Infezioni in ematologia - Ematologia La Sapienza
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Infezioni in ematologia - Ematologia La Sapienza
EMATOLOGIA 1 direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati INFEZIONI IN EMATOLOGIA: EPIDEMIOLOGIA, PROFILASSI, CLINICA E TERAPIA Corrado Girmenia, Giuseppe Gentile Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università “La Sapienza”, Roma 11 EMATOLOGIA DIRETTORI DELLA COLLANA Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università “La Sapienza”, Roma ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA REDAZIONE P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova Tel. 010/5458611 - Fax 010/541761 E-mail: [email protected] http: //www.accmed.net DIREZIONE Luigi Frati - Stefania Ledda COORDINAMENTO EDITORIALE Gabriella Allavena PROGETTO GRAFICO Giorgio Prestinenzi IMPAGINAZIONE Maria Grazia Granata PROMOZIONE Luisa Baggiani SERVIZIO STAMPA EFFE - Via Cesiolo, 10 - 37126 Verona © 1999 Forum Service Editore s.c.a r.l. P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova Distributore unico per l’Italia: Del Porto S.p.A. - Via Meucci, 17 - 43015 Noceto (PR) Tel. 0521/620544 - Fax 0521/627977 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell'editore INDICE INTRODUZIONE 1 FATTORI PREDISPONENTI LO SVILUPPO DELLE INFEZIONI OPPORTUNISTE 2 EPIDEMIOLOGIA E CLINICA DELLE INFEZIONI NEL PAZIENTE EMOPATICO IMMUNOCOMPROMESSO 3 PROFILASSI 4 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE IMMUNOCOMPROMESSO CON FEBBRE 5 CONSIDERAZIONI RELATIVE A PARTICOLARI CATEGORIE DI PAZIENTI IMMUNOCOMPROMESSI 6 BIBLIOGRAFIA GENERALE 7 LE DIAPOSITIVE ABBREVIAZIONI ARA-C ARDS BAL CDC CMI CMV CSE EBNA EBV EIA G-CSF GIMEMA GM-CSF GVHD HBeAg HBsAg HBV HIV HSV HVZ IATCG Ig MHC PCR PMN RIA RMN RSV SNC TAC TMO VZIG citosina-arabinoside adult respiratory distress syndrome lavaggio bronco-alveolare Centers for Disease Control and prevention concentrazione minima inibente Cytomegalovirus cellule staminali emopoietiche antigeni nucleari del virus Epstein-Barr Epstein-Barr virus immunodiagnosi con anticorpi monoclonali e policlonali granulocyte colony-stimulating factor Gruppo Italiano Malattie Ematologiche Maligne dell’Adulto granulocyte-macrophage colony-stimulating factor graft versus host disease antigene “e” del virus dell’epatite B antigene superficiale del virus dell’epatite B virus dell’epatite B virus dell’immunodeficienza umana virus Herpes simplex Herpes varicella zoster International Antimicrobial Therapy Cooperative Group immunoglobuline complesso maggiore di istocompatibilità polymerase chain reaction polimorfonucleati indagini radioimmunologiche risonanza magnetica nucleare virus respiratorio sinciziale sistema nervoso centrale tomografia assiale computerizzata trapianto di midollo osseo immunoglobuline anti-varicella zoster 1 INTRODUZIONE Dagli anni ‘60 in poi, grazie all’avvento e ai progressi della chemioterapia antineoplastica, si è assistito a un’aumentata sopravvivenza e guarigione dei pazienti con cancro. Tuttavia, la diffusione dei trattamenti chemioterapici e immunosoppressori, ha rapidamente evidenziato il grave rischio infettivo rappresentato dalla granulocitopenia e dalle alterazioni della immunità cellulo-mediata e umorale. L’elevata e rapida mortalità associata alle complicanze infettive, soprattutto in corso di grave neutropenia, ha indotto alla standardizzazione di un particolare approccio clinico alla febbre che compare in questi pazienti caratterizzato da una rapida e accurata valutazione diagnostica e dall’inizio di un trattamento antibiotico empirico. Il concetto di terapia antibiotica empirica è oggi universalmente accettato e rappresenta la pietra miliare nel trattamento della febbre nel paziente immunocompromesso neutropenico. Infatti, tale comportamento terapeutico ha condotto a una drammatica riduzione della letalità precoce legata alle sepsi da batteri Gram-negativi anche se oggi, grazie all’uso di una corretta profilassi, tali infezioni sono divenute meno frequenti. Nei pazienti emopatici immunocompromessi, parallelamente ai miglioramenti ottenuti sia nel trattamento che nella prevenzione delle complicanze infettive si osserva un continuo cambiamento della epidemiologia delle infezioni. Vari fattori quali l’aumento del numero di pazienti sottoposti a chemioterapia antineoplastica in regime ambulatoriale, l’uso di cateteri venosi centrali a permanenza, l’uso di schemi di chemioterapia sempre più aggressivi e immunosoppressivi, come il trapianto di cellule staminali, favoriscono questi cambiamenti. A questo si aggiunge anche un’aumentata incidenza di infezioni da germi multiresistenti e da nuovi patogeni probabilmente associata anche all’esteso uso di antibatterici e antifungini azolici sia come profilassi che come terapia. Lo sviluppo di nuovi antibiotici ad ampio spettro, più potenti e meno tossici, apre nuove e promettenti possibilità nella scelta della terapia antibiotica empirica quali: l’uso di una monoterapia al posto di combinazioni antibiotiche, di monosomministrazioni giornaliere al posto di somministrazioni multiple. A questo si aggiunge la comparsa nell’armamentario farmaceutico dei fattori di crescita, quali il G-CSF (granulocyte colony-stimulating factor) e il GM-CSF (granulocyte-macrophage colony-stimulating factor): la loro influenza sulla durata della neutropenia, potrebbe contribuire sia alla prevenzione che al trattamento delle infezioni nei pazienti con neoplasie ematologiche e non, anche se la INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 1 potenziale tossicità e l’elevato costo di questi prodotti impone una loro attenta valutazione e una precisa definizione della loro applicazione clinica. Nonostante il tentativo di standardizzare e uniformare l’approccio clinico e terapeutico alle complicanze infettive nei pazienti emopatici immunocompromessi, l’ampio spettro delle malattie ematologiche e degli stati di immunocompromissione condizionano un’estrema variabilità nei tipi e nell’espressione clinica delle infezioni. Di conseguenza l’approccio ottimale a tali complicanze comporta un adattamento delle risorse cliniche, microbiologiche e terapeutiche a ogni singolo paziente. Tali continui cambiamenti nell’epidemiologia delle infezioni, nei quadri clinici dei pazienti immunocompromessi e negli strumenti terapeutici disponibili, offrono ovviamente motivi di controversie sulla migliore gestione delle complicanze infettive e impongono ai clinici continui aggiornamenti. E 2 M A T O L O G I A FATTORI PREDISPONENTI LO SVILUPPO DELLE INFEZIONI OPPORTUNISTE 2.1 LA NEUTROPENIA Delle numerose alterazioni dello stato immunitario che potenzialmente interessano i pazienti emopatici la neutropenia è probabilmente la più importante in quanto predispone i pazienti a un elevato numero di infezioni, può condizionarne la prognosi e spesso non si associa a tipici segni e sintomi infettivi. Nei pazienti con emopatie maligne o altre neoplasie in trattamento citostatico, la relazione tra neutropenia e gravi complicanze infettive è stata chiaramente individuata soprattutto per le infezioni batteriche e fungine, meno per quelle virali e protozoarie. Già nel 1966 Bodey e coll. (1) avevano osservato che il rischio infettivo aumentava in modo significativo quando il numero dei neutrofili scendeva al di sotto di 1000/mm3 ed era particolarmente elevato nei pazienti con grave neutropenia (PMN<100/mm 3 ) (Tabella 1). Ulteriori fattori che condizionano l’incidenza e la prognosi delle infezioni sono la durata e la rapidità con cui compare la neutropenia. Infatti, un elevato rischio infettivo si può associare a una modica ma prolungata neutropenia (<1 000/mm 3 per più di 4 settimane), a una profonda anche se breve neutropenia (<100/mm 3 per meno di sette giorni) o a una modica neutropenia nella fase di grave citoriduzione post-chemioterapia. Inoltre, il rischio infettivo in corso di neutropenia dipende anche da altri fattori associati quali una grave mucosite o lo stato più o meno avanzato della malattia ematologica. Infine, nei pazienti affetti da emopatie non neoplastiche, come l’aplasia midollare e l’agranulocitosi, la neutropenia cronica espone indubbiamente a un elevato rischio infettivo, ma spesso di minore entità rispetto a quello comunemente osservato nei pazienti con neutropenia indotta da chemioterapici. In sintesi, il rischio infettivo correlato alla neutropenia si basa sulle seguenti condizioni la cui definizione è ormai universalmente adottata: 1. neutropenia: numero di granulociti neutrofili inferiore a 500/mm3 INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 3 2 Associazione tra grado e durata della neutropenia e incidenza di gravi complicanze infettive Tabella 1 Riduzione del numero dei neutrofili (per mm3) Rischio infettivo (%) in relazione alla durata della neutropenia (in settimane) 1 2 000 - 1500 2 1 500 - 1000 5 1 000 - 500 10 500 - 100 19 ²100 28 2 3 4 6 10 30 45 50 65 70 12 14 85 100 50 72 85 100 Adattato da Bodey et al., (1). 2. neutropenia grave: numero di granulociti neutrofili inferiore a 100/mm 3 3. neutropenia prolungata: durata della neutropenia maggiore di sette giorni 4. neutropenia cronica: neutropenia della durata di settimane o mesi correlata a una patologia iporigenerativa neoplastica o non del midollo osseo. 2.2 ALTERAZIONE QUALITATIVA DEI NEUTROFILI L’attività antimicrobica dei granulociti e dei monociti coinvolge complesse interazioni tra cellula, microorganismo e sede dell’infezione. Le patologie ematologiche si possono associare ad anomalie qualitative dei granulociti tra cui le alterazioni della chemiotassi, della fagocitosi, dell’attività microbicida intra ed extracellulare. Numerosi studi hanno documentato importanti difetti dell’attività dei granulociti neutrofili in pazienti con leucemia mieloide e linfoide acuta e in soggetti affetti da mielodisplasie o sindromi preleucemiche, ed è stata individuata una correlazione tra ridotta attività mieloperossidasica dei neutrofili e maggiore incidenza di complicanze infettive (2-4). Deficit qualitativi dell’attività fagocitaria possono essere determinati dalle stesse terapie citostatiche e immunosoppressive impiegate nel trattamento E 4 M A T O L O G I A delle emopatie. I chemioterapici in grado di determinare aplasia causano anche una momentanea soppressione della funzione fagocitaria (5-7). L’irradiazione corporea totale, praticata prima di un trapianto di midollo, ha effetti analoghi (8). I corticosteroidi riducono la reazione infiammatoria e deprimono la funzione fagocitaria oltre a incrementare il rischio infettivo a causa dell’effetto negativo a livello delle barriere muco-cutanee, della funzione linfocitaria, della produzione di citochine e della risposta umorale (9, 10). 2.3 ALTERAZIONI DELL’IMMUNITÀ CELLULO-MEDIATA Deficit dell’immunità cellulare è una definizione molto ampia ma pratica, che consente di selezionare pazienti esposti a infezioni da parte di agenti che hanno in comune la capacità di moltiplicarsi dentro le cellule. Nei soggetti normali, alcuni di questi agenti patogeni sono responsabili di infezioni la cui espressione clinica è generalmente benigna, talora inapparente, solo eccezionalmente grave (es. varicella, herpes). La maggior parte di questi agenti rimane quiescente nell’organismo e si riattiva solo in presenza di deficit dell’immunità cellulare (es. Herpesvirus, Mycobacterium tuberculosis), mentre alcuni di questi microorganismi non provocano praticamente mai infezione nell’immunocompetente (es. Pneumocystis carinii, micobatteri atipici, nocardia, criptococco). Alterazioni dell’immunità cellulare sono soprattutto presenti nei pazienti affetti da malattie del sistema linfoproliferativo, oppure nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche e in quelli in trattamento immunosoppressivo. La radioterapia, l’azatioprina, la ciclofosfamide, la ciclosporina, i corticosteroidi, il siero antilinfocitario posseggono modalità di azione ed effetti differenti sui meccanismi dell’immunità cellulare (11, 12). Tali effetti si sovrappongono inoltre al deficit immunitario legato alla emopatia di base. La malattia di Hodgkin e i linfomi non Hodgkin si associano a una intrinseca alterazione dell’immunità cellulo-mediata che può persistere anche dopo la guarigione e la fine della terapia. Pazienti in remissione di malattia, infatti, presentano ancora un aumentato rischio di sviluppare determinate infezioni come ad esempio da virus Herpes varicella zoster (HVZ). Alterazioni dell’immunità cellulo-mediata sono presenti anche in pazienti emofilici che hanno ricevuto concentrati di fattore VIII e non solo in quelli che hanno contratto l’infezione da HIV (13). Pazienti affetti da talassemia e anemia falciforme presentano alterazioni immunitarie sulla cui importanza clinica, tuttavia, vi sono ancora dubbi (14). INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 5 2 2.4 ALTERAZIONI DELL’IMMUNITÀ UMORALE Le immunoglobuline (Ig), supporto dell’immunità umorale e prodotte dai linfociti B, neutralizzano taluni agenti patogeni e alcune tossine, favorendo la fagocitosi. In presenza di alcune patologie, l’incapacità di sintetizzare rapidamente le IgM rende conto della rapidità d’evoluzione e della gravità delle infezioni da batteri capsulati, come nel caso dello Streptococcus pneumoniae in pazienti splenectomizzati. Il mieloma multiplo si associa frequentemente a difetti dell’immunità umorale (15), il cui grado dipende dallo stadio della malattia ematologica. Le plasmacellule maligne inducono la produzione di una proteina sintetizzata dai macrofagi che selettivamente sopprime la funzione dei linfociti B. Per tali motivi, i pazienti affetti da mieloma multiplo sono particolarmente soggetti a infezioni da germi capsulati come S. pneumoniae, H. influentiae o Neisseria spp. Anche i pazienti con leucemia linfatica cronica a cellule B sembrano avere un difetto intrinseco dei linfociti B clonali alla base di una incongrua sintesi di catene di Ig con conseguente ipogammaglobulinemia. L’incidenza di complicanze infettive in tali pazienti si correla con la durata e lo stadio della malattia oltre che con i livelli sierici di Ig, in particolare IgG. Il ruolo preciso delle alterazioni dell’immunità umorale nelle altre emopatie non è ben chiaro. Il complemento è un insieme complesso di proteine che favoriscono la fagocitosi e partecipano alla lisi batterica. I deficit congeniti di talune frazioni del complemento espongono a infezioni specifiche (ad esempio da meningococco). Al contrario, i trattamenti immunodepressivi non producono in tal senso deficit significativi. 2.5 ALTERAZIONI DELLE BARRIERE MUCO-CUTANEE La cute e le superfici mucose rappresentano una importante difesa primaria nei confronti di agenti patogeni endogeni ed esogeni. I pazienti immunocompromessi frequentemente presentano alterazioni nell’integrità di tali barriere. Esse possono essere causate dall’invasione da parte di cellule maligne, dagli effetti citotossici della chemioterapia e radioterapia, dall’impiego di manovre invasive a scopo diagnostico o terapeutico (es. catetere venoso centrale) o da infezioni superficiali (es. H. simplex). L’alterazione della barriera muco-cutanea espone a infezioni da parte di germi che normalmente colonizzano la cute o il tratto gastroenterico. Come verrà ampiamente discusso in seguito, l’uso di cateteri venosi centrali è probabilmente alla base dell’elevata incidenza di sepsi da cocchi e bacilli Gram-positivi, mentre la grave mucosite orale e gastrointestinale permette l’ingresso in circolo di germi colonizzanti il cavo orale e l’intestino come streptococchi viridanti, bacilli Gram-negativi o lieviti. E 6 M A T O L O G I A EPIDEMIOLOGIA E CLINICA DELLE INFEZIONI NEL PAZIENTE EMOPATICO IMMUNOCOMPROMESSO 3.1 INFEZIONI BATTERICHE Nell’ultima decade, l’epidemiologia delle batteriemie nel paziente neutropenico si è modificata; si è assistito a un progressivo incremento delle sepsi da Gram-positivi e a una diminuzione di quelle da Gram-negativi. Le ragioni di questa modifica del quadro epidemiologico sembrano molteplici: l’incrementato uso del catetere venoso centrale e l’utilizzo in profilassi dei fluorochinoloni sembrano rappresentare i fattori probabilmente più importanti (16). In particolare, la profilassi con fluorochinoloni si è dimostrata in grado di ridurre nettamente le sepsi da Gram-negativi, ma non egualmente efficace è risultata nel controllo delle infezioni da cocchi Gram-positivi (17). Nella Figura 1 è riportato il trend etiologico delle batteriemie monomi- Figura 1 • Trend etiologico delle batteriemie negli studi dell’IATCG-EORTC 80 Gram-positivi 70 60 50 % 40 30 Gram-negativi 20 10 0 73-78 78-80 80-83 83-86 86-88 88-91 91-93 93-94 Anni: 1973-1994 INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 7 3 crobiche negli studi dell’International Antimicrobial Therapy Cooperative Group (IATCG) dell’EORTC che mostra il cambiamento dinamico dell’epidemiologia nei pazienti onco-ematologici. La Figura 2 riporta l’andamento delle sepsi in pazienti emato-oncologici osservati presso il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’Università “La Sapienza” di Roma dal 1970 al 1995. Ciò che risalta maggiormente è l’evidente diminuzione dei bacilli Gram-negativi con il corrispettivo aumento dei batteri Gram-positivi e, in particolare, degli stafilococchi coagulasi-negativi che rappresentano attualmente i microorganismi di più frequente isolamento dal sangue di pazienti neutropenici. Figura 2 • Trend etiologico delle sepsi* 90 80 70 Gram-positivi 60 % 50 40 30 Gram-negativi 20 Polimicrobiche+anaerobi 10 Funghi 0 70-81 82-84 85-87 88-91 92-94 95-96 Anni: 1970-1996 *Ematologia, Università “La Sapienza”, Roma In due trial successivi, condotti dal GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto) Infection Program negli anni ‘88-’89 e ‘90’91, in pazienti neutropenici profilassati con chinoloni (18, 19), le batteriemie da Gram-positivi sono passate dal 64% all’89% del totale (Figura 3). Nella casistica GIMEMA, gli stafilococchi coagulasi-negativi si confermano i patogeni documentati più frequentemente (44% e 47%) e la ricomparsa dello Staphylococcus aureus, che incrementa dall’8% al 27%, può essere correlata al concomitante aumento di ceppi di S. aureus resistenti ai chinoloni (dal 31% al 68%). Gli streptococchi del gruppo viridans sono passati dal 41% al 21% delle sepsi, e per tale decremento non sembra esservi una spiegazione valida e in ogni caso non appare imputabile alla riduzione delle infezioni a carico E 8 M A T O L O G I A Figura 3 • Trend etiologico delle batteriemie in due studi successivi del GIMEMA Infection Program 89 90 Gram-positivi Gram-negativi 80 70 64 60 50 % 36 40 30 20 11 10 0 GIMEMA I (88-90) GIMEMA II (90-92) del cavo orale. La prevalenza degli stafilococchi coagulasi-negativi e la persistente rilevanza degli streptococchi viridanti è confermata anche nella esperienza dei trial dell’EORTC (Figura 4). Gli streptococchi del gruppo viridans, in particolare S. mitis e S. sanguis II, preval- Figura 4 • Trend etiologico delle batteriemie da Gram-positivi negli studi dell’IATCG-EORTC 70 60 50 40 % 30 20 10 0 73-78 80-83 Gram-positivi INFEZIONI IN EMATOLOGIA 86-88 Anni: 1973-1994 91-93 S. coagulasi-negativi : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI Streptococchi viridanti , CLINICA E TERAPIA 9 3 gono anche in altre casistiche essendo responsabili sino al 40% circa delle batteriemie in corso di neutropenia. Le possibili complicanze sono rappresentate dall’adult respiratory distress syndrome (ARDS), dallo shock, e, più raramente, dall’endocardite. La mortalità varia dal 6% al 30%. I fattori di rischio specifico per le batteriemie da streptococchi del gruppo viridans nel paziente neutropenico sembrano essere rappresentati da: grave neutropenia (PMN <100/mm3 ), profilassi antibiotica (chinoloni, co-trimossazolo), utilizzo di dosi elevate di citosinaarabinoside (ARA-C), presenza di mucosite orofaringea e massiccia colonizzazione da parte di tali microorganismi. L’uso profilattico di penicillina può indurre l’emergenza di ceppi resistenti (20, 21). Altri batteri Gram-positivi che possono più raramente causare infezione in corso di neutropenia sono Bacillus spp. (spesso correlati alla presenza del catetere venoso centrale), Corynebacterium jeikeium (correlato alla presenza del catetere venoso centrale e frequentemente sensibile solo ai glicopeptidi), Streptococcus faecium (uno streptococco del gruppo D che può essere resistente alla vancomicina) e Lactobacillus (che può essere resistente alla vancomicina). L’incremento progressivo delle batteriemie da cocchi Gram-positivi si è accompagnato a un contemporaneo calo di quelle causate dai bacilli Gram-negativi (Figura 5). Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae sono i Gram-negativi più frequentemente isolati dal sangue nella maggior parte dei centri onco-ematologici, e in genere sono a partenza dal tratto gastroenterico o dalle vie urinarie. Altre enterobatteriacee che Figura 5 • Trend etiologico delle batteriemie da Gram-negativi negli studi dell’IATCG-EORTC 80 70 60 50 % 40 30 20 10 0 73-78 80-83 86-88 91-93 Anni: 1973-1994 Gram-negativi E 10 M A T O L O G E. coli I A P. aeruginosa possono causare gravi infezioni nei pazienti neutropenici sono Enterobacter spp., Citrobacter spp. e Serratia marcescens che possono facilmente diventare resistenti agli antibiotici beta-lattamici grazie alla capacità di produrre beta-lattamasi. Un altro bacillo Gram-negativo con caratteristiche di multiantibioticoresistenza emergente negli ultimi anni nei centri onco-ematogici è lo Stenotrophomonas maltophilia (22). Lo Stenotrophomonas maltophilia, un tempo detto Pseudomonas maltophilia, poi Xantomonas maltophilia, è un batterio Gram-negativo non fermentante. Una caratteristica, che conferisce a questo batterio una facilità alla contaminazione ambientale, è data dal fatto che è poco esigente dal punto di vista nutritivo ed è in grado di infettare anche le sostanze disinfettanti. I quadri clinici in corso di sepsi da parte di questo microorganismo sono simili a quelli che si osservano per Pseudomonas aeruginosa ma con un particolare tropismo per le infezioni del catetere venoso centrale. Tuttavia, una problematica rilevante nelle infezioni da Stenotrophomonas maltophilia è il particolare tipo di antibioticoresistenza del microorganismo. La maggior parte dei ceppi è resistente agli aminoglicosidi, alle penicilline ad ampio spettro, alle cefalosporine di terza generazione, ai carbapenemici (23) mentre molti ceppi sono sensibili al co-trimossazolo. Di conseguenza, tali caratteristiche espongono al rischio che gli schemi di terapia antibiotica empirica comunemente impiegati nei pazienti onco-ematologici neutropenici siano inadeguati in corso di sepsi da Stenotrophomonas maltophilia. È indubbio il ruolo che hanno avuto i fluorochinoloni nel decremento delle infezioni da bacilli Gram-negativi: nei trial I e II del GIMEMA Infection Program le batteriemie monomicrobiche da Gram-negativi sono state documentate rispettivamente nel 3.2% (20 su 619 episodi) (18) e nell’1.6% (13 su 822 episodi) (18, 19) degli episodi di neutropenia febbrile. Questa virtuale “scomparsa” delle batteriemie da Gramnegativi sembra essere conseguente alla efficace decontaminazione intestinale che farmaci come norfloxacina e ciprofloxacina sono in grado di operare nei confronti dei Gram-negativi. Occorre però sottolineare come l’utilizzo protratto nel tempo dei fluorochinoloni in profilassi possa avere favorito l’emergenza e la progressiva prevalenza di ceppi resistenti; sono sempre più frequenti le segnalazioni di batteriemie da E. coli resistenti, in corso di profilassi con fluorochinoloni (24). Anche nell’esperienza dei trial GIMEMA, le batteriemie da bacilli Gram-negativi, seppure infrequenti, sono causate da microorganismi multiresistenti e difficili da trattare. Il 20% circa dei bacilli Gram-negativi isolati da emocolture è infatti rappresentato da Pseudomonas aeruginosa e non-aeruginosa che risultano resistenti ai chinolonici e largamente resistenti (60-70%) ad aminoglicosidi e cefalosporine di terza generazione. I microorganismi anaerobi possono raramente essere causa di infezione in corso di neutropenia (25, 26). I più frequentemente iso- INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 11 3 lati sono il Bacteroides fragilis e il Clostridium spp., entrambi normali colonizzanti del tratto gastroenterico, e che, infatti, causano infezioni in presenza di alterazioni della barriera mucosa intestinale. Le infezioni da B. fragilis sono solitamente poco aggressive al contrario delle sepsi da C. perfringens e C. septicum che possono avere una evoluzione rapidamente mortale. Il C. difficile è un comune patogeno nei pazienti neutropenici, quasi mai associato a batteriemia, ma frequentemente causa di infezioni gastroenteriche da parte dei ceppi produttori di tossina. Le infezioni da micobatteri sono sempre state considerate complicanze non tipiche dei pazienti neutropenici ma associate prevalentemente ad alterazioni dell’immunità cellulo-mediata. Tuttavia, la recrudescenza di infezioni da Mycobacterium tuberculosis negli ultimi anni ha coinvolto anche alcune categorie di pazienti immunocompromessi. In particolare i pazienti affetti da leucemia a cellule capellute presentano un elevato rischio di infezioni da micobatteri tubercolari e micobatteri atipici come M. kansasii, M. fortuitum, M. chelonei, M. avium-intracellulare complex (27, 28). Micobatteri a rapida crescita come M. fortuitum e M. chelonei possono anche causare infezioni del punto di uscita e del percorso sottocutaneo del catetere venoso centrale come complicanza postoperatoria. 3.2 INFEZIONI FUNGINE Le infezioni fungine rappresentano una importante complicanza nei pazienti immunocompromessi. Il rischio di sviluppare una micosi invasiva è particolarmente elevato nei pazienti con emopatie maligne sottoposti a chemioterapia citostatica intensiva a causa della conseguente profonda e prolungata granulocitopenia e dell'alterazione della barriera mucosa intestinale (29-31). Inoltre, i notevoli progressi ottenuti nella profilassi e terapia delle infezioni batteriche espongono ad altri rischi infettivi tra cui le micosi. Negli ultimi 50 anni, l'incidenza delle infezioni fungine invasive nei pazienti leucemici è aumentata dal 3 al 30% nelle varie casistiche (29, 30, 32). L'approccio clinico e terapeutico alle infezioni fungine è reso particolarmente difficile dal continuo cambiamento della epidemiologia e dagli scarsi progressi degli strumenti diagnostici non invasivi (33). Non solo è aumentata l'incidenza delle micosi invasive, ma i pazienti ne vengono colpiti sempre più precocemente nel corso della malattia ematologica e nuove specie fungine si stanno rivelando potenziali patogeni (3436). La maggior parte delle micosi sono causate da Candida species e Aspergillus species (31, 37, 38). Altri funghi, un tempo ritenuti semplici contaminanti o al massimo colonizzanti stanno assumendo un ruolo di elevata importanza per frequenza e gravità delle loro infezioni. E 12 M A T O L O G I A Numerose sono le ragioni che possono giustificare il cambiamento epidemiologico delle infezioni fungine. 1. Nell'ambito dei vari generi di funghi patogeni, alcune specie stanno assumendo un ruolo emergente forse come conseguenza dell'uso di particolari schemi di profilassi e terapia antimicotica (37-40). La candidosi rimane tuttora l’infezione fungina più frequente nei pazient i neutropenici (29, 37, 38), tuttavia, negli anni si è osservato un cambiamento epidemiologico caratterizzato dalla diversa incidenza nelle varie specie di Candida. Infatti, per molti anni C. albicans è stata la specie più comunemente in causa nelle infezioni superficiali e profonde. Negli anni '70, in numerosi centri è stata osservata una particolare incidenza di infezioni da C. tropicalis (41). Negli ultimi anni, altre specie, tra cui C. parapsilosis, C. guillermondii, C. krusei e C. glabrata, stanno dimostrando una elevata patogenicità in relazione a particolari fattori di rischio (31, 33, 42). Per esempio, C. krusei, raramente causa di infezioni sistemiche in passato, deve oggi essere considerata un patogeno importante nei pazienti neutropenici per l'aumentata incidenza, ma soprattutto per la particolare resistenza agli antifungini azolici (42, 43). C. parapsilosis, anch’essa in passato raramente causa di infezioni, è attualmente isolata con sempre maggiore frequenza dal sangue di pazienti leucemici ed è causa del 4.5% delle candidemie osservate presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York e del 9% presso l'Harpen Hospital di Detroit. Presso il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’Università "La Sapienza" di Roma, C. parapsilosis è stata isolata nel 28% delle candidemie osservate in pazienti leucemici (44). Questo fenomeno può essere spiegato dalla particolare affinità di C. parapsilosis per i corpi estranei e in particolare per i cateteri venosi centrali (33, 45). Nell'ambito di una stessa specie fungina si possono osservare differenti gradi di patogenicità che si correlano a particolari caratteristiche biologiche. In uno studio su ceppi di C. parapsilosis isolati dal sangue, da infezioni vaginali e dall'ambiente, diversi biotipi hanno evidenziato particolari correlazioni cliniche e una diversa patogenicità sperimentale sul topo sulla base dell'analisi del cariotipo, del morfotipo, del resistotipo e della produzione di aspartil-proteinasi (45). 2. Alcune specie fungine possono presentare una notevole variabilità di incidenza da correlare a situazioni epidemiologiche locali e all'emergere di nuove patologie caratterizzate da un alterato stato immunitario. Le infezioni da Aspergillus presentano una rilevante incidenza in pazienti leucemici. Tuttavia, recentemente, tali complicanze vengono segnalate anche in altre categorie di ospiti immunocompromessi tra cui i pazienti con tumori solidi e con INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 13 3 AIDS (31, 46, 47). Le varie casistiche indicano che l'incidenza di aspergillosi nei pazienti leucemici è tra il 10% e il 30%, ma nello stesso centro si possono osservare notevoli variazioni a seconda dei periodi. Aspergillus species è un comune contaminante dei materiali biologici in decomposizione ed è largamente presente nell'ambiente. L'infezione prende origine dall'inalazione delle spore che può avvenire sia all'esterno che all'interno dell'ospedale e la colonizzazione nasale si associa a un significativo aumentato rischio di sviluppare un'infezione invasiva (48). Il numero delle spore di Aspergillus nell'aria varia in relazione alle diverse stagioni, alla presenza di lavori murari all'interno o nelle vicinanze dell'ospedale, o all'uso di condizionatori d'aria. Sono state descritte numerose epidemie da Aspergillus in pazienti immunocompromessi in corso di opere di costruzione o restauro all'interno o nei pressi dell'ospedale, in seguito alla liberazione nell'aria di un elevato numero di spore fungine. In alcuni casi il sistema di condizionamento d'aria contaminato è stato riconosciuto come serbatoio di infezione nelle stesse stanze dei malati. 3. Alcuni funghi, in precedenza ritenuti contaminanti o innocui colonizzanti, sono stati recentemente identificati come causa di gravi infezioni in pazienti neoplastici immunocompromessi. Tre gruppi di funghi possono causare queste infezioni opportuniste emergenti: i feoifomiceti tra cui Curvularia, Bipolaris e Alternaria; gli i a l o i f o m i c e t i t r a c u i S c o p u l a r i o p s i s, P s e u d a l l e s c h e r i a b o y d i i e Fusarium spp.; altri lieviti e funghi filamentosi tra cui Malassetia furfur, Trichosporon beigelii e Blastoschizomyces capitatus (T. capitatum) (30). Il Fusarium è un noto patogeno delle piante ed è comunemente presente nel terreno. Fusarium species è da tempo conosciuto come causa di infezioni superficiali di cute, unghie e cornea, e alcuni casi di infezione profonda localizzata sono stati descritti anche nei pazienti non immunocompromessi (30). Al contrario la fusariosi è stata osservata in forma disseminata quasi esclusivamente nei pazienti immunocompromessi in particolare in pazienti con emopatie maligne, nei trapiantati di midollo e nei grandi ustionati (34, 36, 49). Febbre, isolamento del fungo dal sangue, mialgie diffuse, lesioni cutanee disseminate a tipo "ectima gangrenosum", disturbi visivi e disseminazione a numerosi organi costituiscono un quadro clinico peculiare. La fusariosi disseminata è una infezione gravata di elevatissima letalità e la prognosi è strettamente correlata alla normalizzazione del numero dei granulociti periferici. Nonostante l'ampia distribuzione ambientale di Fusarium species in tutto il mondo, sembra vi sia una discrepanza nella distribuzione geografica dei casi di fusariosi descritti in letteratura. Più del 60% dei casi sono stati osservati negli Stati Uniti. In Italia sono stati E 14 M A T O L O G I A descritti il 15% dei casi e altre fusariosi invasive sono state solo occasionalmente osservate in altri paesi (49). Il particolare interesse per le infezioni fungine con conseguente elevata capacità diagnostica di fusariosi in alcuni centri può giustificare una artificiosa distribuzione geografica; tuttavia, il possibile ruolo dei fattori ecologici e climatici locali deve essere ancora valutato. Le infezioni invasive da Trichosporon beigelii e Blastoschizomyces capitatus sono state oggetto di particolare interesse negli ultimi anni. La loro presentazione clinica è in alcuni aspetti simile ad altre micosi (35). Possono dar luogo a un quadro clinico identico alla candidosi epatica cronica, coinvolgendo spesso fegato e milza con lesioni focali multiple. Inoltre, una infezione polmonare da B. capitatus può presentarsi con un tipico pseudomicetoma che solitamente è patognomonico per una aspergillosi polmonare. Entrambe le infezioni fungine sono state osservate soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Tuttavia, anche in questo caso sembra esservi una particolare distribuzione geografica. Infatti le infezioni da T. beigelii sono state riportate soprattutto negli Stati Uniti, mentre la maggior parte dei casi da B. capitatus sono stati osservati in Europa (35). 4. Nuovi schemi terapeutici in alcune emopatie maligne possono dar luogo a diversi stati di immunocompromissione con differente rischio infettivo. Per esempio, il trattamento della leucemia linfoide cronica con fludarabina e altri analoghi purinici si basa su un particolare effetto immunomodulante con conseguente aumentato rischio per rare infezioni opportuniste come listeriosi e criptococcosi (50). L'uso di agenti immunosoppressivi, come ciclosporina e siero antilinfocitario, nel trattamento dell'anemia aplastica grave sembra esporre a un aumentato rischio di aspergillosi invasiva e fusariosi a causa dell'immunosoppressione linfocitaria che si aggiunge all'immunocompromissione correlata alla granulocitopenia (49). Anche i progressi nell'approccio diagnostico-terapeutico delle infezioni fungine hanno contribuito all'emergere di nuovi quadri clinici nell'ambito della stessa infezione. Emottisi massiva e pneumotorace spontaneo, per esempio, sono gravi complicanze tardive della aspergillosi polmonare che si osservano con sempre maggiore frequenza parallelamente al miglioramento della prognosi della fase acuta dell'infezione (51-53). 5. In aree endemiche la riattivazione di micosi invasive come istoplasmosi e coccidioidomicosi può aumentare in corso di immunocompromissione indotta da chemioterapia (54-56). Il cambiamento epidemiologico delle infezioni fungine soprattutto nei pazienti neutropenici deve essere sempre preso in considerazione per adeguare il corretto approccio nella prevenzione e terapia di queste gravi complicanze. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 15 3 3.3 INFEZIONI VIRALI Le infezioni virali rappresentano, ancora oggi, la principale causa infettiva di morbilità e mortalità per i pazienti immunocompromessi (57). Anche se più comuni nei pazienti riceventi trapianto di midollo osseo, tali infezioni sono oggi individuate con sempre maggiore frequenza nei pazienti affetti da neoplasie ematologiche maligne che ricevono chemioterapia. Considerato il numero crescente di individui immunocompromessi che vengono reinseriti nella comunità, è probabile che aumenteranno i casi di infezione da virus normalmente riscontrabili in comunità come le infezioni da virus influenzale, parainfluenzale e da adenovirus. La gravità di tali infezioni nel paziente immunocompromesso è spesso maggiore di quella osservabile in soggetti immunocompetenti, sebbene il quadro clinico sia sostanzialmente sovrapponibile. Nei pazienti riceventi trapianto di midollo osseo, le infezioni virali più frequenti e gravi sono quelle da virus erpetici (CMV, EBV, HVZ, Herpes simplex 1 e 2, Herpesvirus-6) (58). In seguito a un’infezione primaria, tali virus rimangono in fase di latenza, controllati principalmente dall’immunità cellulo-mediata mediante i linfociti citotossici, tuttavia durante i periodi di immunodepressione si possono riattivare e dar luogo a malattie. Altre infezioni virali apparentemente meno comuni ma potenzialmente gravi per i pazienti con neoplasie ematologiche sono dovute ad adenovirus (polmoniti, infezioni sistemiche), a virus respiratorio sinciziale, influenzale e parainfluenzale (polmoniti), BK virus (cistiti emorragiche), parvovirus B19 (anemia). L’importanza dei virus nei pazienti trapiantati è dovuta a effetti diretti (causa di malattie o sindromi quali mononucleosi, epatite, polmonite, lesioni gastrointestinali, infezioni mucocutanee, ecc.), e a effetti indiretti (predisposizione dei pazienti a infezioni opportunistiche quali quelle da Pneumocystis carinii, Aspergillus spp. e Listeria monocytogenes) (59). Altri virus invece di complicare il decorso clinico dei pazienti con neoplasia ematologica maligna sembrano essere addirittura associati all’insorgenza della neoplasia stessa: per esempio il virus HTLV-I sembra essere associato all’insorgenza di leucemia a cellule T e di alcune forme di linfoma non-Hodgkin, il virus di Epstein-Barr è associato all’insorgenza di sindromi linfoproliferative in pazienti trapiantati, più recentemente è stata proposta l’associazione tra Herpesvirus-8 e mieloma multiplo e gammopatia monoclonale (60). I virus del gruppo Herpes sono particolarmente adatti a provocare malattie nel paziente affetto da neoplasie ematologiche a causa delle seguenti caratteristiche biologiche: latenza, associazione cellulare, oncogenicità. ■ LATENZA L’infezione con un virus erpetico è una infezione permanente. E 16 M A T O L O G I A Il virus allo stato latente può essere riattivato (in particolar modo, durante l’immunodepressione); la sieropositività è il marker di laboratorio indicativo della presenza di tali virus. ■ ASSOCIAZIONE CELLULARE La trasmissione dei virus da cellula a cellula e da soggetto a soggetto, rende il sistema immunitario umorale inefficiente e attribuisce all’immunità cellulo-mediata (maggiormente inibito dai regimi immunosoppressivi) un ruolo importante nel controllo dei virus. La difesa dell’ospite nei confronti di tali virus è mediata attraverso i linfociti T citotossici virus-specifici, ristretti al complesso principale di istocompatibilità (MHC). ■ ONCOGENICITÀ A oggi, soltanto EBV è stato chiaramente associato a malattia linfoproliferativa. 