La Valutazione e la Comunicazione del Rischio Microbiologico. Un
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Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva S I M e V e P La Valutazione e la Comunicazione del Rischio Microbiologico. Un ruolo innovato dell'Autorità Sanitaria Competente A cura di Maurizio Ferri SETTEMBRE 2015 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva La Valutazione e la Comunicazione del Rischio Microbiologico. Un ruolo innovato dell'Autorità Sanitaria Competente Maurizio Ferri Veterinario Ufficiale, Componente Consiglio Direttivo SIMeVeP Premessa Le emergenze alimentari che si sono susseguite negli ultimi anni, tra cui quelle relative alla diossina negli alimenti (Irlanda, 20081; Germania, 20112), e più di recente gli episodi di infezione umana da E.Coli O104:H4 in Europa (2011)3, accanto alle pesanti ricadute sul settore dei consumi e della produzione industriale, hanno condizionato fortemente la percezione del rischio da parte dei consumatori ed accresciuto il loro livello di preoccupazione rispetto al problema della sicurezza degli alimenti. Questi ed altri episodi hanno convinto i legislatori comunitari a revisionare parte della normativa comunitaria sulla sicurezza degli alimenti e ad abbandonare, dopo decenni di polemiche, la politica del rischio zero. Sono stati quindi definite nuove modalità di gestione del rischio da parte dell’industria alimentare e introdotti i criteri basati sul rischio per la pianificazione e implementanzione dei controlli ufficiali da parte delle autorità competenti. Gli ultimi venti anni sono stati altresì testimoni di profondi cambiamenti strutturali e gestionali nel settore della produzione alimentare industriale. Le nuove tecnologie, gli effetti della globalizzazione dei mercati, l’immissione nei processi produttivi di materie prime alimentari, semi-lavorati e prodotti finiti provenienti dalle più remote regioni del mondo, hanno determinato la comparsa di nuovi pericoli (rischi emergenti) o fatto riemergere quelli preesistenti (rischi ri-emergenti). A fronte dunque di una progressiva complessità dei sistemi di produzione alimentare e delle relative filiere con la comparsa di nuovi fattori di rischio, alcuni dei quali non perfettamente conosciuti, capaci di condizionare fortemente i livelli di contaminazione degli alimenti e la probabilità e la gravità degli episodi di infezione umana, è emersa la necessità di conoscere attraverso metodi di studio la distribuzione dei fattori di rischio nei diversi segmenti della filiera alimentare. I tempi attuali, caratterizzati da recessione e crisi economica e dunque da risorse sempre più limitate, impongono la scelta di nuove metodologie che a partire dagli studi di valutazione del rischio consentono di definire una scala di priorità dei rischi (risk-ranking) e sulla base di analisi socio-economiche e di valutazione del rapporto costo-beneficio delle misure di gestione del rischio, di selezionare gli interventi di controllo più efficaci nei settori che presentano una particolare vulnerabilità in termini di impatto in sanità pubblica. L’analisi socio-economica integrata con la valutazione del rischio facilita il processo decisionale e fornisce al manager del rischio uno schema di analisi dell’impatto associato ai diversi scenari di riduzione.4 1 https://www.agriculture.gov.ie/media/migration/publications/2010/DioxinReport211209revised190110.pdf. http://ec.europa.eu/food/food/chemicalsafety/contaminants/dioxin_germany_en.htm. 3 http://ecdc.europa.eu/en/healthtopics/escherichia_coli/outbreaks/Pages/default.aspx. 4 In sostanza, tale analisi include qualsiasi conseguenza significativa, sia negativa che positiva, associata alle misure di gestione (mitigation measures) del rischio individuate, unitamente alle conseguenze dovute ad altri effetti che possono derivare dall’attuazione delle misure di controllo. Più semplicemente l’analisi socio-economica serve a valutare il confronto del valore della riduzione del rischio con il valore del beneficio che si ottiene attraverso un uso alternativo delle risorse impiegate per gli interventi di riduzione del rischio. (da: Improvement of Risk Assessment in View of the Needs of Risk Managers and Policy Makers. European Commisison. 2011, disponibile su: http://ec.europa.eu/health/scientific_committees/environmental_risks/docs/scher_o_154.pdf) 2 1 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva Tale principio applicato al settore legislativo ed in particolare all’iter comunitario (o nazionale) coincide sostanzialmente con il processo di valutazione dell’impatto economico, sociale e ambientale (impact assessment) delle proposte di regolamento della Commissione ex-ante, cioè prima della loro adozione5. La valutazione del rischio e la sicurezza degli alimenti La valutazione del rischio (risk assessment) rappresenta un metodo scientifico di valutazione obiettiva e sistematica dei rischi associati ai sistemi complessi di produzione alimentare. Esso viene attualmente applicato dalle Authority nazionali per la sicurezza alimentare o dall’EFSA/FAO/WHO incaricati di condurre studi (qualitativi, semi-quantitativi quantitativi) completi in accordo ai requisiti metodologici rigorosi e utilizzato dai manager del rischio (Commissione, Governo nazionale, Ministeri) come supporto scientifico per facilitare (“informare”) il processo decisionale per la gestione del rischio. Oggi l’efficacia, l’appropriatezza e la proporzionalità delle decisioni adottate per gestire il rischio di sicurezza alimentare dipendono dalla disponibilità dei dati scientifici, dalla conoscenza del sistema di produzione, commercializzazione e consumo degli alimenti e dalla presenza (e competenza) di risorse umane e strutturali. La valutazione del rischio fornisce un meccanismo ideale per la raccolta, analisi e interpretazione dei dati attuali; consente di descrivere il sistema (rappresentazione semplificata) con le sue interazioni o catena di eventi; mette in luce i difetti o carenze scientifiche e quindi orienta la ricerca offrendo un supporto scientitico al processo decisionale. Nelle tabelle che seguono vengono richiamate alcune definizioni elaborate in ambito comunitario e internazionale. Regolamento (CE) 178/2002- Definizioni rischio (risk) funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo pericolo o elemento di pericolo agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o condizione (hazard): in cui un alimento o un mangime si trova, in grado di provocare un effetto nocivi sulla salute. analisi del rischio (risk analysis) processo costituito da tre componenti interconnesse: valutazione, gestione e comunicazione del rischio. valutazione del rischio (risk processo su base scientifica costituito da quattro fasi: individuazione del pericolo, assessment) caratterizzazione del