado nonché le
circostanze da cui derivi la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione censurata. Si
configura, dunque, una doppia selezione, dapprima di carattere formale (ex art. 342 comma 1 c.p.c.) e
poi di carattere sostanziale (ex art. 348-bis c.p.c.).
Ove il gravame venga dichiarato inammissibile, contro il provvedimento di primo grado potrà esser
proposto ricorso per cassazione. Il termine per il ricorso decorre dalla comunicazione o notificazione (se
anteriore alla prima) dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. In tal modo, fissando per il termine a
quo anche la sola comunicazione della cancelleria, la novella mostra la preferenza per il termine
d'impugnazione breve (ex art. 325 c.p.c.). Il richiamo all'art. 327 c.p.c., «in quanto compatibile», è
dunque puramente residuale, riguardando l'ipotesi che il biglietto di cancelleria non venga trasmesso
alle parti nell'arco di sei mesi (4).
Allorquando l'inammissibilità venga dichiarata per le medesime ragioni di fatto poste a sostegno della
decisione di primo grado (5), ovvero quando venga impugnata la sentenza d'appello confermativa della
decisione di primo grado, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui agli artt.
1), 2), 3) e 4) dell'art. 360 c.p.c.
Il «filtro» non è pertanto modellato secondo lo schema di quello operante presso la Suprema Corte e
descritto dal combinato disposto degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., come forse ci si sarebbe
aspettato: probabilmente, il legislatore ha tenuto conto delle differenti caratteristiche dell'appello
rispetto al terzo grado e soprattutto della struttura delle Corti territoriali, spesso non in grado di
esprimere una sezione-filtro (6).
2. LA POTENZIALE APPLICABILITÀ DEL FILTRO IN RITO
Ma la sentenza resa in appello ha caratteristiche peculiari anche rispetto a quella di primo grado, perché
resta condizionata dalla natura del giudizio d'impugnazione e dai poteri attribuiti al giudice del secondo
grado. Si tratta dunque di un giudizio di merito, che però non è esattamente sovrapponibile a quello di
primo grado, giacché non implica l'automatico e completo riesame della materia del contendere già
trattata, essendo invece condizionato alla discussione dei capi di sentenza impugnati ed operando nei
limiti delle censure formulate (7).
In altri termini, l'effetto devolutivo vincola la cognizione del giudice a valutare il processo nell'ambito dei
motivi di gravame specificamente proposti (8).
Inquadrato dunque il campo di applicazione, occorre allora verificare in quali ipotesi il filtro possa
adeguatamente operare.
Vanno in primo luogo considerate quelle fattispecie di inammissibilità o improcedibilità, in cui la
declaratoria su una questione di rito travolge tutto il gravame. Come è noto, le uniche ipotesi al
riguardo codificate concernono l'art. 348 c.p.c. ossia, la mancata costituzione nei termini da parte
dell'appellante e la mancata doppia comparizione in prima udienza (9) e sembrano appunto quelle
menzionate dal legislatore, in funzione derogatoria («Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con
sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello»). Tuttavia si tratta di numeri affatto marginali,
oltre tutto solitamente decisi nella pratica con ordinanza, ancorché con valore sostanziale di sentenza
(10).
A fronte di quelli appena menzionati, vi sono peraltro ulteriori esempi, che l'esperienza concreta offre e
per i quali, a questo punto, l'inammissibilità o l'improcedibilità rientrano nel più generale concetto di
prognosi infausta del gravame (11).
Si pensi all'ipotesi in cui, nel giudizio di primo grado, sia stata proposta una domanda di condanna
generica al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede ed, in appello, venga invece formulata
una richiesta di liquidazione del danno. Quest'ultima è da considerare nuova e, come tale, inammissibile
(12).
Si pensi altresì al caso di un primo atto d'appello nullo, a cui consegua una seconda impugnazione da
parte dello stesso appellante. Come è noto, il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude
che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un
secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda
impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notifi
cazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve
decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza
legale della sentenza da parte dell'impugnante (13). Pertanto, considerato che il predetto termine per la
proposizione della seconda impugnazione è quello stabilito dall'art. 325 c.p.c., la tardività del gravame
può essere riconosciuta con estrema facilità.
Altra fattispecie, talvolta ricorrente: ai sensi dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, il procuratore che
eserciti il suo ministero in un giudizio radicato fuori della circoscrizione del Tribunale cui è assegnato
deve eleggere domicilio all'atto di costituirsi in giudizio nel luogo dove ha sede l'ufficio giudiziario presso
il quale è in corso il processo, intendendosi, in mancanza di ciò, che egli abbia eletto domicilio presso la
cancelleria di detto giudice; con la conseguenza che tale domicilio assume rilievo anche ai fini della
notifica al procuratore medesimo, idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione (14). Se il
giudice dell'impugnazione, ritenuta la nullità della notifica di essa, ne ordini la rinnovazione ai sensi
dell'art. 291 c.p.c. e questa avvenga nel termine all'uopo assegnato, ma presso detto difensore, pur
essendo decorso, già al momento dell'ordinanza, l'anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata e
dunque in violazione dell'art. 330 ult. comma c.p.c. tale notifica è nulla e l'impugnazione va dichiarata
inammissibile (15).
Ulteriori casi possono riguardare il mancato rispetto del termine per la notificazione dell'atto di
integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, fissato ex art. 331 c.p.c. Come è noto, quest'ultimo
è un termine perentorio, non prorogabile neppure sull'accordo delle parti, non sanabile dalla tardiva
costituzione della parte nei cui confronti doveva essere perfezionato il contraddittorio e la cui
inosservanza deve essere rilevata d'ufficio, anche nel caso di inadempimento parziale dell'ordine di
integrazione, sicché la sua violazione determina, per ragioni d'ordine pubblico processuale,
l'inammissibilità dell'impugnazione (16).
Altra ipotesi: qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo, ai sensi dell'art.
301 c.p.c., quale la morte della parte, si verifichi nel corso del giudizio di primo grado e tale evento non
venga dichiarato né notificato dal difensore della parte alla quale l'evento si riferisce, il giudizio di
impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati e,
quindi, da e contro gli eredi. Diversamente è inammissibile, né può essere invocato il principio di
ultrattività del mandato che, attribuendo al procuratore la possibilità di continuare a rappresentare in
giudizio la parte che gli abbia conferito il mandato e costituendo deroga al principio secondo il quale la
morte del mandante estingue il mandato (secondo la normativa sulla rappresentanza e sul mandato di
cui all'art. 1722, n. 4, c.c.), va contenuto nei limiti della fase del processo in cui si è verificato l'evento
non dichiarato né notificato (17).