3.4 INFEZIONI PARASSITARIE L’incidenza delle infezioni parassitarie nei pazienti immunocompromessi non è ancora nota. Prima dell’epidemia dell’infezione da HIV, le infezioni parassitarie più frequenti tra i pazienti immunocompromessi erano le infezioni da Toxoplasma gondii, da Pneumocistis carinii, da Strongiloides stercoralis e occasionalmente da babesia e da malaria (nei pazienti splenectomizzati o trasfusi). In base a caratteristiche genotipiche recentemente individuate, P. carinii viene attualmente considerato da un punto di vista tassonomico non più un protozoo ma un fungo. Molti nuovi parassiti, patogeni e non patogeni per l’individuo immunocompetente, sono oggi considerati causa di gravi infezioni nell’ospite immunocompromesso come ad esempio i coccidi (isospora, microsporidium, criptosporidium) (61, 62). Le manifestazioni cliniche possono variare da infezioni asintomatiche fino a malattie disseminate. Gravi manifestazioni cliniche avvengono quando il rapporto tra meccanismo immunitario e la crescita del parassita è a favore di quest’ultimo. Il meccanismo alla base del danno dei parassiti varia. Per esempio, gli elminti tendono a causare ostruzione meccanica a causa delle loro dimensioni e sono generalmente limitati al tratto gastrointestinale. Al contrario, la moltiplicazione dei protozoi, favorita dalla depressione immunitaria, produce malattie anche sistemiche. Inoltre, l’infezione con altri patogeni (CMV, INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 17 3 Salmonella, Shigella) può contribuire ad aggravare il quadro clinico. I pazienti con difetti dell’immunità cellulo-mediata sono predisposti a gravi infezioni causate da Pneumocystis carinii, patogeno responsabile di polmoniti interstiziali ancora oggi gravate da una elevata mortalità. La profilassi a intermittenza con trimetoprim-sulfametossazolo è in grado di ridurre l’incidenza di polmoniti, soprattutto in bambini affetti da leucemia linfatica acuta. L’infezione da Toxoplasma gondii può dar luogo a corioretiniti o ascessi cerebrali. Strongiloides stercoralis può causare più frequentemente diarrea, più raramente una sindrome da iperinfestazione con evoluzione mortale. Infezioni da Cryptosporidium spp., comunemente osservate nei pazienti affetti da AIDS, sono documentate sempre più frequentemente nei pazienti affetti da neoplasie ematologiche maligne (61). L’espressione clinica più frequente è una diarrea profusa e di lunga durata. In individui con neoplasie ematologiche, tuttavia, sono stati descritti casi di diarrea moderata, di localizzazione extraintestinale del parassita e di portatore asintomatico (62). E 18 M A T O L O G I A 4 PROFILASSI Le strategie di prevenzione delle infezioni nel paziente ematologico immunocompromesso sono molteplici: riduzione dell’acquisizione di nuovi microorganismi con l’utilizzo delle procedure di isolamento inverso; riduzione delle procedure invasive (es. utilizzo del CVC); miglioramento dei meccanismi di difesa dell’ospite attraverso il controllo del grado e della durata della neutropenia con i fattori di crescita e infine soppressione della flora microbica endogena con una profilassi chemio-antibiotica. 4.1 TRATTAMENTO DELLA NEUTROPENIA Il più importante fattore prognostico nei pazienti neutropenici con complicanze infettive batteriche o fungine è la risalita dei neutrofili. Nel tentativo di controllare la neutropenia, riducendone la gravità e la durata sono stati utilizzati fattori di crescita e trasfusioni di granulociti. Le citochine stimolanti la proliferazione, la differenziazione e l’attività funzionale dei neutrofili (G-CSF, GM-CSF) sono state impiegate nell’ipotesi che una neutropenia meno profonda e più breve si correli con un minore rischio infettivo. Alcuni risultati interessanti sono stati ottenuti soprattutto in pazienti sottoposti a trapianto di midollo autologo (63). Tuttavia, l’uso dei fattori di crescita sembra associarsi a una limitata riduzione della durata della neutropenia nei pazienti leucemici sottoposti a chemioterapia intensiva e a una non significativa riduzione dell’incidenza delle complicanze infettive. In conclusione, in considerazione del limitato ruolo nella prevenzione delle infezioni e dell’elevato costo di tali farmaci, l’impiego dei fattori di crescita non sembra avere un ruolo rilevante nella profilassi antimicrobica in corso di neutropenia. Per quanto riguarda i concentrati granulocitari, l’impiego di moderni separatori cellulari e l’uso del G-CSF nel donatore di globuli bianchi hanno permesso di aumentare il numero di granulociti nelle unità di globuli bianchi trasfuse. Per tale motivo è ipotizzabile che l’uso delle trasfusioni di concentrati granulocitari ottenuti utilizzando i fattori di crescita nel donatore possa permettere di ottenere migliori risultati nel trattamento delle complicanze infettive gravi in corso di neutropenia. Non vi sono comunque dati che ne giustifichino l’uso in profilassi. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 19 4.2 PROFILASSI DELLE INFEZIONI BATTERICHE I microorganismi che causano infezione nei pazienti neutropenici possono essere di origine endogena (normale flora microbica cutanea, del cavo orale, gastrointestinale e dell’apparato genitale) o esogena. In questo caso i germi possono dar luogo subito a un’infezione o colonizzare il paziente e diventare un potenziale patogeno. La prevenzione delle infezioni esogene è rappresentata soprattutto da “tecniche meccaniche” che riducono le possibilità di contatto con i microorganismi esogeni. L’isolamento inverso sembra essere utile, ma il semplice lavaggio delle mani del personale sanitario prima di ogni contatto col paziente è di fondamentale importanza. Poiché la gran parte delle infezioni batteriche che vengono documentate nel neutropenico sono causate da microorganismi che colonizzano il tratto gastrointestinale, la soppressione della flora microbica intestinale con chemioantibiotici rappresenta un valido mezzo di prevenzione di gran parte delle infezioni batteriche. Gli schemi di decontaminazione selettiva della flora intestinale aerobica con la conservazione di quella anaerobia sono quelli più impiegati in quanto la conservazione della flora anaerobia, che raramente causa infezioni in corso di neutropenia, svolge un ruolo protettivo nel prevenire la crescita o la colonizzazione intestinale dei microorganismi Gram-negativi nosocomiali (64). Pur tuttavia, la decontaminazione selettiva con cotrimossazolo o fluorochinoloni non è sempre in grado di impedire la selezione di microorganismi resistenti (P. aeruginosa, E. coli) mettendo in discussione il concetto di resistenza alla colonizzazione. I regimi profilattici che utilizzano l’associazione di antibiotici orali non assorbibili (es. gentamicina, vancomicina, neomicina, colistina) si sono dimostrati efficaci soltanto quando utilizzati in combinazione con l’isolamento protettivo; a causa della scarsa “compliance” e della frequente emergenza di microorganismi resistenti, questi regimi profilattici sono ora desueti. Il co-trimossazolo ha dimostrato la sua efficacia profilattica in studi randomizzati, sia in adulti che in bambini neutropenici. Tuttavia, a causa della sua inattività nei confronti di P. aeruginosa, della frequente emergenza di bacilli Gram-negativi resistenti e degli effetti indesiderati, il suo uso è oggi limitato all’ambito pediatrico e alle poche situazioni locali dove le resistenze al farmaco risultano contenute. I fluorochinoloni rappresentano il gruppo di farmaci più diffusamente utilizzato per la profilassi antibiotica nel neutropenico: l’ampio spettro antibatterico, le elevate concentrazioni intraluminali, l’elevata attività battericida sistemica, la buona tollerabilità e l’apparente assenza di potenziale per lo sviluppo di resistenze rappresentano le caratteristiche che ne hanno favorito l’uso in profilassi. In effetti, i fluorochinoloni hanno dimostrato di ridurre la morbosità causata dalle infezioni da Gram-negativi con risparmio anche economico (17). Il fluo- E 20 M A T O L O G I A rochinolonico più usato è attualmente la ciprofloxacina che ha dimostrato di possedere una relativa maggiore attività rispetto agli altri antibiotici della stessa classe nei confronti dei germi più “difficili” (18). Pur tuttavia, dopo dieci anni di utilizzo, si sono delineati chiaramente anche i loro limiti rappresentati dall’inefficacia profilattica nei confronti delle infezioni da Gram-positivi, a causa della loro intrinseca scarsa attività contro questi microorganismi, e dall’emergenza di bacilli Gramnegativi resistenti (ceppi epidemici di E. coli) responsabili di batteriemie in pazienti profilassati. Paradossalmente questi due problemi impongono che la terapia antibiotica empirica, nel paziente neutropenico che sviluppa febbre in corso di profilassi con fluorochinoloni, tenga conto sia dell’alta probabilità di infezioni da Gram-positivi che della possibilità di infezioni da Gram-negativi multiresistenti. L’emergenza delle infezioni tubercolari sia nei pazienti immunocompetenti che immunocompromessi impone un’attenzione particolare alla diagnosi e alla profilassi di tali complicanze anche se non si conosce allo stato attuale l'entità del rischio per le infezioni tubercolari in tutte le categorie di pazienti immunocompromessi. Contrariamente a quanto avviene nei pazienti con emopatie, nelle quali vi è una alterazione dell’immunità cellulo-mediata (es. linfomi), la tubercolosi non sembra essere una complicanza frequente nei pazienti neutropenici. Tuttavia, è indicata la profilassi anche nei pazienti neutropenici se presentano anamnesi positiva per infezione tubercolare o cutireazione positiva alla tubercolina. Il farmaco da utilizzare per la profilassi antitubercolare è la isoniazide al dosaggio di 300 mg/die da assumere per almeno tre mesi dopo la sospensione della terapia immunosoppressiva. 4.3 PROFILASSI DELLE INFEZIONI FUNGINE L’elevata incidenza e la prognosi sfavorevole delle infezioni fungine nei pazienti immunocompromessi hanno sollecitato numerosi studi relativi alla prevenzione di tali complicanze nei pazienti a rischio. Numerosi antifungini (nistatina, amfotericina B, miconazolo, clotrimazolo, ketoconazolo, fluconazolo e itraconazolo) sono stati testati soprattutto nella profilassi delle infezioni superficiali e profonde da Candida. Per quanto riguarda l’Aspergillus, che solitamente si acquisisce dall’ambiente, i maggiori successi sono stati ottenuti con la prevenzione ambientale. Infatti, l’isolamento inverso dei pazienti con camere a flusso laminare o a pressione positiva e i sistemi di filtraggio dell’aria (filtri HEPA) rappresentano l’unico mezzo efficace nella prevenzione delle aspergillosi, mentre l’impiego di antifungini attivi in vitro nei confronti dell’Aspergillus, come amfotericina B (orale, endovenosa a basse dosi, INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 21 4 aerosol), ketoconazolo e itraconazolo, è risultato insoddisfacente. Quindi, allo stato attuale, non esiste alcuno schema di profilassi farmacologica che possa essere utile nella prevenzione delle aspergillosi invasive. Per quanto riguarda le infezioni superficiali e profonde da Candida, la profilassi farmacologica sembra possa avere un ruolo solo in alcune categorie di pazienti a rischio. L’uso di fluconazolo in profilassi a vari dosaggi (150-400 mg/die) è stato comparato con placebo e amfotericina B orale in due importanti studi prospettici, randomizzati, multicentrici, in pazienti neutropenici affetti da leucemia acuta e non sembra presentare alcuna efficacia significativa. Il primo studio controllato in cui il fluconazolo ha ridotto in modo significativo l’incidenza di candidosi superficiali e profonde è stato pubblicato da Goodman et al. (65) nel 1992. In tale studio, il fluconazolo al dosaggio di 400 mg/die è stato paragonato a placebo in una popolazione di pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo e il gruppo trattato con l’antifungino ha presentato una riduzione significativa della colonizzazione fungina (29.6% vs 67.2%), delle micosi superficiali (8.4% vs 33.3%) e profonde (2.8% vs 15.8%) senza aumento di tossicità. Tali risultati sono stati confermati da un ulteriore studio sempre in soggetti sottoposti a trapianto di midollo osseo nel quale oltre a una ridotta incidenza di infezioni e bassa tossicità, l’uso del fluconazolo si è associato a una minore mortalità (66). L’impiego del fluconazolo è stato in alcuni studi associato a un aumento di infezioni da specie di Candida naturalmente resistenti al farmaco come C. krusei e C. glabrata (67-69). Mentre la selezione di funghi resistenti al fluconazolo è un problema ben conosciuto e di rilevante impatto clinico nei pazienti con AIDS in fase avanzata, nei pazienti oncologici tale problema non sembra attualmente rappresentare un fattore limitante l’impiego del farmaco. Tuttavia, la possibile selezione di germi resistenti rappresenta un ulteriore motivo per limitare l’uso della profilassi antifungina ai soli casi in cui ne è stata dimostrata l’indicazione. Allo stato attuale, gli studi sulla profilassi delle infezioni fungine nei pazienti oncoematologici hanno portato alle seguenti conclusioni: • non esistono schemi di profilassi antifungina efficaci nei pazienti con leucemia acuta sottoposti a chemioterapia di induzione • il fluconazolo in profilassi al dosaggio di 400 mg/die si è dimostrato efficace nei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo • l’emergenza di ceppi di Candida resistenti al fluconazolo è un problema da tenere in debita considerazione anche se allo stato attuale sembra incidere in modo significativo solo nei pazienti HIV positivi E 22 M A T O L O G I A • l’unica prevenzione delle infezioni da Aspergillus è rappresentata dall’isolamento ambientale e non vi sono attualmente schemi farmacologici efficaci. 4.4 PROFILASSI DELLE INFEZIONI VIRALI ■ VIRUS HERPES SIMPLEX (HSV) HSV può essere una frequente causa di morbidità nei pazienti immunocompromessi, in particolare quelli sottoposti a TMO o chemioterapia intensiva per leucemia acuta. In questi pazienti l’incidenza di riattivazione è elevata (>80%) nei pazienti sieropositivi che non ricevono profilassi. Titoli di anticorpi più elevati (>1:16) sono predittivi per lo sviluppo della manifestazione clinica. Molti studi di profilassi hanno dimostrato che la somministrazione di aciclovir per via endovenosa (250 mg/m 2 ogni 8 ore) o per via orale (200 mg per 5 volte al dí) previene l’infezione da Herpes simplex nel 100% dei casi. Pertanto è indicato somministrare aciclovir per os o per via endovenosa per la profilassi delle infezioni erpetiche per alcuni sottogruppi di pazienti ad alto rischio: 1. per i pazienti sottoposti a TMO sieropositivi per HSV con un titolo di 1:16 o più elevato, se i pazienti diventano CMV positivi, deve essere somministrato ganciclovir e può essere sospeso l’aciclovir; 2. per i pazienti sieropositivi per HSV e affetti da leucemia acuta in trattamento con chemioterapici; 3. per i pazienti con anamnesi positiva per HSV che devono essere sottoposti a chemioterapia. ■ VIRUS HERPES VARICELLA ZOSTER (HVZ) Uno dei metodi di prevenzione dell’infezione da HVZ più importanti e semplici è l’isolamento dei pazienti con infezione in atto (sia con varicella che con Herpes zoster) dagli altri pazienti immunocompromessi. L’immunizzazione passiva con Ig anti-virus varicella zoster (VZIG) è in grado di ridurre l’incidenza delle polmoniti e della mortalità da varicella nei pazienti immunocompromessi dal 7% allo 0.5%. Bambini o adulti immunocompromessi che sono sieronegativi o con basso titolo di anticorpi antivaricella dovrebbero ricevere VZIG (1 fiala/10 kg) entro 72 ore dall’esposizione a una fonte potenzialmente infettiva. Una dose di Ig dovrebbe essere protettiva per 4 settimane circa. Un vaccino vivo attenuato ancora in fase di sperimentazione si è dimostrato efficace nel produrre anticorpi nei pazienti immunocompromessi e non sono stati osservati casi gravi di varicella o di Herpes zoster. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 23 4 ■ CYTOMEGALOVIRUS (CMV) La prevenzione dell’infezione da CMV in pazienti ad alto rischio è rappresentata dalla somministrazione di emoderivati sieronegativi in pazienti sieronegativi, dall’immunizzazione passiva, e dalla somministrazione di aciclovir e di ganciclovir. L’uso delle Ig ad alto titolo per la prevenzione della malattia da CMV nei trapiantati di midollo osseo è controverso mentre è stato dimostrato essere efficace per i riceventi di trapianto di rene sieronegativi per CMV. La somministrazione di aciclovir per la prevenzione dell’infezione e della malattia da CMV è controverso. Tuttavia, in uno studio randomizzato, la somministrazione di aciclovir ad alte dosi (800 mg 5 volte al dí) si è dimostrata capace di ridurre l’incidenza della malattia da CMV. Attualmente, il farmaco più utilizzato per la prevenzione della malattia da CMV è il ganciclovir (5 mg/kg/ 2 volte al dí). In alcuni centri, questo farmaco è somministrato in pazienti sieropositivi per CMV dal momento dell’attecchimento del midollo fino al giorno +100. Tuttavia, tale procedura espone i pazienti agli effetti collaterali del farmaco (neutropenia, insufficienza renale). Per tale motivo la maggior parte degli autori ritiene che l’uso di ganciclovir al momento della positività per CMV nel sangue (antigenemia, viremia, PCR) (pre-emptive therapy) si è dimostrata efficace e con minori effetti collaterali rispetto alla somministrazione di ganciclovir per 100 giorni. 4.5 PROFILASSI DELLE INFEZIONI PARASSITARIE La profilassi per Pneumocystis carinii con trimetoprim-sulfametossazolo è efficace per i bambini con leucemia, pazienti con linfopatie in trattamento chemioterapico intensivo, pazienti riceventi TMO e per i pazienti con AIDS. La somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo (160-800 mg, rispettivamente) due volte al giorno per tre giorni consecutivi la settimana è il sistema più efficace e meno tossico. Altri farmaci usati per la profilassi di P. carinii sono la pentamidina aerosol, atovaquanone, la pirimetamina + dapsone, la pirimetamina + sulfadossina. Il valore di questi farmaci è stato dimostrato al momento solo per i pazienti con AIDS. 4.6 VACCINAZIONI I vaccini virali vivi attenuati generalmente non dovrebbero essere somministrati ai pazienti immunodepressi con leucemia o linfoma, o che ricevono agenti alchilanti e radioterapia. E 24 M A T O L O G I A Il CDC raccomanda che i pazienti con leucemia in remissione che hanno terminato la chemioterapia da più di tre mesi ricevano vaccini vivi attenuati (70). Non sono considerate controindicazioni alla somministrazione di vaccini vivi attenuati, le somministrazioni di cortisonici per periodi inferiori alle 2 settimane e a dosi intermedie. Inoltre, pazienti che hanno ricevuto TMO allogenico da almeno 2 anni, in remissione della malattia ematologica e in assenza di GVHD, possono ricevere vaccini vivi attenuati (morbillo, rosolia, parotite) (71). Infine, anche se la somministrazione di vaccini vivi attenuati è controindicata in pazienti adulti sintomatici HIV-positivi, il CDC raccomanda la somministrazione di vaccini vivi attenuati (morbillo, rosolia, parotite) in bambini HIV-positivi anche se sintomatici. Il vaccino per lo pneumococco, pur contenendo 23 dei sierotipi responsabili di quasi il 90% delle batteriemie, è protettivo solo per il 61% dei pazienti immunocompetenti e ancora meno per i pazienti immunocompromessi. Tuttavia, il vaccino è raccomandato per i pazienti con asplenia, per i pazienti con linfoma di Hodgkin, linfoma, mieloma multiplo, e per i pazienti sottoposti a TMO. Il vaccino per Haemophilus B è raccomandato per i pazienti con asplenia funzionale o anatomica. La vaccinazione per il virus influenzale, con virus attenuato o con antigeni ricombinanti, è raccomandato per i pazienti immunodepressi ma il valore protettivo è subottimale. Tuttavia, è indicato per i lavoratori sanitari e per i parenti dei pazienti immunodepressi, per prevenire la trasmissione virale. Per quanto riguarda le vaccinazioni consigliate nei pazienti da sottoporre a splenectomia o con asplenia funzionale o anatomica si rimanda al capitolo 6.3. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 25 4 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE IMMUNOCOMPROMESSO CON FEBBRE 5.1 APPROCCIO DIAGNOSTICO Un adeguato approccio clinico alle infezioni nei pazienti emopatici immunocompromessi richiede una analisi di vari fattori che possono condizionare la decisione diagnostica e terapeutica che sono: 1. caratterizzazione dell’alterato stato immunitario dipendente dalla patologia di base, dalla fase di malattia, dal numero dei granulociti neutrofili e dalle precedenti terapie per la patologia di base; 2. conoscenza dei patogeni che più comunemente causano infezioni nei pazienti con quel particolare stato immunitario, valutazione della loro sensibilità agli antimicrobici e della epidemiologia locale (nel paese e nell’ospedale stesso); 3. scelta di una appropriata terapia antimicrobica empirica o mirata. La neutropenia modifica marcatamente la risposta infiammatoria nell’ospite e rende pertanto difficile rilevare la presenza di infezioni. Nelle polmoniti possono mancare i segni clinici di consolidamento parenchimale e i segni radiologici mentre l’escreato purulento è raramente presente; nelle infezioni urinarie non è possibile fare riferimento al dato della leucocituria che è generalmente assente per cui è difficile differenziare tra infezione e colonizzazione; nelle meningiti possono non essere rilevabili i segni di irritazione meningea e può mancare la pleiocitosi liquorale. Nei pazienti nei quali l’immunocompromissione non è dovuta alla neutropenia ma all’alterazione dell’immunità cellulo-mediata, le manifestazioni cliniche delle infezioni sono in genere più evidenti perché presente, se pur ridotta, la risposta infiammatoria da parte dei neutrofili. Tuttavia alcune infezioni opportuniste che spesso si osservano in tali soggetti possono avere una espressione clinica cronica, subdola, con sintomatologia sfumata, di difficile diagnosi. L’approccio clinico al paziente emopatico immunocompromesso febbrile si basa sull’anamnesi, sull’esame obiettivo e su gli accertamenti diagnostici microbiologici e strumentali. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 27 5 ■ ANAMNESI Gli obiettivi dell’indagine anamnestica sono i seguenti: 1. calcolare, nel caso in esame, lo “score” globale di compromissione delle difese in relazione alla malattia di base e al suo trattamento (neutropenia, alterazioni dell’immunità umorale e cellulare, delle barriere cutanee e mucose) poiché i diversi microorganismi infettanti prevalgono in relazione allo specifico difetto di difesa anche se in concreto, nel singolo paziente, spesso interagiscono molteplici difetti delle difese; 2. inquadrare l’episodio febbrile come primario o secondario: il primo episodio febbrile in corso di neutropenia di recente insorgenza è causato per lo più da batteri, specie se il paziente non ha ricevuto in precedenza terapia antibiotica; i successivi episodi sono per lo più di natura fungina. L’indagine anamnestica si rivolge innanzitutto alla valutazione della malattia di base con l’identificazione della sua esatta natura, la data della diagnosi, il trattamento precedente (chirurgia, radioterapia, ecc.), il trattamento recente con particolare riferimento a chemioterapia, radioterapia, steroidi, trasfusioni di sangue ed emoderivati, uso di antipiretici e analgesici, chirurgia, manovre invasive (catetere venoso centrale, catetere urinario, sondino naso-gastrico ecc.). Si indaga poi su precedenti episodi febbrili o infezioni recenti per distinguere tra possibile recidiva e nuova infezione. La terapia antibiotica recente deve essere bene identificata per conoscere se l’episodio febbrile in esame è insorto durante la terapia o a breve distanza da essa (superinfezioni da batteri resistenti, infezione fungina). Il luogo di insorgenza della febbre riveste particolare importanza nell’indagine epidemiologica (infezione ospedaliera o insorta a domicilio). I sintomi soggettivi vanno indagati con particolare riferimento al dolore (es. cefalea), all’andamento della curva termica e alle complicanze di precedenti terapie (reazioni di ipersensibilità). ■ ESAME OBIETTIVO L’esame obiettivo del paziente neutropenico febbrile deve essere accurato e deve sempre precedere qualsiasi iniziativa terapeutica, fatta eccezione per l’emergenza rappresentata dallo shock settico. Il rilievo dei parametri vitali (polso, pressione arteriosa, frequenza respiratoria) è sufficiente a valutare, insieme con i valori della temperatura corporea, la gravità del caso. L’esame fisico completo e sistematico deve avere particolare riguardo per l’obiettività neurologica (stato mentale, nervi cranici, fundus oculi); per la cute (inclusa l’area perirettale, la sede di inserzione di cateteri, le sedi di pregresse manovre diagnostiche quali biopsia ossea, ecc.); E 28 M A T O L O G I A per l’orofaringe (denti, gengive); per l’obiettività toracica (cuore, polmoni) e dell’addome (fegato, milza), per le stazioni linfonodali e per la regione pelvica. Se è presente dolore perirettale si procede alla esplorazione rettale e se sono rilevabili segni neurologici o alterazione dello stato mentale, alla puntura lombare. Gli accertamenti diagnostici si suddividono in microbiologici e strumentali; si riconoscono in ciascun gruppo le procedure routinarie e quelle speciali. ■ ACCERTAMENTI MICROBIOLOGICI Gli accertamenti microbiologici routinari sono rappresentati innanzitutto dai prelievi delle emocolture. Poiché il tasso di isolamento è proporzionale al numero di prelievi di sangue effettuati occorre eseguire almeno 2 differenti prelievi nell’arco di 30 minuti-6 ore. Se il paziente è portatore di CVC è necessario prelevare contemporaneamente sangue dal catetere e dalla vena periferica. I moderni sistemi emocolturali prevedono l’inoculo di un singolo brodo per ogni prelievo emocolturale; solitamente tale brodo è idoneo a far crescere batteri e funghi. Gli altri accertamenti microbiologici routinari sono rappresentati dalla urinocoltura e dall’esecuzione di tamponi o agoaspirati da sedi infette. Sono invece da considerare opzionali le colture di sorveglianza per funghi (tampone nasale per Aspergillus spp.; tampone faringeo e rettale per Candida spp.) che possono risultare peraltro un importante ausilio diagnostico nel caso di sospetta aspergillosi e candidosi invasiva e per decidere se instaurare una terapia antifungina (37). Gli accertamenti sierologici hanno un ruolo diagnostico potenziale nella diagnosi non invasiva delle micosi disseminate (ricerca di galattomannano per Aspergillus, mannoproteina ed enolasi per Candida), anche se ancora da codificare (72). Al contrario la titolazione dell’antigenemia e antigenerrachia per criptococco ha un ruolo diagnostico validato sensibile e specifico. Tra gli accertamenti microbiologici speciali vanno considerate le ricerche virologiche relative ai virus erpetici (HSV1 e 2, HVZ, CMV, HSV6). Tali indagini vanno mirate a problemi specifici e riguardano per lo più pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali allogeniche o con infezione da HIV. ■ ACCERTAMENTI STRUMENTALI Gli accertamenti strumentali routinari prevedono l’esecuzione di un Rx torace in 2 proiezioni (da eseguire sempre) e di una emogasanalisi se vi è il sospetto di una compromissione respiratoria. Accertamenti strumentali speciali, che spesso vengono adottati nei pazienti con neutropenia febbrile, sono rappresentati dal lavaggio bronco-alveolare INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 29 5 (BAL) (in caso di polmonite, specie se interstiziale), da biopsia di lesioni cutanee, da TAC del polmone (lesioni polmonari poco definibili all’Rx standard), da ecografia o TAC dell’addome (ileotiflite, candidosi epatosplenica, ecc.), TAC o RMN cerebrale (ictus di n.d.d., disturbi dello stato di coscienza, cefalea), TAC del massiccio facciale (rino-sinusite, infiltrato orbitario). ■ DIAGNOSI DELLE INFEZIONI FUNGINE INVASIVE L'approccio clinico alle infezioni fungine opportuniste è caratterizzato da una serie di problemi non ancora risolti, primo fra tutti la difficoltà diagnostica (33). I segni clinici nei pazienti neutropenici non consentono in genere di ottenere una diagnosi sicura di micosi invasiva. Infatti, non vi sono sintomi specifici e spesso l'unico segno clinico di infezione è la febbre. Solo in un limitato numero di casi, e solitamente dopo la risalita dei granulociti neutrofili, alcuni quadri clinici tra cui lo pseudomicetoma polmonare e le tipiche lesioni epato-spleniche permettono una diagnosi presuntiva di micosi invasiva. La possibilità di eseguire una diagnosi in genere deriva dalla valutazione contemporanea di una serie di dati clinici, microbiologici, istologici e sierologici. L'impiego di indagini radiologiche più sensibili ha notevolmente aumentato la possibilità di evidenziare alterazioni di tessuti profondi tipiche di alcune micosi invasive. La tomografia assiale computerizzata tradizionale e la tecnica ad alta risoluzione rappresentano il mezzo diagnostico più sensibile e specifico. Le indagini ecografiche, inoltre, possono validamente affiancarsi alla radiologia nella diagnosi e monitorizzazione di alcune infezioni fungine. La rivelazione alla tomografia assiale e all'indagine ecografica di caratteristiche lesioni epatiche e spleniche, e in alcuni casi localizzate anche a reni e polmoni, permette un fondato sospetto diagnostico di candidosi disseminata (Figure 6 e 7). Tale quadro clinico, tuttavia, si manifesta solo dopo la risalita dei granulociti neutrofili se il paziente è sopravvissuto all’infezione acuta. Per quanto riguarda le infezioni polmonari, le indagini radiografiche convenzionali possono non essere in grado di evidenziare lesioni micronodulari in corso di candidosi o raramente di aspergillosi. Lesioni cavitarie polmonari con abitante (pseudomicetoma) o lesioni pseudoinfartuali tipiche dell'aspergillosi sono chiaramente documentate alla radiografia del torace. Tuttavia, queste lesioni polmonari assumono un aspetto tipico solo tardivamente nel corso dell'infezione e spesso nella fase acuta non presentano caratteristiche peculiari o addirittura non sono evidenziabili. Alla TAC, le stesse lesioni in una fase precoce sono frequentemente caratterizzate da una area periferica di densità inferiore rispetto alla zona centrale. E 30 M A T O L O G I A 5 Figura 6 • Candidosi epatica (risonanza magnetica nucleare) Figura 7 • Candidosi epatica (reperto autoptico) Questo quadro abbastanza tipico è anche conosciuto come segno dell'alone dell'aspergillosi polmonare (73). Tali tecniche strumentali, pur avendo migliorato le possibilità diagnostiche, sono utili solo in alcuni casi e spesso tardivamente nel corso dell'infezione. Un ruolo spesso determinante e sicuramente promettente per la diagnosi delle infezioni fungine profonde è sostenuto dalla diagnostica di INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 31 laboratorio. Tuttavia, gli esami colturali spesso sono poco sensibili. Le emocolture sono solitamente negative in corso di aspergillosi anche disseminata. Una candidosi invasiva, invece, può essere diagnosticata con le emocolture in circa il 50% dei casi, anche se l'isolamento del germe dal sangue è in genere tardivo ed è segno di disseminazione spesso fatale dell’infezione (33). Tra i funghi emergenti, Fusarium species e Blastoschizomyces capitatus sono stati isolati dal sangue in molti dei casi di infezione invasiva segnalati in letteratura (35, 36). La possibilità di isolare un fungo dal sangue è maggiore se aumenta il numero di emocolture eseguite in occasione di una sospetta infezione fungina. Tra le tecniche emocolturali più sensibili e che permettono un più rapido isolamento del germe ricordiamo la lisi-centrifugazione, il metodo radiometrico e il sistema bifasico ventilato. Il significato dell'isolamento di funghi dalle mucose e dal tratto respiratorio è controverso. Il problema fondamentale è discriminare tra colonizzazione e infezione fungina. L'isolamento di Aspergillus dalle secrezioni respiratorie (espettorato, broncolavaggio e tampone nasale) varia dal 13% al 50% nei pazienti leucemici con infezioni polmonari e delle vie aeree superiori, ed è considerato un dato microbiologico di rilevante significato diagnostico (74). Tuttavia, la colonizzazione da Aspergillus delle vie aeree superiori è frequente anche nei soggetti sani, di conseguenza, un tampone nasale positivo potrebbe non essere correlato a un’infezione. Dunque, le positività degli esami colturali sulle secrezioni del tratto respiratorio possono avere un significato diagnostico se associate a un quadro clinico di infezione polmonare o dei seni paranasali. La Candida è un comune commensale e colonizzante del tratto gastroenterico, quindi il suo isolamento dal cavo orale o dalle feci non può assumere valore diagnostico. Anche in presenza di lesioni polmonari diagnosticate radiologicamente, l'solamento di Candida dall'espettorato non ha alcun significato. Tuttavia, alcuni studi dimostrano che la colonizzazione da Candida può essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di una candidosi invasiva nei pazienti neutropenici (74). Il risultato degli esami colturali è spesso di difficile interpretazione e il valore diagnostico dipende dal tipo di campione clinico e dalle specie fungine isolate. Inoltre, il mancato isolamento di funghi dalle colture non è sufficiente per escludere l'origine fungina di un’infezione. Nella maggior parte dei casi, la conferma o l'esclusione di una infezione fungina invasiva si può ottenere solo dalle indagini istologiche. Tuttavia, le procedure diagnostiche invasive sono spesso controindicate in pazienti in gravi condizioni generali e in quelli con grave piastrinopenia. Solo lesioni cutanee sospette per localizzazione fungina possono essere agevolmente bioptizzate senza rilevanti rischi. E 32 M A T O L O G I A Negli ultimi anni sono stati ottenuti risultati promettenti nella diagnosi sierologia delle infezioni fungine profonde tramite il dosaggio di specifici antigeni fungini (72, 75, 76). Tuttavia, questi esami sierologici presentano limitazioni nelle tecniche di esecuzione e nel loro significato clinico. Pertanto, tali dati dovrebbero essere interpretati con cautela e considerati nel contesto della malattia come parte delle indagini cliniche e di laboratorio. Per alcune micosi come la criptococcosi, l'istoplasmosi e la coccidioidomicosi il ruolo della diagnosi sierologica con dosaggio degli antigeni fungini è ben codificato e sono disponibili in commercio validi test diagnostici. Tuttavia, tali micosi colpiscono soprattutto i pazienti con AIDS. Nei pazienti con neoplasie maligne, al contrario, la diagnosi immunologica delle micosi invasive ha un limitato valore diagnostico. Infatti, gli esami sierologici attualmente disponibili per la diagnosi di candidosi e aspergillosi invasiva sono dotati di scarsa sensibilità e specificità. Il valore clinico del dosaggio degli anticorpi nelle micosi invasive è estremamente limitato per l'alterata risposta immunitaria nei pazienti immunocompromessi e per i falsi positivi nei pazienti con colonizzazione delle mucose. La ricerca di numerosi antigeni fungini con varie metodiche è stata impiegata nella diagnosi di candidosi e aspergillosi invasive. Per quanto riguarda la candidosi invasiva, in numerosi studi è stato valutato il significato del dosaggio della mannoproteina di superficie, di una proteina citoplasmatica di 48KDa e di una glicoproteina termolabile. Le metodiche più frequentemente impiegate sono: immunodiagnosi con anticorpi monoclonali e policlonali (EIA), indagini radioimmunologiche (RIA), test di agglutinazione e coagglutinazione al lattice. Nella diagnosi delle infezioni da Aspergillus il significato del dosaggio urinario e sierico dell'antigene polisaccaridico galattomannano è stato valutato con metodiche RIA, EIA e di agglutinazione al lattice. Il valore diagnostico del dosaggio degli antigeni per la diagnosi di candidosi e aspergillosi nei pazienti neoplastici è tuttora controverso. La sensibilità e la specificità, il valore predittivo positivo e negativo differiscono notevolmente nei vari studi pubblicati e con le varie metodiche. La ragione di questi risultati contrastanti è probabilmente da riferirsi alla particolare cinetica degli antigeni fungini. La mannoproteina di Candida e il galattomannano di Aspergillus vengono rapidamente rimossi dal circolo sanguigno con la formazione di immunocomplessi e seguente endocitosi da parte delle cellule del Kupffer nel fegato. La presenza transitoria di tali antigeni nel circolo sanguigno potrebbe spiegare la bassa sensibilità di tali indagini soprattutto se effettuate in singoli campioni di siero. Per tale motivo sembra che tali test sierologici possano avere valore diagnostico se effettuati su campioni seriati di sangue in pazienti con sospetto di candidosi o aspergillosi invasiva. In uno studio retrospettivo in pazienti emopatici con candidemia, il dosaggio della mannoproteinemia è risultato utile INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 33 5 nella diagnosi differenziale tra candidemia correlata alla presenza del catetere venoso centrale e candidemia in corso di infezione invasiva (77). La mannoproteinemia è risultata praticamente assente nei casi di candidemia da catetere e positiva nella maggior parte dei pazienti con infezione invasiva. Ulteriori studi sono necessari per standardizzare le metodiche sierologiche, per identificare l'ottimale frequenza di prelevamento dei campioni sierici e per individuare i quadri clinici nei quali le indagini sierologiche dimostrano una soddisfacente sensibilità e specificità diagnostica. ■ DIAGNOSI DELLE INFEZIONI VIRALI Una pronta e accurata diagnosi di alcune infezioni virali è necessaria tenuto conto delle possibilità terapeutiche oggi disponibili. Un campione di siero prelevato prima del trapianto è sufficiente per determinare l’immunità acquisita del ricevente il trapianto verso i virus erpetici che più frequentemente causano malattie nei pazienti emopatici. In genere le infezioni primarie sono più gravi delle infezioni secondarie o delle riattivazioni. Nel caso delle infezioni da Herpes virus la sieropositività è indice di infezione latente. Con l’immunosoppressione gli individui sieropositivi mostrano frequentemente la riattivazione di quella infezione, indicata generalmente da un innalzamento del titolo anticorpale. Tuttavia, questo fenomeno non rappresenta necessariamente un indice di malattia in atto. È inoltre consigliato prelevare un campione di siero dal donatore per determinare la presenza di anticorpi verso quei virus che possono essere trasportati con le cellule staminali emopoietiche (CSE) da trapiantare. Difatti, la potenziale infettività delle CSE da trapiantare può essere indicata dallo stato sierologico del donatore. Il metodo di laboratorio più sensibile e specifico per la diagnosi di infezione virale in pazienti emopatici è la coltura cellulare. Infatti, questi pazienti presentano nelle loro secrezioni un elevato titolo del virus. Tuttavia, in genere sono necessari alcuni giorni, se non settimane, per ottenere una risposta conclusiva. Sono stati quindi sviluppati metodi rapidi che utilizzano anticorpi monoclonali diretti verso antigeni virali che sono poi rivelati in immunofluorescenza o con immunoperossidasi. Recentemente, sono stati realizzati sistemi anche automatizzati che permettono la rivelazione di genoma virale mediante ibridizzazione in situ o mediante amplificazione del genoma stesso (PCR), in tale modo la diagnosi può essere effettuata in 24-48 ore invece delle usuali 2-3 settimane. Le colture virali di sorveglianza sono usualmente effettuate dalla maggior parte dei centri di trapianto per porre diagnosi di infezione da CMV e HSV. In genere le colture vengono effettuate ogni 2-4 settimane per 3 mesi circa dopo il trapianto. Le colture di sorveglian- E 34 M A T O L O G I A za del sangue posseggono un elevato valore predittivo positivo (90% circa), comunque, il 10% circa dei pazienti può presentare una malattia erpetica (esempio CMV) senza aver eliminato in precedenza virus nel sangue o in altri siti