doveva apparire in tutta la sua ampiezza ai

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doveva apparire in tutta la sua ampiezza ai
L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
Franco Ivaldo
Invece, sentimenti di rancore non si annidavano nellʹanimo del comandante della “Santiago”, Joao Serrao. Era il capitano più giovane e doveva subirsi critiche di “inesperienza” ma era amico e portoghese come Magellano che per lui aveva scelto quel posto, considerandolo un fedelissimo. Intanto, lasciato Rio,de Janeiro dopo parecchie settimane di navigazione, doveva apparire in tutta la sua ampiezza ai naviganti, il Rio de la Plata. RIO DE LA PLATA: MARE O FIUME ? Quasi un mare, lʹestuario del Rio de la Plata. Nessuna perplessità di fronte a quello spettacolo maestoso che qualcuno potesse ritenerlo il passaggio transoceanico. Magellano, che sarebbe stato disposto a giurarlo sulla propria testa, doveva rimanere crudelmente deluso. Lʹammiraglio credeva in una mappa segretissima, disegnata dallʹastronomo e cartografo Martin Behaim, come se fosse una Bibbia. Orbene, quel Rio de la Plata doveva essere sicuramente il passaggio che avrebbe aperto le rotte al Mar del Sur. Ma le cinque caravelle, in fila indiana, con la “Trinidad” e la “Santa Maria
” a fare da battistrada su quel Rio de la Plata, che era stato scoperto dalla spedizione di Solìs ed aveva portato alla fondazione del villaggio uruguayano di Montevideo sulla destra della foce avanzavano senza trovare alcun passaggio sul mare. Alla sinistra, addentrandosi nellʹestuario del Rio sorgerà una città, ma allora non era neppure un villaggio nascente. Vi giungeranno i conquistadores di De Mendoza che continueranno a costruire abitazioni in quel villaggio indigeno che si chiamerà Ciudad del Espiritu Santo y Santa Maria del Buen Ayre. E poi, in tempi moderni, naturalmente Buenos Aires. I l destino degli uomini era nelle mani della Parche tessitrici e proprio quel villaggio sarà lʹultima porta da aprire e da chiudere, per Pancaldo. Con lʹastrolabio ed il sestante, si cercava di mettere un poʹ dʹordine in quel cielo così mutato, rispetto allʹemisfero Nord. Lui sapeva determinare la longitudine. I marinai , la notte, scrutavano inquieti quel cielo sconosciuto. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Leon n otò ripetutamente in quel emisfero Sud, due nuvole, una più piccola e lʹaltra più grande. Due nuvole che non potevano essere nuvole, in quanto le nuvole non si ripresentano mai, così puntuali agli appuntamenti nel cielo. Né di notte, né di giorno. E quelle due erano puntuali nel cielo ricco di stelle brillanti più di quelle che era solito ammirare nelle notti mediterranee. Quelle nuvole ‐si disse – devono essere astri, ammassi di astri...Ne parlerò a Pigafetta, esperto di astronomia comʹè... Antonio Pigafetta aveva già notato il fenomeno e così altri marinai a bordo, compreso lʹAmmiraglio. Sono stelle, sicuramente stelle – disse Magellano, senza sapere ancora che quelle nubi avrebbero preso il suo nome nella storia mondiale dellʹAstronomia – tutte raggruppate. Strano, davvero curioso. Almeno serviranno a guidarci...” Le nubi di Magellano. Per il nocchiero prendere dimestichezza col cielo stellato nuovo era essenziale. Così ammirava con sguardi curiosi, ed anche un poʹ commosso, quelle quattro stelle che formavano una croce, sicura conferma della veridicità del Santo Vangelo, poste lì dal Dio Onnipotente creatore del Cielo e della Terra per guidare appunto, con quel simbolo così cristiano i navigati dallʹaltra parte del Mondo. La Croce del Sud aveva ri empito i cuori di speranze e di auspici favorevoli. Magellano, tuttavia, era buio in volto. Il passaggio non cʹè...” si diceva ogni giorno. Cercava di nascondere lʹimmenso disappunto, principalmente agli uomini dellʹequipaggio ed agli altri comandanti. Eppure si era spinto in avanti lungo quel Rio de la Plata, fino al canale dʹingresso del Riachuelo , fino alla confluenza del Rio Uruguay. Unʹenorme distesa dʹacqua, ma nessuna traccia di un Oceano al termine di quelle esplorazioni affannose, con rischio di incagliare le caravelle in qualche banco di sabbia. Eppoi, faceva un freddo boia. Mai visto nulla di simile. I l portoghese si rodeva il fegato per dover prendere tanti rischi su un fiume che per quanto maestoso restava pur sempre un fiume e non poteva certo sbucare su un Oceano. Perché come tutti i fiumi che si rispettano deve avere una sorgente e poi una foce od un estuario. Le chiglie delle imbarcazioni potevano poi andare ad urtare chissà cosa. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Un deluso Magellano :ʺ Torniamo indietro!” ordinò. E così, lasciandosi dietro il Rio de la Plata, le caravelle puntarono decisamente a Sud. Fosse stato nel loro emisfero dʹorigine, quello boreale, la decisione di assumere una rotta meridionale– presa in gennaio – li avrebbe portati tutti verso mari più caldi. Ma lì, lʹuniverso era per così dire alla rovescia. Se ne andavano tutti, consapevolmente verso lʹ inverno . Trascorrere la gelida stagione in Patagonia non doveva essere precisamente il sogno di nessun indios . I marinai, nei loro racconti pittoreschi e fantasiosi, è risaputo, esagerano. Ma la fantasia dei marinai delle caravelle di Magellano doveva essere agilissima ed essi molto inventivi. Pigafetta, nel registrare i loro racconti dal vivo, usa toni parecchio divertiti nella sua Relazione di viaggio. Un marinaio portoghese, uno di quelli scelti dallʹammiraglio come uomo fidato anche se appartenente al suo paese che lo aveva messo al bando, gli aveva raccontato di aver visto con i propri occhi degli uccellacci simili a corvi che si lanciavano nella bocca spalancata delle balene e,apparentemente, ne divoravano il cuore. Pigafetta commentava: “Sarà, sarà”, con aria scettica ma anche divertita seppur incredula. Intanto, però, storie credibili o inverosimili, lui prendeva febbrilmente appunti. Non passava giorno, senza che lui annotasse tutto ciò che accadeva sui suoi diari. Vi erano altri che tenevano diari di bordo ma non così ricchi di particolari e di descrizioni suggestive. Non per nulla, come dicevano i marinai, il vicentino “aveva studiato”. Un altro marinaio cui non mancava la fantasia narrava che aveva visto un gigante, accompagnato da una moglie altrettanto gigante. Gli abitanti della Patagonia, per essere alti dovevano essere alti. A quanto pare avevano piedi (patas, per gli spagnoli) enormi, da qui il nome dato al paese .Ma se gli abitanti della Patagonia erano alti, i marinai per la maggior parte spagnoli erano piuttosto bassi di statura. Parlando di giganti, a Pigafetta venne in mente Poncero, il genovese conosciuto a Siviglia. ʺ Ma che fine ha fatto lʹamico Gianbattista – chiese a Leon – è già da un pezzo che non si fa vivo.” L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ʺEʹ imbarcato sulla “Sant ʹ Jago” ‐ replicò Pancaldo – adesso lo incontreremo, perché il soggiorno rischia di essere lungo.” Ed, infatti, lo fu. Poncero riapparve da lì a pochi giorni, assieme a Martino de Judicibus ed a tanti altri italiani delle varie unità: Peranton de Aquino, Tommaso Rizo di Amalfi ed il pisano Battista Troco. LʹItalia (non ancora unita) era ben rappresentata. ʺ Non chiedetemi qual buon vento mi mena – esclamò Poncero, rivedendo i compagni di Siviglia – perché vi assicuro che non ho mai avuto tanto freddo come adesso ʺ Un vento gelido soffiava dal lʹAntartico, inesorabile come la morte. I naviganti spagnoli e portoghesi erano quelli che soffrivano di più. Lʹunico che pareva trovarsi a suo agio era un britannico, un certo William. Poveretto non avrebbe mai più rivisto la sua grande isola oltre la Manica. La micidiale attraversata del Pacifico gli sarebbe stata fatale. E non soltanto a lui! Venivano accesi enormi fuochi sulle spiagge, in prossimità delle capanne indigene. I carpentieri avevano costruito rudimentali baracche (il legname non scarseggiava) ed i marinai cercavano rifugio dal freddo, aiutando i falegnami nei lavori di costruzioni e rifugi provvisori. Vi furono anche episodi di insubordinazione, puniti con la massima severità. Pancaldo venne designato da Magellano come capo di una spedizione terrestre che avrebbe dovuto – durante la sosta in Patagonia – esplorare le terre circostanti e riferire le sue impressioni. Meglio ancora: da terraferma si poteva forse scoprire lʹagognato paso. Se la fortuna vi aiuta – disse Magellano – potreste anche scorgere le tracce di una qualche apertura, che potrebbe portarci alla scoperta del passaggio...Eʹ inutile stare tutti qui raggruppati a perdere tempo che può rivelarsi, utilissimo. Il passaggio sulla nostra rotta non cʹera. Devʹessere più a Sud. Indossate gli indumenti più caldi a disposizione e partite. Quanti uomini ti occorrono?”chiese a Pancaldo. Leon si mise a riflettere. Più che il numero gli interessava di avere con sé persone robuste e resistenti alle fatiche ed al freddo. Andiamo verso il gelo sicuramente. Così dopo aver escluso subito,mentalmente, lʹamico ma fragile intellettuale Pigafetta, puntò subito il dito su Poncero. Gianbattista rispose con un grugnito di compiacimento, commentando: “Ottima scelta!” L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Poi, fu la volta dei “maciste” della spedizione che abitualmente venivano indicati dai capitani delle caravelle come i più forti a bordo. Qualche nome: Alvaro Rodriguez, Carlos Valdés, Leopoldo Palacio, Antonio Marceneiro. Una dozzina, tra cui Martino de Judicibus, che aveva insistito per partire assieme a Pancaldo “volontario”. I “dodici apostoli” ‐ come li ribattezzò col solito sense of humour Poncero – si misero in marcia sotto lo sguardo marziale e solenne di Magellano. Cosa andiamo a cercare ?” chiese Poncero, scettico. Il passaggio ad Ovest! ”replicò de Judicibus. ʺ Eʹ unʹidea fissa!” sorrise Pancaldo. La giungla era imbiancata di neve. Pungente il gelo tormentava le ossa dei marinai‐esploratori. I pericoli incombevano da ogni parte. Imbracciando gli archibugi, il gruppo si raccomandava lʹanima immortale a tutti i Santi del Paradiso. Qui e là, facevano capolino le teste grosse e gli occhi grandi, neri e attoniti, degli indigeni “piedoni”. ʺGente pacifica, tutto sommato – disse Pancaldo – per ora almeno...” ʺ Non mi fiderei troppo!” esclamò de Judicibus. Neppure io!” gli fece eco Alvaro Rodriguez. Il cammino li portò, percorrendo sentieri naturali nella fitta ed inesplorata boscaglia, di buona lena sotto un soffice manto nevoso, più a meridione ; dopo tre giorni di marcia, con poche soste giusto per accendere un fuoco nella foresta e dormire a turno con turni di guardia, eccoli in vista del piccolo villaggio di Santa Cruz sulla rada di Bahia Grande. La Terra del Fuoco era oltre lo Stretto. Ma il gruppetto non vide lo stretto, perché Magellano aveva dato ordine che la spedizione terrestre non dovesse protrarsi per oltre una settimana. Dunque, da Santa Cruz, restava giusto il tempo per il ritorno a San Julian. Quando riferirono a Magellano lʹesito della spedizione, lʹammiraglio, apprendendo che in ogni caso gli esploratori terrestri avevano scorto da lontano ancora insenature e possibili corsi dʹacqua interni, dietro i quali poteva anche celarsi una via marittima, riprese speranza. ʺ Quando finirà questo, inverno, ‐ grido – andremo di nuovo in avanti e rotta verso Sud!” Ma tra gli equipaggi, forse per il diffondersi dello scorbuto, la tensione era L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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palpabile. Sempre più riottosi anche i capitani. ʺL ʹammutinamento – fu costretto ad ammonire Magellano – comporta la pena di morte. Voci sedizione di insubordinazione non ne tollero. Sarò inflessibile contro chiunque dovesse contravvenire ai miei ordini. Ho detto: rotta verso Sud e così sarà per volere del Re di Spagna e per volere di Dio!” AL GELO DELLA PATAGONIA Nella terra della Patagonia, in quel gelido e burrascoso inverno australe, accaddero fatti precursori di grossi colpi di scena. La disciplina troppo rigida imposta da quel tiranno dei mari che era lʹammiraglio faceva sempre più covare sentimenti di rancore nei comandanti castigliani, fieri hidalgos, suscettibili, orgogliosi e troppo abituati essi stessi a comandare e ad essere prontamente obbediti, per accettare, a loro volta, il pugno di ferro del comandante supremo.