Occorre peraltro aggiungere che quelli appena menzionati sono casi statisticamente contenuti, rispetto
alla massa delle sentenze impugnate.
3. FRA RITO E MERITO: IL PROBLEMA DELLA GENERICITÀ DEI MOTIVI
È più frequente ancorché possa essere circoscritta in circa il 15% delle cause che pervengono a
sentenza, con una variazione che dipende anche dall'utilizzo più o meno rigoroso che ne fanno le
singole Corti la ricorrenza di un'ipotesi a cavallo fra il puro rito ed il merito, ossia la declaratoria di
inammissibilità del motivo, per omesso rispetto dei criteri fissati dall'art. 342 c.p.c.
La novella è appositamente intervenuta in questo senso, attraverso l'ampliamento della norma, che,
come anticipato, richiede ora una serie di adempimenti serrati: la fissazione dei punti contestati,
l'individuazione delle violazioni ed il peso di esse rispetto alla decisione finale, nonché un lavoro
certosino di demolizione dell'impalcatura su cui si reggono i profili contestati ed una coeva parte
ricostruttiva, ovviamente nel senso invocato dall'appellante.
Poiché il nuovo art. 342 c.p.c. detta le prescrizioni a pena d'inammissibilità, si potrebbe sostenere che
esso abbia introdotto un'ipotesi di declaratoria con sentenza, avendo sostanzialmente codificato una
fattispecie astratta di inammissibilità, alla stessa stregua dell'art. 348 c.p.c. La tesi, che ha un sicuro
fondamento logico sistematico, tuttavia non appare convincente, giacché sottrarrebbe all'applicabilità
del filtro una serie di processi, che invece dovrebbero essere i primi a subire la selezione, proprio a
causa del loro evidente contrasto con la norma sull'appello.
Ma qual è la base teorica della pronunzia di inammissibilità per genericità del motivo, adesso recepita
dal legislatore, per come si è andata elaborando nel tempo?
Come già è stato ricordato, l'oggetto del giudizio d'appello consiste in una revisio prioris istantiae
nell'ambito dei motivi di gravame, i quali assolvono la funzione di delimitare l'estensione del riesame
domandato e di indicare le ragioni di esso. Proprio la regola della specificità dei motivi, fissata dall'art.
342 c.p.c., comporta che con l'atto d'appello ma eguale regola vale per il ricorso in cassazione devono
essere prospettate tutte le censure rivolte alla sentenza impugnata, le cui statuizioni, non separabili
dalle argomentazioni che le sorreggono, vanno gravate non soltanto con richieste di riforma del decisum
(atto volitivo dell'impugnazione), ma anche con rilievi di fatto e di diritto, volti ad inciderne il
fondamento logico e giuridico (aspetto motivazionale del gravame), non essendo il giudizio d'appello un
iudicium novum con effetto devolutivo generale.
In altri termini, l'appello è strutturato come un mezzo d'impugnazione a «critica libera» diversamente
dal ricorso per cassazione, per il quale è individuata una predeterminazione legislativa delle tipologie di
censura ammesse ma a cognizione vincolata dagli specifici motivi d'impugnazione proposti.
Conseguentemente, il giudice di secondo grado non può condurre la sua indagine su punti definiti in
prima istanza e non oggetto di censura (18).
Gli stessi aspetti relativi all'individuazione del livello di specificità dei motivi sono stati oggetto di un
dibattito, che si è fatto serrato al momento di individuare le conseguenze finora non normativamente
previste derivanti dalla violazione di tale onere In linea di principio, si può affermare che la specificità
vale ad individuare un requisito essenziale dell'atto di appello, consistente nell'esatta determinazione
della materia del contendere del giudizio d'impugnazione.
Secondo la giurisprudenza, il motivo può dirsi specifico (e qualificarsi come tale) allorquando, alle
argomentazioni espresse nella sentenza vengano contrapposte quelle della parte impugnante, volte ad
incrinare il fondamento logico giuridico delle prime (19).
Se, dunque, i motivi non sono in grado di offrire nel loro complesso una «lettura» alternativa
all'impostazione seguita dalla sentenza impugnata, l'appello va ritenuto inammissibile. Si è detto, in
particolare, che l'inammissibilità non è la sanzione per un vizio dell'atto diverso dalla nullità, ma la
conseguenza di particolari nullità dell'appello e del ricorso per cassazione, e non è comminata in ipotesi
tassative ma si verifica ogniqualvolta essendo l'atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo (nel caso
dell'appello, evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) non operi un meccanismo di
sanatoria.
In definitiva, alla stregua della costruzione giurisprudenziale ora accolta dalla riforma essendo
inapplicabile all'atto di citazione di appello l'art. 164 comma 2 c.p.c. (testo originario), per
incompatibilit• in quanto solo l'atto conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 c.p.c. è idoneo a
impedire la decadenza dall'impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza l'inosservanza
dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'art. 342 cit., integra una nullità che determina
l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza
impugnata, senza possibilità di sanatoria dell'atto a seguito di costituzione dell'appellato in qualunque
momento essa avvenga e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi
intervenuta in corso di causa (20).
È nota invece la prevalente opinione contraria della dottrina, che ha sostenuto o la mera irregolarità dei
motivi generici (così da essere sanabili senza limiti di tempo, anche per la mancata previsione di una
qualche sanzione) (21), oppure l'applicabilità della nullità, giacché, non essendo finora prevista dalla
legge la sanzione dell'inammissibilità, il vizio avrebbe dovuto essere considerato non come impeditivo
dell'introduzione del giudizio, ma piuttosto come impeditivo della pronunzia, tutte le volte che l'atto
risultasse inidoneo al conseguimento dello scopo, essendo altrimenti il vizio ricollegabile ad una
semplice irregolarità, suscettibile di essere sanato ai sensi dell'art. 182 comma 1 c.p.c. (22).