corporei. Tuttavia, sapere se il paziente elimina il virus è utile per formulare una diagnosi differenziale nel caso il paziente diventasse febbrile. Per esempio, la diagnosi di infezione sintomatica da CMV, è poco probabile in un paziente trapiantato le cui colture virali sono ripetutamente negative per CMV. Per quanto riguarda il CMV, l’attuale indicazione è di eseguire, se possibile, più test con elevata sensibilità e specificità. Il test dell’antigenemia, eseguita in immunofluorescenza con anticorpo monoclonale pp65, è attualmente il test più standardizzato, il risultato è espresso come numero di cellule positive/150 000-200 000 globuli bianchi analizzati. Questo test consente non solo una rapida diagnosi (5-7 ore dal prelievo) ma anche la possibilità di monitorizzare la terapia antivirale. Tuttavia, nei pazienti con emopatia maligna e/o sottoposti a chemioterapia o trapianto di midollo osseo, il numero dei globuli bianchi circolanti è spesso inferiore al quantitativo minimo necessario per eseguire il test. Per tale motivo, test di biologia molecolare (PCR) sono utilizzati per individuare anche poche quantità di genoma virale. Il limite della PCR in questo settore è la predittività clinica e la mancata standardizzazione internazionale. A ogni modo, l’esecuzione di colture cellulari rapide (shell vials) e di colture cellulari tradizionali consente di isolare e tipizzare il ceppo virale, permettendo in tal modo di superare le carenze degli altri test. 5.2 APPROCCIO SINDROMICO ■ SINUSITI La sinusite acuta nei pazienti con neoplasie ematologiche è causata principalmente da batteri e da funghi. La localizzazione nei seni del tessuto neoplastico rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di una sinusite. Inoltre, in pazienti con sintomi e segni di sinusite cronica deve essere considerata la possibilità anche di una infezione da batteri anaerobi. Per tale motivo in caso di biopsia, il tessuto prelevato deve essere esaminato per batteri aerobi, anaerobi e funghi. Le infezioni fungine possono evolvere rapidamente, coinvolgendo, le strutture ossee, cartilaginee e i tessuti molli circostanti. L’estensione dell’infezione con erosione ossea, distruzione dei seni nasali, paranasali e dell’orbita, provocano la sindrome rinocerebrale con coinvolgimento del cervello mediante estensione diretta o invasione vascolare (Figura 8). L’Aspergillus è la più frequente causa di INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 35 5 sinusite in pazienti onco-ematologici, la diagnosi di certezza richiede la biopsia del tessuto. La TAC del massiccio facciale e il tampone dei seni sono fortemente indicativi di infezione, ma non definitivi. La terapia di scelta è l’amfotericina B, spesso in associazione con l’intervento chirurgico. Figura 8 • Infezione da Aspergillus spp. dei seni etmoidali e sfenoidali con localizzazione cerebrale frontale (indagine TAC) ■ INFEZIONI POLMONARI La presenza di un infiltrato polmonare con febbre nel paziente immunocompromesso rappresenta un importante problema diagnostico e terapeutico. Le cause infettive possono essere le più varie (batteri, funghi, protozoi) (51), in relazione anche al tipo di deficit immunitario (Tabella 2), e inoltre cause non infettive come l’edema interstiziale, il danno da farmaci e la stessa malattia onco-ematologica di base possono dar luogo a infiltrati polmonari da includere nella diagnosi differenziale. La presenza di un infiltrato polmonare in un paziente affetto da neoplasia ematologica maligna è associato a una prognosi sfavorevole, la polmonite infatti è l’infezione gravata dalla più alta E 36 M A T O L O G I A Rapporto tra deficit immunitario ed etiologia delle polmoniti Tabella 2 Deficit immunitario Etiologia Mucosite, intubazione Flora batterica cavo orale Enterobacteriaceae Neutropenia Gram-negativi (P. aeruginosa) Aspergillus spp. Ipogammaglobulinemia Streptococcus pneumoniae Haemophilus influentiae tipo B Pneumocystis carinii Deficit immunità cellulare Micobatteri, Funghi Virus (CMV, Herpes) Pneumocystis carinii Toxoplasma gondii letalità nei pazienti con ridotti poteri di difesa. I pazienti con leucemia acuta in recidiva sviluppano un episodio di polmonite ogni 2 mesi trascorsi a rischio e nei pazienti con emopatie maligne, che hanno sviluppato febbre e infiltrato polmonare, la mortalità è del 45%, 5 volte superiore a quella dei pazienti che avevano sviluppato solo febbre (78). Le cause di questa elevata mortalità sono probabilmente molteplici. Il danno delle mucose bronchiali, la depressione dei linfociti T e B, la neutropenia e la disfunzione dei macrofagi alveolari possono essere tutti presenti contemporaneamente come conseguenza della malattia di base e/o della terapia impiegata per controllarla. Il dismicrobismo delle alte vie respiratorie creato dagli antibiotici, dalla terapia immunosoppressiva e da cannule endotracheali facilita la colonizzazione delle vie respiratorie. L’esposizione all’ambiente ospedaliero rappresenta un ulteriore fattore di rischio. Tra gli agenti infettivi ospedalieri che in questi ultimi anni hanno assunto un ruolo rilevante per la morbidità e la mortalità ricordiamo l’Aspergillus spp. Una elevata contaminazione dell’aria ambientale con spore di Aspergillus fumigatus o Aspergillus flavus, come avviene in corso di lavori murari nell’ospedale o nelle immediate vicinanze, può essere associata a epidemie ospedaliere di aspergillosi polmonare gravate da alta letalità. La diagnosi di polmonite nel paziente granulocitopenico può essere resa difficile a causa della assenza dei mediatori della flogosi, pertanto sia l’esame obiettivo sia l’esame radiologico INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 37 5 possono essere negativi e rivelarsi positivi, successivamente, alla risalita dei neutrofili, quando il paziente non è più febbrile e il focolaio broncopolmonare è in via di risoluzione. Non sorprende quindi che, in alcune casistiche, il 58% dei pazienti deceduti con leucemia e profonda granulocitopenia, abbiamo mostrato all’autopsia focolai broncopneumonici misconosciuti in vita e quindi non adeguatamente trattati. La certezza diagnostica in tali circostanze potrebbe venire solo dall’accertamento bioptico che in pazienti così fragili e gravemente piastrinopenici è quasi sempre controindicato. Malgrado le varie difficoltà, esistono numerosi elementi clinici che possono essere di aiuto nell’approccio a questo grave problema. Essi sono elencati di seguito. 1. I fattori di rischio del paziente e l’epidemiologia delle infezioni polmonari in quella determinata categoria di ospiti immunocompromessi. In questa ottica sono particolarmente importanti le infezioni polmonari pregresse o latenti, i contatti familiari od ospedalieri. 2. Il tempo di progressione dell’infezione. A seconda che la polmonite abbia un andamento acuto, subacuto o cronico possono in effetti essere ipotizzate etiologie differenti. 3. Il tipo di infiltrato polmonare osservabile all’esame radiologico (omogeneo, localizzato, diffuso) (Tabella 3). 4. La valutazione dei gas arteriosi e dell’equilibrio acido-base (Tabella 4). L’alcalosi respiratoria con pH alcalino e con o senza riduzione della paO 2 fa pensare a un interessamento di tipo interstiziale che può non essere chiaramente visibile all’esame radiologico. Un impegno sia del parenchima polmonare che dei vasi non induce alterazione del rapporto ventilazione/perfusione, per cui la pressione parziale di ossigeno resta normale a dispetto del massimo impegno parenchimale. Le infezioni dotate di queste caratteristiche sono causate da alcuni bacilli Gram-negativi come Pseudomonas aeruginosa, Nocardia asteroides e da funghi, in particolare Aspergillus e Mucor. Data l’attuale epidemiologia delle infezioni, nel paziente leucemico la presenza di un infiltrato polmonare con paO 2 normale deve far pensare in prima istanza a una polmonite fungina ed è una indicazione codificata all’impiego terapeutico di amfotericina B per via endovenosa. ■ LE POLMONITI FUNGINE Le cause più frequenti di polmoniti fungine sono rappresentate dai E 38 M A T O L O G I A Rapporto tra aspetto radiologico, tempo di evoluzione ed etiologia dell’infiltrato polmonare nel paziente immunocompromesso Tabella 3 Aspetto radiologico Evoluzione acuta Subacuta-cronica Opacità strutturata Batterica Funghi Nocardia TBC Neoplasia (virus) (P. carinii) (farmaci) Infiltrato peribroncovascolare”interstiziale” Edema polmonare Reazione da leucoagglutinine Virus P. carinii Radiazioni Farmaci Infiltrato nodulare Batteri (Edema polmonare) Neoplasia Funghi Nocardia TBC P. carinii L’emogasanalisi nelle infezioni polmonari paO2 ➝ IN ➝ ➝ Polmonite fungina ** ** pH ➝ ➝ Polmonite lobare * INFEZIONI ➝ ➝ Polmonite interstiziale * paCO2 ➝ ➝ Tabella 4 ➝ ➝ ➝ nelle fasi iniziali di una polmonite interstiziale la paO 2 può essere normale con paCO 2 ridotta nelle polmoniti fungine l’infezione parte primariamente dai vasi per cui non si altera il rapporto ventilazione/perfusione. Per tale motivo un esteso infiltrato polmonare con paO 2 normale è compatibile, anche se non diagnostico, con una infezione fungina. EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 39 5 cosiddetti “miceti opportunisti”, fra questi quelli che più spesso possono essere causa di micosi disseminata, con interessamento polmonare, sono Aspergillus, Mucor e Candida. ■ ASPERGILLOSI POLMONARE L’aspergillosi polmonare è un problema prevalente del paziente oncoematologico granulocitopenico. L’incidenza di questa complicanza infettiva è 20 volte più elevata nel paziente con leucemia acuta che nel paziente con linfoma o sottoposto a trapianto d’organo. La neutropenia prolungata e profonda, e l’uso di terapia immunosoppressiva rappresentano i principali fattori di rischio di aspergillosi polmonare. La diagnosi certa è soltanto istologica, tuttavia, la biopsia polmonare è spesso non praticabile, perché i pazienti sono profondamente piastrinopenici. Nella maggior parte dei casi la malattia all’esordio è simile a una polmonite batterica acuta. Generalmente il paziente presenta una febbre resistente alla terapia antibiotica ad ampio spettro. La tosse, se presente, non è mai produttiva e spesso si associa a dolore toracico di tipo pleurico. L’aspetto radiologico può essere vario: opacità focale, singola o multipla, fino all’interessamento di un lobo o miliare, questi ultimi aspetti radiologici sono più rari. L’aspetto radiologico più suggestivo in questi pazienti è la presenza di opacità triangolari con la base rivolta verso la pleura e l’apice rivolto verso l’ilo polmonare, espressione dell’invasione vascolare da parte del fungo. Con la risalita dei neutrofili tali opacità possono escavarsi assumendo talora l’aspetto di “fungus ball” o “pseudo-micetoma” o “aspergilloma” (Figura 9). Questa caratteristica immagine a bersaglio costituita da una cavità con all’interno una opacità circondata da una semiluna d’aria, “air crescent sign”, è patognomonica di infezione fungina e nella maggior parte dei casi è dovuta ad Aspergillus spp., anche se alcune volte sono stati descritti casi di micetoma da altri funghi come Mucor o Blastoschizomyces capitatus (35). Queste cavità possono rompersi in un vaso, al momento della risalita dei neutrofili, causando il drammatico quadro dell’emottisi massiva sempre rapidamente mortale, o nel cavo pleurico, determinando uno pneumotorace spontaneo (79); tali eventi possono peggiorare la prognosi elevando la letalità intraospedaliera dell’aspergillosi polmonare. Le colture dell’espettorato sono positive nell’8-20% dei casi come anche la coltura del broncolavaggio che è positiva in meno del 20-25% dei casi. La positività colturale del tampone nasale rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo per lo sviluppo di una aspergillosi polmonare in fase di neutropenia, come dimostrato da studi prospettici e retrospettivi. Il farmaco di scelta per il trattamento dell’aspergillosi polmonare è ancora oggi E 40 M A T O L O G I A Figura 9 • Pseudomicetoma da Aspergillus all’esame TAC in paziente con leucemia acuta mieloide l’amfotericina B che deve essere iniziata il più presto possibile. Recenti studi hanno suggerito l’uso dell’itraconazolo, nella terapia della polmonite da Aspergillus. Anche se i dati sono ancora preliminari, la buona efficacia clinica e i limitati effetti collaterali rendono l’itraconazolo una valida alternativa all’amfotericina B nel trattamento delle aspergillosi invasive. Studi prospettici comparativi su un vasto numero di pazienti sono necessari per valutare l’efficacia dell’itraconazolo rispetto al farmaco di riferimento. Le possibilità di superare l’infezione sono comunque legate esclusivamente alla ripresa midollare senza la quale la terapia attuale è incapace di guarire la polmonite. La letalità continua a essere dell’80-90% se il paziente è persistentemente neutropenico. ■ MUCOR Il rinomicetoma, descritto anche nel paziente diabetico, è l’infezione più comune da Mucor nel paziente immunocompromesso. L’affezione polmonare da Mucor presenta un quadro clinico e radiologico assolutamente sovrapponibile a quello dell’aspergillosi, quindi la diagnosi differenziale è possibile solo mediante l’isolamento microbiologico del fungo o mediante l’esame istologico con la dimostrazione di grossolane ife non settate divise ad angolo retto, caratteristiche del Mucor. La prognosi è ancora più grave di quella dell’aspergillosi e la risposta all’amfotericina B è scarsa, pur rimanendo il farmaco di scelta poiché è l’unico dotato di una qualche attività su Mucor. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 41 5 ■ CANDIDOSI POLMONARE La polmonite primitiva da Candida è un’assoluta rarità (80). La frequente colonizzazione da Candida del cavo orale, che si riscontra in oltre il 50% dei pazienti dopo terapia antibiotica, consente di isolarla con grande facilità dall’espettorato generando così grande confusione diagnostica. Sono stati descritti pochi casi di polmonite da aspirazione, ma la patogenesi della polmonite da Candida è per via ematogena. Ciò può avvenire solo nel paziente gravemente immunocompromesso affetto da candidosi disseminata, per cui è sempre un evento preterminale e peraltro raro. Alla luce di queste osservazioni, la polmonite da Candida non può essere presa in considerazione sulla base dell’esame colturale dell’espettorato, anche in presenza di una polmonite di etiologia imprecisata. ■ LE POLMONITI VIRALI Le specifiche caratteristiche epidemiologico-cliniche delle infezioni polmonari virali verranno trattate nel capitolo 6.1. ■ INFEZIONI DEL CAVO ORALE E DEL TRATTO GASTROINTESTINALE Le ulcerazioni del cavo orale sono frequenti in corso di chemioterapia. Le lesioni indotte dalla chemioterapia sono colonizzate dalla flora indigena del cavo orale (aerobi, anaerobi, miceti), che successivamente può dar luogo a un’infezione locale, che a sua volta, nei pazienti neutropenici, rappresenta una porta d’ingresso per i germi responsabili di setticemia. Nei pazienti con leucemia, le mucositi, le gengiviti e altri p r o b l e m i d e n t a l i s o n o f r e q u e n t i ( f i n o a l l ’ 8 5 % d e i c a s i ) . S f o r t unatamente, la mucosa del cavo orale è un sito dove è difficile ottenere un’efficace decontaminazione microbica. La candidosi e le infezioni batteriche del cavo orale sono prevalentemente infezioni superficiali. Spesso le infezioni del cavo orale sono infezioni miste, ad esempio è possibile la combinazione tra Streptococcus viridans e HSV. Per tale motivo in alcuni centri è invalso l’uso di profilassare con aciclovir i pazienti con alto rischio di sviluppare una mucosite (trapiantati di midollo osseo). L’uso di tale procedura di profilassi avrebbe prodotto una notevole riduzione delle infezioni streptococciche. Le infezioni mucocutanee da HSV devono essere trattate con aciclovir per via orale mentre l’uso della crema non produce lo stesso effetto clinico. Nel paziente granulocitopenico, l’esofagite può essere secondaria alla chemioterapia o alle radiazioni, ma è spesso causata da Candida spp. e da HSV, o meno comunemente da batteri e da CMV (specialmente in pazienti sottoposti a TMO). Porre la diagnosi può E 42 M A T O L O G I A essere problematico, poiché non è facile distinguere le lesioni da Candida da quelle da HSV, e l’esame endoscopico con biopsia, malgrado sia l’esame più sensibile e specifico, può rappresentare un rischio in pazienti profondamente piastrinopenici. Pertanto secondo alcuni autori in queste condizioni è consigliato somministrare un trattamento empirico con antifungini per 24-48 ore e in caso di persistenza del dolore aggiungere aciclovir per via venosa. L’incidenza delle infezioni gastrointestinali da CMV non è ancora ben definita poiché per porre la diagnosi di certezza di infezione da CMV è necessario effettuare esami endoscopici e prelievi di tessuti. Quando la malattia da CMV è presente possono essere identificate piccole ulcere e papule eritematose in ogni parte del tubo gastroenterico. Clinicamente i pazienti possono presentare dolori addominali e diarrea con sangue, ma possono essere anche asintomatici. Ulcere duodenali o esofagee possono essere provocate anche da HSV. In aggiunta alle infezioni dovute ai comuni germi intestinali, i pazienti con neoplasia ematologica sono a rischio per i patogeni gastrointestinali, quali ad esempio la Salmonella. La tiflite è una cellulite necrotizzante dell’intestino cieco, usualmente si presenta con una sindrome caratterizzata da addome acuto, con dolore addominale e iperbilirubinemia. I principali germi responsabili sono Pseudomonas spp., Candida spp. e Clostridium spp. La diagnosi è stata fino a oggi prevalentemente istologica, attualmente l’uso dell’ecografia sembra essere una metodica diagnostica promettente (Figura 10). Tuttavia, la prognosi di tale mani- Figura 10 • Ileotiflite in un paziente con leucemia acuta mieloide sottoposto a chemioterapia di induzione (indagine ecografica: scansione trasversa del colon che dimostra ispessimento delle pareti) INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 43 5 festazione clinica è prevalentemente infausta. La terapia è medica (antibiotica) e in rari casi chirurgica. La diarrea e la colite da farmaci (prevalentemente antibiotici, es. clindamicina) sono scatenate dalla crescita nell’intestino di Clostridium difficile. La sintomatologia clinica è legata alla produzione nell’intestino di citotossina e di enterotossina. Lo spettro clinico dell’infezione da Clostridium difficile nei pazienti con emopatia maligna va dallo stato di portatore asintomatico, alla diarrea moderata-grave, fino al megacolon tossico (81). Il Clostridium difficile può essere trasmesso in ambiente nosocomiale, pertanto pazienti con Clostridium difficile producente tossine dovrebbero essere attentamente sorvegliati per evitare la trasmissione nosocomiale. Il trattamento della colite da C. difficile richiede la somministrazione di vancomicina per os (125 mg 4 volte al dí per 10-14 giorni) o metronidazolo (30 mg/kg/die per os o e.v. in 3-4 somministrazioni). Il 10-20% dei pazienti presenta recidiva della diarrea, tuttavia questi casi rispondono a un secondo trattamento. L’infezione da Strongyloides stercoralis nel soggetto immunocompetente decorre in modo asintomatico o con diarrea di grado lieve. Invece, nei pazienti immunodepressi l’infezione può diventare sistemica e fatale. La sintomatologia a carico dell’apparato intestinale si manifesta con diarrea e dolori addominali. Possono essere presenti anche febbre, ipotensione, polmonite e deficit neurologici dalla confusione mentale fino al coma. Nel corso della superinfezione da Strongiloides la diagnosi è possibile mediante l’identificazione delle larve nelle feci, nelle urine e nella saliva. Il farmaco di scelta è il tiabendazolo (25 mg/kg due volte al dí per 21 giorni). ■ INFEZIONI EPATICHE L’epatite può colpire il paziente neoplastico sia come infezione primaria (epatite da virus A, B, C) o come infezione secondaria (CMV, EBV, HSV). L’incidenza dell’infezione da virus B (presenza di HBsAg nel siero) in pazienti con leucemia e linfoma varia a seconda delle casistiche dall’1% fino al 33%, mentre la frequenza di anticorpi verso HBV è stata riportata tra 19 e 55%. Perciò l’esposizione totale all’infezione da virus B, passata e presente, è stata calcolata essere tra 29 e 69% dei pazienti con malattie mieloproliferative e linfoproliferative (82). Durante la chemioterapia, l’immunodepressione consente un notevole incremento del titolo dell’HBsAg; successivamente quando il paziente sarà in remissione, il titolo dell’HBsAg tornerà a livelli pre-terapia. Inoltre, è possibile osservare durante la chemioterapia la conversione dell’infezione da virus B da forme non replicative (HBeAg/HBV DNA negativi) a forme replicative (HBeAg/HBV E 44 M A T O L O G I A DNA positivi). Infine, in modo occasionale alcuni pazienti con antiHBsAg possono riesprimere HBsAg. È interessante notare, come pazienti asintomatici portatori di HBsAg al momento della sospensione della chemioterapia possono sviluppare una forma di epatite acuta. Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche, l’infezione acuta da HBV non è sempre asintomatica nei pazienti onco-ematologici. L’epatite acuta può manifestarsi durante la chemioterapia e successivamente dopo l’interruzione della chemioterapia. Poiché il comportamento di pazienti HBsAg positivi non è prevedibile, è indicato il monitoraggio delle transaminasi. La cronicità dell’infezione da HBV non è del tutto sovrapponibile a quella della popolazione normale. L’infezione da virus C è caratterizzata da una elevata frequenza alla cronicizzazione anche nei pazienti emopatici. Benché il rischio di infezione sia stato ridotto in questi ultimi anni, il problema è ancora presente e probabilmente lo sarà ancora in futuro. Nei centri europei di trapianto di midollo osseo il 4% dei pazienti trattati nel 1995 era HCVRNA positivo e il 7% dei pazienti sviluppava una viremia “de novo” durante il follow-up. Il ruolo dei nuovi virus epatotropi, virus GB e virus G, non è stato ancora del tutto definito. La prevalenza nella popolazione normale è dell’1-5%, mentre nei trapiantati di midollo osseo è del 20%; la patogenicità epatica deve essere meglio definita (83). Per quanto riguarda i pazienti trapiantati, HSV, HVZ e adenovirus possono essere causa di epatite nel secondo trimestre dopo il trapianto. In particolar modo l’epatite da HSV può avere una rapida evoluzione fatale ma è anche la forma più rispondente alla terapia con aciclovir se la diagnosi è posta precocemente. ■ INFEZIONI DELLE VIE URINARIE Il rischio delle infezioni delle vie urinarie è incrementato dalla localizzazione di eventuali masse neoplastiche e dalla cateterizzazione del paziente. In aggiunta alle infezioni batteriche, le vie urinarie possono essere infettate da Candida, specialmente nei pazienti portatori di catetere. I pazienti neutropenici possono avere in seguito a infezione urinaria da Candida una forma di candidosi disseminata, tuttavia la presenza di pseudoife nelle urine non è diagnostica. Le infezioni virali del tratto urinario sono comuni ma frequentemente decorrono senza sintomi. Le infezioni da papovavirus, dovute sia a virus BK sia JC possono presentarsi come infezione primaria o secondaria, in genere, dopo il 3° mese dal trapianto. Le infezioni da papovavirus possono essere diagnosticate mediante colture virali, esame citologico e determinazione di anticorpi specifici. L’isolamento di CMV dalle urine non indica necessariamente che il virus sia la causa di una eventuale infezione in atto. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 45 5 ■ INFEZIONI DELLA CUTE E DELLE MUCOSE L’integrità della barriera muco-cutanea è frequentemente distrutta nei pazienti neoplastici (chemioterapia, CVC, radioterapia, punture, chirurgia, biopsia). Conseguentemente, l’infezione batterica o fungina locale è frequente e può dar luogo a un’infezione disseminata nei periodi di neutropenia. Inoltre, la cute può infettarsi durante gli episodi di batteriemia (P. aeruginosa, A. hydrophila, S. marcescens), di fungemia (Aspergillus, Candida, Mucor) e di viremia (HSV e HVZ). Pertanto l’analisi della cute consente la diagnosi precoce di infezioni anche generalizzate. Le infezioni virali che coinvolgono la cute sono comuni dopo trapianto d’organo ma raramente rappresentano un grave problema per la prognosi. Più frequentemente tali infezioni sono provocate da HSV e HVZ. HSV di tipo 1 e tipo 2 possono causare tipiche lesioni muco-cutanee nelle regioni orale e periorifiziali. Benché siano generalmente benigne, possono essere espressione di infezioni disseminate. La varicella, infezione primaria da HVZ, è la più grave infezione per i bambini con emopatia, presentando una mortalità prima dell’introduzione della terapia antivirale del 7%. Particolarmente frequente in questi pazienti è lo sviluppo di complicanze viscerali (3050% dei casi), in particolar modo polmonite, epatite e localizzazione al sistema nervoso centrale (SNC). Attualmente, la più comune complicanza è caratterizzata dalla superinfezione batterica delle lesioni cutanee, più frequentemente da batteri Gram-positivi; tali infezioni nei bambini neutropenici possono dar luogo a complicanze settiche. L’incidenza di riattivazione del HVZ nei pazienti con neoplasia è del 15-52%, mentre l’incidenza nella popolazione normale è del 5%. Contrariamente alla mortalità dovuta all’infezione primaria (varicella), la mortalità da Herpes zoster è bassa (<1%) anche nei pazienti con neoplasia. Individui trapiantati possono sviluppare infezioni da Herpes zoster nel 7-16% dei casi dopo i primi 6 mesi dal trapianto. L’incidenza della nevralgia post-erpetica (dolore persistente oltre 1 mese dalla risoluzione dell’Herpes zoster) tra i pazienti immunocompromessi è del 20-30%. L’Herpes zoster nel paziente immunocompromesso tende a disseminare più frequentemente che nel paziente immunocompetente. La disseminazione cutanea si accompagna frequentemente a localizzazioni viscerali e al sistema nervoso. Altre infezioni disseminate con espressione a carico della cute possono essere provocate da CMV. Più raramente possono presentarsi condilomi, causati da papillomavirus. Una diagnosi etiologica di infezioni cutanee di difficile interpretazione può richiedere una biopsia, spesso necessaria per escludere un’origine non infettiva della lesione (localizzazione di malattia o espressione di una tossicità da ciclosporina). E 46 M A T O L O G I A ■ SINDROME LINFOPROLIFERATIVA Si verifica generalmente nei primi tre mesi dopo il trapianto in soggetti con infezione primaria da EBV. Può presentarsi con tre aspetti diversi: 1. come forma similmononucleosica, autolimitantesi, che coinvolge solo tonsille palatine e linfonodi periferici senza interessamento di altri tessuti; 2. con aspetti iniziali analoghi alla forma precedente ma con successiva infiltrazione diffusa di più organi (in particolare del fegato) da parte di linfociti B, a esito frequentemente infausto; 3. con insorgenza di linfomi extralinfonodali. La diagnosi di sindrome linfoproliferativa associata a EBV può essere posta mediante studi di ibridazione in situ che dimostrino la presenza di antigeni nucleari (EBNA) e/o di materiale genico di EBV in tessuti neoplastici. La terapia delle sindromi linfoproliferative EBV-associate è ancora oggetto di controversie. L’uso dell’aciclovir è da alcuni indicato come utile, ma non esistono ancora dati sufficientemente probanti al proposito. ■ INFEZIONI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE Le meningiti del soggetto immunocompromesso possono essere dovute sia a germi abituali, Streptococcus pneumoniae e Neisseria meningitidis, sia più frequentemente a microorganismi non usuali nel soggetto con ridotte difese immunitarie. La meningite da Cryptococcus neoformans è insidiosa, insorge lentamente ed è caratterizzata da cefalea costante e da febbre nel 5080% dei casi. L’interessamento dei nervi cranici è frequente. La diplopia, la riduzione del visus e dell’udito possono essere gli unici sintomi di interessamento del sistema nervoso centrale. I segni neurologici di localizzazione centrale non sono abituali. La puntura lombare è essenziale per la diagnosi. La pressione liquorale è moderatamente elevata e si osserva una moderata pleiocitosi (50-500 linfociti/mm 3 ). Il glucosio è diminuito e le proteine sono aumentate. La colorazione con inchiostro di china (India InK) è diagnostica nel 50% dei casi. La ricerca dell’antigene criptococcico deve essere eseguita nel liquor e nel siero del paziente. Tale indagine, oltre a essere altamente diagnostica, permette di valutare l’efficacia della terapia. La terapia di scelta è la combinazione di amfotericina B (0.5-1 mg/kg die) più 5-fluorocitosina (100 mg/kg/die per os) per 6 settimane. La meningite da Listeria monocytogenes è più frequente nei pazienti con linfoma, leucemia, mieloma e pazienti sottoposti a trapianto d’organo. L’insorgenza è acuta con febbre elevata, tremori, convulsioni e coma. La diagnosi è posta mediante esame del liquor che rivela una pleiocitosi (1000-10000 cellule/mm 3 prevalentemente polimorfonuclea- INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 47 5 ti), la glicorrachia può essere bassa e la proteinorrachia elevata. La colorazione di Gram può evidenziare bacilli Gram-positivi nel 30% dei casi. Le colture del liquor sono in genere positive fino al 75% dei casi. L’ampicillina (1-2 g ogni 4 ore e.v.) è l’antibiotico di scelta, tuttavia sono utilizzate alte dosi di penicillina, eritrocina e tetraciclina. Studi in vitro dimostrano l’effetto sinergico tra penicillina e aminoglicoside. Toxoplasma gondii può essere causa di meningo-encefalite per riattivazione di un focolaio silente. Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di febbre, alterazione della coscienza, cefalea, convulsioni e deficit motori. La diagnosi è effettuata mediante la ricerca di anticorpi nel liquor e nel sangue periferico, la ricerca del parassita mediante PCR è promettente. Il farmaco di scelta è la pirimetamina (dose iniziale 100-200 mg per os, seguita da una dose di mantenimento di 1-2 mg/kg fino a un massimo di 50 mg/kg al giorno per os). La durata ottimale del trattamento non è del tutto nota ma non deve essere inferiore a 4-6 settimane. I virus che possono produrre malattie del SNC nel paziente immunocompromesso appartengono principalmente a 2 classi: 1. virus erpetici, 2. papovavirus (tra questi il virus JC causa leucoencefalite multifocale progressiva). HSV di tipo 1 e 2 possono causare meningoencefalite necroticaemorragica, prevalentemente in sede temporale. L’isolamento del virus dal liquor è raro. La sierologia non è particolarmente utile, poiché significative elevazioni del titolo di anticorpi possono essere documentate anche in corso di infezioni asintomatiche. La diagnosi di certezza è posta solo mediante la biopsia cerebrale. Gravi forme di encefaliti sono state osservate in corso di infezione da HVZ. La diagnosi è generalmente clinica per la distribuzione in dermatomeri dell’infezione. Tuttavia, la diagnosi di certezza è ancora posta effettuando una biopsia cerebrale con coltura in linee cellulari del pezzo bioptico. La leucoencefalite multifocale progressiva, provocata dal virus JC, è stata documentata soprattutto in pazienti riceventi trapianto di rene. La diagnosi può essere sospettata osservando aree di demielinizzazione nel SNC con la risonanza magnetica nucleare. La diagnosi definitiva è però sempre posta effettuando la biopsia cerebrale e coltivando il tessuto in colture cellulari, oppure esaminandolo mediante ibridizzazione in situ. 5.3 LA TERAPIA ANTIBIOTICA EMPIRICA Nei pazienti neutropenici la febbre rappresenta frequentemente l’unico segno di un’infezione, data l’incapacità dell’ospite a fornire una nor- E 48 M A T O L O G I A male risposta flogistica con i classici segni clinici di infezione tissutale, e, nonostante un corretto approccio diagnostico, la documentazione microbiologica può mancare. Nel 60% dei casi, infatti, l’agente etiologico non viene identificato e la febbre resta di origine sconosciuta. La maggior parte delle infezioni documentate nel primo episodio febbrile è di origine batterica e le sepsi, soprattutto da germi Gram-negativi (Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli), si associano spesso a shock e sono gravate da un’elevata e precoce letalità. Per tali motivi, dagli inizi degli anni ‘70 è stato codificato e reso routinario, nel paziente neutropenico febbrile, il concetto, rivoluzionario per l’infettivologia dell’epoca, della terapia antibiotica empirica che ha lo scopo di proteggere dalla morte precoce da sepsi da Gram-negativi. Non più una terapia mirata sulla etiologia provata dell’infezione e sostenuta dalle prove di sensibilità in vitro, ma una terapia basata sull’analisi dei fattori di rischio (febbre e neutropenia) gravati da una letalità inaccettabilmente elevata ed eccezionalmente precoce. Tale approccio metodologico, divenuto oramai prassi abituale in tutti i centri emato-oncologici, più che alla eradicazione dell’infezione, mirava a tenere il paziente in vita proteggendolo dallo shock settico fino alla risalita dei granulociti neutrofili. Oltre 20 anni di esperienza e di studi ci confermano con risultati clamorosi la validità e la irrinunciabilità di tale approccio. La letalità da sepsi da Gram-negativi è infatti passata da circa il 90% negli anni ‘60 a meno del 10%. Negli ultimi 10 anni sono avvenuti una serie di cambiamenti radicali che hanno avuto un impatto importante nella diagnosi, nella terapia e nella prevenzione delle infezioni nei pazienti neutropenici. Sono cambiate infatti le etiologie e i fattori di rischio delle complicanze infettive, sono stati inoltre introdotti nuovi farmaci antimicrobici con più ampio spettro di azione e nuove caratteristiche farmacocinetiche che offrono una varietà di nuove possibilità terapeutiche. Sono infine entrati nell’armamentario terapeutico i fattori di crescita ricombinanti con la promessa teorica di attenuare l’immunodepressione indotta dalla malattia di base e/o dalla chemioterapia, e di accelerare il recupero dalla aplasia midollare. Tutti questi cambiamenti non potevano non suscitare una serie di controversie sulla terapia antibiotica empirica e sulla gestione della febbre in corso di neutropenia. Come già accennato, i risultati ottenuti con l’impiego precoce della terapia empirica sono di una tale rilevanza clinico-scientifica da non poter mettere in discussione la validità di questo approccio metodologico. Tuttavia, la scelta degli antibiotici, l’identificazione delle categorie a rischio, il numero di farmaci impiegati, le modalità di somministrazione e l’utilità o meno di misure preventive, sono argomenti che fanno ancora discutere i ricercatori impegnati in questa branca medica senza trovare ancora, nella maggior parte dei casi, un consenso unanime. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 49 5 La maggior parte dei principi ispiratori degli schemi di terapia empirica nel paziente neutropenico si sono sviluppati agli inizi degli anni ‘70. In questi anni, non solo fu stabilito il principio del pronto inizio di una terapia antibiotica non appena il paziente fosse divenuto febbrile, ma si codificò che tale terapia dovesse essere costituita da una associazione di due o tre farmaci, ciò allo scopo di: 1. allargare lo spettro di azione 2. limitare l’emergenza di germi resistenti 3. ottenere un sinergismo di azione che si traducesse in elevati livelli battericidi nel siero in modo da poter consentire un più elevato numero di successi clinici. In mancanza di un adeguato numero di granulociti circolanti, le possibilità di eradicare l’infezione erano affidate unicamente all’intensità e rapidità battericida degli antibiotici. Molti studi in vitro e in vivo hanno confermato la validità di tali presupposti teorici mostrando una maggiore percentuale di successi clinici se l’associazione di farmaci presentava un effetto sinergico in vitro (84). I farmaci attualmente più usati a tale scopo sono le ureidopenicilline e le cefalosporine di III generazione in combinazione con gli aminoglicosidi. Il presupposto teorico per lo sviluppo di un effetto sinergico fra un beta-lattamico e un aminoglicoside è basato sulle differenze dei siti di azione sulla cellula batterica. L’alterazione della parete cellulare, creata dalla beta-lattamina, anche se non sufficiente da sola a uccidere la cellula batterica, può facilitare l’ingresso dell’aminoglicoside incrementando così l’effetto battericida. Questo tipo di associazione si è mostrato molto efficace in clinica, ma comporta alcuni problemi legati alla nefro e ototossicità dell’aminoglicoside e ai costi elevati di gestione; questi sono incrementati sia dalla necessità di somministrare i farmaci in dosi multiple giornaliere, con il relativo aggravio per il lavoro infermieristico, sia da quella di monitorizzare attentamente la funzione renale e di dosare i livelli sierici dell’aminoglicoside. Nel corso degli anni ‘80 tuttavia sono cambiati molti fattori. Innanzitutto è cambiata l’epidemiologia delle infezioni; pur restando i bacilli Gram-negativi ancora il problema clinico più importante da affrontare per la relativa morbidità e letalità, tuttavia i batteri Gram-positivi cominciavano a predominare nella etiologia delle sepsi nella maggior parte dei centro onco-ematologici di tutto il mondo. Inoltre, negli ultimi 10 anni sono stati introdotti nella pratica clinica molti nuovi beta-lattamici. Alcuni di essi, quali ceftazidime, imipenem e meropenem, presentano uno spettro d’azione considerevolmente ampliato che ne ha permesso l’uso in monoterapia nei pazienti neutropenici febbrili. Le critiche a questo tipo di approccio terapeutico sono molte e soprattutto legate al fatto che tale terapia è rivolta essenzialmente alle infezioni sostenute da bacilli Gram-negativi e offre una mini- E 50 M A T O L O G I A ma copertura nei confronti dei Gram-positivi. Sono stati pubblicati diversi studi clinici nei pazienti neutropenici febbrili che hanno confrontato una monoterapia con un’associazione (85-87), ma sono disponibili solo pochi dati che confrontino l’efficacia dello stesso antibiotico utilizzato da solo o in associazione con un aminoglicoside, indispensabili per definire la reale efficacia della monoterapia e la non necessità dell’aminoglicoside. L’aumento di infezioni da germi Gram-negativi produttori di beta-lattamasi ha indotto a considerare l’uso degli inibitori delle beta-lattamasi. In uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato in pazienti neutropenici con cancro, l’associazione piperacillina-tazobactam più amikacina è stata confrontata con il trattamento standard ceftazidime più amikacina e si è mostrata più efficace nel trattare gli episodi di neutropenia febbrile, anche considerando gli episodi di batteriemia (88). Sono state valutate in vari studi diverse modalità di somministrazione di antibiotici. Alcuni autori al fine di aumentare l’efficacia e ridurre la tossicità degli aminoglicosidi hanno suggerito la loro somministrazione in infusione continua, senza tuttavia fornire risultati convincenti; altri, al contrario, hanno suggerito la monosomministrazione di un dosaggio elevato di aminoglicoside al posto di 2 o 3 somministrazioni refratte e i risultati di tali studi, sia sperimentali che nell’uomo, hanno evidenziato che questa modalità si accompagna a una pari efficacia ma a una minore tossicità rispetto a quella convenzionale (89). Tale modalità di somministrazione degli aminoglicosidi, in combinazione con i beta-lattamici aiuta a raggiungere un effetto post-antibiotico soprattutto se i livelli tissutali di beta-lattamine scendono al di sotto della concentrazione minima inibente (CMI) nell’ultimo periodo dell’intervallo tra le somministrazioni. Nuove cefalosporine a lunga emivita, come il ceftriaxone, possono consentire la loro monosomministrazione giornaliera in combinazione con un aminoglicoside (90-92). Recentemente, l’uso in monodose giornaliera di amikacina (20 mg/kg) e ceftriaxone (2 g/die) ha dimostrato efficacia analoga e non maggiore tossicità dell’associazione amikacina ceftazidime somministrati in modo convenzionale (91). Vale la pena sottolineare i vantaggi in termini di costo/efficacia dell’associazione ceftriaxone-amikacina in monodose giornaliera che rappresenta anche una notevole semplificazione degli oneri infermieristici (Tabella 5). Sulla base dei cambiamenti epidemiologici e della possibilità di disporre di nuovi antibiotici con spiccata attività nei confronti dei bacilli Gram-negativi sono stati proposti schemi di terapia antibiotica empirica diversi dalla classica associazione beta-lattamico-aminoglicoside. L’associazione di due beta-lattamici (piperacillina con cefoperazone o ceftazidime) (93) è costosa e sembra gravata dai rischi di recidive di infezioni da Gram-negativi (P. aeruginosa), dall’emergenza di ceppi resistenti e da superinfezioni fungine. Questo tipo di associazione può rappresentare un’utile opzione nei pazienti anziani, in quelli con insuffi- INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 51 5 Valutazione dei costi di acquisto delle principali associazioni antibiotiche impiegate nel trattamento empirico della neutropenia febbrile Tabella 5 Costo Costo/8 giorni giornaliero di terapia Costo/ 100 pazienti Ceftriaxone (2 g x 1) + amikacina (1.5 g x 1) 57 000 456 000 45 600 000 Ceftazidime (2 g x 3) + amikacina (1.5 g x 1) 114 600 916 800 91 680 000 Piperacillina/taz. (4.5 g x 4) + amikacina (1.5 g x 1) 132 350 1 058 800 105 880 000 Meropenem (1 g x 3) 157 050 1 256 400 125 640 000 Tutti i costi sono espressi in lire e riferiti al prezzo ospedaliero (50% del prezzo al pubblico) dei singoli antibiotici delle formulazioni e.v. Da: L’informatore Farmaceutico, aggiornamento gennaio 1997 cienza renale, in quelli che ricevono terapie con farmaci nefrotossici quali cisplatino, ciclosporina o amfotericina B oppure in pazienti con alterazioni della funzionalità del nervo acustico. La monoterapia con carbapenemici, imipenem (93), meropenem (86), o cefalosporine di terza generazione, ad es. ceftazidime (94) garantisce un ampio spettro antibatterico e una elevata attività battericida nei confronti di enterobatteriacee, P. aeruginosa e di alcuni Gram-positivi, ma può risultare di limitata efficacia nelle sepsi da ceppi di P. aeruginosa multiresistenti, può essere inefficace nei confronti degli stafilococchi resistenti alla meticillina, e inoltre potrebbe favorire l’emergenza di ceppi resistenti e superinfezioni. 