Quale contrasto tra la vita di quegli uomini venuti dal mare con quella semplice e naturale degli indigeni così vicini alla Madre Terra. Avevano forse comportamenti più animaleschi, ma vedevano cose meravigliose, sapevano ammirare, sapevano ascoltare in silenzio la voce della natura che li ammoniva ogni giorno dei pericoli, che scandiva il trascorrere del tempo con un ritmo più lento e riflessivo. Saranno forse stati questi resoconti dei viaggi dei grandi navigatori a far parlare, i filosofi e gli umanisti rinascimentali del ʺbuon selvaggioʺ, reso malvagio dalla società civile e dal commercio degli uomini. Eʹ anche vero che, in aperta polemica coi primi , altri pensatori si chiedevano come avesse potuto una società composta da individui ʺnati buoniʺ divenire, senza interventi occulti, così “cattiva”. Ma i navigatori di Magellano non si ponevano tanti quesiti a dimostrazione del fatto che prima bisogna vivere (o meglio, sopravvivere) e poi, forse, si può anche filosofare. Persino Pigafetta era dʹaccordo su ciò. Indigeni e navigatori sʹincontravano sulle vaste spiagge, nel giorno del Signore..Sulle navi, erano già state celebrate le Messe per quelli rimasti a bordo.. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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I cappellani, con i cavalieri in alta uniforme ai lati, con le bandiere di Castiglia ed i simboli della Croce e della Redenzione celebravano – ovviamente in latino – la Santa Messa e battezzavano i figli della collettività indigena. Vi era un commercio abbastanza fiorente, a credere alla parola di Pigafetta. “Per un amo da pescare o un coltello, i nativi davano cinque galline; per un pettine, un uno specchio o un paio di forbici tanto di quel pesce da sfamare almeno dieci bocche.” Episodi anche non privi di caratteristiche buffe come quando un frate, impartendo lʹeucarestia ad un gigantesco indio, con lʹausilio di un interprete gli disse la formula di rito porgendogli lʹostia consacrata:”Ricevi il corpo di Cristo”. La risposta del gigante, impiumato a festa, venne riferita, tra lʹilarità generale, dallo stesso sacerdote agli altri preti. Narrata da laici – soprattutto a quei tempi, la storiella sarebbe apparsa pericolosamente blasfema – ma a narrarla fu lʹofficiante e suscitò il riso dei suoi confratelli. “Dunque, gli offro lʹostia col corpo di Cristo. Sapete cosa mi risponde?” ??? “Non è possibile!” “E perché mai, figliolo ?” gli chiedo, sorpreso. “Perché me lo sono già mangiato domenica scorsa!” Antonio Pigafetta, poteva dar libero sfogo alla sua passione matematico‐astronomica, scrutando il cielo stellato. Affacciato alle balaustre della nave segnava le posizioni dei nuovi astri. “Sempre a scrutare il cielo, eh criado? Lo apostrofò una notte Magellano. “Mi chiedevo ‐ribatté il vicentino, pensieroso – se siano più numerosi i granelli di sabbia sulle spiagge dei nostri mari oppure i corpi celesti...” “Così ad occhio e croce, i granelli di sabbia – sogghignò il portoghese– ma con lʹUniverso, come con le mappe non si può mai sapere!” Nubi bianche che parevano gesso disegnavano,allʹalba, arabeschi sulla lavagna blu del cielo. Il rumore della risacca, banchi di pesci argentei, conchiglie multicolori di ogni forma e dimensione, sciami di volatili. Il panorama era selvaggio e lungo la costa ‐malgrado il gelo – lʹosservatore L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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poteva davvero scorgere la fine del mondo. Fu la fine, invece, per quei rivoltosi che avevano deciso di non riconoscere più lʹautorità di Ferdinando Magellano. Pancaldo, nella sua prigionia, ci pensava spesso. Era davvero stato crudele lʹAmmiraglio, con quei capitani spagnoli. In fondo, non si era trattato di un vero e proprio ammutinamento, di una sanguinosa rivolta. Più che altro un gesto formale di insubordinazione, ma anche perché Magellano aveva razionato gli scarsi viveri in modo insopportabile. Eppoi, una qualche investitura i rivoltosi lʹavevano in quanto Carlo V aveva nominato Juan de Cartagena, Luis de Mendoza e Antonio de Coca “ispettori” della flotta: veedor, tesoriere e contabile. Insomma, questi capitani spagnoli si attendevano una qualche considerazione. Magellano, infatti, li aveva invitati a bordo della Trinidad. Juan de Cartagena, che aveva accettato lʹinvito, era stato sbrigativamente arrestato e messo ai ferri. Gli altri così si erano allarmati. Poi un bel mattino, anzi un bruttissimo mattino, avevano deciso il colpo di mano. Ma con molte esitazioni. Cʹera scappato un morto nel tafferuglio che ne era seguito, uno dei piloti fedeli allʹammiraglio. Questʹultimo non si era perso dʹanimo. Aveva valutato i pro ed i contro. Sapeva che sulle caravelle in ribellione, cʹerano hidalgos molto indecisi. Ne ebbe la conferma da una missiva che diceva tutto e niente. I rivoltosi asserivano soltanto di voler essere messi al corrente dei piani di navigazione. In anticipo e non a cose fatte. Dove stavano andando ? Perché non decideva, lʹammiraglio, una buona volta di tornare indietro e farla finita con quella lenta agonia. Perché questo ormai era divenuta la sua spedizione verso lʹignoto. Usavano toni di deferenza, ancora e malgrado tutto, i tentennanti ribelli. Fu questa la carta che Magellano decise di giocare repentinamente e con inaspettata fermezza. Un suo colpo di mano a sorpresa contro le caravelle ribelli . Puntava tutto sulle immancabili esitazioni di quelli a bordo, incapaci di imporsi veramente ai rispettivi equipaggi. Il fattore sorpresa era dalla sua parte e la mossa micidiale venne sferrata allʹalba del giorno successivo a quello della rivolta . Luis de Mendoza era rimasto sulla sua nave. Magellano riuscì a farlo eliminare in un baleno inviandogli un sicario che altri non era che Gomez de Espinosa, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ricevuto a bordo senza sospetti. Poi venne ucciso de Cartagena; gli equipaggi si schierarono immediatamente dalla parte del vincitore: ancora una volta lui, Magellano. Non vi fu scampo neppure per gli altri. Muore con la sentenza di decapitazione e successivo squartamento Gaspar de Quesada, abbandonato dai marinai che in un primo tempo lʹavevano sostenuto. Insomma, sentenze di morte per i capitani spagnoli. Il vero capo dei contestatori, chiamiamoli così, il nobile hidalgo Juan de Cartagena viene abbandonato a morte sicura, assieme ad un prete accusato di aver preso parte alla presunta ribellione, con pochi viveri. In quella terra desolata, senza speranze di essere soccorso. Pancaldo avrà per parecchio tempo negli occhi e nella mente, lʹimmagine disperata di quei due disgraziati abbandonati così dallʹimplacabile Magellano. Juan de Cartagena , consapevole del fatto che essere abbandonato in quelle terre equivaleva ad una sentenza a morte, o anche peggio, aveva urlato allʹindirizzo di suo giustiziere: ʺLa Spagna, scellerato, non ti perdonerà mai questo misfatto.ʺ La sua voce roca era risuonata come una maledizione. Dietro un volto rimasto volutamente impassibile, lʹammiraglio doveva pur essere rimasto impressionato da quellʹanatema ed avrà riflettuto, nel suo intimo, sul reale significato di quel ʺLa Spagna non ti perdonerà mai!ʺ Eʹ vero ‐ deve aver pensato ‐ queste sentenze non potranno essermi perdonate alla corte di Carlo V, ammenoché io non prosegua ad ogni costo, ad oltranza; se lʹimpresa verrà compiuta, fino in fondo e costi quel che costi avrò , forse una via di salvezza. Altrimenti... Stenterà, Pancaldo, a trovargli una qualche giustificazione, se non la terribile legge del mare che punisce con la sentenza di morte i tentativi di rivolta, gli ammutinamenti. Si erano così allontanati da quella costa sempre alla ricerca del paso. Ma con la morte nel cuore. Il fido nocchiero si era chiesto come avrebbero preso alla corte di Madrid simili avvenimenti. Poteva un sovrano come Carlo V chiudere un occhio sul fatto che un ammiraglio portoghese aveva fatto giustiziare degli hidalgos spagnoli ? E per giunta una ʺconjuncta personaʺ, quale era Juan de Cartagena, cioé in fondo, un pari grado del comandante, proprio perché discendente di una nobile casata L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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spagnola ? Leon aveva avuto dei dubbi ed, in fondo, molti marinai questi dubbi li avevano conservati per tutta lʹavventura. Quei cambiamenti al vertice della spedizione non lasciavano presagire nulla di buono per il futuro. Soprattutto per colui che continuava a guidarli in una impresa che assumeva ogni giorno di più i contorni di una vera e propria ardimentosa scommessa con la sorte, al limite della follia. IL RICORDO DELLA SCOPERTA DELLO STRETTO Dopo una settimana di navigazione, con una rotta verso Sud, ecco apparire, in unʹalba livida e glaciale, in un mare tempestoso e ruggente, lo Stretto. Sembrava la foce di un grande fiume. Ma allʹocchio dʹaquila di Ferdinando Magellano si rivelò subito per quello che in realtà era: la via tra due Oceani. Vi erano coste che cadevano a picco sul mare ribollente da entrambi i lati. Le onde, altissime, avevano colori violacei e soltanto la risacca contro le scogliere interrompeva quel silenzio di morte, scandito solo in modo repentino dallo stridere lamentoso dei cormorani che volavano quasi a fior dʹacqua per ghermire al volo pesci che la tempesta catapultava in alto a fior delle onde gigantesche.