Resta da aggiungere che, almeno per il momento, è accaduto raramente che questo strumento potesse
condurre all'inammissibilità dell'intero gravame, giacché normalmente ha colpito singoli motivi. In
particolare, le censure afflitte da carenza di specificità sono state soprattutto quelle riguardanti la
doglianza sulle spese di lite o la mancata ammissione dei capitoli di prova. Per un verso, spesso capita
che alla censura sulla ritenuta abnormità delle spese liquidate non faccia seguito la necessaria menzione
delle voci della tariffa violate o degli scaglioni di riferimento nella specie trascurati (23). Per altro verso,
accade che la contestazione sulle prove non ammesse non contenga la precisa enunciazione della
rilevanza dei singoli capitoli di fronte alla decisione di primo grado, nonché l'incidenza della loro
conferma orale rispetto alla costruzione di un'ipotesi alternativa a quella adottata dal primo giudice. In
altre parole, così come accade per il ricorso per cassazione, il mancato esame di elementi contrastanti
con quelli posti a fondamento della decisione non è ex se sufficiente, dovendo l'appellante dimostrare la
decisività della risultanza processuale non esaminata, ossia che essa sia idonea ad annullare, con
giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze, su cui si è
formato il convincimento della sentenza impugnata, così da privare la ratio decidendi del suo
fondamento logico giuridico (24).
4. LA POTENZIALE APPLICABILITÀ DEL FILTRO NEL MERITO
Superate le questioni in rito, suscettibili di concludere in limine il giudizio d'appello, l'attenzione si
sposta sul merito ed il discorso si fa assai più delicato. L'art. 348-bis c.p.c. riconduce infatti la
declaratoria di inammissibilità alla mancanza di «una ragionevole probabilità di essere accolta».
Diversamente da quanto prevede l'art. 375, n. 5), c.p.c., a proposito del giudizio di cassazione, la
decisione immediata del gravame non è dunque legata ad una prognosi di manifesta fondatezza o
infondatezza del suo contenuto: è sufficiente qualcosa di meno, ossia un apprezzabile grado di
inaccoglibilità.
Restano dunque escluse a priori tutte le ipotesi in cui il gravame sia ictu oculi fondato: basti pensare
all'appello che denuncia violazioni del litisconsorzio necessario (25). Per esse, il mancato inserimento si
spiega con la struttura disegnata dal legislatore e con il ruolo del filtro, quale cerniera fra il primo grado
e la Cassazione. Probabilmente, la valutazione è legata alla prospettiva che una doppia decisione
conforme rafforzi il giudizio, al contrario di quanto può accadere di fronte ad una valutazione differente
fra i due gradi di merito.
Il concetto di ragionevole probabilità, inoltre pur con l'encomiabile intendimento di offrire uno
strumento realmente incisivo rispetto all'emergenza da fronteggiare finisce per essere eccessivamente
generico ed indeterminato (e quindi discrezionale), se dottrina e giurisprudenza non ne fisseranno, al
più presto, i limiti (26). In astratto, si potrebbe affermare che la probabilità di rigetto cominci a divenire
ragionevole, allorquando superi la metà e si attesti almeno al 60%-70% (il che corrisponde, grosso
modo, alla percentuale di conferma in appello delle sentenze di primo grado, secondo la relazione di
accompagnamento al d.l.), in esito ad una delibazione necessariamente sommaria, alla stregua dell' id
quod plerumque accidit.
L'intrinseca fragilità del filtro, a causa dell'opinabilità che lo caratterizza, dovrà anche misurarsi con il
principio, sancito dalla CEDU e ricavabile dall'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo, in forza del
quale, una volta che uno Stato riconosca nel proprio ordinamento interno un particolare grado
d'impugnazione, non può poi valutarlo in maniera eccessivamente discrezionale (27).
Naturalmente, la ragionevole probabilità va esaminata rispetto a ciascuno dei motivi proposti, a
prescindere dal «peso» specifico degli stessi: in altri termini, anche la prospettiva di una riforma
parziale (ad esempio, sul solo regime delle spese di lite) esclude la declaratoria d'inammissibilità, che,
al contrario, dovrebbe essere pronun ziata ove, fermo il dispositivo di primo grado, il giudice d'appello
ritenga di modificare la motivazione della sentenza impugnata (28).
Potranno essere utili i precedenti giurisprudenziali specifici, un esame rapido dei documenti e del
verbale in relazione ai motivi proposti, nonché la valutazione della struttura stessa della motivazione,
rispetto alla contraria impostazione desumibile dai rilievi mossi dall'appellante.
A quest'ultimo proposito, può farsi l'esempio della sentenza che sia sostenuta da una pluralità di
ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali sia giuridicamente e logicamente sufficiente a
giustificare la decisione adottata: l'omessa impugnazione di alcuna di tali ragioni rende inammissibile
per difetto d'interesse la censura sulle altre, perché si determina il passaggio in giudicato dell'autonoma
motivazione non impugnata (29).
Tuttavia, molto dell'attitudine del filtro a deflazionare il giudizio d'appello dipenderà da una serie di
variabili: ed, in questo senso, dopo l'ottimismo della volontà (del legislatore), occorre altresì
considerare il pessimismo della ragione (dell'interprete), alla luce dell'attuale situazione contingente.
5. IL VAGLIO DELLA CASSAZIONE
L'utilità del filtro in appello è, innanzi tutto, condizionata dall'atteggiamento che la Corte di Cassazione
assumerà, di fronte al contenuto della sentenza di primo grado ed a motivi di non agevole
prospettazione che, per un verso, dovrebbero ricalcare il contenuto delle censure di appello (ancorché
con un più ampio spazio di manovra, attesa l'eliminazione del riferimento ai «limiti dei motivi specifici
esposti con l'atto di appello», di cui all'originario d.l.) e, per altro verso, dovrebbero però avere la
struttura prevista dall'art. 360 c.p.c.
Sarebbe stato probabilmente più logico assoggettare al vaglio del giudice di legittimità l'ordinanza di
appello, avendo quest'ultima contenuto sostanziale di sentenza, e non la decisione del primo giudice
(30). Il sistema ideato dalla novella stabilisce invece un rapporto immediato e diretto fra il primo grado
e la Cassazione.
In realtà, la Suprema Corte non potrà fare a meno di valutare altresì almeno incidentalmente anche la
motivazione dell'ordinanza, sia perché quest'ultima contiene la previsione sulle spese di lite, sia perché
anche tale provvedimento può, in astratto, contenere vizi formali e sostanziali, sia perché, infine, la
declaratoria di inammissibilità del gravame incide sull'ampiezza dei motivi denunziabili col ricorso (31).
Si può realisticamente immaginare che una buona parte delle cause incappate nel filtro perverrà
comunque alla Suprema Corte, determinando un aumento del già rilevante impegno lavorativo dei
giudici di legittimità. Così la novella, per evitare l'ulteriore ingolfamento del terzo grado, ha
contestualmente provveduto, da un lato, a limitare il ricorso solo ai motivi di stretta legittimità
(escludendo così il comma 1, n. 5, dell'art. 360 c.p.c.), allorquando le ragioni di fatto esposte
nell'ordinanza siano le medesime della decisione di primo grado, e, dall'altro, a modificare proprio il
comma in questione, che adesso consente il ricorso soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti».
