Storia dell`elettroschok

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Storia dell`elettroschok
20/09/2008
D Repubblica
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N.615 - 20 SETTEMBRE 2008
I N C H I E S T A C'è chi chiede al ministro della Salute una maggiore diffusione di questo trattamento nelle
strutture di diagnosi e cura. Giusto"? Le tesi a confronto degli psichiatri. E le testimonianze di chi lo ha subito
Ambra Radaein
In Olanda esistono 35 servizi che praticano l'elettroshock, in Belgio 32, in Danimarca 35, in Germania 159, in
Svezia 65, in Norvegia 44, in Finlandia 40, in Ungheria 34, in Scozia 27, in Irlanda 16 e nel Regno Unito 160".
In Italia le strutture sono solo 12. Lo dice l'Aitec (Associazione italiana per la terapia elettroconvulsivante, o
Tee) in un documento che in questi giorni verrà inviato al ministra della Salute, Maurizio Sacconi.
L'Associazione ha scelto il 2008 anno in cui cade il trentennale della legge 180, o legge Basaglia, che diede
carattere più umano alla cura dei malati psichiatrici in Italia - per chiedere di "favorire l'installazione di servizi"
di questo trattamento "nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura presso gli ospedali pubblici". "La Tee",
prosegue la lettera, "costituisce tuttora il più efficace trattamento delle sindromi depressive, specialmente di
quelle più gravi, psicotiche e con alto rischio di suicidio. Con la tecnica moderna, gli effetti indesiderabili sono
irrilevanti. Tale incontestabile efficacia clinica è comprovata dal largo uso negli ospedali pubblici di tutta
Europa. Tra i 12 centri presenti in Italia, "sei appartengono al Servizio nazionale (gli Spdc di MontichiariBrescia e di Oristano, l'Ospedale SS. Trinità di Cagliari, di Brunico, di Bressanone e la Clinica Psichiatrica
della università di Pisa), sei sono cliniche private convenzionate (Villa Chiarugi, Napoli, Villa Serena, Pescara,
Clinica San Valentino e Clinica Villa Maria Pia, Roma, Clinica Santa Chiara, Verona e Clinica Barruzziana,
Bologna)". Ben altri, come abbiamo visto, i numeri dell'estero. Le ragioni della penuria italiana? "I pregiudizi
ideologici, le interferenze politiche e una diffusa ignoranza sia sulla depressione sia sugli effetti di questo
trattamento, a volte necessario e salvavita. Le conseguenze sono le gravi e lunghe sofferenze dei pazienti e
delle loro famiglie". La lettera si chiude chiedendo "che venga istituito un servizio di Tee almeno per ogni
milione di abitanti". Giusto, sbagliato? Neppure gli psichiatri sono unanimi. Ecco due diversi - e autorevoli pareri a confronto. PERCHÉ SÌ Giovanni Battista Cassano, direttore del Dipartimento di Psichiatria
dell'università di Pisa «L'elettroshock si pratica in pochi casi: nella depressione grave: sull'anziano che non
tollera i tarmaci; sulla donna gravida o sulla puerpera che non può assumerne; quando c'è un rischio di
suicidio; nelle forme maniacali con grave eccitazione; nelle ipertermie maligne; nelle forme non gravissime
ma resistenti ai tarmaci. Qui alla Clinica Psichiatrica della università di Pisa trattiamo con la terapia
elettroconvulsivante 80-100 pazienti l'anno, su decine di migliaia che vediamo. A praticarla è un'equipe di
specialisti. A volte si fa la preanestesia, a volte direttamente l'anestesia. Viene inoltre somministrato un
miorilassante per evitare le contrazioni muscolari. Tra gli elettrodi applicati sulle tempie, si fa passare una
scarica elettrica per 15-30 secondi. Dopo 5 minuti il paziente si sveglia, dopo 20 può alzarsi. I cicli prevedono
4-12 sedute con frequenza bisettimanale, ma alcuni si sottopongono a una e stanno bene per anni; altri
hanno ricadute rapide. Sui soggetti resistenti ai tarmaci si ha un'efficacia del 5070%, che è già notevolissima;
sui depressi gravi dell'80-90. Come talvolta accade in medicina, non si sa esattamente perché l'elettroshock
funziona. La corrente elettrica, attraversando il cervello, scatena una crisi epilettica. E da sempre si è
osservato che gli epilettici sofferenti di depressione o psicosi, dopo una crisi vedevano alleviarsi i sintomi. Già
nell'antichità si praticava una forma rudimentale di elettroshock, con l'applicazione di torpedini. Grazie ai
nuovi metodi di somministrazione, i danni che potevano verificarsi in passato - denti che saltavano, persino
fratture - vengono evitati. Anche i disturbi della memoria sono ridotti al minimo-, del resto, nelle psicosi acute
spesso il paziente dimentica il periodo più duro della malattia, anche senza terapia elettroconvulsivante. In
genere, poi, i ricordi si recuperano. Alcuni studi - non abbastanza per parlare di certezza - a lungo termine
denunciano un lieve decadimento degli aspetti cognitivi. Però anche i tarmaci hanno le loro controindicazioni.