pericolo, valutazione dell'esposizione al pericolo e caratterizzazione del rischio; la valutazione del rischio si basa sugli elementi scientifici a disposizione ed è svolta in modo indipendente, obiettivo e trasparente. gestione del rischio (risk processo, distinto dalla valutazione del rischio, consistente nell'esaminare management) alternative d'intervento consultando le parti interessate, tenendo conto della valutazione del rischio e di altri fattori pertinenti e, se necessario, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo. comunicazione del rischio (risk scambio interattivo, nell'intero arco del processo di analisi del rischio, di informazioni coommunication): e pareri riguardanti gli elementi di pericolo e i rischi, i fattori connessi al rischio e la percezione del rischio, tra i responsabili della valutazione del rischio, responsabili della gestione del rischio, consumatori, imprese alimentari e del settore dei mangimi, la comunità accademica e altri interessati, ivi compresi la spiegazione delle scoperte relative alla valutazione del rischio e il fondamento delle decisioni in tema di gestione del rischio; La gestione del rischio tiene conto dei risultati della valutazione del rischio, e in particolare dei pareri dell’EFSA nonché di altri aspetti, se pertinenti, e del principio di precauzione laddove sussistano le condizioni allo scopo di raggiungere gli obiettivi generali in materia di legislazione alimentare. 5 http://ec.europa.eu/smart-regulation/impact/index_en.htm. 2 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva Codex Alimentarius Commission (1999)- Definizioni identificazione del pericolo identificazione di agenti biologici, chimici e fisici capaci di causare effetti sanitari (hazard identification) sfavorevoli e che possono essere presenti in un determinato alimento o gruppi di alimenti. caratterizzazione del pericolo valutazione qualitativa e/o quantitativa della natura degli effetti sanitari sfavorevoli associati ad un pericolo. Nella valutazione dei rischi microbiologici questa fase si (hazard characterization) riferisce a microorganismi e loro tossine. valutazione dell’esposizione valutazione quali/quantitativa della probabile assunzione dell’agente biologico, (exposure assessment chimico e fisico attraverso l’alimento o altre esposizioni, se rilevanti. caratterizzazione del rischio (risk valutazione quali/quantitativa, compreso le incertezze, della probabilità del verificarsi characterization) e associata gravità, di potenziali o conosciuti effetti sanitari sfavorevoli in una determinata popolazione, sulla base dell’identificazione del pericolo, caratterizzazione del pericolo, e valutazione dell’esposizione. I risultati dell’attività di valutazione del rischio alimentare (microbiologico, chimico e fisico), sia di tipo qualitativo che stocastico (o quantitativo-probabilistico), comprensivi della individuazione e analisi dei fattori di rischio o della previsione dell’incidenza di infezione alimentare nella popolazione (al netto del diverso grado di incertezza associata alla stima del rischio finale), se opportunamente utilizzati per la formulazione delle strategie sanitarie di prevenzione e controllo dei rischi alimentari, consentono di conoscere la distribuzione del rischio nella filiera alimentare e di assegnare un indice di priorità (anche in relazione al rapporto costo-benefici) ai controlli attraverso l’opportuna selezione di interventi su attività, processi, fasi caratterizzati da un livello di rischio maggiore. Questo approccio facilita il processo decisionale in sanità pubblica e consente ai responsabili (nazionali o regionali) della programmazione sanitaria (risk manager) di prendere decisioni più “informate” e di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di sanità pubblica e dunque dei livelli appropriati di protezione sanitaria scelti per la popolazione. I risultati della valutazione del rischio integrati nelle pianificazioni sanitarie nazionali/regionali consentono di promuovere attività di studio e ricerca dei rischi alimentari esistenti, partendo proprio dalla conoscenza della prevalenza e concentrazione di specifici contaminanti (microbiologici, chimici e fisici) nei diversi momenti della filiera e dei conseguenti livelli di esposizione dei consumatori; di costruire le mappe geografica del rischio (geo-localizzazione) e di programmare controlli ufficiali basati sul (proporzionali al) rischio (risk-based). Un ipotetico ciclo delle attività di valutazione e gestione del rischio per il sistema Italia, già descritto in un precedente lavoro sulla rivista Argomenti (n. 4, Dicembre 2007), è il seguente: Valutazione del Rischio e Sistema Decisionale in Italia per la Sicurezza Alimentare 3 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva Per le considerazioni sopra svolte, la programmazione delle attività di sorveglianza e monitoraggio per la sicurezza alimentare stabilite dai piani sanitari nazionali deve tenere conto dei dati scientifici desunti dalle opinioni scientifiche dell’EFSA o ricavati dagli studi di valutazione del rischio. Riguardo alla pianificazione e implementazione dei controlli ufficiali delle sostanze alimentari (risk management) il quadro normativo comunitario prevede che le Autorità competenti degli Stati membri si dotino di una più efficace governance attraverso una impostazione più scientifica dei piani dei controlli elaborati dai Ministeri competenti. Infatti il Regolamento (CE) n. 882/2004 stabilisce che “gli stati membri garantiscano che i controlli ufficiali siano eseguiti periodicamente, in base ad una valutazione dei rischi e con frequenza appropriata” e “che la natura e l’intensità dei compiti di audit (o ispezione) per i singoli stabilimenti dipende dal rischio valutato (Regolamento CE n. 854/2004)6. Questo obiettivo riferito all’attuale organizzazione sanitaria del nostro paese si traduce in un necessario potenziamento delle attività di valutazione del rischio; miglioramento dei sistemi informativi sanitari e più efficace integrazione dei servizi medico-veterinari regionali e locali con le strutture territoriali (tra cui quelle laboratoristiche) deputate al controllo ufficiale (es. laboratori degli IZS). Le ricadute positive in sanità pubblica dell’integrazione della valutazione del rischio con il processo decisionale sono individuabili essenzialmente in: - raccolta e analisi di dati necessari per le definizione preliminare di rischio e riconoscimento della sua esistenza; - processo attivo di comunicazione e scambio tra i diversi soggetti interessati; - conoscenza dei processi complessi; - facilitazione degli aspetti gestionali attraverso l’elaborazione del risk ranking (scala di priorità del rischio); - valutazione (anche economica) delle diverse opzioni di gestione del rischio proposte; - identificazione di