In tal senso, ci si attende che il giudice di legittimità ritenga sufficiente a conferma di un modello già
condiviso dal legislatore la menzione dei soli fatti rilevanti della decisione, ossia il riferimento alle
esclusive ragioni di inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza (32).
Ed in effetti, la realizzazione dell'obiettivo della semplificazione della motivazione attraverso l'ideazione
di modelli organizzativi virtuosi di definizione dei procedimenti è stata ultimamente avvertita anche dai
giudici di legittimità (33).
È emblematica, al riguardo, la posizione assunta circa la pronunzia di sentenza a motivazione
contestuale, ex art. 281-sexies c.p.c., avanti la Corte d'Appello, laddove il rilievo della nullità è stato
ricondotto alla necessità di un comportamento attivo delle parti (34).
In ogni caso, il ricorso per cassazione deve precisare qual è il fatto proprio perché il vizio di motivazione
concerne esclusivamente il fatto (35) in quali termini è stato oggetto di discussione fra le parti, perchè è
decisivo per il giudizio (soprattutto quando si tratta non di un fatto principale, ma secondario).
Ove, poi, la Suprema Corte accolga il ricorso per motivi diversi dalle questioni di giurisdizione e
competenza, rinvierà la causa al giudice che avrebbe dovuto delibare l'appello e dunque allo stesso
ufficio che ha pronunziato l'ordinanza cassata. Si applicano, in tal caso, le norme relative al giudizio di
rinvio (36).
6. LA PREPARAZIONE DELLA PRIMA UDIENZA, L'ORGANIZZAZIONE DEL RUOLO E LA FIGURA
DEL PRESIDENTE DI SEZIONE; LA NECESSARIA COLLABORAZIONE DEL PERSONALE DI
CANCELLERIA
Un fattore altrettanto importante è il modus operandi del giudice e la sua capacità di «leggere» la
norma nel modo più adeguato.
L'art. 348-ter c.p.c. impone, infatti la pronunzia di inammissibilità nel corso dell'udienza di cui all'art.
350 c.p.c. e prima di procedere alla trattazione. La necessità di stendere un'ordinanza sia pur
succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati negli atti di causa ed il
riferimento a precedenti conformi costituirà per il relatore un notevole aggravio della preparazione della
prima udienza. Fra l'altro, l'adeguamento alle nuove disposizioni deve essere pressoché immediato: il
filtro si applica, infatti, ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione, di cui sia
stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge
di conversione del decreto.
Ciò implica, innanzi tutto, l'obbligo della conoscenza approfondita e completa della prima udienza di
trattazione da parte del consigliere: la lettura della sentenza impugnata, della citazione (o del ricorso)
di appello e della comparsa (o della memoria) di risposta consentono al giudice di fare una prima
scrematura fra le impugnazioni che non racchiudono particolari questioni e quelle che, al contrario,
debbono essere convenientemente trattate. È evidente che il filtro di «ragionevole probabilità» può
riguardare solo le prime.
Vanno inoltre escluse quelle che necessitano di una fase istruttoria, non svolta nel corso del giudizio di
primo grado.
Occorre altresì che il giudice sia in grado di governare il proprio lavoro e quindi di avere una visione
d'insieme delle cause assegnategli. L'autorganizzazione del ruolo d'udienza è fondamentale: nel
dibattito interno alla magistratura, si parla adesso di carico sostenibile, ma pochi accennano al rapporto
che è invece decisivo fra il numero di cause sopravvenute e quelle esaurite (non solo con sentenza ma
anche mediante riunioni ex art. 273 c.p.c. o cancellazioni ex art. 309 c.p.c.), settimana per settimana.
In questo senso, anche il Presidente di sezione può svolgere una funzione imprescindibile nell'operare
una cernita delle impugnazioni attribuite alla sezione, magari utilizzando un segno distintivo per
differenziare, fra loro, le cause semplici, medie o complesse. Infatti, diversamente dal primo grado in
cui dall'atto di citazione non è dato comprendere quale sarà lo sviluppo istruttorio del giudizio il
principio di revisio prioris istantiae fa in modo che l'atto introduttivo di appello sia già particolarmente
indicativo della materia del contendere in secondo grado, tanto è vero che la quasi totalità delle cause
che vi pervengono è matura per la decisione sin dalla prima udienza (37). Così, un controllo pregnante
da parte del Presidente, in sede di assegnazione ai consiglieri, oltre che indicare l'approssimativo grado
di difficoltà dei gravami, può servire anche a «calmierare» il peso dei ruoli fra i componenti di una
stessa sezione.
Il «filtro» non potrebbe inoltre avere effetti, senza la fattiva collaborazione del personale ausiliario. In
molti casi, le cancellerie sono vicine al punto di rottura, per i tagli alle piante organiche e per la
mancanza di nuovi concorsi. Ora si chiede ad esse un sacrificio supplementare, anche in termini di
gestibilità della massa di adempimenti primi fra tutti, il reperimento tempestivo dei fascicoli di primo
grado e la comunicazione delle ordinanze - che potrà dare i suoi frutti solo nel medio lungo periodo.
Peraltro, pur di fronte alla consapevolezza della precarietà della situazione, è evidente come soltanto
attraverso uno sforzo condiviso (in cui ciascuno faccia la sua parte) si potranno ottenere i risultati
sperati: occorre dunque richiamare quel «comune sentire» fra tutti gli operatori del sistema giustizia in
Italia, quel «comune sentire» che fa essere squadra, in nome del servizio da rendere ai cittadini.
7. LA COMPATIBILITÀ CON L'ATTUALE PROCESSO D'APPELLO
Va inoltre attentamente valutata la compatibilità fra la selezione preventiva delle impugnazioni e la
struttura del giudizio di appello finora conosciuto (38).
Deve essere premesso che, a seguito dell'introduzione dell'art. 436-bis c.p.c., il filtro trova applicazione
anche nei confronti del rito del lavoro (e, quindi, anche nei confronti delle locazioni): può dunque essere
utilizzato per la generalità dei gravami, con le esclusioni di cui prima s'è detto (laddove è previsto
l'intervento obbligatorio del P.M. e laddove il primo grado si sia svolto col rito sommario).