La “Trinidad” fu la prima a correre in avanti, a vele spiegate, mentre la tormenta non dava tregua. Dalla “SantʹAntonio”, lʹequipaggio tutto urlava: “Es loco! Es loco!” ... Magellano era pazzo ? In ogni caso, esaltato,figura immobile sul castello di poppa dirigeva,urlando; ai suoi uomini doveva apparire come una sorta di Giove tonante. Rischiava di ripetersi quel che era già avvenuto, alcuni mesi prima con la ʺSantiagoʺ. La “Santiago” mandata da Magellano da San Julian in avanscoperta, alla ricerca dellʹipotetico passaggio, era finita in una sorta di mulinello. Era un gorgo L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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tremendo che la faceva roteare come un fuscello. Grida disperate di aiuto, lo sguardo vitreo degli uomini a bordo, le gole spalancate nelle urla atroci di chi sente vicino alla fine. Il gorgo parve risputare letteralmente la caravella che balzò in avanti, proiettata da unʹimmensa ondata che pareva un monte. Poi la discesa paurosa verso la scogliera. Lʹurto tremendo, tutto un gemito,come se lʹimbarcazione fosse una creatura vivente che esalava lʹultimo respiro. Le vele strappate dal vento, gli alberi spezzati ed il ponte devastato dalla collisione fatale. Rotolavano qui e là i barili contenenti i rifornimenti in acqua dolce ed alimentari. Gli uomini erano rotolati nelle acque come dei birilli colpiti da una gigantesca palla. Alcuni si erano fracassate le ossa contro le rocce acuminate di quel passaggio maledetto, tanto cercato e trovato nel bel mezzo di una formidabile burrasca che qualsiasi ammiraglio prudente avrebbe evitato come la peste. Qualsiasi marinaio si sarebbe detto: “Meglio girare al largo, trovare unʹinsenatura, un riparo qualsiasi. Non gettiamoci in bocca alla bufera. Tanto ormai lo Stretto agognato è davanti ai nostri occhi. Perché rischiare. Tutti, ma non lʹorgoglio personificato. Tutti, ma non Magellano! Comʹera andata a finire con la “Santiago ” . Alcuni uomini erano scomparsi tra i flutti, tra di essi il savonese Matteo Gentil Ricci. Gli altri erano riusciti a salvarsi ed erano tornati a San Julian per via terrestre. Magellano li aveva visti spuntare fuori dalla boscaglia, con la triste notizia che alcuni di loro non sarebbero più tornati e che la loro caravella era perduta. Da qui, la necessità anche di razionare drasticamente i viveri (le scorte si esaurivano rapidamente) e lʹaccresciuto malcontento che determinò la ribellione degli alti ufficiali spagnoli. Ciò era avvenuto nel maggio dellʹanno del Signore 1520. Rammentava benissimo quella data. Lʹordine secco dellʹammiraglio: “Si prosegue!” Ecco unʹinsenatura dalle acque cupe. Eʹ il giorno delle Sante Vergini: si ribattezza il passaggio Capo delle Vergini! L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Magellano prega. I suoi uomini disperano. Vanno in avanscoperta la SantʹAntonio e la Concepciòn. Annunciano che, effettivamente, il passaggio esiste. Eʹ trovato. Festose salve di cannone. Magellano, più che altro per la forma, chiede agli ufficiali se vogliono proseguire oppure tornare. Figuriamoci. Lui non poteva tornare di certo. Non subito. Avrebbe dovuto annunciare a corte, oltre alla scoperta dello Stretto, il fatto che i capitani spagnoli erano stati giustiziati. Sapeva che a suo carico sarebbe stato istituito un processo dalle conseguenze più che incerte. Perché ‐ avrebbero chiesto i suoi accusatori ‐ anziché imprigionare i capitani ribelli, li aveva fatti giustiziare in modo sommario ? Eppoi, dove erano le prove della rivolta. In realtà, quei comandanti destituiti chiedevano solo di essere fatti partecipi dei suoi piani,di conoscere le sue intenzioni, insomma, di non essere messi da parte ad ubbidire ciecamente ai suoi ordini. Questa era la causa del disordine scoppiato in quella terra di Patagonia. Adesso, quale spiegazione fornire ad un re ? E per giunta a metà dellʹimpresa non terminata ? Sì, aveva deciso in cuor suo: vado avanti. Però fa il bel gesto di consultare gli uomini: si prosegue o si torna ? Visto come erano periti i rivoltosi di S.Julian, per il fatto che gli si erano opposti, nessuno osò dire la sua liberamente. Così avanti, sempre avanti. Ancora in navigazione in quello Stretto pauroso e spazzato dalle tempeste. Il pilota della SantʹAntonio, Estevao Gomes, però ne aveva avuto abbastanza. La caravella vira di bordo. Con un bel carico di provviste, tutti dʹaccordo a bordo: si torna indietro. Rotta a Nord‐Est, direzione la Spagna. Estevao Gomes denuncerà ad un tribunale (in assenza di Magellano) quanto era accaduto ai nobili hidalgos della spedizione. Ammutinamento, il suo, dalle conseguenze gravissime per gli equipaggi delle altre caravelle. Magellano però non poteva più tornare indietro. Con le tre imbarcazioni rimaste andò avanti, verso lʹOceano immenso, verso lʹignoto. Il Pacifico era molto più esteso di come se lʹera immaginato. La navigazione sarà penosa, crudele, moriranno in tanti, di scorbuto e di stenti. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Fino a quando lui incontrerà il suo destino Un destino inaspettato, crudele, ingiusto. Ma forse ineluttabile perché, condannando i rivoltosi, Magellano aveva già condannato sé stesso. Pancaldo si chiedeva spesso cosa avrebbe fatto al posto dellʹammiraglio. E la risposta era sempre la stessa. Lui non avrebbe fatto uccidere i capitani spagnoli a San Julian. Per nessuna ragione al mondo. Non avrebbe commesso lʹerrore fatale di Magellano. Sapeva , per averlo visto con i suoi occhi, durante la lunga traversata del Pacifico, che lʹammiraglio portoghese aveva avuto modo di pentirsene. Appariva muto e taciturno, quasi presago del fatto che ormai doveva scegliere: una morte eroica oppure un insicuro processo di fronte ad una corte spagnola, con una sentenza probabile di condanna che gli avrebbe strappato lʹonore. E forse la vita. Sì, Pancaldo era consapevole del pentimento tardivo di Magellano. Irreparabile e fatale. Per lui come per i duecento marinai che moriranno di stenti nel Pacifico. Adesso, intanto lui era lì in quella cella angusta. Senza prospettive di liberazione. Un marinaio passato dalle immense liquidi distese ad una angusta prigione. Un gabbiano in trappola. PRIGIONIERI NELLA FORTEZZA DI TERNATE Prigioniero dei portoghesi, stava riflettendo sul come uscire da quellʹincredibile situazione che lo aveva reso forzatamente sedentario ed inattivo; proprio lui abituato, invece, alle avventure straordinarie ed ad una vita allʹinsegna del rischio; gli mancava il mare divenuto, con gli anni, il suo elemento naturale. Lo scorgeva, immensa distesa azzurra,increspata dal susseguirsi delle linee bianche delle onde, dalle inferriate della galera. Era un carcere, certo, ma nelle isole della Sonda: Ternate, Tidore, Amboina e Banda. Lʹestremo oriente del mondo, quelle favolose isole delle spezie che, con Malacca, rappresenteranno la sua prigione; inferno racchiuso – per suprema ironia della sorte – in un Eden terrestre.
Un repentino pensiero si affacci ò una sera, mentre il sole calava dietro le colline costellate di palmizi, che quelle isole, confine estremo della sua libertà, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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avevano rappresentato la fuga e la redenzione dal mondo civilizzato di un altro personaggio, molto vicino a colui che non cʹera più. E che quelle isole aveva cercato come in un sogno, meta proibita raggiungibile solo con un prodigioso sforzo dʹimmaginazione , con la traduzione di missive in immagini reali destinate per lui a rimanere sogno. Magellano era morto senza poter vedere quel paradiso terrestre. Leon, essendo stato un intimo amico del grande ammiraglio, aveva raccolto le sue confidenze. Magellano gli aveva parlato di un marinaio , un portoghese come lui, Francisco Serrao , che, scegliendo di vivere per sempre nelle isole delle spezie si era accasato e gli inviava, quando poteva, resoconti in missive vergate con una calligrafia minuta, sobria, ma eloquente quanto ai tesori naturali e, forse anche spirituali, di cui poteva avvantaggiarsi e beneficiare colui che aveva voltato le spalle alla cosiddetta civiltà . Strano personaggio, questo Serrao; si trovava in Oriente e ne aveva avuto abbastanza delle ingiunzioni e degli ordini dei capitani portoghesi, i quali – a nome di Manuel – spadroneggiavano ovunque, a Goa come a Calcutta. Isolato nella sua cella, quella notte senza luna, Leon rifletteva e cercava di ricordare le parole esatte dellʹammiraglio riguardanti lʹoscuro fuggiasco, che , abbandonando, a missione compiuta, la marina da guerra portoghese, cioé la caracca sulla quale era imbarcato, in realt à, non aveva disertato nel vero senso della parola. Si era semplicemente ritirato. Non aveva pi ù reclamato la sua paga agli emissari di Manuel. Non era più da considerarsi sobresaliente con un misero stipendio di novecento reis mensili oppure mozo fidalgo con cento reis in più. Figuriamoci! Non sarebbe mai più tornato a Lisbona, ecco tutto. LʹAlfanda , la dogana, portoghese avrebbe incassato abbastanza dazi anche senza di lui. In più, in quelle isole, aveva trovato una moglie indigena le cui attrattive lo avevano dapprima sedotto; col tempo, lʹattrazione spontanea si era tramutata per entrambi in un affettuoso sodalizio tra due persone ormai mature. Una rara monogamia in un universo pagano, in cui la poligamia era se non la regola generale perlomeno un fatto abbastanza usuale. S ì, Leon ricordava le narrazioni di Magellano al riguardo. ʺCerte volte ‐ aveva detto, confidandosi in modo insolito per il suo temperamento glaciale – invidio Francisco Serrao, lontano dal mondo sulle sue isole. Assieme alla sposa indigena; o alle spose, vai a sapere...” L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Ora, anche lui era in quelle isole. Ma prigioniero. Doveva fare in modo di contattare Serrao, ammesso che egli fosse ancora vivo. Francisco Serrao, il grande amico e confidente di Magellano, prima di Ruy Faleiro, era ancora vivo.
Viveva non pi ù a Ternate, dove i portoghesi avevano costruito lʹimmensa fortezza (troppo vistosa ed ingombrante per i suoi gusti di uomo vicino alla natura) bensì proprio a Banda, dove Leon era stato rinchiuso, attorniato da quel paradiso tropicale. Forse per una strana telepatia, non rara tra la gente di mare (come se le immense distese oceaniche fungessero da trasmettitore di onde cerebrali) anche Serrao, nella sua isola ‐ avendo saputo che erano stati catturati dai suoi connazionali marinai al servizio della corona spagnola ‐ si chiedeva chi mai fossero quegli uomini e da dove fossero giunti in quei luoghi ameni ma ai confini del mondo. Lui aveva scelto la libert à ed era vissuto felice nelle sue isole in mezzo a nativi ospitali. La sposa indigena gli aveva dato quattro figlie e tre figli meticci. Una grande famiglia sotto il sole dei tropici che non faceva rimpiangere a Serrao la corte di Lisbona e gli intrighi attorno a re Manuel. Ma quei prigionieri lo incuriosivano, perch é gli ricordavano lʹamico Magellano. Nel suo esilio volontario, egli non aveva saputo nulla della spedizione dellʹ ammiraglio il suo connazionale passato al servizio di Carlo V. Le autorità portoghesi di Malacca non ne parlavano e, ammesso e non concesso che ne fossero al corrente, non ne avrebbero certo parlato con lui. Ottenne per ò di conoscere i loro nomi. E dal confessore del carcere, il permesso di fare una visita a quei marinai. Fu cos ì che Serrao si trovò di fronte il genovese Giambattista Poncero, e il savonese Leon Pancaldo, gli unici sopravvissuti rimasti in prigione. Altri tre, tra i quali Rodriguez ʺEl Sordoʺ, erano stati presi a bordo di una nave diretta a Lisbona e di loro non si seppe più nulla. Quando Leon si trovò dinnanzi Serrao e ne apprese il nome non poté trattenere un gesto di enorme sorpresa ed una esclamazione:ʺTu sei Francisco Serrao, colui che conobbe e fu compagno di armi ed amico di Magellano!ʺ Vi era incredulità nella sua voce e Poncero notò che lʹinterpellato era rimasto allibito quanto il suo interlocutore. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ʺTu come fai a saperlo ?ʺ aveva chiesto il portoghese. ʺNoi siamo quel che resta dellʹequipaggio dellʹammiraglio che fu tuo amico...ʺ ʺFu ?