dati/informazioni carenti ed orientamento per la ricerca; - coerenza con i principi comunitari della Better regulation7. I flussi informativi (feedback periferia-centro e ritorno) La valutazione del rischio richiede un insieme completo e articolato di dati, meglio se quantitativi, ricavabili da programmi integrati di monitoraggio, che prevedono l’analisi di campioni umani (dipartimenti di prevenzione e laboratori ospedalieri), animali e di alimenti (Istituti zooprofilattici sperimentali), e dalle reti di sorveglianza epidemiologica delle infezioni alimentari a carattere zoonosico. Non vanno trascurati i data source ricavabili dai sistemi di allerta comunitari (RAFFS) e altri sistemi che, se opportunamente analizzati, interrogati e interpretati, possono fornire utili elementi di conoscenza e di previsione dei rischi associati ai prodotti alimentari oggetto di scambio comunitario e importati. Di recente alcuni ricercatori della Kingston University London hanno realizzato un prototipo di software interattivo per l’applicazione desktop dell’analisi delle reti 6 In relazione al modello ispettivo attuale, il percorso di modernizzazione già avviato, fonda le sue premesse sul Libro bianco del 2000 e su successivi documenti della Commissione e vede una prima significativa tappa nel Maggio 2010, con la richiesta di assistenza all’EFSA da parte della Commissione Europea per la definizione di una base scientifica dell’ispezione delle carni in UE. L’EFSA pubblica una prima opinione scientifica sui pericoli di sanità pubblica nell’ispezione delle carni suine nel 2011. Sono seguite le restanti opinioni scientifiche relative all’ispezione del pollame, bovino, piccoli ruminanti e solipedi. 7 http://ec.europa.eu/smart-regulation/index_en.htm 4 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (network analysis) al database RASFF. Questa nuova tecnica di intelligence, attraverso l’identificazione del ruolo e impatto dei diversi paesi impegnati nel commercio mondiale di alimenti sia come tragressori (immissione nella rete di prodotti alimentari contaminati) che rilevatori (notifiche di allerte), e l’individuazione dei relativi trend consente di: assistere le aziende (e le autorità competenti) nel monitoraggio del rischio delle catene commerciali di alimenti, identificare i rischi emergenti, evitare la duplicazione dei test di laboratorio e orientare la ricerca8. L’efficacia dell’utilizzo degli output degli studi di valutazione dipende anche dallo sviluppo di un approccio epidemiologico attraverso indagini sistematiche e complete dei focolai di infezione alimentare. Ciò richiede una puntuale integrazione delle attività veterinarie con quelle mediche e la costituzione di task-force per la gestione dei focolai di infezione alimentare all’interno dei Dipartimenti di prevenzione delle ASL. Sia l’epidemiologia descrittiva (con la conoscenza quantitativa dell’impatto sanitario delle infezioni alimentari), che l’epidemiologia analitica (analisi dei fattori di rischio) condividono un terreno comune con quello della valutazione del rischio. Il rafforzamento delle attività di valutazione del rischio con il relativo know how e lo sviluppo dell’approccio epidemiologico non possono essere disgiunti dall’attivazione di flussi informativi e dalla creazione e condivisione di database fruibili in un contesto collaborativo e di reciproco supporto tra servizi medici e veterinari, IZS e la futura Authority. Per la costituzione di una banca dati funzionale alla valutazione/gestione del rischio (emergente o ri-emergente) ci si orienterà preferibilmente verso: - l’acquisizione di dati quantitativi nell’ambito delle indagini sui focolai di infezione o monitoraggio (spesso ci si limita ai soli dati qualitativi di presenza/assenza del patogeno); - il coinvolgimento di altri soggetti con competenze di rilievo in ambito nazionale; - il coinvolgimento delle competenze mediche dipartimentali ed extra-dipartimentali (medici di base, laboratori di analisi degli ospedali); - la conduzione di indagini conoscitive e di monitoraggio sulla prevalenza e concentrazione dei patogeni nelle maggiori filiere alimentari e negli alimenti prodotti in aree geografiche caratterizzate da particolari abitudini alimentari della popolazione (mappatura del rischio); - l’integrazione di database o datasource con il sistema di horizon scanning9 per conoscereprevedere il trend futuro delle contaminazioni e delle infezioni umane (alert) in un’ottica di riduzione dell’impatto sanitario dei patogeni alimentari (vedi figura 1); - sistemi informativi geografici (GIS) ed epidemiologia molecolare per la mappatura e valutazione spazio-temporale dei rischi di sicurezza alimentare (epidemiologia spazio- 8 http://www.food.gov.uk/sites/default/files/multimedia/pdfs/profnaughtonpres.pdf. Horizon scanning è una tecnica utilizzata dalle organizzazioni per facilitare l’identificazione di un rischio a medio-lungo termine e individuare le eventuali lacune del sistema. I rischi a lungo termine in ultima analisi possono essere influenzati da quello che accade oggi e, di conseguenza, la loro precoce identificazione consente di attenuare o mitigare gli effetti futuri. 9 5 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva temporale) 10,11. I GIS sono in grado di fornire ai decisori piattaforme informatiche per la gestione dei dati spaziali, integrazione, analisi, interrogazione e visualizzazione12. Fig. 1. Processo di rilevazione dei rischi emergenti ANALISI (vs base line) Rischio Emergente identificato DATI Stakeholders Dati ufficiali Comitato di esperti Ricerca Sorveglianza Rapporti medici Punto di controllo Azione correttiva identificata Gestione del rischio Richiesta di ulteriori informazioni Risposta all’incidente Nessuna azione Da FSA emerging risk model modificata (2013) Quali interventi? All’interno dei piani sanitari regionali per la sicurezza alimentare occorrerà assegnare risorse maggiori alle attività di controllo ufficiale e garantire un elevato livello di supporto ai servizi competenti delle ASL. Bisognerà altresì puntare a un ampliamento dei programmi di monitoraggio delle zoonosi e degli agenti zoonotici sia a livello di produzione primaria che nelle fasi successive della filiera e a un rafforzamento e coordinamento delle indagini epidemiologiche dei focolai di infezione alimentare, attività già previste rispettivamente dal Regolamento (CE) n. 2160/200313 e dalla Direttiva (CE) n. 2003/9914, quest’ultima recepita in Italia con il D.Lgs n. 191/2006. Monitoraggio della Salmonella nelle popolazioni animali I piani di monitoraggio devono includere campionamenti per la ricerca di Salmonella spp. e Campylobacter spp., agenti responsabili del maggior numero di focolai di infezione alimentare in Europa (European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents 10 L’applicazione dei sistemi GIS ha riguardato prevalentemente la sanità pubblica, poche sono le esperienze per la valutazione dei rischi nei sistemi di distribuzione di derrate alimentari. 