5.4 MODIFICHE ALLA TERAPIA ANTIBIOTICA EMPIRICA Nel corso della neutropenia, specie se prolungata, il paziente può andare incontro a molteplici episodi infettivi causati da patogeni batterici e non (miceti, virus, protozoi). Questi si manifestano con ricomparsa o persistenza della febbre, con o senza segni di localizzazione. Si tratta talvolta di infezioni secondarie (diversa sede, diverso microorganismo), talvolta di superinfezioni (stessa sede, diverso microorgani- E 52 M A T O L O G I A smo), più raramente di recidive (stessa sede, stesso microorganismo). Si rendono pertanto necessarie opportune integrazioni della terapia antibiotica iniziale (16). Spesso la febbre persiste per fallimento della terapia antibiotica empirica iniziale e solo in una parte dei casi, e spesso tardivamente, si riesce a individuare la causa infettiva e modificare in modo mirato la terapia antimicrobica. In molti casi la febbre persistente rimane di origine sconosciuta ed è quindi necessario modificare la terapia in modo empirico. Gli elementi da considerare ai fini della modifica della terapia antibiotica empirica iniziale sono i seguenti: eventuale utilizzo di profilassi antinfettiva (antibatterica, antifungina, antivirale); schema di terapia empirica iniziale (monoterapia vs. associazioni); durata ed evoluzione della neutropenia; evoluzione della curva termica (persistenza o ricomparsa della febbre); documentazione clinica e microbiologica dell’infezione (FUO vs. infezione documentata). Se il paziente ha risposto alla terapia antibiotica empirica, questa non viene modificata e viene continuata o per tutta la durata della neutropenia o per almeno 7-10 giorni di cui gli ultimi 4 completamente senza febbre. Nel caso di un’infezione documentata microbiologicamente, la scelta tra il mantenere lo schema empirico o passare a una terapia mirata è ancora oggetto di ricerca anche se prevale l’opzione di non ridurre la terapia antibiotica empirica alla sola terapia mirata (es. se si documenta un’infezione stafilococcica si aggiunge l’antistafilococcico mantenendo, almeno per qualche giorno, anche la terapia iniziale), e in ogni caso il quadro clinico ha un valore superiore al dato microbiologico nel giudizio terapeutico (se il paziente sfebbra, non si modifica la terapia anche se il germe isolato non è sensibile in vitro agli antibiotici impiegati). Nel caso di un’evidente obiettività infettiva (mucosite, cellulite, polmonite, ecc.) le modifiche terapeutiche terranno conto delle etiologie più probabili (Tabella 6). ■ LA TERAPIA ANTIFUNGINA Negli ultimi anni sono stati ottenuti considerevoli progressi nel trattamento delle micosi sistemiche grazie all'impiego di nuovi antifungini e all'uso diverso di vecchi antifungini (95, 96). Tuttavia, dal momento che l'efficacia di una terapia antifungina dipende dalla precocità di inizio, il miglioramento delle procedure diagnostiche ha contribuito più di ogni altro ai progressi terapeutici. Nei pazienti non neutropenici, un trattamento antifungino viene in genere preceduto da accurate indagini strumentali, istopatologiche e microbiologiche. In corso di neutropenia, invece, la rapida progressione dell’infezione fungina condiziona un differente approccio clinico e terapeutico. È infatti ormai codificato l'uso empirico della terapia antifungina nei pazienti neutropenici che persistono febbrili nonostante un adeguato trattamento antibatterico ad INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 53 5 Modifiche terapeutiche nelle differenti localizzazioni infettive Tabella 6 Evento clinico Possibile modifica terapeutica Batteriemia in corso della terapia empirica ■ ■ Mucosite orale ■ Infiltrato perianale ■ Gram-positivi: aggiungi teicoplanina o vancomicina Gram-negativi (presumibilmente resistenti): nuovo schema terapeutico Aggiungi un antianaerobico (metronidazolo, clindamicina) ■ Aggiungi un antianaerobico Modifica terapia se Gram-negativo resistente Esofagite ■ Un antimicotico Infezione correlata al CVC ■ Polmonite interstiziale ■ ■ Infiltrato polmonare in neutropenico in terapia antibiotica ■ ■ ■ Febbre e neutropenia persistenti ■ Aggiungi o cambia antibiotico in base all’isolamento microbico Se non rispondente estrai il CVC Assoluta necessità di espettorato indotto o BAL Aggiungi cotrimoxazolo ed eritrocina empiricamente Se neutropenia in risoluzione: osserva e aspetta Se neutropenia persistente: assoluta necessità di espettorato indotto o BAL Se diagnosi microbiologica non possibile: aggiungi empiricamente amfotericina B Continua terapia empirica, aggiungi teicoplanina o vancomicina dopo 72 ore e dopo altri 3 giorni aggiungi amfotericina B ampio spettro (97, 98). L'amfotericina B, dopo circa 30 anni di impiego clinico, continua a essere considerato il "gold standard" della terapia delle micosi invasive. È infatti il farmaco più efficace e il suo ampio spettro di azione ne rende idoneo l'impiego nella terapia empirica. Tuttavia, due importanti limiti di questo farmaco sono la tossicità che ne limita il dosaggio e la frequente inefficacia clinica. Negli ultimi anni, inoltre è stata spesso segnalata l'emergenza di ceppi di Candida resistenti in vitro all'amfotericina B (99). Il probabile meccanismo di azione dell'amfotericina B è il suo legame con l'ergosterolo con E 54 M A T O L O G I A formazione di pori a livello della membrana delle cellule fungine. La resistenza al farmaco sembra possa essere messa in correlazione anche con la diminuita quantità di ergosterolo nella membrana cellulare. Oltre al problema dell'emergenza di resistenze microbiologiche esiste anche il fenomeno della resistenza clinica all'amfotericina B. La candidosi epatosplenica, ad esempio, è un’infezione clinicamente resistente. La mancata risposta clinica in corso di candidosi epatosplenica contrasta con le alte concentrazioni di farmaco che sono state rilevate a livello epatico e splenico in studi autoptici. Il motivo della inefficacia clinica nelle micosi localizzate in tali organi nonostante l'elevata concentrazione tissutale sembra essere spiegato dal legame del farmaco al colesterolo e alle lipoproteine in genere e successivo sequestro a livello delle cellule reticolo-endoteliali del fegato e della milza con conseguente ridotta disponibilità contro le cellule fungine. La tossicità della formulazione di amfotericina B fino a oggi impiegata (fungizone) dipende in parte dalla sospensione colloidale con desossicolato che fa parte del prodotto galenico. Da circa dieci anni si è constatato che l’amfotericina B incapsulata in liposomi o legata a strutture lipidiche sembra avere una minore tossicità e una migliore tollerabilità rispetto al fungizone e quindi un indice terapeutico potenzialmente maggiore. Tuttavia, solo negli ultimi anni sono stati effettuati studi clinici e di laboratorio per valutare tossicità e indice terapeutico delle formulazioni lipidiche di amfotericina B. Nonostante le premesse promettenti, i reali vantaggi nell’uso di questi farmaci in termini di efficacia sono ancora da valutare. La minore tossicità e maggiore tollerabilità delle formulazioni lipidiche di amfotericina B rispetto al fungizone sono state ampiamente dimostrate in numerosi studi prospettici (100-102), ma i dati sulla efficacia clinica sono ancora da considerare preliminari. Anche in considerazione dell’elevato costo di tali farmaci, allo stato attuale, l’insufficienza renale e l’eccessiva tossicità del fungizone sono le uniche indicazioni all’uso delle formulazioni lipidiche di amfotericina B. Recentemente, il fungizone è stato impiegato in associazione a una emulsione lipidica (Intralipid al 20%) nell’ipotesi di ottenere la stessa efficacia ma minore tossicità e migliore tollerabilità (103). I risultati finora ottenuti, tuttavia, sono solo preliminari e un recente studio sembra non confermare tale ipotesi (104). La 5-fluorocitosina è un antimicotico molto attivo e da tempo conosciuto ma con l'inconveniente di indurre resistenze con estrema frequenza. Per tale motivo, l'uso di questo farmaco è riservato solo in associazione con l'amfotericina B. Tale associazione è stata impiegata nel trattamento di infezioni del SNC (il farmaco ha infatti una ottima capacità di attraversare la barriera ematoliquorale), dell’endoftalmite, della candidosi epatosplenica, della candidosi disseminata, della fungemia persistente e dell’aspergillosi polmonare. Tuttavia, la mag- INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 55 5 giore efficacia clinica dell'amfotericina B con l'aggiunta della 5-fluorocitosina è stata dimostrata fino a ora solo nei confronti della meningite criptococcica (105) e osservata in altre infezioni fungine in studi nonrandomizzati o retrospettivi di scarso valore statistico. Negli ultimi anni, gli antifungini azolici, fluconazolo e itraconazolo, sono stati impiegati nel trattamento delle micosi superficiali e profonde. Interessanti caratteristiche di tali antifungini sono la bassa tossicità e la formulazione orale. Il fluconazolo è anche disponibile nella formulazione endovenosa. Il loro meccanismo di azione è costituito dalla riduzione della sintesi degli steroli della membrana cellulare attraverso l'inibizione degli enzimi dipendenti dal citocromo P-450. Il fluconazolo è stato largamente impiegato nel trattamento delle infezioni superficiali e profonde e ha dimostrato una chiara efficacia nel trattamento e nella profilassi della meningite criptococcica e della candidosi superficiale. Buona, ma pur sempre limitata, è l'efficacia verso la candidosi profonda. Tuttavia, la presenza di specie di Candida resistenti al farmaco (C. krusei, C. lusitanae, C. glabrata, C. parapsilosis) e l'emergenza di ceppi resistenti nell'ambito delle specie sensibili hanno messo in discussione l'uso del fluconazolo in determinate infezioni da Candida (67). L'itraconazolo ha una ottima attività nei confronti delle infezioni da Candida ma, in più rispetto al fluconazolo, è efficace microbiologicamente e, sembra, anche clinicamente nei confronti delle infezioni da Aspergillus species. Per quanto riguarda specifiche infezioni fungine solo pochi studi hanno dimostrato l'utilità dei farmaci triazolici. Il fluconazolo è farmaco di scelta nel trattamento della candidosi orale ed esofagea nei pazienti con AIDS, e lo stesso sembra anche per l'itraconazolo, pur non essendo stati ancora pubblicati validi studi clinici che mettano in comparazione i due farmaci. Per quanto riguarda la meningite criptococcica, entrambi i farmaci sono stati impiegati con successo; tuttavia, nella terapia di attacco della meningite criptococcica l'associazione amfotericina B/ 5-fluorocitosina è tutt'ora da considerarsi il trattamento di scelta e il ruolo dei triazolici sembra essere limitato alla successiva terapia di mantenimento e profilassi secondaria dell'infezione (106). Per quanto riguarda le micosi profonde nei pazienti neutropenici, vi sono dati interessanti sull'uso del fluconazolo e dell'itraconazolo nei confronti di candidosi e aspergillosi invasiva, rispettivamente, ma sempre in studi retrospettivi o con limitato numero di pazienti (107, 108). Nonostante l’ampio uso di fluconazolo e itraconazolo nel trattamento delle micosi invasive, vi sono poche esperienze di comparazione prospettica con l’amfotericina B probabilmente per la difficoltà nella attuazione di uno studio randomizzato con un adeguato numero di pazienti con infezioni fungine documentate e omogenee. Negli ultimi anni fungizone e fluconazolo sono stati comparati in alcuni studi retrospettivi e prospettici randomizzati nel trattamento della candidemia (109, 110). E 56 M A T O L O G I A I due farmaci sono risultati comparabili nel trattamento delle candidemie correlate al catetere venoso centrale, mentre la differente attività antifungina in corso di candidemia associata a candidosi invasiva profonda in pazienti neutropenici non è risultata valutabile (111). Nuovi azolici (voriconazolo) e nuove classi di antifungini (pneumocandine, pradimicine, nikkomicine) sono attualmente in fase di studio (96). Le interessanti caratteristiche antimicrobiche in vitro e la favorevole farmacocinetica rappresentano aspetti promettenti di questi nuovi antimicotici anche se le applicazioni cliniche sull’uomo sono ancora in fase del tutto sperimentale ed è impossibile allo stato attuale predire il possibile ruolo di questi farmaci nel trattamento delle micosi invasive nei pazienti emopatici. Il farmaco antifungino ideale nel trattamento delle micosi invasive nei pazienti con neoplasie maligne dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: potente attività antifungina in vivo anche in corso di neutropenia; possibilità di formulazione parenterale e orale; tossicità accettabile; farmacocinetica che garantisca adeguate concentrazioni in tutti i siti corporei. Sfortunatamente questo antifungino attualmente non esiste. È parere comune che i prossimi studi sulla terapia antifungina dovrebbero essere rivolti non solo alla ricerca di nuovi e più efficaci farmaci per il trattamento e la profilassi delle infezioni fungine, ma anche al potenziamento delle difese immunitarie contro i funghi patogeni. L'uso di immunomodulanti come interferoni, fattori di crescita e altre citochine potrebbero dimostrarsi utili nel controllo delle gravi micosi invasive. È tuttavia utile sottolineare nuovamente che l'efficacia di ogni approccio terapeutico è tanto maggiore quanto più precoce e specifica è la diagnosi di un’infezione fungina. ■ LA TERAPIA ANTIVIRALE Sostanziali miglioramenti sono stati raggiunti in questi ultimi 10 anni nel trattamento delle infezioni virali dei pazienti immunocompromessi, soprattutto per le infezioni erpetiche. Il farmaco di prima scelta delle infezioni erpetiche è l’aciclovir. Tale farmaco, un analogo della guanosina, deve essere fosforilato ad aciclovir-trifosfato per esercitare la funzione antivirale. Il farmaco esercita una scarsa inibizione della DNA polimerasi delle cellule non infette e questa è la ragione principale della scarsa tossicità. L’aciclovir è attivo principalmente verso HSV, HVZ e molto meno verso EBV e CMV. L’HVZ è 4-10 volte meno sensibile all’aciclovir rispetto all’Herpes simplex, per tale motivo sono consigliate dosi maggiori per il trattamento delle infezioni da HVZ. Inoltre, somministrando aciclovir per os anche a dosi elevate, difficilmente si ottengono costanti livelli plasmatici di farmaco che producono in vitro il 50% di inibizione del HVZ. Conseguentemente, pazienti immunocompromessi con varicella o con Herpes zoster devono ricevere INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 57 5 dosi elevate di aciclovir per os (800 mg 5 volte al dí) o per via venosa (10 mg/kg ogni 8 ore) per 7-10 giorni. La somministrazione di aciclovir per via orale (400 mg 5 volte al dí) o per via venosa alla dose di 250 mg/m2 ogni 8 ore è efficace nel trattamento delle infezioni mucocutanee dei pazienti immunocompromessi, riducendo in modo significativo la durata dei sintomi e il tempo di escrezione virale. L’aciclovir somministrato per via orale (12 g al dí) è inoltre efficace nella profilassi della riattivazione in pazienti sieropositivi per HSV. Contrariamente all’efficacia mostrata nella terapia delle infezioni da HSV e HVZ, le infezioni da EBV rispondono scarsamente all’azione dell’aciclovir. Infatti, la sindrome linfoproliferativa EBV-associata risponde alla contemporanea riduzione dei farmaci immunosoppressori e alla somministrazione di aciclovir solo se non è avvenuta la degenerazione della sindrome linfoproliferativa in un tumore monoclonale. Per quanto riguarda il trattamento delle infezioni da CMV, il ganciclovir è attualmente il farmaco di scelta per il trattamento di queste infezioni in pazienti immunocompromessi con emopatie maligne. Tuttavia, nel caso di polmoniti da CMV in pazienti allotrapiantati è necessaria la somministrazione di ganciclovir in combinazione con Ig ad alte dosi (500 mg/kg). Il ganciclovir è somministrato per via venosa, alla dose di 5 mg/Kg due volte al dí per un periodo di 2-3 settimane (fase di attacco), successivamente il farmaco è somministrato nella fase di mantenimento (5 mg/kg una volta al dí) per un periodo di 1-2 settimane. La neutropenia è l’effetto collaterale più frequente (30% dei casi) e si osserva in genere dopo 10-14 giorni, la riduzione della dose e la sospensione del farmaco sono sufficienti per ridurre tale effetto. Ceppi di CMV resistenti al ganciclovir sono isolati raramente nei pazienti con emopatia maligna, mentre sono più frequentemente isolati in pazienti con infezione da HIV. In questi casi è indicata la somministrazione di foscarnet; tale farmaco è un inibitore della DNA polimerasi dei virus erpetici e non richiede l’attivazione da parte di enzimi virali. Tuttavia, studi controllati sull’uso del foscarnet per il trattamento delle infezioni da CMV in pazienti emopatici non sono ancora disponibili, e la somministrazione di foscarnet sembra essere più indicata in quei pazienti con insufficienza midollare e infezione da CMV. Il foscarnet è somministrato per via venosa alla dose di 90 mg/kg due volte al dí per 2-3 settimane (fase di attacco), successivamente la dose di mantenimento (45 mg/kg due volte al dí) per 1-2 settimane. L’alterazione degli elettroliti e la nefrotossicità rappresentano gli effetti collaterali più frequenti (25% nei pazienti riceventi anche ciclosporina) in corso di terapia con foscarnet. Altri farmaci attivi verso CMV sono il HPMC (cidofovir) e il ganciclovir per os, entrambi i farmaci sono stati approvati per la terapia di mantenimento delle infezioni da E 58 M A T O L O G I A CMV nei pazienti con infezione da HIV, non sono ancora disponibili dati sull’efficacia e sulla tollerabilità nei pazienti con emopatia maligna (112). Nuovi farmaci per il trattamento delle infezioni erpetiche in via di sperimentazione sono: la sorivudina (bromovinildeossiuridina), 50-100 volte più attivo di aciclovir contro HVZ in vitro che raggiunge elevati livelli terapeutici quando è somministrato per via orale, tuttavia determina un importante incremento della tossicità plasmatica del 5-fluorouracile; il famciclovir, analogo nucleosidico strutturalmente molto simile a ganciclovir, è un profarmaco del penciclovir con attività nei confronti dei virus erpetici soprattutto HSV e HVZ; il valaciclovir è convertito ad aciclovir dopo essere stato assunto per via orale e presenta una biodisponibilità più elevata tanto da produrre livelli ematici di aciclovir (3-5 volte) più elevati, è efficace su HSV e HVZ e attivo su CMV. Infine, la ribavirina è attualmente utilizzata per il trattamento delle infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) alla dose di 2 g tre volte al dí per un totale di 3 giorni per via aerosol. 