ʺ chiese Serrao con una smorfia di dolore sul volto. ʺSì. Magellano non è più. Morì per mano dei selvaggi a Mactan.ʺ ʺGiunse, dunque , in quelle isole. Ma navigando da... No, non è possibile!ʺ ʺSì navigando da Est ad Ovest. Scoprì il paso, navigò nel nuovo mare del Sud e poi venne ucciso. Noi siamo membri dellʹequipaggio imprigionati come vedi dai tuoi connazionali.ʺ ʺNon navigava per Manuel ?ʺ ʺNo. Per Carlo!ʺ ʺAdesso, tutto è chiaro. Ma voi non avete commesso nulla di male. Ferdinando neppure, se è per questo. Inseguiva un sogno e lo ha realizzato anche se ciò gli è costata la vita.ʺ ʺNoi siamo solo marinai ‐ disse Poncero ‐ abbiamo partecipato ad una spedizione che verrà ricordata per sempre. Potevamo aspettarci, quando partimmo, che saremmo finiti, al peggio, nella pancia dei pesci. Ma mai e poi mai avremmo creduto di doverci risvegliare ad ogni alba in prigione.ʺ ʺFarò del mio meglio ‐ assicurò Serrao ‐ per farvi uscire da questa prigione. Parlerò di persona con il governatore. Non che la mia parola conti molto da quando mi sono ritirato nel mio eremo in mezzo allʹOceano, ma col passare del tempo, i miei connazionali, ormai padroni di queste isole, hanno dato un colpo di spugna al passato ed in me vedono soltanto un eccentrico che ha abbandonato il mondo civile per vivere in mezzo agli indigeni. Sono stato persino utile come interprete, avendo appreso diversi dialetti locali.ʺ In virtù dellʹintervento di Serrao e del buon francescano portoghese, un miglioramento si verificò nelle condizioni di prigionia. Ma non era ancora la libertà. Il destino poi pareva accanirsi contro i due reclusi. Improvvisamente, Serrao morì e quello che poteva essere un intervento provvidenziale sʹinterruppe, in modo brusco. Ma, quel che è peggio, cominciarono a circolare strane voci circa il destino del Serrao, il grande amico di Magellano con il quale aveva intrattenuto per anni una corrispondenza, magnificando le isole in cui aveva trovato rifugio: las Islas de Especerias. Lʹisole delle spezie. Si disse in giro, voci forse fondate, che Serrao fosse stato inaspettatamente L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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avvelenato. Per mano di chi ? Certo non degli indigeni che lo avevano accolto in quel paradiso tropicale, dandogli una delle loro donne in moglie, certo non dalla prole. Una mano di un sicario portoghese aveva versato il veleno in una coppa di vino servita allʹamico fraterno dellʹammiraglio ? Verosimile. Anzi, addirittura probabile. Ma chi aveva dato lʹordine ? E, soprattutto, chi aveva la facoltà di dare un simile ordine. Un ordine, come dire, sovrano. E, quindi, legalmente attuabile e, soprattutto, indiscutibile. Legale ma non legittimo lʹavvelenamento di Francisco Serrao. Perché certi delitti è, forse, più facile ai potenti commetterli che non ai giureconsulti giustificarli. PARTE SECONDA Il diario segreto di Leon Pancaldo Uno storico argentino, di origine italiana, ha ritrovato, nellʹOttocento, il giornale di bordo di Leon Pancaldo nella città di Buenos Aires. Accanto al giornale di bordo della spedizione di Magellano, vi era anche un diario segreto, che ci consente di concludere con le parole stesse scritte dal navigatore savonese questa veridica storia, che rappresenta la sua tremenda odissea. Ecco, dunque, a completamento della vicenda il Diario segreto di Leon Pancaldo, cioé a dire le sue Memorie. IL RITORNO A SAVONA “ Avevo compreso benissimo che se volevo tornarmene nella mia Savona, ritrovare il focolare e la moglie Teresa, la mia ʺSelvaggiaʺ come lʹavevano ribattezzata i suoi genitori per quel carattere poco arrendevole che aveva manifestato sin da bambina, non mi rimaneva che una via: quella di tentare la fuga. Progetto non solo temerario, ma apparentemente inattuabile. Non era però L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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da me rinunciare a tentare lʹimpossibile. Lʹavevo dimostrato in decine di occasioni. Questa consapevolezza di essere dotato di un coraggio e di unʹaudacia non comuni mi riconfortò. Ritrovai speranza e alla prima occasione ‐ mi dissi ‐ avrei posto in atto un piano ancora nebuloso, ma che cominciava a prendere forma. Alla prima occasione ci provai. Vi era una nave portoghese che lasciava le Molucche alla volta di Lisbona. Potevo vederla benissimo dalla finestrella della cella in cui ero recluso. Non avevo pensato a nulla di davvero rocambolesco, perché col passare del tempo si era affievolita la sorveglianza dei miei guardiani. Venivo portato fuori regolarmente a lavorare e, pertanto, se fosse riuscito anche per breve tempo ad eludere la sorveglianza, neppure tanto stretta, del mio unico guardiano – per giunta un indigeno, che mi era parso mi si era in qualche modo affezionato, perché i portoghesi non trattavano troppo bene né me , né lui – avrei potuto evadere ed imbarcarmi alla volta dellʹEuropa. Insomma, per farla breve, riuscii a salire su quella nave come clandestino, eludendo la sorveglianza. Era una nave commerciale, di cui non ricordo neppure il nome. Quel che ricordo, però, è che nelle stive vidi avanzare come uno spettro un omaccione. Era Poncero! Anche lui aveva deciso di tentare la fuga. Non ci eravamo consultati, ma ormai eravamo nuovamente sulla stessa barca, come sulla nostra vecchia Trinidad. Soltanto che non eravamo imbarcati regolarmente. Eravamo clandestini. Né più, né meno. E per giunta come dei galeotti evasi. Fummo scoperti, quando la nave attraccò in Mozambico. Venimmo rispediti in India, Poncero ed io. Ma nel viaggio di ritorno lʹamico genovese, ridotto ormai in condizioni spaventose, morì. Tornai solo , stavolta confinato per cinque mesi a Malacca. Ormai odiavo quel posto che era definito strategico, in fondo alla penisola siamese su quello stretto importante . Quasi quanto importanti per i portoghesi e gli spagnoli erano le Isole delle Spezie così contese, così apprezzate in Europa. Assieme a tutto il resto,beninteso: i profumi dʹArabia, lʹambra, il muschio, le essenze di rosa, i diamanti di Narsingar, le perle di Ceylon. Eppoi, le droghe, lʹoppio, la canfora: esotici anche nel prezzo. E noi prigionieri dopo tante traversie, per il solo fatto che i trafficanti potessero veder aumentare il loro giro dʹaffari. Sempre e L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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comunque. I palazzi veneziani erano stati costruiti con i ducati delle spezie. Quelli di Lisbona, altrettanto. La chiesetta di Belem era diventata una cattedrale. Coi benefici degli scambi con lʹOriente e i naviganti, reduci dimenticati, a mendicare un pezzo di pane agli angoli delle strade, oppure a non chiedere più nulla nelle loro bare di acqua salata; oppure costretti fino allʹultimo a sollecitare il favore, quasi la grazia, di un nuovo imbarco. Lʹofferta superava la domanda. Ne avevo abbastanza della gattabuia, ma non ero neppure così ansioso di rivedere gli armatori. Un misto di sentimenti: piantare tutto in asso, rifacendomi una vita in mezzo agli indigeni ed alle indigene delle Molucche, tutto sommato ospitali. Come aveva fatto Francisco Serrao, lʹamico del povero Magellano. Oppure, tornare. Solo il pensiero di Teresa mi indusse a fare di tutto per affrettare questo ritorno. Devo chiudere qui il racconto di quella prigionia , perché troppi ricordi dolorosi deprimono lo spirito e gettano lʹanimo nella disperazione. Così, chiudo la narrazione della lunga odissea da carcerato, per conservare la fede in Dio che non mi è mai venuta meno. Eppoi, seppi che furono proprio gli uomini di Chiesa ad intercedere presso re Manuel del Portogallo. Devo, quindi, agli ecclesiastici il gesto di clemenza che alla fine mi venne dimostrato. Il frate di Coimbra , quel Jacinto Munez, che Dio lo benedica, non si era dato per vinto. Lʹingiustizia nei confronti dei marinai , circumnavigatori del globo, lo faceva stare male. Quasi quanto noi. Aveva scritto a confratelli spagnoli ed, alla fine, anche per le testimonianze di quelli della Trinidad che erano stati rispediti in Spagna dai portoghesi, nellʹanno di grazia 1525 ( tra essi Juan Rodriguez il Sordo ) anche la corte di Carlo V decise di muoversi e di sollecitare la restituzione degli ultimi catturati della flotta di Magellano. Cʹero rimasto soltanto io. Ebbi il triste e malinconico privilegio di essere lʹultimo uomo di Magellano a tornare a casa. Correva ormai lʹanno di grazia 1527. Una caracca portoghese mi aveva sbarcato, finalmente libero, a Lisbona. I procuratori del re mi avevano fatto firmare delle carte. Con unʹaria di mistero che li rendeva ridicoli, perché ormai il mondo era a conoscenza della nostra avventura. Chiesi di cosa si trattasse. Mi risposero con aria minacciosa, affinché le firmassi, quelle scartoffie, senza fare tante domande inopportune, data la mia situazione di carcerato appena tirato fuori dai ceppi. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Erano impegni solenni a non tracciare mappe, carte, a non scrivere diari sullʹimpresa. A non fare parola con nessuno delle conoscenze avute a Ternate, di non accennare minimamente alla nuova fortezza, in costruzione a presidio dei depositi commerciali delle isole della Sonda. Di non rivelare, insomma, al mondo ciò che io avevo saputo per avervi soggiornato così a lungo delle Islas de las Especerias. I portoghesi ci tenevano davvero tanto alle Molucche ed alle Filippine. Tanto è vero che successivamente le riacquistarono da Carlo V, ponendo fine ad ogni vertenza. Tanti sacrifici, tante vite umane perdute e poi due re – trascurando tutti gli assi della navigazione, per così dire, che si erano sacrificati per loro, si erano inviati messaggeri e diplomatici, consiglieri e cortigiani e, via, tutto era stato risolto nel migliore dei modi. Col pagamento di corone e maravedis. Proprio vero pecunia non olet e, come mi diceva sempre mio nonno, tra pescicani e barracuda, credimi ragazzo, non si sbranano. Tornai, dunque, in Europa. Prima, in Portogallo e poi, ottenuti i lasciapassare reali andai a Madrid e quindi a Valladolid. Lʹaccoglienza dei funzionari della Casa de contrataciòn fu un misto di incredulità e stupore. Accoglienza fredda, trattandosi di un marinaio ligure non benedetto dalla sorte di essere nato nel più grande impero esistente, quello dove non tramontava mai il sole, lʹimpero della Spagna. Carlo V era in viaggio e poi non sarei mai stato ammesso a corte, alla sua presenza. Devo dire che non ci tenevo in modo particolare. Mi fu detto che diciotto superstiti della Victoria erano rientrati in patria. Solo diciotto. Venni pagato per quel viaggio che avevo compiuto per la corona di Spagna e mi venne offerta accoglienza su una nave diretta al porto di Genova. Quando giunsi nella città ligure era il maggio dellʹanno di grazia 1527. Venni accolto onorevolmente dalle autorità cittadine. La massima autorità della Repubblica di Genova, lʹammiraglio Andrea Doria, era assente dalla città della Lanterna. Mi venne detto da alti funzionari che il Doria si trovava nel porto di Civitavecchia. Seppi poi in quali circostanze e perché. Lʹesercito imperiale aveva cinto dʹassedio la città eterna. Nel porto di Civitavecchia erano ormeggiate le navi di Andrea Doria, il quale aveva offerto il suo soccorso al pontefice, per garantirgli una fuga da una situazione pericolosa. Giulio De Medici, divenuto papa col nome di Clemente VII , aveva ritenuto più sicuro rimanere entro le mura leonine e si era barricato a Castel SantʹAngelo. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Fu il sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi. Il papa si salvò per miracolo. Appresi ciò che era accaduto , dai racconti che ebbi modo di ascoltare. Il sacco di Roma, un avvenimento tristissimo e sciagurato per tutta la Cristianità. Una strage, con violenze di ogni genere, stupri, saccheggi, atrocità. Temetti che le truppe imperiali potessero scagliarsi anche contro la mia città, Savona alleata dei francesi. O perlomeno, sottomessa al loro protettorato. Ma la figura che più interessava direttamente la mia città era Andrea Doria. Fu lui il personaggio determinante per la svolta ‐ negativa ‐ impressa ai commerci marittimi savonesi. Lui e Sinibaldo Fieschi. Spiegherò, in seguito, in quali circostanze conobbi Andrea Doria di persona; gli parlai, infatti. Dirò cosa lui mi disse e cosa gli risposi. Quel che mi premeva, comunque, era di tornare a casa. Semplice: da Genova a Savona. Il doge genovese vi acconsentì di buona grazia. Potei rivedere in quel fine di maggio 1527 la mia città. Sbarcai e baciai la terra. Vidi la torretta del Quarda e le torri che svettavano al di là della cinta muraria. Corsi nella casa in riva al torrente Letimbro e lì mi venne incontro una donna minuta, come me invecchiata, dai capelli incanutiti, ma che riconobbi allʹistante: Teresa, la ʺSelvaggiaʺ come la chiamava suo padre Antonio e come, adesso, la chiamano familiarmente tutti i vicini. Sì, la Selvaggia, anche perché aveva dovuto respingere, animosamente, come lei stessa in seguito mi rivelò, non pochi pretendenti. ʺTuo marito è lontano, sicuramente morto, è in fondo al mare, ormai. Accetta di risposarti, accetta un nuovo compagno...ʺ Questo il ritornello che Teresa la Selvaggia respingeva di frequente. Mi fu sempre fedele. Nessuna malalingua poté attestare il contrario e nessuno, infatti, lo fece, Anzi, gli elogi della fedeltà della mia sposa riecheggiano ancora nelle mie orecchie, mentre scrivo questo diario segreto per narrare come si concluse la mia lunga, interminabile avventura. Ma quel giorno del ritorno a casa fu davvero memorabile. Ci abbracciamo piangendo a calde lacrime, io e la mia sposa, promettemmo di non separarci mai più. Ah, se il destino mi avesse consentito di mantenere la promessa e di concludere con una vecchiaia serena, nella mia casa rimessa a nuovo, la mia vita. Forse, fui vittima del mito che avevo creato e della necessità di difendere un L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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prestigio indiscusso. Anchʹio, ultimo tra tutti gli uomini di Magellano, avevo circumnavigato il globo. Ma, adesso, quel che mi premeva sapere era che fine avevano fatto realmente i miei compagni, quelli salpati in quel giorno segnato dal destino sulla ʺVictoriaʺ. Accenni ne erano stati fatti a Madrid, ma con molta reticenza. Mi avevano detto: diciotto si sono salvati. Ma i loro nomi ? Un libro quasi introvabile ma che seppi procurarmi non senza qualche fatica (ma alla fine un libraio veneto non poté negarlo ad uno dei protagonisti dellʹimpresa) mi rivelò per filo e per segno quel che non sapevo. Era stato redatto, il libro, dallʹamico Pigafetta, tornato nella sua Vicenza. Lo sfogliai con curiosità febbrile. Lo lessi e lo rilessi, incredulo, sorpreso, quasi amareggiato. Non si faceva menzione di alcunché di davvero rilevante. Vi erano omissioni non di poco conto. Citava qui e là qualcuno, ma non mi nominava mai, cosa singolare essendo il migliore e più stretto amico che avevo avuto sulla Trinidad assieme a Magellano. Ero il primo pilota, il nostromo per così dire, della caravella ammiraglia. Tacere su di me era già di per sé una singolarità dellʹamico Pigafetta che elencava i diciotto superstiti (unici italiani oltre a lui, Martino de Judicibus e Nicola detto il Greco da Napoli ) tutti gli altri, evidentemente morti. Ma non faceva menzione della rivolta di San Julian. Per lui, le esecuzioni dei capitani spagnoli non erano mai avvenute. Le aveva lasciate nel calamaio. Vi era la descrizione dettagliata della tragica fine del nostro grande Ferdinando, lʹangosciosa narrazione della nostra traversata del Mar del Sur, ribattezzato Pacifico, anche troppo, da Magellano, la fame e la sete durante le interminabili bonacce, eppoi ‐ dopo lʹirreparabile avvenuto a Mactan ed a Cebu ‐ il viaggio della ʺVictoriaʺ , braccata dalle navi di Manuel del Portogallo, lʹarrivo fortunoso dei superstiti a San Lucar de Barrameda e, quindi, a Siviglia. Benedissi la sorte che aveva risparmiato Martino ed Antonio e quelli che almeno si erano salvati. Mi ripromisi di incontrarli quando si fosse presentata lʹoccasione. Da Teresa seppi che, sì, il buon Martino de Judicibus era riapparso a Savona, anchʹegli con unʹaureola di gloria, ma forse perché quellʹaureola di prode marinaio non si tramutasse nellʹaureola di un asceta di Santa Romana Chiesa (come, a quanto pare, insistevano i suoi) , insomma, per non finire in un convento di domenicani o di francescani , per evitare semplicemente di farsi L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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prete, Martino se nʹera ripartito per la Spagna. Ma poi lo ritrovai a Savona nelle circostanze incredibili che narrerò. Alla fine, basti sapere questo per ora, la fede aveva trionfato. Pigafetta, invece, appresi, viveva in seno alla sua famiglia vicentina, lì aveva una casa nobiliare e si godeva la gloria derivatagli dal suo racconto del viaggio attorno al mondo sulle navi di Magellano. Dovetti anche adempiere ad un ben triste compito. Quello di recarmi personalmente nella dimora della casata dei Gentil Ricci, in via Quarda, per comunicare loro che avevo conosciuto il loro figliolo. Non sarebbe mai più tornato. Venni ricevuto dal vecchio padre del marinaio che era scomparso e gli dissi quanto valoroso e leale era stato il figlio. Le mie parole sembrarono dargli qualche conforto. Il vecchio gentiluomo era rimasto nella casa avita, dopo la scomparsa della moglie e dellʹunico figliolo, assieme a due figlie che lo accudivano ed ai loro rispettivi consorti. Mi trattò in maniera affettuosa, come se si trovasse in presenza di quel figliolo che non era ritornato. Mi disse che potevo tornare a vederlo quando volevo. Ma seppi che di lì a pochi mesi il vecchio patriarca aveva lasciato lʹesistenza terrena. Forse per raggiungere al di là dello spazio e del tempo quel suo figlio tanto amato e per il quale aveva vagheggiato un avvenire ben diverso e sicuro. A patto che non fosse stato preda del demone dellʹavventura. Una vita sedentaria accanto ad un caminetto come si conveniva ad un giureconsulto. No, invece, era stata la sfida allʹignoto ed alla morte. La morte aveva trionfato. Anchʹio pensai ad un avvenire tranquillo nel focolare domestico. La casa dei miei ai bordi del torrente Letimbro aveva ancora solide mura, ma aveva anche bisogno di seri restauri. Avevo guadagnato a sufficienza per provvedere ai miglioramenti edilizi. Fu la prima cosa che mi tenne occupato nella mia città in quel benedetto anno del mio ritorno. I miei concittadini mi testimoniarono affetto e stima. Per loro ero una sorta di eroe dei mari. Le onorificenze vennero ad aggiungersi alle onorificenze. Cavalieri francesi che occupavano in pratica Savona testimoniarono per me grande interesse. Ricevetti inviti a recarmi in Francia, alla corte di Parigi. Si fecero vivi anche i portoghesi, per ricordarmi lʹimpegno a non rivelare alcunché per un periodo di almeno cinque anni. La vita trascorreva serena. Erano anni bui ed incerti, tuttavia. La serenità non L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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doveva durare a lungo né la felicità del focolare ritrovato, né il conforto affettuoso della sposa. Lʹunica occupazione fu quella di allargare ed abbellire con nuovi lavori di strutture edili la nostra abitazione in faccia al borgo di Lavagnola. Feci costruire una torretta. Alzai di un piano lʹedificio. Guardavamo felici scorrere il torrente; nella bella stagione ci si recava a rendere grazie alla Madonna in una chiesetta vicina. Facevamo lunghe passeggiate nei boschi detti delle Ninfe, spingendoci, ad Oriente, fino al borgo di Albissola o fino, ad Occidente, allʹantico porto di Vado. Vita troppo idilliaca per essere reale e per poter continuare. GENOVA ABBATTE LE TORRI DI SAVONA “Andrea Doria giunse, affiancato da Sinibaldo Fieschi, nel porto di Savona in quella livida alba del 28 ottobre 1528, per sistemare una volta per tutte i conti con la città rivale. Vi era stato un ribaltamento delle alleanze, dopo che egli ‐ lʹammiraglio genovese ‐ aveva visto quanto poco durature fossero le intese tra i potenti. Aveva assistito, dal porto di Civitavecchia, allʹesodo dei nobili romani dopo il Sacco della città leonina da parte dei Lanzichenecchi. Carlo V era un prepotente infingardo, come lo era del resto Francesco I di Francia. Unʹintesa era stata trovata dal Doria col prepotente più lontano dalla Repubblica di Genova. Aveva ottenuto dagli imperiali lʹassicurazione sancita da un Trattato dellʹautonomia e dellʹindipendenza di Genova, in cambio dellʹappoggio marittimo e militare. La cacciata dei francesi. Insomma, mani libere in Liguria. Ora si trattava di mettere al passo Savona. Giunse la flotta del Doria nel porto della mia città, la sua rivale ligure. Una difesa più che altro simbolica perché le famiglie delle maggiori casate savonesi sapevano benissimo di non poter più contare sui francesi per difenderli poiché, accettando il Patto con Carlo V, Andrea Doria, non aveva più nulla da temere. Doria era vecchio e stanco. Fu piuttosto Sinibaldo Fieschi a calcare la mano, in quella circostanza, dopo la resa firmata dai miei concittadini. Fieschi decretò che le principali torri delle casate rivali venissero abbattute; così pure la cinta muraria. Il peggio toccò al porto. Vennero predisposti lavori di interramento dello specchio dʹacqua marittimo. Era la fine di floridi traffici commerciali; la fine della concorrenza savonese sui L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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mari. Nei giorni successivi alla resa di Savona, manovali ed operai genovesi cominciarono a gettare nellʹarea portuale della mia città sconfitta dei massi, i quali accumulandosi, resero inservibili i fondali. Lʹinterramento del porto andò avanti per parecchio tempo.” * Successivamente, Genova avrebbe costruito , sempre per tener soggiogata la rivale nei traffici, la fortezza sul Priamar. Per edificare il forte, avrebbe addirittura abbattuto la cattedrale dedicata alla Madonna che si trova sulla sommità del promontorio, dove sorgeva lʹantico castrum di Savo sin dallʹepoca delle guerre puniche.In epoca risorgimentale, nella Fortezza di Savona sul Priamar venne rinchiuso Giuseppe Mazzini prima del suo esilio a Bruxelles ed a Londra. “Dalla mia casa sul Letimbro – prosegue il diario ‐ avevo visto con i miei occhi, i militari venuti dalla Superba, a presidiare i punti strategici della città. Temporaneamente, alcuni esponenti delle casate più in vista erano stati imprigionati. I termini della resa, dopo le iniziali piccole scaramucce quasi incruente, erano state pesanti e senza condizioni. Ero tornato nella mia città appena in tempo per vederla vinta. Quella Savona privata dellʹorgoglio delle sue torri ormai mi riempiva di una nuova tristezza. Forse paragonabile, o anche peggiore, di quella risentita durante la prigionia in mano ai portoghesi. Un desiderio irrefrenabile di prendere nuovamente il largo, verso altri lidi. Quasi una ricerca di impossibile libertà in un mondo di soprusi e di sopraffazioni, in cui la violenza finiva sempre per prevalere ed ottenere risultati positivi, dove risuonava sempre, in qualche modo, il grido di ʺguai ai vinti!ʺ Ma era troppo presto. I lavori della mia dimora, ampliata abbellita, trasformata in un piccolo castello, erano ultimati. Nessuno osò toccare la mia torre appena realizzata e svettante verso il cielo. Andrea Doria mi inviò un messo, dicendo che voleva conoscermi.ʺ Lʹammiraglio genovese, in effetti, era incuriosito ed ammirato. Voleva stringere la mano a quel navigante che assieme a tanti eroici navigatori di ogni parte dʹEuropa, aveva compiuto lʹincredibile impresa della circumnavigazione del globo terrestre di cui tutte le corti del mondo parlavano. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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“Venni scortato, accompagnato anche da alcuni esponenti di casate savonesi, sulla nave di Andrea Doria, rimasta alla fonda dinnanzi a Savona. Salii a bordo e venni presentato al grande comandante. Avevo di fronte lʹammiraglio che nel febbraio di quello stesso anno aveva catturato, con un audace colpo di mano, al largo di Ostia, ben dodici imbarcazioni spagnole cariche di bottino trafugato da Roma, dopo il Sacco. Stavano trasportando a Napoli centocinquanta casse con il bottino. Ma il papa, alla fine poté passare dalla neutralità ad un accomodamento con Carlo V. Il sovrano dal canto suo, aveva bisogno che il pontefice convocasse un concilio per contenere lʹespansione protestante in Europa ed il papa aveva bisogno del sostegno degli imperiali per restaurare il governo mediceo a Firenze. Do ut des. Ai comandanti spagnoli venne intimato da Carlo di restituire le reliquie rubate e Doria aveva convinto i più recalcitranti ad eseguire lʹordine. Anche lui aveva concluso il patto di amicizia con la Spagna, voltando le spalle alla Francia. Ma cʹera andata di mezzo lʹautonomia di Savona. Il Doria mi scrutò con attenzione. Uno sguardo penetrante per un uomo come me di apparenza così modesta e di umili origini. Forse, comprese che incarnavo alla perfezione il mio detto preferito: Navigare necesse est. Ligure, quindi, marinaio: Ligure, quindi, mercante. Forse deve aver indovinato nel marinaio che gli stava di fronte un certo spirito dʹavventura. Avevo anche un certo coraggio e alcune conoscenze di navigazione avvaloravano lʹardimento del marinaio. Lo dico senza falsa modestia. Bussola e sestante per azzeccare anche la longitudine, calcoli per determinare i gradi di latitudine. Tutte cose, sì, che sapevo fare. Eppoi, lo ammetto, non sarei mai riuscito a starmene lì fermo nella mia città senza correre verso una nave. Avevo qualcosa in comune col mio interlocutore, capitano di ventura sui mari. ʺAlmeno una nave mercantile della Repubblica di Genova ‐ mi disse, rompendo il silenzio ‐ potrebbe anche essere ai vostri comandi, se lo vorrete, Pancaldo.ʺ Un momento di esitazione, e poi gli detti la mia risposta con tono non servile ma neppure sprezzante né offensivo. Più che una risposta, forse lo capì, un interrogativo alla ragione ed alla ponderatezza. Doti che certo non mancavano al grande condottiero genovese. ʺPotrei, eccellenza, ‐ gli chiesi, con una sorta di rassegnata cortesia ‐ accettare di farmi riempire dʹoro le tasche, navigando per colui che ha riempito di massi il porto della mia città ? ʺ L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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I savonesi presenti, ascoltando questa risposta fiera e dignitosa, trovarono almeno un lieve motivo di consolazione dopo la sventura della sconfitta. “Andrea Doria apparve quasi contento della mia replica. Non si era sbagliato. Era un buon conoscitore di uomini questo capitano di ventura dei mari, questo ammiraglio che aveva a cuore le sorti della propria città e non amava i traditori, neppure quelli delle città nemiche anche se potevano tornargli utili. Comprese al volo il mio punto di vista e lo condivise. Mi ricordava, singolarmente, Magellano. Stesso sguardo dʹaquila, stessa sicurezza nel comportamento. Un carisma che lo imponeva ai subalterni con il semplice fatto di essere presente. Un nome prestigioso già affidato agli annali della storia. ” ʺAvete ragione ‐ ribatté ‐ neppure io al posto vostro avrei accettato. Avrei dato la stessa risposta!ʺ Si chiuse lì lʹincontro con colui che era ormai diventato il vero padrone della terra ligure. La crisi savonese, apertasi con lʹinterramento portuale, la sottomissione a Genova, affrettarono, tuttavia, un declino economico che, per forza di cose, influì sulle mie scelte future. Niente più traffici. Nessuna imbarcazione potè più attraccare o salpare da Savona. Avrei preferito, dopo tante avventure, restarmene lì nellaʺ Pancaldaʺ, così avevo ribattezzato la mia abitazione rimodernata e restaurata, a godermi la vista del piccolo borgo antico di Lavagnola, navigare ancora sì, forse, nel più tranquillo Mediterraneo. Ma a bordo di quali navi, dopo il ʺnoʺ con cui avevo risposto ad Andrea Doria ? “Vi erano i miei risparmi, vi era il focolare, la sposa ritrovata, le amicizie, lʹambiente conosciuto e sereno. Ma quel che accadde in quel mese di ottobre, mi lasciò ben poca scelta. O forse, dopo tutto, una scelta io lʹavevo. Avrei potuto navigare ancora nel Mediterraneo su navi di piccolo cabotaggio, salpando da un porto come Varazze. Ma è inutile: ero nato con lʹargento vivo addosso. Ero un irrequieto fin nella culla, come diceva sempre la mia povera madre. Volevo ingannare me stesso, ecco cosa fu che mi spinse a lasciare nuovamente Savona e non tanto la sua situazione economica rovinata, il porto interrato e la noia di una vita sedentaria. Sarei stato costretto a riprendere il mare; avrei dovuto tornare allʹavventura. Ancora troppo giovane per lʹinerzia e non abbastanza ricco per rinunciare a nuovi guadagni. Almeno così dissi a me stesso e così dissi a Teresa. Mi conosceva L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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bene. Non si oppose. Prima, però, dovevo ritrovare coloro che avevano condiviso con me i rischi della grande impresa. Primo tra tutti, lʹamico Antonio Pigafetta. Avrei voluto rivedere anche Martino de Judicibus. La cosa si rivelò del tutto impossibile. Almeno in un primo tempo. Avrei finito per rivederlo, ma allora era partito per la Spagna; la destinazione precisa non la conoscevo. Non mi fu difficile, invece, a Vicenza, trovare la dimora del nobile Pigafetta, conosciuta da tutta la città. Antonio era divenuto una vera celebrità presso la sua gente. E se è per questo, la Relazione del viaggio attorno al globo aveva richiamato su di lui lʹinteresse di tutta lʹEuropa. VICENZA. PANCALDO RITROVA PIGAFETTA Così prosegue il “diario segreto” di Pancaldo: “Nella casa di Pigafetta, a Vicenza, ebbi finalmente le risposte che cercavo da tempo. Trovai lʹamico prostrato e debole, ma ancora lucido e in vena di parlare, anzi di vuotare il sacco. Dopo gli abbracci ed esserci scrutati a lungo per vedere come eravamo cambiati. Ci sedemmo accanto ad un camino e Pigafetta cominciò a raccontare. ʺ Il nostro ritorno avvenne non con i portoghesi a darci la caccia, come avremmo potuto ritenere o supporre. Macché. Ci fecero da scorta, altro che storie! Volevano che il carico della Victoria così prezioso per la ʺCasa de Contrataciònʺ e per la corte di Carlo giungesse a destinazione.ʺ ʺChi vi guidò ‐ chiese Leon che aveva letto la relazione dellʹamico, ma voleva conferme ‐ colui che si è preso tutto il merito ?ʺ ʺSì, Juan Sebastian Elcano! Figurati che ammiraglio... Tu lo conosci, no ?ʺ ʺCerto. Era uno dei rivoltosi contro lʹammiraglio a San Julian, ma Magellano gli fece grazia. Dunque, che accadde ?ʺ ʺSebastian Elcano chiese a me ed al pilota Alvaro di accompagnarlo a Valladolid, dove era stato convocato da Carlo V per fargli un dettagliato rapporto sulla spedizione gloriosamente conclusa. Di fronte a Carlo V compresi che chi aveva sempre tirato le fila, a distanza, era stato proprio lui, lʹimperatore. Altro che storie. Non vi era traccia del diario di bordo di Magellano. Sebastian Elcano disse che era rimasto sulla Trinidad, la tua caravella Leon...E che lo avevano, forse, distrutto i portoghesi, catturandovi. ʺ L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ʺMa non è vero!ʺ ʺCerto che no!ʺ ʺMa senti questa: era sparito anche il mio diario e quello lʹavevo consegnato personalmente al sovrano di mia mano in un incontro precedente. Va bene, hai capito ? Chi poteva aver dato ordine di censurare il mio resoconto se non lʹimperatore in persona. Nessun subordinato si sarebbe assunto mai una simile responsabilità. Dico mai e poi mai. ʺ ʺQuindi, Sebastian Elcano non ha colpe. Se non quella, forse, di essersi preso immeritatamente la gloria ed i maravedis che sarebbero spettati a Magellano. ʺ ʺEʹ così. Il mio libro è uscito completamente mutilato. Censurato, interi episodi cancellati, soprattutto quelli delle ribellioni dei capitani spagnoli. Cancellata la reazione di Magellano che come noi sappiamo li aveva fatti giustiziare. Tutto sparito. Eʹ la relazione di viaggio scritta da un ingenuo, uno sprovveduto che nulla ha visto e nulla ha compreso. E invece ho compreso eccome! Dalla corte spagnola me ne partii al meglio che potei. Amareggiato, anzi no, disgustato. Passi per gli onori attribuiti a Sebastian Elcano. Il prezzo del suo silenzio. Gli hanno dato titolo onorifico e blasone. Tanto meglio per lui. Ma questa faccenda non è chiara per nulla. ʺ ʺAllora, tu che pensi ? Come è andata ?ʺ ʺManuel del Portogallo e Carlo V sono apparentati (il matrimonio del primo con la sorella del secondo, Eleonora). Quando Carlo V ha saputo della sorte toccata ai capitani spagnoli dagli ammutinati della SantʹAntonio, giunti un anno prima di noi a Siviglia, ha ordinato unʹinchiesta. Il tribunale aveva tergiversato. Aveva preso tempo, intimando a tutti di non lasciare Madrid. In attesa che Magellano, al suo ritorno, potesse discolparsi a sua volta. Ma siccome gli assenti hanno sempre torto, Carlo V aveva compreso che non avrebbe potuto assolvere Magellano dallʹaccusa più pesante di aver fatto giustiziare dei nobili spagnoli. Per giunta in quel modo. Un sicario inviato a fare fuori Luis de Mendoza, su una delle navi ribelli, ricordi no come andarono le cose. Lʹalguacil della flotta, Gomez dʹEspinosa, inviato da Magellano a tagliare la gola al capitano rivoltoso sulla Victoria. E poi dopo la liberazione di Alvaro de Mesquita, la tremenda punizione inflitta a Gaspar de Quesada, la decapitazione ad opera del suo servo Luis de Molino, invitato a scegliere: o eseguire la sentenza di morte nei confronti del suo capitano oppure essere giustiziato assieme a lui. Ed infine, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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lʹabbandono in quella terra inospitale di Juan de Cartagena assieme al sacerdote che aveva fomentato la rivolta. Davvero troppo per farlo accettare ad un sovrano spagnolo, ti sembra ? Leon, si trattava di nobili ! E assieme a Juan de Cartagena, abbandonato a morte certa in quelle terre inospitali, con una riserva di viveri che poi si sarebbe esaurita, cʹera in più un sacerdote di Santa romana chiesa.ʺ ʺCertamente. Sappiamo che la reazione di Magellano fu spietata. In fondo, i capitani spagnoli volevano solo non essere tenuti allʹoscuro dei cambiamenti di rotta e volevano vederci chiaro nel proseguimento della missione. Non era poi un delitto di ammutinamento in fin dei conti.ʺ ʺProprio così. In ogni caso, re Carlo non avrebbe potuto perdonarlo una volta tornato a Siviglia e se si fosse presentato, pur circondato dalla gloria del successo, alla corte di Valladolid. Di questo sono sicuro. Cosa ha pensato re Carlo? E presto detto. Ecco come sono andate le cose, a mio avviso. Manuel voleva vendicarsi del tradimento di Magellano? Facesse pure. E in più gli avrebbe consegnato anche Ruy Faleiro, il cartografo ed astronomo infedele che, infatti, venne incarcerato al suo rientro forzato a Lisbona. Perché mai Faleiro che era stato il socio, quasi lʹispiratore dellʹimpresa, comunque il teorico, avrebbe dovuto rientrare in patria, se non costretto o addirittura consegnato in catene ? La corte di Valladolid sapeva come ingraziarsi quella di Lisbona. A proposito, lo sai perché Faleiro, allʹultimo momento, non si imbarcò a San Lucar de Barrameda ? Si disse – gli risposi – che aveva sentito un oracolo sfavorevole. Era così superstizioso. Balle! , mi replicò Pigafetta. I consiglieri di Carlo V avevano convinto il sovrano che era meglio tenere a corte quel teorico, astronomo, trafugatore di mappe segrete. Così, il momento venuto, forse poteva essere utile, magari per un baratto con il re che aveva tradito così platealmente. Capisci. ? Una sorta di ostaggio ? Da tenere, fino allʹultimo a Valladolid... E poi... Riconsegnarlo con le mani legate ai portoghesi a concludere la sua vita in fondo a una prigione per alto tradimento. In cambio per re Carlo ? Intanto, via libera allʹunica caravella rimasta, la nostra Victoria. Infatti, rientrammo con cinquecento venti quintals di droghe nelle stive della Victoria, caricate alle Molucche. Un guadagno netto di cinquecento ducati dʹoro L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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per la Casa de Contratacion. Erano coperte le perdite delle altre quattro caravelle, se non teniamo conto dei nostri compagni morti nella attraversata. Parliamo di duecento dei nostri marinai, beninteso! Tante vite non valevano nulla ? Tutto questo solo per la gloria di un imperatore, per i buoni guadagni dei cortigiani e per innalzare agli onori qualche uomo di paglia fortunato quasi quanto Magellano è stato invece colpito dalla malasorte ?