Tradizioni scomparse

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Tradizioni scomparse
Ricordi dal cavarzerano
Tradizioni scomparse
Ritornando nel mondo dei ricordi si può
affermare che qualche anno fa l’ attesa della
Pasqua era vissuta in maniera alquanto
diversa sotto tutti gli aspetti, anche la
celebrazione della stessa giornata di Pasqua
sembra avesse un altro …sapore, un altro
modo di presentarsi, un’altra forma di realtà
vissuta. “Natale con i tuoi e Pasqua con chi
vuoi” recita un proverbio, e purtroppo, a
ben pensarci, sembra che quanto affermato
dal proverbio sia il modo di vivere di
tantissima gente. Una volta alla Pasqua ci si
preparava già dal giorno delle Ceneri, e tutta la Quaresima era rivolta
alla celebrazione della Pasqua, momenti di penitenza e di preghiera
affinché l’alleluia della risurrezione divenisse gioia e vita. I giorni di
Quaresima anche nella più piccola comunità del cavarzerano
venivano scanditi in momenti di preghiera, di ascolto della parola di
Dio, e di penitenza. Ormai pochissimi ricordano le “Prediche di
Quaresima”, che attiravano tanta gente in tutte le chiese, c’ era quasi
la corsa per scegliere il migliore predicatore; alla predica seguivano
momenti di preghiera comune compartecipata. Si arrivava alla
Settimana Santa preparandosi bene alla Pasqua sotto tutti gli aspetti.
Sono un po’ trascurate le processioni della Domenica delle Palme, il
Canto del Mattutino della Settimana Santa, la celebrazione delle
Quaranta Ore in cui partecipavano tutti i componenti delle varie vie e
borgate, per poi arrivare al Giovedì Santo, alla “grande Predica, al
“ligare le campane”, al deporre il Santissimo dentro “il Sepolcro”, le
lunghe file ai confessionali per seguire il precetto “confessarsi almeno
a Pasqua”, per arrivare al Venerdì Santo con tutte le sue cerimonie
suggestive, il ricordo della morte di Cristo in tutte le strade, per
arrivare alla solenne Via Crucis e alla Processione a cui nessuno
poteva mancare e alla quale ciascuno a modo suo partecipava
attivamente. Nelle comunità di campagna si potevano osservare
questi grandi serpentoni di fedeli in preghiera, recante ciascuno una
luce ( ’ unica in quella distesa di terra immersa nel buio), fra rumori
tipici del periodo (le racolete), e poi la lunga predica sulla Passione e
Morte di Gesù. Al Sabato santo, dopo la benedizione del fuoco e del
fonte battesimale, alla Santa Messa dell’alleluia, al Gloria si
“slegavano” le campane che venivano suonate per un tempo
prolungato in segno di festa e di felicità mentre la gente nelle case e
nelle campagne compartecipava lavandosi la faccia e le mani con
l’acqua, magari attinta dall’ Adige o dai fossati. Si arrivava a Pasqua
per manifestare la propria gioia sia spiritualmente che fisicamente.
Oltre che andare in chiesa e accostarsi ai sacramenti, era quasi d’
obbligo vestirsi a nuovo, chi poteva si confezionava un abito, chi non
poteva andava ai ripari magari cercando di mettere a nuovo i vestiti
usati. Poi non era Pasqua se non c’erano le …uova, non quelle di
cioccolato esposte e acquistate nei negozi, ma quelle vere, quelle che
si raccoglievano quotidianamente nei grandi e piccoli cortili delle
case. Le uova venivano portate all’altare come offerta durante le
Quaranta Ore per le necessità della chiesa, con le uova si
confezionavano le “fugazze pasqualine” e la pasta per il pranzo, le
uova sode e colorate servivano per dare un tocco di colore alle case
già sottoposte alla tradizionale pulizia di Pasqua. Assaporare un uovo
sodo serviva spesso come leccornia, se poi si voleva fare di più si
andava nelle piazze a giocare con le uova colorate, al “cozzo”, al
“rugolo”, al “palancon”. E tutto seguendo una tradizione consolidata
da anni. Basti pensare alla colorazione delle uova: si adoperavano
stracci di vestito colorati, o le foglie delle cipolle rosse, o varie erbe.
Di “pasqualine” se ne facevano delle “fornà” ed i forni a legna
venivano prenotati di anno in anno, anzi qualche donna si doveva fare
molti chilometri per poter usufruire di quel forno, e per portare a casa
le gustose focacce doveva servirsi di mezzi trainati da animali. E a
pranzo brodo di gallina “ruspante” o tacchino o anatra, con pasta
all’uovo fatta in casa, e pollo arrosto; se si poteva si aggiungeva della
carne di mucca o di maiale, “benedetta” con il “cren” (rafano), radice
grattugiata molto piccante a cui veniva aggiunto l’aceto, per ricordare
il fiele e l’aceto offerti a Gesù sulla croce. Poi un buon bicchiere di
clinto o clinton nel quale veniva inzuppata una corposa fetta di
focaccia “pasqualina”, senza dimenticare, tanto per finire, le uova
rosse, o verdi, sode. A sentir parlare di “Racole”, “Racolete”,
“Rugoleto”, “Schisseto”, “Scheo sui ovi” viene da sorridere, ma una
volta erano prerogative del giorno di Pasqua, legate alle
manifestazioni religiose e devozionali. Non c’ era Pasqua senza le
uova, ed è una storia vera - come ci viene detto - quella accaduta
nelle campagne non lontane da Cavarzere, quando due gruppi di
“zagheti” di due cimunità diverse, dovendo portare alle famiglia il
ramoscello d’ ulivo e l’ acqua santa benedetta e ricevendone in
cambio “delle uova” (che poi avrebbero venduto per ricavarne
qualcosa), essendosi incontrati e scontrati per qualche parola in più,
non hanno fatto che iniziare una lotta a colpi di …uova, cosicché la
loro tonaca nera con la cotta bianca è divenuta gialla “ovo”. Cose che
potevano capitare più di qualche anno fa. (Ugo Bello)
dal numero 13 del 31 marzo 2013