Poiché l'appellato ha solo la facoltà di costituirsi almeno venti giorni prima dell'udienza di trattazione (se
intende svolgere appello incidentale) e dunque potrebbe benissimo costituirsi in sede di prima udienza
(se ritiene di limitarsi a chiedere la conferma della sentenza impugnata), è evidente che nessuna
decisione potrà essere assunta prima di tale udienza. Proprio perché tutte le impugnazioni saranno
soggette al filtro, ne conseguirà che il collegio dovrà sempre riservarsi la decisione, in esito alla prima
udienza (39). Non è infatti pensabile che anche presso le Corti d'Appello possano essere costituite
sezioni filtro, sia per l'esiguità dei componenti di ciascuna sezione, sia per la diversa impostazione del
gravame rispetto al ricorso: dal punto di vista organizzativo, la soluzione più semplice (e l'unica
compatibile col sistema) resta quella che ciascun consigliere si studi le cause a lui assegnate e poi,
limitatamente a quelle per le quali ritiene possibile l'immediata definizione del giudizio, proceda con il
deposito della relazione.
E, d'altronde, deve essere in ogni caso rispettato il principio del contraddittorio, di cui all'art. 101 c.p.c.
(40), come si è ritenuto opportuno sottolineare in fase di conversione del d.l., mediante l'aggiunta
dell'inciso «sentite le parti». Bisognerà fra l'altro verificare il ruolo giocato da una costituzione tardiva
(ossia oltre la prima udienza), sempre possibile nel corso del giudizio (di primo o di secondo grado), ma
evidentemente preclusa da una decisione immediata.
Se, sciogliendo la riserva, il collegio stabilirà che il filtro non può essere applicato, nulla quaestio, la
causa seguirà l'iter normale. Se, al contrario, dovessero essere ravvisati elementi idonei a concludere
anzitempo il giudizio, la Corte è tenuta a provvedere con ordinanza. In proposito, due erano le
possibilità che avrebbero potuto essere astrattamente prese in considerazione.
La prima ricalca il modello dell'analogo procedimento in cassazione (art. 380-bis c.p.c.): il consigliere
deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possano giustificare la
pronunzia, il presidente fissa con l'ordinanza che scioglie la riserva una nuova udienza, che viene
comunicata insieme alla relazione. A quel punto, sarebbe stata data alle parti facoltà di presentare
memorie, non oltre cinque giorni, e di chiedere di essere sentite, in caso di comparizione. Al termine, la
Corte avrebbe deciso con ordinanza, ovviamente ricorribile per cassazione. Questa interpretazione
rispetta il contraddittorio nel senso più ampio del termine ed è in linea anche con il comma 2 dell'art.
101 c.p.c.
La seconda propone invece una lettura meno rigoristica del principio del contraddittorio, nel senso che
esso si riterrebbe definitivamente perfezionato con i rispettivi atti introduttivi, a cui è demandato il
compito di fissare, una volta per tutte, il thema decidendum. A questo punto, la Corte d'Appello
potrebbe sciogliere la riserva, senza ulteriori interventi delle parti, con una ordinanza che fa propria la
relazione del consigliere designato e che dunque chiude il giudizio.
La scelta fra l'una e l'altra opzione che si potrebbero semplicisticamente chiamare «a contraddittorio
allargato» e «a contraddittorio minimo» risponde ovviamente a differenti criteri di politica giudiziaria:
nel presente momento storico, anche sulla spinta delle pressioni internazionali, l'esigenza prevalente è
quella di ottenere la ragionevole durata del processo.
Così, il legislatore ha mostrato una chiara preferenza nei confronti della seconda soluzione, anche
perché, come è stato autorevolmente rilevato, il principio del doppio grado di giurisdizione di merito non
gode di tutela costituzionale (41), tanto che il giudizio di appello può essere soggetto a limitazioni con
legge ordinaria. D'altronde, la funzione «conclusiva» dell'ordinanza è riequilibrata dalla possibilità del
ricorso in cassazione.
La struttura del filtro prescelta che consegue il risultato di salvaguardare il canone costituzionale della
ragionevole durata del processo, senza vulnerare l'altro principio stabilito dall'art. 111 della Carta
costituzionale, quello del contraddittorio delle parti ha l'indubbio vantaggio di ottenere effettivamente
un sistema per accorciare i tempi del giudizio, ma soprattutto per semplificare la procedura. Non si può
negare che la fissazione di una nuova udienza, la comunicazione alle parti unitamente alla relazione del
consigliere designato, le nuove memorie e la possibilità ulteriore di discutere la causa oralmente
avrebbero finito per essere adempimenti equivalenti a quelli del giudizio ordinario. Il loro compimento
concreto si sarebbe tradotto nelle fasi iniziali, in un'anticipazione dei tempi relativi alle suddette cause,
ma, considerata la necessità di portare avanti parallelamente anche le altre cause, avrebbe
determinato, alla lunga, la paralisi degli uffici di secondo grado
Ne è dunque venuto fuori un sistema articolato, nel quale il filtro è il mezzo processuale per aprire le
porte della Cassazione alla sentenza di primo grado, rischiando però nell'economia complessiva del
giudizio di rimanere un meccanismo fine a sé stesso.
Al giudice di secondo grado, in ogni caso, resta fra le mani uno strumento molto efficace e
potenzialmente devastante: basti pensare ad un'ordinanza ben motivata, ancorché frutto di uno studio
superficiale, che consegua ad una sentenza di primo grado, erronea nei presupposti di fatto ma
altrettanto ben motivata, e che divenga inattaccabile in Cassazione, proprio per la coerenza e logicità
dei passaggi, con la conseguenza che l'eventuale vizio di formazione della volontà della decisione non
riesce a emergere.
Il filtro si rivolge dunque ad un giudice scrupoloso ed intellettualmente onesto (42) ed esige
preparazione giuridica, costante aggiornamento e notevole capacità di sintesi: insomma, tutti quei
requisiti che l'attuale formazione dei magistrati tenta di evidenziare ed esaltare, secondo un'esigenza di
rinnovamento sempre più sentita.
8. CONCLUSIONI
«Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora» (43). A guardar bene, il ragionamento di Guglielmo
di Occam potrebbe essere applicato anche a tutta una serie di fattispecie, per alleggerire il lavoro del
giudice di secondo grado. Il legislatore qualcosa ha fatto, modificando la procedura inerente la c.d.
legge Pinto (e rendendo così solo eventuale la comparizione delle parti, a seguito di opposizione al
decreto pronunziato inaudita altera parte), ma tanto resta ancora da fare. Senza alcuna pretesa di
completezza, ma solo sulla scorta dell'esperienza concreta, si potrebbero citare l'eliminazione delle
memorie di replica (in appello inutili, dato che dovrebbero rispondere alle comparse conclusionali, le
quali già hanno il compito di riassumere una materia del contendere, a sua volta scolpita negli atti
introduttivi), il che farebbe risparmiare tempo e carta, ma anche l'udienza orale dei procedimenti ex
artt. 351 e 373 c.p.c. (di solito l'intervento dei difensori si traduce in una pedissequa ripetizione di
quanto già soste nuto nei rispettivi atti) o il decreto di pagamento ai sensi dell'art. 82 d.P.R. 30 maggio
2002, n.115, allorquando vi sia già una sentenza che liquida le spese del difensore (44).