11 Petra Mueller et al. 2011). The integration of molecular tools into veterinary and spatial epidemiology. Spatial and Spatio-temporal Epidemiology. 2 (2011) 159.171. 12 Leila Hashemi Beni, Sébastien Villeneuve, Denyse I. LeBlanc, Kevin Côté, Aamir Fazil, Ainsley Otten, Robin McKellar, Pascal Delaquis (2012). Spatio-temporal assessment of food safety risks in Canadian food distribution systems using GIS. Spatial and Spatio-temporal Epidemiology, Volume 3, Issue 3, September 2012, Pages 215-223. 13 Regolamento (CE) n. 2160/2003 sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2003:325:0001:0015:IT:PDF 14 Direttiva 2003/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/CEE del Consiglio. 6 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva and Food-borne Outbreaks in 2013. EFSA 2015)15. Tali piani necessitano della messa a punto di strategie di campionamento e metodiche di laboratorio validate da un punto di vista scientifico. In relazione ai programmi nazionali di controllo per i sierotipi di Salmonella spp. nelle specie animali (pollame e suini) aventi rilevanza in sanità pubblica per il rischio potenziale di trasmissione umana, nel 2003 l’Unione europea, al fine di istituire misure efficaci di prevenzione, individuazione e controllo del patogeno in tutte le fasi della filiera compresa la produzione primaria, con il Regolamento (CE) n. 2160/2003 stabilisce obiettivi (target) di riduzione della prevalenza negli allevamenti di pollame (galline ovaiole, polli da carne e tacchini) e suini. I target di riduzione vengono definiti sulla base dei risultati di una estesa indagine comunitaria finalizzata a conoscere il baseline per Salmonella nelle popolazioni animali a rischio. Per i sierotipi S. enteritidis and S. typhimurium negli allevamenti di galline ovaiole, il target di riduzione attuale stabilito in tutti gli Stati membri dell’UE è del 2%, come percentuale massima degli allevamenti positivi. Relativamente a questa specie dall’analisi dei dati di prevalenza di Salmonella raccolti nel 2009 in ambito comunitario, l’EFSA ha concluso che 17 Stati membri avevano conseguito l’obiettivo di riduzione fissato16. L’attività di monitoraggio per la specie suina in allevamento si integra con un analogo programma europeo sulla prevalenza di Salmonella spp. nei suini da ingrasso macellati nei mattatoi comunitari17. Per la specie suina una analoga indagine baseline è stata effettuata a livello comunitario (macelli che insieme rappresentano il 80% dei suini macellati in ciascuno Stato membro) per determinare la prevalenza dei suini infetti da Salmonella al momento della macellazione. L’obiettivo, tutt’ora oggetto di discussione in relazione alla valutazione costo-benefici dei diversi scenari, è di stabilire il target di riduzione della prevalenza a livello comunitario18. Nel recente Regolamento UE 218/201419 all’allegato I del Regolamento CE 854/2004 viene inserito il patogeno Salmonella nell’ambito delle verifiche svolte dal controllo ufficilale veterinario sulla corretta applicazione da parte dell’OSA dei criteri di igiene del processo per Salmonella nelle carcasse di suino. Se i criteri di igiene di processo non sono soddisfatti in varie occasioni, all’OSA viene richiesto un piano d'azione seguito da una stretta sorveglianza ad opera del servizio di controllo ufficiale. 15 http://www.efsa.europa.eu/it/efsajournal/pub/3991.htm. Nell’ambito delle attività di monitoraggio della prevalenza di Salmonella negli animali, negli alimenti e nell’uomo, i dati degli Stati membri dell’UE sono raccolti e analizzati nelle relazioni di sintesi predisposte ogni anno dall’EFSA e dall’ECDC, le quali forniscono aggiornamenti annuali sui progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi di riduzione per Salmonella. Tra il 2005 e il 2009 le relazioni hanno indicato una netta tendenza alla diminuzione dei casi di salmonellosi nell’uomo, dei focolai di infezione nell’uomo e della prevalenza del batterio negli allevamenti di pollame. 17 È importante riconoscere che non tutti I ceppi di Salmonella nei maiali causano infezioni umane. I dati disponibili indicano che circa la metà appartengono al sierotipo S. Typhimurium (la seconda più importante infezione da Salmonella segnalati nell'uomo in tutta l'UE), l’altra metà è rappresentata da S. Derby (da FCC Consortium - Analysis of the costs and benefits of setting a target for the reduction of Salmonella in slaughter pigs for European Commission- Health and Consumers Directorate-General -SANCO/2008/E2/036Final report 2010) (http://ec.europa.eu/food/food/biosafety/salmonella/docs/fattening_pigs_analysis_costs.pdf). 18 FCC Consortium- Analysis of the costs and benefits of setting a target for the reduction of Salmonella in pigs at slaughterhouse level. The European Commission Directorate-General for Health and Consumers SANCO/E2/2009/SI2.534057-Final report, July 2013 (http://ec.europa.eu/food/food/biosafety/salmonella/docs/fattening_pigs_slaughthouse.pdf). 19 Regolamento (UE) N. 218/2014 della Commissione del 7 marzo 2014 che modifica gli allegati dei regolamenti (CE) n. 853/2004 e (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2074/2005 della Commissione. 16 7 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva Lo stesso regolamento stabilisce che il veterinario ufficiale proceda al campionamento ufficiale utilizzando lo stesso metodo e zona di campionamento dell’OSA, garantendo che almeno 49 campioni casuali siano prelevati in ogni macello ogni anno20 e che vengano raccolte tutte le informazioni sul numero totale dei campioni effettuati e quelli trovati positivi per Salmonella prelevati in autocontrollo conformemente all’articolo 5 (5) del Regolamento (CE) n 2073/2005. Le informazioni sul numero dei controlli effettuati (campioni totali e positivi sia dei controlli ufficiali che dell’autocontrollo) prelevati nel quadro di programmi di controllo nazionali degli Stati membri devono essere tramessi annualmente alla Commissione europea a norma dell’articolo 9 dellla Direttiva 2003/99/CE e potranno essere utilizzati per la valutazione del rischio e per stabilire le alternative di gestione del rischio Salmonella spp. nella produzione suinicola. Notifica delle zoonosi e indagini epidemiologiche degli episodi di tossinfezione alimentare Gli obiettivi delle indagini epidemiologiche, già previste dalla Direttiva (CE) n. 2003/99, recepita in Italia con il D.Lgs n. 191/2006) sono: - - - rafforzare i sistemi di sorveglianza epidemiologica regionale; elaborare criteri uniformi per la costituzione e il funziomamento all’interno dei Dipartimenti di Prevenzione delle ASL di gruppi intra-dipartimentali (epidemiological