5.7 IL RUOLO DEI FATTORI DI CRESCITA EMOPOIETICI La neutropenia grave e prolungata rappresenta il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di infezioni batteriche e soprattutto fungine. La risalita del numero dei neutrofili, infatti, è un elemento prognostico determinante. Come dimostrato in modelli animali, e in studi preliminari sull’uomo, la somministrazione di fattori di crescita in associazione alla terapia antimicrobica sembra migliorare le possibilità terapeutiche di gravi infezioni, in particolare di origine fungina. Il G-CSF è stato impiegato con successo in alcuni casi di gravi infezioni da Mucor e Fusarium, la cui prognosi nei pazienti persistentemente neutropenici è inevitabilmente fatale (113, 114). Tali esperienze, tuttavia, sono da considerarsi estremamente preliminari, pertanto l’uso dei fattori di crescita granulocitari non può essere considerato un trattamento codificato nel trattamento delle infezioni batteriche e fungine. Durante le fasi di grave pancitopenia post-chemioterapia intensiva l’unico modo per ottenere un rapido aumento del numero dei granulociti neutrofili è rappresentato dalla trasfusione di concentrati granulocitari da donatore. Tuttavia, una normale leucoaferesi spesso non permette di ottenere un adeguato numero di granulociti neutrofili. Recenti esperienze sembrano dimostrare che la stimolazione del donatore con GCSF sia in grado di migliorare in modo considerevole la resa della leucoaferesi. In alcuni studi preliminari, le trasfusioni di globuli bianchi da INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 59 5 donatore stimolato con G-CSF hanno permesso di ottenere il controllo di gravi infezioni fungine non rispondenti alla sola terapia con antimicotici (115). Alcuni dati sperimentali, inoltre, sembrano dimostrare che i granulociti del donatore acquisiscono una maggiore attività antimicrobica dopo stimolazione in vivo con G-CSF (116). La stimolazione del donatore con G-CSF, quindi, sembra in grado di migliorare il ruolo terapeutico delle trasfusioni di globuli bianchi incrementando sia il numero sia l’attività dei granulociti raccolti nelle singole aferesi. CONSIDERAZIONI RELATIVE A PARTICOLARI CATEGORIE DI PAZIENTI IMMUNOCOMPROMESSI 6.1 IL PAZIENTE SOTTOPOSTO A TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI ■ COMPLICANZE INFETTIVE La neutropenia e il danno alla barriera mucosa indotto dalla chemioradioterapia di condizionamento rappresentano fattori di rischio che predispongono il paziente alle infezioni. La durata della neutropenia è variabile e dipende dal numero di cellule infuse, dalla profilassi della GVHD, dall'uso di citochine; tuttavia mediamente è dell'ordine di 2-3 settimane. Il danno alle mucose dipende solitamente dal tipo di regime di condizionamento: farmaci, quali il busulfano, l’etoposide, il melphalan, la citarabina e la total body irradiation (TBI) si associano a un danno maggiore. Questo danno è presente non solo a carico del cavo orale, ma anche a livello del tratto gastrointestinale e l’impiego del metotrexato per la profilassi della GVHD peggiora il danno a livello delle mucose. Alla citopenia e al danno delle mucose vanno aggiunti, quali fattori di rischio per le complicanze infettive, l'impiego del catetere venoso centrale, della nutrizione parenterale e anche le alterazioni dell'integrità della cute dovute ai ripetuti prelievi di sangue, agli aspirati midollari e alle biopsie ossee e cutanee. Inoltre, alla comparsa di complicanze infettive contribuisce anche il periodo di profonda immunosoppressione cui il paziente va incontro. La durata e la gravità di questo periodo dipendono dal tipo di trapianto, dal grado di incompatibilità donatorericevente, dalla T-deplezione, dal tipo e dalla durata della profilassi per la GVHD, dalla presenza di infezione da CMV e di GVHD. Naturalmente, con il tempo c'è un recupero dell'immunità cellulare e umorale che verosimilmente è più rapido dopo un trapianto da donatore familiare compatibile che in altre condizioni trapiantologiche. Tuttavia, in presenza di GVHD cronica lo stato immunodepressivo può INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 61 6 persistere per mesi o anche per anni; solitamente, in condizioni ottimali, il tempo di recupero immunologico è di circa un anno. In funzione della sequenza di eventi legati a tali fattori di rischio si distinguono diversi periodi di comparsa di complicanze infettive nel paziente trapiantato. Entro le prime tre settimane dal trapianto sono frequenti infezioni batteriche e fungine (neutropenia + lesioni mucose). Le infezioni da virus erpetici si sviluppano solitamente entro il primo mese (riattivazione del virus latente). Entro i primi tre mesi si osservano il maggior numero di infezioni da CMV. Le infezioni da Aspergillus, Toxoplasma e P. carinii si osservano nei primi 6 mesi dal trapianto o anche successivamente se persiste il trattamento immunosoppressivo. Di più raro riscontro sono le infezioni da adenovirus, rotavirus e da EBV. Il terzo periodo di rischio infettivo fa seguito al terzo mese dal trapianto in corrispondenza della GVHD cronica. In tale periodo si osservano soprattutto infezioni respiratorie: Haemophilus influentiae, Streptococcus pneumoniae, germi capsulati; queste ultime soprattutto in mancanza di profilassi con penicillina. Il paziente trapiantato, in questa fase tardiva, può andare incontro a infezioni batteriche, virali o fungine insorte de novo o per riattivazione di infezioni pregresse. Frequenti le infezione causate dal virus Varicella zoster a partire dal sesto mese (30% dei pazienti). In Figura 11 sono riportate schematicamente le fasi infettive post-trapianto di midollo osseo allogenico. Figura 11 • Fattori di rischio e infezioni più frequenti in base al tempo trascorso dal trapianto di midollo osseo allogenico Polmonite Interstiziale non batterica Batterica HSV Virus Funghi Candida CMV ADENO Aspergillus Gram-pos Gram-neg Batteri Fattori di rischio neutropenia HVZ Capsulati GVHD acuta+Rx GVHD cronica giorni post-TMO 0 E 62 M A T O L O mesi 50 G I A 100 12 ■ POLMONITI VIRALI E ALTRE INFEZIONI POLMONARI POST-TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO I virus erpetici rappresentano la causa più frequente di polmoniti virali tra i pazienti con neoplasia ematologica riceventi chemioterapia o trapianto di midollo osseo (117). L’HSV è causa di polmonite con insorgenza precoce (< 30 giorni dal trapianto); mentre il CMV e l’HVZ sono causa di polmonite tardiva (> 30 giorni dal trapianto). Adenovirus, virus respiratorio sinciziale, virus influenzale, virus parainfluenzale e HHV-6 (118) sono sempre più frequentemente isolati da pazienti immunodepressi con polmonite, tuttavia la loro reale incidenza non è ancora definitivamente nota. Il CMV è il virus più frequentemente associato a polmonite interstiziale (50%) nel periodo post-trapianto ed è gravato ancora oggi di una mortalità del 60% (119). La polmonite da CMV è evidenziata più frequentemente nei pazienti leucemici rispetto a quelli affetti da anemia aplastica e questa differenza è correlata con i diversi regimi di condizionamento utilizzati, tuttavia non è attualmente noto attraverso quale meccanismo. Inoltre, non è noto perché i pazienti riceventi trapianto di midollo osseo singenico o autologo raramente sviluppano la polmonite rispetto a quelli sottoposti a trapianto allogenico. Tra gli altri virus erpetici, HSV e HVZ, sono stati considerati essere causa di polmonite interstiziale nel 7% dei riceventi trapianto di midollo osseo. Tre mesi dopo il trapianto il 40% dei pazienti sviluppa un quadro cutaneo di Varicella zoster, il 5% di questi pazienti muoiono prevalentemente per la polmonite. Le manifestazioni cliniche possono differire da quelle osservate nei pazienti immunocompetenti: tachipnea e dispnea possono essere sintomi isolati e iniziali e l’escreato è spesso assente. L’emogasanalisi mostrerà ipossiemia e alcalosi respiratoria, soprattutto in corso di polmonite interstiziale. Le manifestazioni radiografiche delle polmoniti virali possono essere polimorfe. Tuttavia, la forma più frequente è rappresentata da un processo bilaterale, simmetrico e peribroncovascolare (interstiziale) che coinvolge soprattutto i lobi inferiori. Polmoniti necrotizzanti e a focolaio possono essere dovute a Herpes simplex. Raramente si osservano processi di consolidamento focale in corso di polmoniti da virus erpetici. Poiché la polmonite virale nei pazienti immunocompromessi si presenta più frequentemente con infiltrati interstiziali l’esame strumentale più idoneo per porre diagnosi è la broncoscopia con broncolavaggio o la biopsia polmonare percutanea. Il tessuto o il liquido così prelevati devono essere inoculati in colture cellulari, esaminati per la presenza di antigeni virali (mediante immunofluorescenza o immunoperossidasi) e per la presenza di acidi nucleici virali mediante ibridazione in situ. Le polmoniti batteriche, le setticemie, le sinusiti associate con batteri Gram-positivi, sono state riportate quali le più frequenti infezioni che si manifestano 6 mesi dopo il trapianto. Queste infe- INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 63 6 zioni si manifestano principalmente nei pazienti che presentano GVHD cronica (75% di incidenza). Nei 6 mesi successivi al trapianto sono stati riportati rari casi ma fatali di polmonite attribuiti a Legionella pneumophila, Mycobacterium tuberculosis, Clamidia trachomatis e Toxoplasma gondii. L’incidenza di polmonite da Pneumocystis carinii si è enormemente ridotta con l’uso della profilassi con trimetoprim-sulfametossazolo. Recenti studi hanno mostrato che Pneumocystis carinii rappresenta meno del 6% delle polmoniti non batteriche e, al contrario di altri pazienti immunocompromessi, i casi di polmonite si manifestano solo dopo l’interruzione della profilassi; tuttavia la polmonite interstiziale da Pneumocystis carinii è stata associata a una mortalità del 60% nei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo. La polmonite idiopatica è definita come una polmonite interstiziale nella quale le cause infettive o altre cause specifiche non sono riconosciute anche dopo esame istologico del polmone. I farmaci chemioterapici utilizzati nei regimi di condizionamento, le radiazioni, le recidive di leucemia, le reazioni alle trasfusioni, sono tutti fattori in grado di causare diffuse alterazioni polmonari. Il danno correlato alla chemioterapia può apparire in qualsiasi periodo dopo la somministrazione (giorni, mesi) e può essere un fenomeno correlato alla dose. Per quanto riguarda i pazienti riceventi trapianto di midollo osseo bisogna considerare sia l’effetto dose del busulfano (dose totale >500 mg), sia la sinergia tra farmaci (ciclofosfamide, busulfano, metotrexato) e radiazioni, sia l’edema polmonare acuto non cardiogeno (citosina-arabinoside). L’importanza della relazione tra GVHD e sistema respiratorio è stata soltanto recentemente dimostrata; le principali anomalie sono rappresentate da progressive ostruzioni delle vie aeree, bronchiti acute e broncospasmo. 6.2 IL PAZIENTE EMOPATICO HIV POSITIVO ■ INFEZIONE DA HIV E LINFOMI Gli individui con infezione da HIV, in conseguenza dello stato di immunodeficienza, sono ad alto rischio per lo sviluppo di un vasto spettro di infezioni. La prolungata sopravvivenza dei pazienti con infezione da HIV dovuta alla migliore profilassi antinfettiva e alla combinazione di farmaci antiretrovirali, unitamente alla persistenza di un grave deficit immunitario espone al rischio per lo sviluppo di neoplasie, in particolar modo di linfomi non-Hodgkin e sarcoma di Kaposi. Le infezioni opportunistiche sono una frequente complicazione della somministrazione della chemioterapia a pazienti con linfomi HIV correlati e possono manifestarsi nel 10-78% dei pazienti (120). L’incidenza di tali infezioni dipende dall’intensità della chemioterapia e dalla gravità del- E 64 M A T O L O G I A l’immunodeficienza. Recentemente Sparano et al. (121) hanno dimostrato che il trattamento dei pazienti con linfoma HIV-associato con un regime non contenente steroidi era associato con una significativa riduzione del numero dei CD4 e con un aumento delle infezioni opportunistiche. I pazienti con infezione da HIV presentano nel 50% dei casi neutropenia e il rischio per le infezioni batteriche aumenta fino al 40% dei casi quando il numero dei neutrofili è inferiore a 500/mm3 . La neutropenia in pazienti con infezione da HIV può essere dovuta a numerosi fattori, l’alterazione dell’emopoiesi può essere indotta dall’infezione diretta delle cellule del midollo con HIV, da infiltrazione neoplastica del midollo, da infezioni secondarie e dall’uso di farmaci mielosoppressivi come la zidovudina, il ganciclovir e il trimetoprim-sulfametossazolo. Pertanto è indicato somministrare una combinazione di antibiotici beta-lattamici più aminoglicosidi quando il paziente con infezione da HIV presenta una profonda (<500/mm 3 neutrofili) e prolungata neutropenia (>10 giorni). Recenti studi hanno dimostrato l’efficacia dei fattori di crescita (G-CSF) nel ridurre l’incidenza e la durata delle infezioni batteriche in questi pazienti. I pazienti con infezione da HIV e linfoma sono inoltre spesso portatori di cateteri venosi centrali e questo li rende suscettibili a infezioni da Gram-positivi, in questi casi è indicata la terapia con vancomicina o teicoplanina. Le infezioni fungine rappresentano, attualmente, le infezioni emergenti nei pazienti HIV positivi con linfoma. Tuttavia le caratteristiche cliniche, gli strumenti diagnostici e la terapia sono sovrapponibili ai pazienti con neoplasia ematologica maligna. 6.3 IL PAZIENTE SPLENECTOMIZZATO Infezioni fulminanti e potenzialmente fatali sono una importante complicanza conseguente alla splenectomia. I macrofagi splenici hanno una importante azione di filtro e di fagocitosi nei confronti dei batteri, soprattutto quelli capsulati. Anche se il fegato può sopperire a questa funzione, sono necessari elevati livelli di anticorpi e di complemento naturalmente non presenti nell’organismo. Tale carenza è maggiore nei bambini e per questo il rischio infettivo nei pazienti splenectomizzati diminuisce con l’età. La migliore profilassi e terapia delle infezioni non è codificata in quanto è difficile poter eseguire studi comparativi ma solo controlli storici. Recentemente, sono state concordate le linee guida per la prevenzione e il trattamento delle infezioni nei pazienti con assenza o alterata funzione della milza (122). In quest’ultimo caso vanno inclusi pazienti INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 65 6 sottoposti a trapianto di midollo allogenico nei quali si sviluppa una alterazione delle funzioni della milza comparabile a uno stato di splenectomia. Anche se la maggior parte delle infezioni avviene entro i primi due anni dalla splenectomia, circa un terzo di tali complicanze può svilupparsi nei successivi cinque anni. Alcuni casi di infezioni fulminanti sono stati descritti anche dopo 20 anni dalla splenectomia. I regimi di profilassi e terapia delle infezioni nei pazienti splenectomizzati si possono schematizzare come riportato di seguito. ■ VACCINAZIONI • La vaccinazione antipneumococcica è obbligatoria. Deve essere somministrata due settimane prima di una splenectomia elettiva. Se questa non è stato effettuata, è comunque utile somministrarla anche dopo la splenectomia, non appena sia possibile. Nei pazienti sottoposti a chemioterapia o terapia immunosoppressiva è necessario attendere sei mesi dalla fine della terapia durante i quali deve essere somministrata la profilassi antibatterica. La reimmunizzazione deve essere eseguita ogni 5-10 anni. Nei pazienti immunocompromessi può essere utile eseguirla ogni 3 anni. Tuttavia, alcuni autori ritengono opportuna la reimmunizzazione entro un anno dalla prima vaccinazione. Gli effetti collaterali costituiti prevalentemente da dolore nel sito di iniezione, febbre, malessere e cefalea sono autolimitanti e scompaiono entro 48-72 ore. • Anche la vaccinazione anti-Haemophilus influentiae tipo b è necessaria. • L’immunizzazione nei confronti del meningococco viene consigliata anche se non vi sono dati chiari a tal riguardo. • La vaccinazione antinfluenzale è consigliata soprattutto per ridurre il rischio di infezioni batteriche secondarie. ■ PROFILASSI ANTIMICROBICA La profilassi antibatterica di scelta è la penicillina V orale o l’amoxicillina al dosaggio di 10 mg/kg/die nei bambini e 500 mg/die negli adulti. Tali farmaci tuttavia potrebbero non essere efficaci nei confronti di Haemophilus influentiae. Nei pazienti allergici alla penicillina può essere impiegata l’eritromicina agli stessi dosaggi. È in uso in molti centri la somministrazione di benzatin-penicillina (1 200 000 unità intramuscolo ogni 21 giorni nell’adulto, 600 000 unità nel bambino) per evitare la somministrazione orale giornaliera. Tale schema di profilassi è stato impiegato in analogia alla profilassi della malattia reumatica, ma non è mai stato scientificamente valutato, anche se esperienze aneddotiche non controllate sembrano suggerirne l’efficacia. E 66 M A T O L O G I A I pazienti splenectomizzati presentano un aumentato rischio di contrarre infezioni anche fatali da Plasmodium falciparum. Pertanto, è importante sconsigliare viaggi, anche per brevi periodi, in zone malariche o almeno raccomandare una scrupolosa profilassi antimalarica. ■ TERAPIA ANTIBIOTICA In caso di febbre, il paziente splenectomizzato dovrebbe assumere la terapia antibiotica immediatamente, prima ancora di consultare il medico. È consigliata l’amoxicillina al dosaggio di 90 mg/kg/die in tre somministrazioni nel bambino e 1 g ogni 8 ore nell’adulto. Anche altri antibiotici beta-lattamici (es. cefotaxime e ceftriaxone) possono essere impiegati. INFEZIONI IN EMATOLOGIA : EPIDEMIOLOGIA , PROFILASSI , CLINICA E TERAPIA 67 6 BIBLIOGRAFIA GENERALE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 7 Bodey GP et al., Ann Intern Med 64: 328-340; 1966. Cline MJ. J Lab Clin Med 81: 311-315; 1973. Davey FR et al., Human Pathol 19: 454-459; 1988. Powell BL et al., Blood 67: 1624-1630; 1986. Pickering LK et al., Cancer 42: 1741-1746; 1978. MacFaccen KD et al., J Clin Oncol 3: 415; 1985. Vaudaux P et al., Cancer 54: 400-410; 1984. Baehner RL et al., N Engl J Med 289: 1209-1213; 1973. Capsoni F et al., J Immunopharmacol 5: 217-230; 1983. Thompson J et al., J Exp Med 131: 429-442; 1970. Balow JE, J Clin Invest 56: 65-70; 1975. 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