Tuttavia, per una volta, facciamo prevalere l'ottimismo della volontà sul pessimismo della ragione.
L'importante è proseguire su questa strada, senza farsi paralizzare dalla paura di cambiare: se non si
accetta la sfida dell'Europa, ci porteremo sempre dietro il pesante fardello di un Paese arretrato, almeno
nel settore della giustizia. Bisogna dare atto al legislatore di aver avuto molto coraggio: certo, «chi ha
coraggio rischia di sbagliare. Ma solo gli audaci cambiano il mondo, rendendolo migliore» (45).
NOTE
(1) D.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134.
(2) Parla giustamente di appello come di «cenerentola processuale» CONVERSO, Il processo di appello
dinanzi alla Corte d'Appello, in Giur. it, 1999, 3, 661 ss.. Cfr. altresì la lucidissima e condivisibile analisi
di CEA, L'organizzazione dell'ufficio del giudice civile di appello, in Foro it., 2010, V, 169 ss.
(3) Sul tema, i saggi al momento noti, tutti con accenti fortemente negativi, sono di IMPAGNATIELLO,
Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili:note a prima lettura del d.l. n. 83del 2012, in
www.judicium.it(2012), CAPONI, La riforma dell'appello civile dopo la svolta nelle commissioni
parlamentari, ibidem (2012), MONTELEONE, Il processo civile in mano al governo dei tecnici,. ibidem
(2012) e VERDEProcesso civile. Con un nuovo «filtro» in appello garanzie e tradizione giuridica segnano il
passo, in Guida dir., 2012, 30, 6.
(4) Che è il termine introdotto dalla riforma del 2009, rispetto a quello annuale previsto in precedenza.
Sul punto, CARTUSO, La riforma del c.p.c. Art. 327, in Nuove leggi civ. comm., 2010, 4-5, 917.
(5) Come avviene, ad esempio, quando il primo giudice respinga la domanda di usucapione di una
servitù di passaggio, ritenendo insufficienti le prove orali assunte, e la Corte reputi di confermare la
valutazione negativa, alla luce dei motivi proposti dall'appellante..
(6) Approfondiscono il profilo del filtro in cassazione VITTORIA, Il filtro per l'accesso al giudizio di
legittimità, in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di Ianniruberto e Morcavallo, Milano 2010, 137 ss.;
F. FERRARIS, Primi orientamenti giurisprudenziali sul c.d. «filtro» in Cassazione, in Riv. dir. proc., 2012,
2, 490; SILVESTRI, Note in tema di giudizio di cassazione riformato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010,
3, 1027; DAMIANI, La riforma del c.p.c. art. 375, 376, 380- bis , 380- ter, in Le nuove leggi civili
commentate, Padova 2010, 4-5, 981 ss.; CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle
sentenze, Padova, 2009, 513 ss.; ARIETA, DE SANTIS, MONTESANO, Corso base di diritto processuale civile,
4ª ed., Padova, 2010, 520; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, 585 ss.
(7) BALENA, Il sistema delle impugnazioni civili nella disciplina vigente e nell'esperienza applicativa:
problemi e prospettive, in Foro it., 2001, 6, 5, 121 ss.
(8) Anche quando la parte dichiari di voler impugnare l'intera sentenza, deve sempre corredare l'atto di
appello di specifiche censure, sicché incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini punti della
decisione non specificamente contestati: così Cass. 16 dicembre 2009, n. 26414.
(9) L'art. 347 comma 1 c.p.c., nello stabilire che la costituzione in appello avviene secondo le forme ed i
termini per i procedimenti davanti al tribunale, rende applicabili al giudizio d'appello le previsioni di cui
agli artt. 165 e 166 c.p.c., ma non quella di cui all'art. 171 c.p.c. (concernente la ritardata costituzione
delle parti), la quale è incompatibile con la previsione di improcedibilità dell'appello, se l'appellante non
si costituisca nei termini, di cui all'art. 348 c.p.c. Ne consegue che il giudizio di gravame sarà
improcedibile in tutti i casi di ritardata o mancata costituzione dell'appellante, a nulla rilevando che
l'appellato si sia costituito nel termine assegnatogli (Cass., sez. un., 18 maggio 2011, n.10864, in Foro
it., 2012, 6, 1, 1876, con nota critica di CONSOLO, Può de jure condendo almeno, procedersi ancora ad
un impiego tanto esiziale della nozione di improcedibilità del gravame?). Peraltro, il principio di
consumazione dell'impugnazione, secondo un'interpretazione conforme ai principi costituzioni del giusto
processo, impone di ritenere che, fino a quando non intervenga una declaratoria di improcedibilità,
possa essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti
tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti. Per gli approfondimenti dottrinali, cfr.
CAPORUSSO, Sull'improcedibilità dell'appello per tardiva costituzione dell'appellante, in Foro it., 2010, 2,
1, 616; VULLO, Mancata costituzione dell'appellante e improcedibilità del gravame, in Riv. dir.
proc.,2007, 2, 473.
(10) Secondo Cass. 8 febbraio 2008, n. 3128, l'ordinanza collegiale con la quale sia stata dichiarata
l'improcedibilità dell'appello e la derivante estinzione del giudizio ha il contenuto decisorio di una
sentenza, con la conseguenza che la medesima, ove sia sottoscritta dal solo presidente che non ne
risulti anche relatore o estensore, è viziata da inesistenza giuridica, in quanto non sottoscritta con
l'osservanza delle forme di cui all'art. 132 comma 3 c.p.c.; pertanto, nei confronti di siffatto
provvedimento, sono esperibili i mezzi di impugnazione correlati alla sua natura di sentenza.