La medicina è sempre un compromesso tra costi e benefici; e i costi della depressione sono altissimi. So che
l'elettroshock è circondato da uno stigma sociale. La ragione è che in passato se ne è abusato, ed è stato
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ELETTRO SHOCK?
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praticato da medici non specializzati, in più è stato condannato, oltre che dalla psicanalisi e dal movimento
antipsichiatrico, dalle case farmaceutiche, che volevano spingere sul mercato i loro prodotti. Posso dire che
spesso è richiesto dagli stessi soggetti depressi - magari professionisti che vogliono tornare in fretta al lavoro
che molti medici ci indirizzano i loro pazienti e che viene usato per i malati di Parkinson senza che nessuno
sollevi obiezioni». P E R C H É N O Giuseppe Dell'Acqua, direttore del Dipartimento di Salute mentale di
Trieste «La cattiva fama della terapia elettroconvulsivante è meritata. Non c'è bisogno di leggere Antonin
Artaud o Alda Merini per sapere che era usata come punizione. Questo accadeva in passato; anche oggi,
però, resta inutile e dannosa. Non ho mai prescritto, né praticato, né assistito a un elettroshock, ma ho visto
parecchi pazienti che l'avevano subito, e posso testimoniare sull'irreversibilità delle conseguenze: vuoti di
memoria, difficoltà a memorizzare, perdita di senso delle cose che accadono. E nessun sollievo dalla
depressione. In più, anche se le conseguenze fisiche non sono più quelle, drammatiche, di un tempo,
permangono i rischi legati all'anestesia. I sostenitori di questo trattamento sostengono che riduce il rischio di
suicidio. Ebbene: in Svezia, dove è ben più praticato che da noi, il tasso di chi si toglie la vita è di 4-5 volte
superiore a quello italiano. Dicono anche che lo si fa in tutto l'Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti dove è
stato rilanciato negli anni '60-70. Ma la cosa ha a che vedere con il sistema assicurativo. Le compagnie
pagavano poco per la semplice degenza; occorreva unirvi un trattamento che avesse del medico-chirurgico.
A sostenere l'elettroshock è una cultura del determinismo biologico che rifiuto. La biologia e la neurochimica
non sono gli unici elementi a condizionare i comportamenti. Esiste sì una genetica, ma anche una morfologia
(come il corpo si struttura, si evolve, apprende), una psicologìa (come viviamo noi stessi e gli altri), condizioni
di vita (possibilità economiche, contesto sociale, studio, lavoro). C'è tutto un modo di stare al mondo che non
è riconducibile a una pillola. Occorre fare il massimo sforzo per vedere le persone nelle loro relazioni,
sentimenti, contesti, bisogni. E per considerare il dolore naturale, parte della vita. Altrimenti, qualsiasi
sofferenza viene considerata patologia, e curata con i tarmaci o, nei casi limite, con l'elettroshock.
«LA MEDICINA E UN COMPROMESSO TRA COSTI E BENEFICI. E LA DEPRESSIONE HA COSTI
ALTISSIMI»
Foto: «RIDUCE I SUICIDI? NON E VERO. SI PRATICA IN TUTTO L'OCCIDENTE? SI. MA PER RAGIONI
EÒONOMICHE»