task-force) incaricati di gestire le indagini epidemiologiche degli episodi di infezioni umana di origine alimentare; strutturare e coordinare gli interventi di indagini epidemiologiche degli episodi di tossinfezione alimentare dando risalto all’integrazione fra i settori medici e quelli veterinari attraverso nuove modalità operative, protocolli comuni, flussi informativi più efficienti, azioni di controllo concertate; approfondire gli aspetti legati alla conoscenza della carica batterica (approccio quantitativo) negli alimenti nelle diverse fasi della filiera, compresa la fase del consumo, che condizionano rispettivamente la valutazione dell’esposizione umana (quantità di alimento ingerito preferibilmente differenziato per gruppi di popolazione) e la relativa curva doserisposta (carica ingerita-probabilità di infezione/malattia). L’integrazione di tutte queste informazioni consente di poter valutare il rischio finale di incidenza di infezione/malattia per il consumatore (caraterizzazione del rischio), che costituisce uno degli obiettivi (output) della valutazione quantitativa del rischio microbiologico. Nell’ultimo manuale pubblicato dall’EFSA dal titolo “Manual for reporting on zoonoses and zoonotic agents, within the framework of Directive 2003/99/EC, and on some other pathogenic microbiological agents for information deriving from the year 2014 “sono contenute le linee guida per la notifica delle zoonosi e agenti zoonotici negli animali, alimenti e mangimi. L'obiettivo è quello di armonizzare e snellire i report degli Stati membri e garantire che i dati raccolti siano pertinenti e facili da analizzare a livello comunitario. Il manuale è in particolare destinato ad essere utilizzato dal personale incaricato e dai data provider degli Stati membri per la compilazione delle notifiche 20 Se uno o più campioni sono positivi si può ritenere, con un margine di confidenza del 95%, che la prevalenza di Salmonella nelle carni è uguale o superiore al 6%. Il servizio di controllo ufficiale verifica attentamente la gestione delle non conformità in autocontrollo per accertare che il valore limite del 6% sia rispettato. 8 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva attraverso l'applicazione web gestita dall’EFSA21. In particolare vengono specificati la descrizione, struttura e campo del sistema di notifica, le definizioni utilizzate nel sistema e le variabili da notificare. Vengono inoltre forniti suggerimenti pratici su come notificare e classificare gli agenti, i veicoli alimentari, i luoghi dove si verificano gli episodi e i fattori di rischio. Con gli stessi obiettivi, l’EFSA pubblica un altro manuale che fornisce le modalità di notifica dell’antibiotico-resistenza per Salmonella, Campylobacter coli e C. jejuni, Escherichia coli, Enterococcus, Staphylococcus aureus meticillino-resistente e le relative specie animali e categorie di alimenti22. Per il raggiungimento degli obiettivi di cui alla Direttiva CE n.2003/99 per le attività di monitoraggio e di sorveglianza epidemiologica e allo scopo di meglio comprendere le sorgenti di tossinfezione alimentare, è indispensabile avviare una nuova progettualità all’interno di una strategia che coinvolga le Regioni e gli IZS con la collaborazione del Ministero della Salute, Università e Servizi veterinari delle ASL. Servizi veterinari regionali e locali, Servizi medici e laboratori territoriali dell’IZS in un clima di rinnovata integrazione ed efficace coordinamento delle attività scientifiche devono svolgere, ciascuno nel rispetto delle proprie competenze ed ambiti operativi, un ruolo attivo nella definizione e implementazione dei piani di monitoraggio e sorveglianza epidemiologica finalizzati alla tutela della salute umana. Nell’ambito dei programmi di sorveglianza le tecniche di biologia molecolare, tipizzazione molecolare (es. PFGE) e bioinformatica possono contribuire a migliorare la conoscenza sulle origini delle infezioni, “tracciare” i fattori di rischio e facilitare la creazione di mappe geografiche regionali del rischio oltre che fornire informazioni utili per gli studi di valutazione del rischio. Va altresì diffuso il know-how della valutazione del rischio attraverso documenti tecnici, corsi di formazione e workshop. Con la messa in campo degli interventi sopraccennati e il buon funzionamento del sistema di notifica e di sorveglianza delle infezioni alimentari nelle diverse Regioni, sarà possibile produrre dati utili per gli studi di valutazione del rischio sia a carattere regionale che nazionale, stimare la reale incidenza delle infezioni alimentari nel nostro paese, conoscerne il trend nel tempo, individuare le sorgenti e modalità delle infezioni, e in ultimo selezionare e implementare interventi di controllo e prevenzione dei rischi proporzionali, efficaci ed economicamente sostenibili. La Comunicazione del rischio ed il Ministero della Salute Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una progressiva sensibilizzazione della popolazione rispetto al tema della sicurezza alimentare. Purtroppo a una maggiore consapevolezza del consumatore circa i rischi alimentari si è aggiunta una percezione distorta del livello di rischio dovuta principalmente a un’errata, insufficiente, tardiva o mancata comunicazione da parte degli organi istituzionali a ciò deputati In particolare, la serie ininterrotta di crisi (Salmonella nelle uova, diossina nei mangimi per suini, influenza aviaria, frode delle carni di cavallo, virus dell’epatite A nei frutti di 21 http://www.efsa.europa.eu/it/supporting/pub/772e.htm. La raccolta dei dati riguarda le infezioni e i contaminanti microbiologici nelle popolazioni animali, tra cui la tubercolosi bovina, ovina e caprina, Salmonella, Campylobacter, Listeria, Yersinia, Escherichia coli, febbre Q, Trichinella, Echinococcus, Toxoplasma, West Nile virus, Cysticercus e rabbia negli animali, alimenti e mangimi. Sono inclusi nel manuale anche i dati su alcuni altri contaminanti o agenti, come le enterotossine stafilococciche, Cronobacter e istamina. 