(11) Già da tempo, la giurisprudenza esclude la possibilità di dichiarare l'improcedibilità immediata, per
la mancata allegazione di copia della sentenza impugnata (Cass. 17 ottobre 2007, n. 21833). In
dottrina, cfr. BENNI DE SENA, Procedimento in appello e costituzione dell'attore con copia dell'atto di
impugnazione tra formalismo e ragionevolezza, in questa Rivista, 2010, 3, 1, 646; MIOZZO, Note sul
mancato rinvenimento della sentenza appellata, tra principio del contraddittorio, dovere di
collaborazione e notorietà giudiziale, in Giur. it., 2006, 6, 1235.
(12) Cass. 24 giugno 2009, n. 14782; Cass. 25 gennaio 2001, n. 1057; Cass. 1 ottobre 1998, n. 9760.
(13) Cass. 19 aprile 2010, n. 9265; Cass. 8 ottobre 2010, n. 20898. In dottrina RUGGERI, Il principio di
consumazione dell'impugnazione: origine ed applicazioni, in Riv. dir. proc., 2008, 4, 1009.
(14) Cass. 11 aprile 2011, n. 8225. Peraltro, la recentissima Cass., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10143,
ha stabilito il principio in forza del quale l'obbligo di indicare l'indirizzo di pec, operativo per effetto della
legge di stabilità, esonera l'avvocato dall'elezione di domicilio nel luogo dove ha sede l'Autorità
giudiziaria adita, quando si trova a dovere patrocinare una causa fuori dalla circoscrizione del tribunale
presso il cui Albo è iscritto, così reinterpretando l'art. 82 dell'Ordinamento forense (r.d. n. 37 del 1934)
alla luce delle innovazioni recenti.
(15) Cass. 18 ottobre 1997, n. 10246.
(16) Cass. 27 marzo 2007, n. 7528; Cass. 23 luglio 2010, n. 17416.
(17) Cass. 19 marzo 2009, n. 6701, in Giur. it., 2010, 1, 156, con nota di SPACCAPELO, I limiti cronologici
della sopravvenienza del mandato al difensore, in caso di morte della parte rappresentata; Cass. 5
marzo 2009, n. 5387.
(18) Per un'ampia panoramica sul punto cfr. CARRATO, L'oggetto dell'appello ed il requisito della
specificità dei motivi, in Rass. loc. e cond.2006, 4, 313; MANNAIl requisito di specificità dei motivi
d'appello, in questa Rivista, 2010, 6; POLI, Giusto processo e oggetto del giudizio d'appello, in Riv. dir.
proc, 2010, 1, 48.
(19) È chiaro peraltro che la specificità dei motivi deve essere riferita a ciascun capo impugnato ed è
direttamente proporzionale alla maggiore o minore specificità della motivazione della sentenza
appellata.
(20) Cass., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16, ampiamente commentata da BALENA, Nuova pronunzia
delle Sezioni Unite sulla specificità dei motivi d'appello: punti fermi e dubbi residui, in Foro it.2000, 5, I,
1607, e da PROTO PISANI, In tema di motivi specifici d'impugnazione, ibidem, 1615. La giurisprudenza
successiva si è consolidata nello stesso senso: cfr. Cass. 3 agosto 2007, n. 17057; Cass. 16 dicembre
2009, n. 26414; Cass. 19 ottobre 2009, n. 22123. Sul solco di tale orientamento, Cass. 28 aprile 2007,
n. 17960, ha puntualizzato che la specificità dei motivi, richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c., è
direttamente verificabile dal giudice ad quem, riconducendo la censura nell'ambito degli errores in
procedendo, attraverso l'interpretazione autonoma dell'atto di impugnazione. Più di recente, anche
Cass. 10 dicembre 2008, n. 29006, ha ritenuto che la censura di omessa motivazione sulla doglianza di
mancanza di specificità dei motivi di appello abbia per oggetto un error in procedendo, atteso che
l'omessa motivazione costituisce violazione della norma processuale di cui all'art. 132 comma 2, n. 4,
c.p.c. e che non potrebbe costituire errore di giudizio il difetto di quest'ultimo: ne ha così tratto la
conseguenza che detto vizio possa essere direttamente delibato dalla Cassazione mediante esame
diretto degli atti, anche in omaggio al precetto costituzionale sul giusto processo. Secondo Cass., sez.
un., 25 novembre 2008, n. 28057, ai fini della specificità dei motivi richiesta dall'art. 342 c.p.c.,
l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell'appello, possono sostanziarsi
anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò
determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame
di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo
giudice.
(21) SASSANILe Sezioni unite della cassazione e l'inammissibilità dell'atto di appello carente di motivi
specifici, in Riv. dir. proc. civ., 2000, 511 ss.; RASCIO, Ancora sui motivi di appello: il requisito della
specificità e le conseguenze della violazione dell'art. 342 c.p.c. nella giurisprudenza della Suprema
Corte, in Foro it., 2000, I, 218.
(22) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, 18ª ed.,Torino 2006, 458 s.; così
anche BALENA, Sulla rinnovazione spontanea dell'atto di citazione nullo, in Foro it., 2010, 12, 1, 3496 e
PROTO PISANI, In tema di motivi specifici, cit.
(23) Secondo Cass. 21 ottobre 2009, n. 22287, l'impugnazione del capo di sentenza relativo alla
liquidazione delle spese giudiziali non può essere accolta se con essa non vengano specificate le singole
voci che la parte assume come alla stessa spettanti e non riconosciute, non essendo il giudice del
gravame vincolato in alcun modo da eventuali determinazioni quantitative formulate dalla medesima
parte impugnante in difetto della individuazione degli specifici errori che essa attribuisce al giudice come
commessi nella decisione impugnata.
(24) Così BONI, La motivazione della sentenza in grado d'appello, Relazione tenuta al Corso CSM in
Roma 14-16 febbraio 2011. Cfr. anche Cass. 17 novembre 2009, n. 24221.
(25) Cass. 20 gennaio 2010, n. 921; Cass. 18 febbraio 2010, n. 3933.
(26) Cfr. IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese cit., secondo il quale «la norma dischiude spazi
pericolosamente ampi, destinati a dilatarsi o a restringersi in dipendenza di fattori esterni, quali i carichi
di lavoro dell'ufficio, la maggiore o minore scopertura di organico, l'incidenza dei procedimenti ex legge
Pinto».
(27) Cfr. le decisioni Markovic vs. Italia del 14 dicembre 2006; Gallucci vs. Italia del 12 giugno 2007.
Per un inquadramento in sede europea si veda altresì il testo della raccomandazione n. 95 (1)
[European Committee on Legal Cooperation(CDCJ)] del 10 gennaio 1995, nonché CHIZZINI, L'equo
processo CEDU quale quadro di riferimento normativo per i procedimenti davanti alle Autorità
indipendenti nazionali (ed alla Commissione europea). Note generali, in Il giusto processo civ., 2012, 2,
343. CAPONI, La riforma dell'appello civile cit., par. 7, ritiene invece la compatibilità della riforma con i
principi CEDU.