22 Manual for reporting on antimicrobial resistance within the framework of Directive 2003/99/EC and Decision 2013/652/EU for information deriving from the year 2014. http://www.efsa.europa.eu/it/supporting/pub/771e.htm. 9 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva bosco), che ha colpito il settore agro-alimentare, ha acutizzato le preoccupazioni e alimentato la sfiducia sociale nei confronti sia dei sistemi di produzione sia dell’apparato di controllo ufficiale per la sicurezza e qualità degli alimenti determinando una pressante richiesta d’informazioni e d’iniziative a tutela della salute pubblica. L’esperienza di cattiva gestione delle emergenze sopra accennate, non ultima quella relativa all’epidemia causata dal consumo di frutti di bosco congelati contaminati dal virus dell’epatite A 23, per gli aspetti relativi alla comunicazione del rischio insufficiente, tardiva o errata da parte degli organi ufficiali in primis del Ministero della Salute, pongono l’accento sulla necessità di una nuova strategia più appropriata ed efficace di comunicazione da parte degli organi politico-decisionali opportunamente supportata da soggetti autorevoli per far sì che le informazioni sul rischio “informino” in modo efficace e obiettivo i consumatori e che si sappia cosa, quando, come, e a chi comunicare. Tali esperienze devono inoltre servire a stimolare la ricerca anche ricorrendo a studi ex-post che quantifichino l’efficacia dei metodi di comunicazione. Interazione valutatori-comunicatori del rischio Generalmente la comunicazione del rischio, che sottende l’intero processo di analisi del rischio, riassume tutte quelle attività tese a informare la collettività sui rischi esistenti o emergenti o potenziali e al contempo a raccomandare il corso d’azioni appropriate per la prevenzione e o controllo/eliminazione dei pericoli. Conoscere la differenza tra rischio e pericolo risulta essenziale in questo contesto24. È chiaro che l’attività di comunicazione del rischio, assegnata a livello comunitario sia all’’EFSA sia alla Commissione Europea, nonché alle autorità competenti per la sicurezza alimentare dei diversi paesi membri (le Authority nazionali), non deve essere svolta tardivamente rispetto all’inizio dell’evento emergenziale. Al contrario, deve permeare, in un ciclo continuo, l’intero processo d’analisi del rischio, ed essere maggiormente integrata con il processo di gestione del rischio. Per garantire dunque una maggiore trasparenza al processo decisionale e rendere efficace la comunicazione del rischio, devono essere assicurati da una parte l’interazione tra i valutatori del rischio e i manager del rischio, dall’altra il coinvolgimento degli stakeholders e in particolare la partecipazione attiva dei gruppi d’interesse (allevatori, industria, consumatori) alle varie fasi del processo di analisi del rischio. È accertato che quest’ultimi, sia singolarmente sia collettivamente, possono condizionare l’efficacia dell’approccio utilizzato per gestire il rischio. Questi temi sono stati al centro del progetto SAFE FOODS realizzato nel periodo 2004-2008 con l’obiettivo di ristabilire la fiducia dei consumatori attraverso l’adozione di un nuovo approccio olistico per l’analisi del rischio 23 In Italia l’epidemia di origine alimentare causata di virus dell’epatite A ha colpito 1.787 persone, ed è ritenuta la più importante negli ultimi 30 anni. Le critiche sulle modalità con cui il Ministero della Salute ha gestito l’emergenza riguardano principamemte i tempi (l’epidemia è durata 24 mesi), l’insufficiente diffusione delle informazioni, in particolare i nomi dei prodotti ritirati e, soprattutto, mancanza di conferenze stampa per informare in modo adeguato i consumatori e i giornalisti. 24 Per gli operatori di Sanità Pubblica e in particolare per i decisori, la conoscenza di ciò che costituisce un rischio microbiologico (o chimico-fisico) per la salute umana è il fondamento di qualsiasi attività, controllo o decisione inerente la sicurezza alimentare. Ma che cosa s’intende per rischio? Un termine concettualmente diverso e spesso impropriamente confuso con quello di pericolo. Il rischio viene solitamente definito come una funzione di due variabili: la probabilità del verificarsi di un evento dannoso (pericolo microbiologico, chimico o fisico) e la gravità dello stesso. Il rischio, quindi, è un concetto distinto ma correlato a quello di pericolo o evento sfavorevole. Ad esempio con riferimento alla sicurezza alimentare, se consideriamo il pericolo rappresentato dal patogeno Campylobacter nelle carni di pollame, il rischio si compone della probabilità X che il consumatore venga esposto al patogeno con il consumo delle carni di pollame (a sua volta suddivisa in X1 - possibilità che l’evento accada e X2 - probabilità che l’individuo si ammali) e della conseguenze Y (gravità) derivanti dall’infezione (es. complicazioni post-infezioni quali la sindrome neuropatica di Guillain-Barrè). 10 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva degli alimenti basato sull’integrazione della valutazione rischio-benefici della salute umana con la preferenza e i valori dei consumatori e con gli aspetti socio-economici25. L’EFSA nella strategia di comunicazione affronta il tema della comunicazione del rischio come strumento per rafforzare la fiducia dei consumatori nella catena alimentare. L’attività viene svolta in collaborazione con i dipartimenti di comunicazione delle agenzie nazionali per la sicurezza alimentare, attraverso il gruppo di lavoro sulla comunicazione del foro consultivo dell’Autorità (AFCWG). Gli obiettivi sono di costruire un approccio più collaborativo e informato alla comunicazione dei rischi nella catena alimentare e promuovere la coerenza nei messaggi diffusi in tutta l’Unione europea. Il relativo documento di supporto strategico dal titolo “Alimenti: temporali in arrivo? Ricette collaudate per la comunicazione del rischio” pubblicato nel 2012 contiene i principi guida di una efficace comunicazione del rischio e i fattori che influenzano il livello e il tipo di comunicazione26. Come si può esprimere la comunicazione del rischio? Con riferimento alla sicurezza alimentare e in rapporto sia alla valutazione sia alla gestione del rischio microbiologico, la comunicazione del rischio può avere diverse forme di espressione. C’è la forma generale di processo, in cui la comunicazione del rischio interviene nelle fasi preliminari e durante l’intero processo di valutazione del rischio, attraverso uno scambio interattivo d’informazioni, pareri, segnalazioni sulla valutazione del rischio e sulle decisioni in materia tra i manager del rischio, ricercatori, e gruppi di interesse. Questo approccio dinamico e strutturale consente di modificare e presentare la valutazione del rischio in modo appropriato e aggiornato alle più recenti evidenze scientifiche in maniera tale da soddisfare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti e di aumentarne la comprensione e stima reciproca e di disegnare una strategia comunicativa efficace . L’altra forma, maggiormente conosciuta, è quella tecnica basata sulla traduzione degli output del processo di valutazione del rischio (es. quantitativa o semi-quantitativa) finale (es. rischio per porzione, rischio giornaliero, rischio annuale, incidenza annuale) o di altri risultati (ad esempio la misura dell’incertezza) in una forma che sia comprensibile tanto ai politici e manager del rischio quanto al pubblico. Infine, la comunicazione del rischio può essere vista anche come mezzo per mitigare il rischio laddove non può essere garantito il rischio zero (es. presenza di Salmonella negli insaccati o Listeria monocytogenes nel salmone affumicato sottovuoto o in atmosfera protettiva) il quale salvo alcune eccezioni rimane nell’ambito dell’utopia ed è di difficile applicazione per la sicurezza alimentare. Infatti i dati epidemiologici attuali riferiti alle infezioni di origine alimentare, indubbiamente preoccupanti, ci dicono che il rischio zero per gli alimenti non è realisticamente ottenibile. E’ dunque possibile contrastare questi dati e immaginare alimenti a rischio zero? Per rispondere possiamo ricorrere ad una similitudine citando il problema della sicurezza del traffico. E’ lecito sostenere che il traffico è sicuro al 100%? Certamente no, basta leggere le statistiche riferite agli infortuni e decessi causati da incidenti automobilistici o investimenti di pedoni per capire come pur con gli interventi di razionalizzazione del traffico, la messa in sicurezza delle strade e le 25 Il progetto SAFE FOODS (http://www.safefoods.nl/en/safefoods.htm) sviluppando un approccio più olistico verso la sicurezza alimentare e rispondendo direttamente alle preoccupazioni dei consumatori, ha messo insieme 37 partner di un consorzio, che comprendono importanti istituti scientifici europei di ricerca alimentare, organizzazioni, università e partner dal Sud Africa e dalla Cina. 26 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1825_allegato.pdf. 11 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva relative campagne informative non è possibile fornire garanzie totali27. La domanda dunque che dobbiamo porci è: possiamo migliorare la sicurezza alimentare? Certamente sì. Ma come? Forse individuando, analogamente alla sicurezza delle strade, quello che gli anglosassoni chiamano i “dark spots” o meglio punti vulnerabili o punti critici dove si concentra il rischio maggiore per un determinato pericolo, rischio che sappiamo essere l’espressione del binomio gravità e frequenza del pericolo e allo stesso tempo impostare efficaci campagne di comunicazione del rischio. Da un punto di vista di efficacia del messaggio oltre che a informare i destinatari sul livello di rischio (es. basso, medio alto) è altresì importante comunicare in modo chiaro e comprensibile i rischi che necessitano un’azione prioritaria e spiegare quali sono le azioni necessarie per modificare il rischio stesso. Tali azioni finalizzate dunque a mitigare il rischio possono comprendere: le istruzioni relative alla corretta manipolazione di un particolare prodotto alimentare al fine di evitare i fenomeni di cross-contaminazione batterica; i consigli alimentari rivolti ai consumatori vulnerabili (es. persone affette da malattie debilitanti o sottoposti a trapianti o malati di HIV; donne incinte in relazione ai consumi di prodotti ittici con contenuti elevati di mercurio). È chiaro che in situazioni di emergenza, considerati i tempi e la necessità di ridurre per quanto possibile i danni, la comunicazione del rischio rimane l’unico strumento di cui si dispone per ridurre o contenere il rischio. Come già accennato affinchè la comunicazione del rischio dia garanzie di efficacia è necessario strutturarla all’interno del processo decisionale e seguendo un approccio bottom-up coinvolgere il pubblico e gli stakeholder acquisendo i loro punti di vista e spiegando come sono state utilizzate tutte le informazioni disponibili per assumere decisioni relative al rischio. In sostanza, come descritto da Sunstein (2005)28, da una visione puramente tecnocratica del rischio ci si dovrebbe spostare ad un’altra, populista o meglio democratica, più ampia “di pensiero focalizzato sul valore” e spostata verso il basso (vedi fig. 2). Su questa linea si è mosso di recente l’IZS delle Venezie relativamente alla campagna di comunicazione finalizzata a far conoscere e prevenire i rischi derivanti dall’epatite A. Partendo dai numerosi casi umani da consumo di frutti di bosco surgelati crudi occorsi nel nostro Paese e nell’ambito di un progetto di ricerca finalizzata finanziato dal Ministero della Salute29, l’Istituto utilizzando la tecnica di ricerca sociale della consensus conference ha chiesto a giovani studenti universitari di partecipare alla progettazione di una campagna di comunicazione con l’obettivo di definire i contenuti del messaggio, condividerli con gli esperti del settore e quindi, strutturare la campagna con la maggiore probabilità di raggiungere l’efficacia attesa30. Alcuni dei materiali prodotti, tra cui le “Linee guida per la progettazione di una campagna di comunicazione sul rischio alimentare” (frutto delle osservazioni dei giovani sul caso epatite A) e le ricerche concluse sono disponibili sul sito dell’IZS31. L‘efficacia della comunicazione del rischio si misura anche sulla capacità degli organi deputati di fornire informazioni sulla sicurezza alimentare anche nei momenti non emergenziali e dunque di 27 Per il 2000, in base ai dati ISTAT sugli incidenti stradali verbalizzati dalle autorità di polizia, è possibile stimare un corrispondente numero di morti nell’anno pari a 7.583 (13,3 decessi/100.000 abitanti). Salute e Malattia. Ministero della Salute. 28 Sunstein C.R. (2005). Laws of Fear: Beyond the Precautionary Principle. Cambridge: Cambridge University Press. 29 Progetto RF2/2009 “Riduzione di allarmismi ingiustificati da parte dei consumatori attraverso la mappatura, il monitoraggio e il miglioramento della comunicazione del rischio realizzata dai media” finanziato dal Ministero della Salute. 30 http://www.izsvenezie.it/comunicare-ai-giovani-il-rischio-alimentare-caso-epatite-a/. 31 http://www.izsvenezie.it/comunicazione/ricerca-sociale/comunicazione-del-rischio/#rf-2009. 12 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva assegnare agli interventi una funzione proattiva/preventiva. Questa strategia di “sistemizzazione” del know how che ruota attorno alla comunicazione del rischio aiuta a “costruire” nel tempo la fiducia del consumatore e del pubblico in generale, fiducia che viene costantemente “pretesa” in tempi di emergenza. Fig. 2. Integrazione della comunicazione del rischio con la valutazione e gestione del rischio Vademecum dei comunicatori del rischio I manager del rischio e coloro che hanno responsabilità politico-decisionali (il nostro Ministero della Salute) per comunicare in modo efficace il messaggio relativo al rischio, devono assicurare alle loro azioni di controllo chiarezza e trasparenza, oltre che tener conto delle preferenze in alcuni valori che la società in generale può o meno esprimere in modo diretto. Questo concetto merita di essere articolato attraverso alcuni principi di buona gestione della comunicazione del rischio che potremmo ricondurre ai seguenti 32: - Obiettivo dell’azione: concentrare l’attenzione su rischi più gravi e quando il pericolo richiede un controllo maggiore. - Coerenza: adottare un approccio simile in circostanze simili per raggiungere conclusioni simili. - Proporzionalità: richiede un’azione commisurata al rischio. - Trasparenza: massima apertura su come si giunge a una decisione e quali conseguenze può comportare. - Responsabilità: individuare le responsabilità nel caso di insuccesso. Chi ha responsabilità istituzionali per la comunicazione del rischio deve sapere che gli individui tendono a non rispondere in modo razionale alle informazioni sul rischio. Ciò è dimostrato dal fatto nonostante gli sforzi di comunicazione da parte di esperti e l’uso costante dei media, le reazioni degli individui nei confronti del pericolo o incertezza immancabilmente vengono condizionate dal 32 Principle of good regulation. Better Regulation Task Force, Room, 72q/2, Horse Guards, London SW1P 3AL. 13 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva contesto sociale, dalle esigenze di sicurezza personale e dal grado di affidabilità della fonte di informazione33. Quest’ultimo aspetto rimanda al concetto dell’“autorevolezza” degli organi incaricati di fare comunicazione del rischio. In breve, il modo con cui le persone gestiscono il rischio, dipende dalla loro percezione a sua volta determinata da valori e giudizi personali. A questo riguardo Shrader-Frechette (1990) parlano di «soluzioni negoziate per il rischio [...] che tengano esplicitamente conto di un consenso informato al rischio» al posto di una soluzione imposta dall’alto, basata soltanto sul punto di vista degli esperti. In breve i ricercatori suggeriscono di spostare l’attenzione da una visione del rischio propria di singoli individui a un concetto di rischio inserito nel contesto sociale34. Solo di recente i sociologi hanno esaminato nel dettaglio l’ampia gamma di fattori che condizionano la percezione del rischio. Il benchmark è rappresentato dal paradigma psicometrico sviluppato da Slovic (1987) che mette in relazione i diversi tratti della personalità con la percezione del rischio 35. In relazione ai pericoli creati dall’uomo stesso, particolarmente importanti sono la conoscenza del processo che determina il pericolo, la distribuzione equa del pericolo (nel tessuto sociale) e la capacità delle persone di controllare la loro esposizione (es. il rischio verso il quale si è esposti è il frutto di una decisione personale). È quindi fondamentale approfondire la conoscenza sulla percezione del rischio da parte della popolazione, sui livelli di preoccupazione e sui fattori che lo determinano utilizzando metodi di ricerca delle scienze sociali ormai consolidati a livello internazionale. Di recente sono stati definiti sei indicatori o fattori che si correlano bene con i livelli di preoccupazione36 : - familiarità ed esperienza con il rischio: in genere le persone sono più preoccupate dei rischi nuovi e dei quali hanno una conoscenza limitata; -conoscenza del meccanismo causa-effetto: la preoccupazione cresce se il meccanismo causa-effetto è sconosciuto o incerto (es. non accordo tra gli esperti), o se le persone stesse fanno fatica a comprendere sulla base delle informazioni disponibili la natura delle conseguenze del pericolo e la loro probabilità; - equità delle conseguenze del rischio e i benefici correlati: il livello di preoccupazione cresce se le persone percepiscono che gli effetti sfavorevoli colpiscono un gruppo specifico nella società e in modo particolare se appartengono a uno di questi gruppi; - paura per le conseguenze del rischio: le persone sono naturalmente colpite se gli effetti sfavorevoli sono estremamente gravi (es. sofferenza per lunghi periodi; impatto sulle generazioni future; impatto esteso; pericoli che per la loro scarsa conoscenza e incertezza potrebbero causare danni gravi ed irreversibili); - controllo del rischio: mancanza del controllo personale del rischio e non affidabilità di chi è tenuto a gestire il rischio nel loro interesse (riferimento all’autorevolezza di chi è tenuto a fare comunicazione del rischio). 33 A. Alaszewski. Risk communication: identifying the importance of social context.. Health Risk &Society. June 2005; 7(2): 101-105. 34 Shrader-Frechette, K.S. (1990).Perceived risks versus actual risks: managing hazards through negotiation. Risk: Health, Safety & Environment, Volume 1: Pg.341-363. 35 Fishoff B, Slovic P, Lichtenstein S, et al. “How safe is safe enough ?”. A psychometric study of attitudes towards technological risks and benefits. Polcy Sciences 1978, 9: 127-152. 36 Managing risks to the public: appraisal guidance. HM Treasury. June 2005. 14 Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva Cosa dovrebbe fare il Ministero della Salute? In sintesi tenuto conto di quanto brevemente esposto e per far sì che la ricerca nel campo della comunicazione del rischio operi un salto di qualità e si arricchisca di nuove conoscenze, si potrebbero prevedere le seguenti attività in Italia gestite da una cabina di regia da individuare a livello ministeriale e di supporto (risk communication advisor) al Ministro37: - conduzione di ricerche di campo per individuare e valutare mezzi e metodi di comunicazione finalizzati a migliorare il ruolo della valutazione del rischio microbiologico in politica; - sviluppo di nuove strategie comunicative che introducano la classificazione dei rischi secondo una scala di priorità (alcuni rischi sono più importanti di altri), concetto questo supportato dalla scienza, acquisito dai manager del rischio, ma non sufficientemente espresso in una forma comprensibile e chiara ai diversi gruppi di interesse; - ricerca relativa a fattori quali, l’esperienza e la conoscenza in materia, i valori morali, le credenze, le convinzioni, la confidenza e la fiducia che orientano la percezione del consumatore e di conseguenza il comportamento sociale; - studi sulla efficacia delle strategie di comunicazione tese a mitigare il rischio, utilizzando metodi quantitativi di valutazione delle risposte, reazioni, comportamenti adottati dai consumatori per la riduzione del rischio; - sviluppo di pacchetti formativi (workshop, corsi di formazione, esperienze di simulazione) destinati ai diversi soggetti coinvolti nella comunicazione del rischio, sia politici, manager che valutatori del rischio. 37 Per favorire un'efficiente attuazione della strategia di comunicazione SIVeMP e SIMeVeP hanno proposto la costituzione di una “cabina di regia permanente sulla comunicazione del rischio” allargata a tutte le componenti scientifiche della Veterinaria per definire gli approcci di comunicazione, i messaggi chiave e i contenuti da divulgare attraverso attività di comunicazione integrate e attuate mediante il ricorso a tutti i canali e i mezzi di comunicazione (http://www.sivemp.it/notizie/il-sivemp--e-la-simevep-al-ministero-della-salute-per-parlare-di-comunicazione/7511.html) 15