(28) Come nell'ipotesi in cui, accogliendo il gravame rispetto a questioni preliminari, reputi però di
respingerlo nel merito.
(29) Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753.
(30) CAPONI, La riforma dell'appello civile cit, fa peraltro notare che la pronunzia di inammissibilità non
ha carattere sostitutivo.
(31) È quanto nota, acutamente, IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese, cit.
(32) La conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132 comma 2, n. 4, c.p.c. non richiede
l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio
posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare
l'esigenza di un'adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e
coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso,
che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l''iterr
seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente
incompatibili con la decisione adottata (Cass. 12 aprile 2011, n. 8294; Cass. 4 marzo 2011, n. 5241).
In dottrina, cfr. RORDORF, Nuove norme in tema di motivazione delle sentenze e di ricorso per
Cassazione, in Riv. dir. proc., 2010, 1, 134.
(33) In tal senso va il decreto del Primo Presidente della Corte di Cassazione del 22 marzo 2011, noto
come do decalogo. Cfr, altresì, la recentissima Cass. 4 luglio 2012, n. 11199.
(34) La Suprema Corte riconosce che, nel giudizio di gravame dinanzi alla corte d'appello, non è
applicabile l'art. 281-sexies c.p.c., che disciplina la decisione a seguito di trattazione orale nel
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, dovendosi invece fare riferimento
esclusivo a quanto dettato dal secondo comma dell'art. 352 c.p.c. Aggiunge, tuttavia, che, qualora la
corte d'appello abbia applicato l'art. 281-sexies citato, seguendo la relativa disciplina, la nullità del
procedimento è sanata, ai sensi dell'art. 157 comma 2 c.p.c., ove, a fronte dell'invito rivolto alle parti di
discutere oralmente la causa nella stessa udienza, quest'ultime non si oppongano, né richiedano il
termine per il deposito della comparsa conclusionale e della memoria di replica, in tal modo omettendo
di tenere il comportamento processuale necessario per indurre il Collegio a procedere nelle forme
ordinarie, restando altresì esclusa la violazione dei principi regolatori del giusto processo, ex art. 360bis comma 1, n. 2, c.p.c., là dove le stesse parti abbiano avuto la possibilità di svolgere appieno le
proprie difese (Cass. 13 ottobre 2011, n. 21216; Cass. 13 aprile 2012, n. 5891). Nessun dubbio,
invece, circa l'applicabilità della norma al giudizio di appello avanti il tribunale in funzione monocratica
(Cass. 8 novembre 2011, n. 23202).
(35) Cass. 14 febbraio 2012, n. 2107. Pertanto, ove il giudice di merito abbia correttamente deciso le
questioni di diritto sottoposte al suo esame, anche senza fornire in proposito alcuna motivazione
(ovvero fornendone una insufficiente, illogica o contraddittoria), il giudice di legittimità, ai sensi dell'art.
384 c.p.c., potrà sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata.
(36) Ne consegue che, pur di fronte ad un processo di secondo grado che, secondo la Suprema Corte,
avrebbe dovuto celebrarsi, il ricorrente potrà contare su un normale giudizio di rinvio, che, ai sensi
dell'art. 394 c.p.c., offre garanzie più ridotte rispetto all'appello, ad esempio in termini di ammissibilità
di nuove prove, ex art. 345 comma 3 c.p.c. Secondo CAPONI, La riforma dell'appello civile cit.,
nell'ipotesi di accoglimento del ricorso per cassazione, l'ordinanza (anche nella parte delle spese) deve
ritenersi caducata ex art. 336 comma 2 c.p.c.
(37) CEAL'organizzazione dell'ufficio, cit.
(38) IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese, cit., si occupa diffusamente del parallelismo fra l'art. 348-bis
c.p.c. e la modifica della disciplina dell'inibitoria di cui agli artt. 351 e 352 c.p.c. introdotta dalla l. n.
183 del 2011, con toni ragionatamente critici.
(39) L'interpretazione letterale dell'art. 348-ter c.p.c., che sembrerebbe consentire la declaratoria di
inammissibilità addirittura all'esordio della prima udienza di trattazione, non è dunque praticabile.
(40) In tal senso cfr. MOCCI, Principio del contraddittorio e non contestazione in Riv. dir. proc., 2011, 2,
316, nonché BUOCRISTIANI, Il nuovo art. 101 comma 2 c.p.c. sul contraddittorio e sui rapporti fra parte e
giudici, ibidem, 2010, 2, 399. Più in generale, è utilissimo il contributo di CHIARLONI, Efficienza della
giustizia, formalismo delle garanzie e sentenze della terza via, in Giur. it., 2011, 1, 207.
(41) PIZZORUSSO, Manuale di istituzioni di diritto pubblico, Napoli, 1997; F. PERONI, Giusto processo e
doppio grado di giurisdizione nel merito, in Riv. dir. proc., 2001, 3, 2, 710 ss. Afferma che la privazione
del secondo grado di giudizio di merito non comporta di per sé lesione del diritto di difesa C. cost. 31
dicembre 1986 n. 30, in Foro it., 1987, I, 2962. Per un inquadramento generale, cfr. SERGES, Il valore
del giudicato nell'ordinamento costituzionale, in Giur. it., 2009, 12, 2819.
(42) Lo sottolinea giustamente VERDE,Processo civile, cit.
(43) È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.
(44) Sembrerebbe logico ritenere che, ove il giudice abbia provveduto con sentenza alla liquidazione
delle spese in favore del patrocinato, il decreto sia pleonastico. Ed, invece, è stato di recente ribadito
che nei giudizi previsti dalla l. 4 maggio 1983, n. 184, secondo il disposto degli art. 82 e 143 d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, i diritti e gli onorari dei difensori delle parti, ammesse al patrocinio a spese dello,
Stato, sono liquidati dal giudice del singolo grado di giudizio con decreto di pagamento a carico
dell'amministrazione dello Stato, tenuto conto, per ogni singolo difensore, della qualità e della quantità
dell'attività difensiva svolta, in misura non superiore alla media tra massimi e minimi tariffari e,
comunque, non inferiore a tali minimi (Cass. 31 marzo 2011, n. 7504).
(45) MARTINI, Il coraggio della passione, Milano, 2010.
Utente: ROSSETTI MARCO
Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A.