ʺ ʺDunque, il nobile basco Sebastian Elcano arraffa gloria e guadagni. E poi ?ʺ ʺVuoi sapere il resto ? Lʹimperatore Carlo rivende le Molucche al Portogallo per trecentocinquantamila ducati. La via di ponente che abbiamo scoperto non serve a nulla alla Spagna, che trova più conveniente installare cantieri marittimi sullʹ izmo di Panama per costruire navi cui far varcare lʹOceano Pacifico.ʺ ʺMa chi ha ucciso Magellano ?ʺ chiesi a Pigafetta. ʺRicordi che tu eri rimasto a bordo della Trinidad ? ʺ ʺCerto!ʺ ʺHai letto la mia relazione ufficiale ? La trovi credibile ?ʺ ʺMa certamente.ʺ ʺEbbene, essa non dice tutto. Non dice, ad esempio, che vi erano istruttori portoghesi dʹaccordo con Humaubon, il reuccio di Cebu, per tendere la trappola in cui siamo caduti. Avevano scelto accuratamente il teatro delle operazioni, la maledetta isola di Mactan. Ci aspettavano , ti dico. Sapevano tutto. I punti deboli delle corazze, mirate alle gambe era stato detto loro. Le nostre barche non poterono avvicinarsi al luogo dello scontro, perché vi erano a fior dʹacqua barriere coralline, come ti dissi. Quindi, niente moschetti, niente balestre a nostra protezione. Una quarantina di uomini soltanto, impacciati più che protetti dalle armature, balzano in acqua, scioccamente. Magellano lasciò solo undici uomini di guardia ai battelli. Non era da lui. Nessuna cosa nel mio racconto di quella battaglia è andata realmente così. Tutto è assurdo, inverosimile. ʺ ʺMa cosa mi stai dicendo ?ʺ ʺMagellano quel giorno trovò selvaggi pronti ad organizzare un agguato altro che indios nelle loro capanne indifese. Certo se Magellano avesse inviato più uomini, preteso lʹaiuto del raja Humaubon, insomma, valutato bene la situazione non sarebbe accaduto. Ma poteva valutare la situazione ? Non credo. Il suo schiavo malese, Enrique , che fungeva da interprete deve essere stato in qualche modo dʹaccordo col re di Cebu. Lo testimonia anche il banchetto offerto da questo raja traditore agli alti ufficiali di Magellano che vennero massacrati. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Dʹaccordo avevano trattato male Enrique, cui Magellano, nel suo testamento aveva garantito la libertà se fosse tornato a Siviglia. Ma certo, il tradimento vi è stato. Esso ha tolto di mezzo Magellano, un uomo soprattutto molto scomodo. Per quelli della “ SantʹAntonio”, ammutinatisi e tornati in patria un anno prima, per la corte di Lisbona, per lo stesso Carlo V che gli aveva promesso un quinto dei profitti ed il governatorato delle terre scoperte. Non andrà nulla agli eredi, perché di eredi non ve ne sono più. La moglie del nostro comandante è morta. Il figlio è morto. “ ʺ Non ha altri eredi ?ʺ ʺNessuno al mondo. A parte il suocero Barbosa che non cʹentra con la spartizione dei beni. Dunque, tutto rimane alla corte di Valladolid. Tutto a Carlo V. Quando io lʹincontrai tornava dalla dieta di Worms, Lutero aveva spezzato lʹunità del mondo cristiano e quanto allʹimperatore pensava solo a gloriarsi per aver finanziato la spedizione di Magellano, ma nientʹaltro ed insisteva per coprire di onori Sebastian Elcano da Getaria. Lʹha fatto nobile, gli ha dato un blasone e via dicendo. Quanto a me, si è tenuto tutti i diari completi della nostra avventura. Ha censurato tutto quello che ha voluto. Mi ha consentito il breve riepilogo, pieno di assurdità e di banalità come quando parlo dei vantaggiosi baratti con gli indios di Rio, del fatto che si potevano facilmente ottenere tre indigene, in cambio di un coltello o di una scure; quando uso toni estasiati nella descrizione dei frutti tropicali. Ma insomma, avevano nei diari completi un racconto dettagliato della rivolta di San Julian, delle esecuzioni capitali dei rivoltosi, che non dimentichiamolo lo stesso Carlo V aveva designati come veedor, tesorero e contador, cioé incaricati del controllo delle azioni di Magellano, e andavo a parlare molto a lungo dei baratti commerciali con gli indios. Oppure, dei piedoni della Patagonia, quei poveri indigeni dalle grandi patas appunto che abbiamo trattato così male, imprigionandoli e costringendoli a morire sulle nostre navi. Almeno due di essi presi come campioni da esibire in Europa, al nostro ritorno.ʺ ʺTi hanno censurato, ecco perché non mi nomini mai. Non fai mai il mio nome. Non il minimo accenno alla ribellione di San Julian ed allʹesito che ebbe. Avevo trovato tutto ciò strano e singolare. Oltre che per il piacere di rivederti era anche per sciogliere tutti questi dubbi che mi vedi qui a Vicenza. ʺSei il benvenuto. Spero di tratterrai per un pò. La mia casa è la tua casaʺ mi disse. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ʺ Tutta lʹavventura, ‐ aggiunse,amareggiato ‐ con le sue verità, resterà sepolta negli archivi di Stato spagnoli e portoghesi. Quando verrà alla luce per i posteri sarà una verità edulcorata, monca. Piena di dettagli tecnici di navigazione. Verosimile per gli specialisti di affari marittimi. Ma incomprensibile sotto il profilo dellʹalta politica, per chi conosce gli intrighi delle corti. Non verrà mai rivelata al mondo. Magellano quasi ignorato, altri beneficiari di quella spedizione che è costata oltre duecento morti. Tra gli indegni che vengono ricompensati dalla presunta generosità del re cʹ è anche ‐ nota bene ‐ quel Estevao Gomes, che si ammutinò con la SantʹAntonio, lasciandoci attraversare il Mar del Sur con una caravella in meno e con tutto il suo carico di provviste che potevano contribuire a salvare tante vite. A Gomes venne riconosciuto di aver trovato lo Stretto, come capo e pilota supremo. A Elcano, un blasone che recita: Primus circumdedisti me, come motto e raffigura un elmo reggente la sfera terrestre. Ho potuto almeno rivelare i nomi dei diciotto sopravvissuti, senza mai citare Elcano se non per dire che egli era tra di noi. Non ho voluto chiamarlo comandante. Anzi, voglio ricordare, uno ad uno, gli scampati ancora una volta per onorarli. E Pigafetta recitò: Martino de Judicibus da Savona, Francisco Albo da Axio, Miguel da Rodi, Juan da Acurio, Hernando de Bustamante da Alcantara, Nicola detto il Greco da Napoli, Miguel Sanchez da Valladolid, Antonio Hernandez Colmenero da Siviglia, Juan Rodriguez da Huelva, Francisco Rodriguez da Huelva, Diego Carmena, Hans da Aquisgrana, Juan de Arratia da Bilbao, Vasco Gomez Gallego da Bayonne, Juan de Santandres da Cueto, Juan de Zubileta da Barakaldo. Oltre a me ed Elcano. Poi, dopo aver taciuto quasi a ricordare, invece, coloro che non erano più, il vicentino esclamò: ebbene, in questo mondo le cose vanno quasi sempre così. Guarda Colombo imprigionato dopo lʹultimo viaggio alle Indie. Trattato come un delinquente. La riconoscenza della Spagna! Quanto a me, rimarrò nella mia Vicenza, cercando in fondo di dimenticare. Vi sono altri diari dellʹimpresa che circolano in questi giorni. Ma nessuno di essi si sogna di parlare degli avvenimenti accaduti realmente in quei lontani mondi. Ormai tutta lʹEuropa sa che la Terra è una sfera che si può circumnavigarla da est ad ovest o viceversa. Questo è tutto. I benefici sono andati a pochi, ai re che contano più degli assi della navigazione, quale appunto era il grande Magellano, al quale almeno ho cercato, nelle pagine della mia relazione monca, di rendere omaggio, glorificandone il nome come meritava.
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” “Lo sai, dissi a Pigafetta, che ho conosciuto Serrao, il grande amico di Magellano che era rimasto nelle Isole delle spezie ? Poche settimane dopo morì nel suo paradiso tropicale, dove aveva trovato rifugio. Si mormorò a causa di un avvelenamento.” “Ecco, il quadro si completa e tutti i miei sospetti trovano inaspettate conferme. Dunque, è vero: tutto ciò che costituiva il più stretto entourage di Magellano era divenuto scomodo per i cortigiani spagnoli, per i consiglieri della corona e persino per il sovrano. Per non parlare dei nemici che aveva alla corte portoghese di Montemor Oʹ Novo con Manuel che gliela aveva giurata. ” “Allora, tanti sacrifici e morti per un finale do ut des tra personaggi altolocati, potenti ed intoccabili. Magellano, Serrao, interi equipaggi, semplici monete di scambio della ragion di Stato, degli imperativi categorici delle teste coronate. Eʹ andata così, ammise Pigafetta, e mi disse ancora: sapevi Leon che tutto questo era stato preannunciato da un ambasciatore portoghese a Magellano ? Me lo disse egli stesso, facendomi delle confidenze durante la navigazione nel Pacifico. Un emissario di re Manuel lʹaveva avvertito, esortandolo a ripensarci ed a tornare a Lisbona, fin dallʹinizio. Avrete a bordo gente che vi tradirà, ne andrà della vostra vita, del vostro onore.” “ Ciò significa che Manuel del Portogallo era sicuro di sé, al punto di avvertire lʹammiraglio transfuga del fatto che poteva benissimo trattare con Carlo V a suo piacimento, perché la Spagna non era disposta, fin dallʹinizio, a riconoscere ad un portoghese tutta la gloria. Poteva, quindi, raggiungerlo con la sua vendetta. Era meglio che ci ripensasse finché era in tempo. Comunque, questa vicenda verrà ricordata per quello che Magellano ha saputo compiere. La storia gli renderà giustizia. Nel mio breve estratto reso noto, insomma, in quel che è rimasto del diario originale scrivo esattamente: “che la fama dʹuno sì generoso capitano non debba essere estinta ne li tempi nostri. Fra le altre virtù che erano in lui, era lo costante, in una grandissima fortuna che mai alcuno altro fusse al mondo. Sopportava la fame più che tutti gli altri: e più giustamente che uomo fusse al mondo carteava e navigava: se questo fu il vero , se vede apertamente. Se vede come niuno altro avere avuto tanto ingegno né ardire di sapere, girare attorno al mondo come lui aveva dato.” Questo non hanno potuto censurarlo. Tutto il resto sì. Se lo sono tenuti negli L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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archivi segreti di Valladolid. “ Senti, Leon, quali sono i tuoi progetti ?ʺ chiese, come riscuotendosi da un sogno ad occhi aperti. ʺRiprendere il mare. Ma non ho ancora deciso con chi e con che mezzi. Certamente, non su navi genovesi...ʺ Gli narrai per filo e per segno, la sorte subita dalla mia città solo pochi mesi prima. “Sono tempi spietati!” commentò, con amarezza , lʹerudito vicentino.” “Pigafetta – annota ancora Pancaldo, nel suo diario – lasciò questo mondo, un anno dopo il nostro colloquio a Vicenza. Avevo notato , parlandogli, che le sue condizioni di salute non erano buone. Eppoi, era deluso in modo indicibile. Davvero. Per quel che aveva visto e sentito alla corte di Valladolid. Mai e poi mai avrebbe creduto, come stento a crederlo io, che tutto si sarebbe concluso per un vile scambio di favori tra potenti, per inconfessabili interessi di Stato e di potere. Per lʹopportunità politica di un regolamento di conti. Per vendette e favori da rendere alle casate dominanti. La purezza dellʹimpresa era stata macchiata da inconfessabili baratti e da vergognosi tradimenti. Più di duecento morti sui duecentotrentaquattro partiti da San Lucar de Barrameda.. E tutto ciò perché lʹimperatore Carlo, trovando un compromesso con Manuel, finisse per rivendergli le Molucche per trecentocinquantamila ducati. Misero baratto, davvero, per tante vite perdute. Invano. UN NUOVO VIAGGIO IN VISTA Leon, di ritorno a casa, era stato contattato da emissari francesi. Lʹofferta di nuovi viaggi commerciali lo portò a Marsiglia, ma gli accordi non poterono essere conclusi, anche perché gli impegni sottoscritti con i portoghesi, in cambio del suo rilascio, lo costringevano a negare la rivelazione di mappe o di carte nautiche nella sfera dʹinfluenza spagnola o portoghese. Per almeno cinque anni. Quindi, i contatti con la Francia non potevano avere conseguenze se non su rotte mediterranee. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Dopo quel breve ed inutile spostamento a Marsiglia, decise di attendere e di vedere. Le offerte non tardarono a giungere. Ne vennero fatte anche dal Portogallo, ma avrebbe dovuto assumere il comando di navi destinate alla circumnavigazione dellʹAfrica, dirette alle Indie. Insomma, la via tradizionale attraverso il Cabo tormentoso, o Capo di Buona Speranza. Ci teneva troppo, invece, a misurarsi con il destino su quella nuova rotta appena scoperta. Quella di cui il mondo intero parlava, la rotta di Magellano. Certo, stavolta sarebbe andato dritto al passaggio, senza perdere tempo inutile perché tutto gli era noto. Niente sosta africana, se non una breve tappa alle Canarie. Inutile, ritrovare i portoghesi in Brasile. Preferenza, quindi, al Rio de la Plata, quel grande fiume che sembra un mare e poi giù verso lo Stretto. Questo sognava, questo pretendeva, come nuova proposta. Se mai qualcuno si fosse deciso a fargliela, Lʹofferta vera non tardò a pervenire a Savona. “ Una missiva proveniente da armatori di Spagna, autorizzata dalla Casa de Contrataciòn, mi invitava a scegliermi un capitano di fiducia, una sorta di secondo, ma in grado di comandare unʹaltra nave, perché – precisavano gli armatori di Valencia – vi era un carico che due caravelle avrebbero dovuto portare, passando per lo stretto di Magellano, fino nel lontano Perù. Venivo invitato, con lʹuomo di mia fiducia che avrei dovuto designare, a recarmi nella città iberica per visionare le navi e dare una risposta definitiva. Una nuova navigazione atlantica, con direzione il Perù, dunque. Cosa potevo sperare di meglio ? La Spagna dei conquistadores aveva già deciso come utilizzare il nuovo percorso, aperto dalla grande avventura delle cinque caravelle. Non era pensabile affidare ad una nuova circumnavigazione del globo merci da trasportare per via marittima. La “via delle spezie” era preclusa, se non seguendo la vecchia rotta dei portoghesi, cioé circumnavigando il capo di Buona Speranza. Oppure, approfittando di cantieri installati a Panama, predisporre nuove navi lì costruite per affrontare il Pacifico dal punto che si può definire della scoperta di Nunez de Balboa. Dunque, in fondo, la rotta “antartica” serviva a poco. Ma il Perù, con le sue miniere di rame ed un dominio spagnolo da consolidare poteva essere raggiunto proprio passando attraverso lo stretto scoperto da Magellano, tra la Patagonia e la Terra del Fuoco. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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“Sentivo in cuor mio che sarebbe stato anche un doveroso tributo alla memoria del grande navigatore portoghese dimostrare che quel paso seppure ad una latitudine (50 gradi sud) davvero imprevista, così vicina ai ghiacci, di non facile navigazione, poteva in fin dei conti garantire alla Spagna una via di comunicazione praticabile e sicura per raggiungere via mare il Perù.” Commise il navigatore savonese un errore di valutazione, perché quello stretto presentava davvero tanti pericoli per i naviganti. Non era davvero, e non lo sarebbe diventato mai, la via maestra del commercio e dei traffici tra lʹEuropa e lʹOriente. La natura aveva voluto così. I due grandi oceani erano separati da una terra immensa che si estendeva dal Polo Nord quasi al Polo Sud, senza aperture via mare, senza punti di comunicazione. Il Nuovo Mondo di Cristoforo Colombo. Unico passaggio, ma quanto insidioso, quello che era stato scoperto consentendo unʹimpresa eccezionale, proprio da quegli uomini, la maggior parte dei quali giaceva in fondo allʹOceano. Ma da Pancaldo in poi, quasi tutte le flotte spagnole che vollero ripetere la spedizione di Magellano perirono in quello Stretto. Leon, però, era sostenuto dallʹottimismo e spinto dalla necessità. Decise di accettare il nuovo incarico sotto bandiera spagnola. Lo narra nel diario: “Un comandante in seconda, cui affidare lʹaltra nave cui accennavano gli armatori. Chi scegliere ? Ricordai quel nostromo con il quale avevo compiuto viaggi in Mediterraneo. Pietro Vivaldi. Lo cercai e riuscii a scovarlo proprio a Varazze, dove Vivaldi viveva e da dove ormai era costretto a partire per piccoli viaggi marittimi, in quanto il porto di Savona più non esisteva. Mi recai a Varazze, assieme a Teresa. Lì cʹera la casa dei Romano, i suoi genitori ormai scomparsi da tempo. Teresa, infatti, mi aveva aspettato per quei lunghi anni sola a Savona, come una brava Penelope in attesa del suo Ulisse. Il nomignolo affibbiatole fin dallʹinfanzia doveva aver tenuto a bada gli eventuali Proci, insomma, i pretendenti. In un piccolo borgo varazzino, venne ritrovata la casa di Vivaldi. Il marinaio ormai mi conosceva di fama e fu sorpreso ma contento di vedermi. Mi riconobbe subito. Ci abbracciammo , commossi, rievocando i viaggi nel Mediterraneo compiuti assieme. “Pietro, gli dissi, ci si offre lʹoccasione di un viaggio memorabile attraverso L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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lʹOceano. “ “Ci si offre ?” “Sì, a noi due. Se accetti di partecipare. Armatori spagnoli sono disposti ad offrirmi il comando di una nave. Ma le caravelle sono due. Tu dovresti guidare la seconda. Non conosco altri marinai più esperti di te.” “Destinazione ?” chiese, incuriosito ed ancora incredulo, Vivaldi. “Il Perù, terra occupata dai conquistadores spagnoli, sempre a caccia di oro, argento, rame e quantʹ altro. Ma bisognosi di rifornimenti e di viveri.” “Un carico commerciale, dunque, da portare attraverso quel misterioso passaggio. Tu Leon lʹhai visto. Io no. Eʹ praticabile ?” “ Noi siamo passati. Non è facile, non te lo nascondo. Ma siamo gente di mare e di facile, sul mare, tu mʹinsegni, vi sono ben poche cose. Eʹ imprevedibile come le sue tempeste, sembra sorridere e, invece, tende agguati. Il mare è mare.” “Già. Ne sappiamo qualcosa. Bene, Leon, accetto. Quando si parte ?” “Al più presto possibile” gli risposi. MARTINO DE JUDICIBUS SI Eʹ FATTO FRATE “La sorpresa più grande mi attendeva proprio nella mia città. Non mi riferisco alla sua triste caduta ad opera dei militari di Andrea Doria e di Sebastiano Fieschi, non a quella triste data del 28 ottobre dellʹanno del Signore 1528. No, ad una sorpresa più personale ed intima. Il ritrovamento di Martino de Judicibus in un convento di frati di Noli, la splendida insenatura della quinta Repubblica marinara. Quella che aveva origini bizantine (un fortilizio contro le invasioni longobarde e, successivamente, saracene) o forse che aveva origini romane, vatti a sapere. Ma insomma, nel convento di Noli durante una processione alla quale assistetti dietro le insistenze della mia devota Teresa, chi non vediamo apparire sotto il saio francescano ? proprio lui: Martino de Judicibus. Quasi non lo riconoscevo. Era assieme ad altri frati, ma aveva rialzato il cappuccio. Fu Teresa ad individuarlo. Lei lo aveva visto quando si era recato nella nostra casa per darle le ben poche notizie in suo possesso su di me. “Sì, Leon è rimasto con lʹequipaggio della Trinidad. Le due caravelle si sono separate. Noi siamo tornati e di lui per la verità non abbiamo saputo più nulla.” L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Ecco, tutto ciò che Martino, il buon marinaio nostro compagno di quella incredibile avventura, aveva potuto dire alla mia sposa in ansia. Ma lei ne aveva unʹimmagine più recente della mia. Lo riconobbe, insomma, e me lo indicò. “Martino!” gridai, suscitando la riprovazione dei devoti che, genuflessi, assistevano alla processione facendosi ripetuti segni di croce al passaggio della statua dellʹimmacolata concezione. Si voltò di scatto e si alzò il cappuccio, rimanendo a capo scoperto. Mi scrutò ben bene con quei suoi occhi celesti, forse divenuti un poʹ miopi e poi esclamò in modo ben poco ecclesiastico: “ Che io sia dannato! Leon!” “Sono io. Felice di ritrovarti. Tu col saio. Beh, per essere una sorpresa è una sorpresa.” Mentre i suoi confratelli lo guardavano con stupore, visto che si era fermato uscendo dalla fila dei frati, avanzò verso di me e mi gettò le braccia al collo. Restituii, commosso, lʹabbraccio e ci facemmo da parte per non turbare oltre la sacra cerimonia. Teresa ci osservava con le lacrime agli occhi. “Puoi lasciare la processione ?” gli chiesi. “Certo che posso.” “E i confratelli?” “Li ritrovo dopo. Ho saputo trovare il porto di Savona dopo un simile viaggio, vuoi che non riesca a ritrovare lʹabbazia ?” Ci recammo – la giornata era splendida ‐ tutti e tre lungo la bellissima spiaggia, conversando in modo ameno. Scorgevamo lo sfilare della processione e ci scambiavamo i racconti delle nostre rispettive avventure. Teresa mi stava a fianco ed ascoltava pensierosa. “Ti credevo in Spagna.” “Cʹero, infatti, mi ero anche rimesso a navigare. Fu durante una tempesta che feci un voto. Se riporto di nuovo a casa la pelle, mi faccio frate! Così accontento i miei ed il buon Dio.” Scampai alla furia delle onde assieme a tutti i marinai che erano imbarcati con me. Pensa che si trattava di un viaggio breve apparentemente senza rischi. Ma col mare non si può mai dire. Così, tornato a terra, decisi di mantenere il voto e che quella doveva essere la mia ultima avventura sullʹelemento liquido. Basta L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ondate e marosi. Basta rischi di naufragi e giornate di ansia. Un voto è un voto. Si può mentire a tutti, ma non rinnegare un sacro impegno.” “E così eccoti qua. A Noli, assieme ai francescani.” “Quelli della mia famiglia erano davvero contenti. Quanto a me, insomma, ho ritrovato la fede. Ero finito, al mio ritorno, nella confraternita delle cappe blu di Nostra Signora del Priamar. Poi, dopo un breve noviziato, sono stato ammesso nellʹOrdine dei frati minori.” Cʹera con noi Teresa, rinunciai a fare della facile ironia sulle sue confessioni alle penitenti, soprattutto se giovani; lui sembrava intuire i miei pensieri e mi sorrideva, parecchio ironico, con sguardi dʹintesa. Ci si capiva al volo tra vecchi marinai. Aveva rinunciato, quella pellaccia di Martino, ai legni corsari ma non alle incursioni ed agli assalti marinareschi alla virtù delle pecorelle smarrite. Come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Non volli approfondire, ciò che per me dal suo atteggiamento sornione era unʹevidenza. Il discorso si fece più triste quando ricordammo i nostri compagni scomparsi tra i flutti e morti a bordo di inedia in preda allo scorbuto, a febbri mortali. Oltre duecento vite scomparse in quel viaggio verso lʹ ignoto che lʹumanità non potrà mai scordare, nel corso dei secoli. Ed ora, io mi accingevo per forza di cose a riprovarci. Quando lo dissi a Martino, il buon fraticello non voleva crederci. “Ma non è possibile. Signora Teresa, non lo lasci partire!” La mia sposa, ormai piangendo a calde lacrime, replicò tra i singhiozzi. “Voi lo conoscete come lo conosco io, Fraʹ Martino, vi sembra che questʹuomo possa ascoltare il parere di una donna o di chiunque altro. Leon è fatto così. Quando ha deciso una cosa, venisse pure il Diavolo a fargli cambiare idea, lui resterebbe dello stesso parere.” “Navigare necesse est!” dissi io per non sbilanciarmi in considerazioni troppo personali. Era evidente che dovevo riprendere il mare. Nessuno lo sapeva meglio di me. Vi sono decisioni che non si possono non prendere ed io ero ancora troppo giovane, tutto sommato, per tirare i remi in barca. Per mettermi a scrutare lʹorizzonte da uno scoglio come fanno i vecchi lupi di mare, ammalati di nostalgia. Eppoi cʹera la realtà di un L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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porto interrato. Cʹera lʹimpossibilità, per il nome che portavo e per quel che avevo finito per rappresentare agli occhi dei savonesi, di pormi al servizio di un armatore genovese. Ancora una volta la Spagna assicurava ad un ligure quella sorta di terra promessa dei naviganti, tanto più che – oltre ad essere un simbolo quasi politico per Savona – ero pur sempre lʹultimo degli argonauti, lʹultimo ad essere tornato a casa dopo la circumnavigazione del globo. Ci separammo da Martino che si avviò verso la sua nuova vita in seno alla Chiesa e, con Teresa a fianco, rientrai a Savona. Non rimaneva che fare i preparativi per la nuova avventura. DA VARAZZE A VALENCIA ʺConvinto Vivaldi, non rimase che fissare il giorno della nostra partenza. Fu un giorno memorabile, ma tristissimo. Prima di lasciare nuovamente la mia città, di dover dire per la seconda volta addio alla mia fedele sposa, volli fare testamento. Mi recai, quindi, nei giorni successivi a quello della visita a Varazze, da un notaio savonese e detti disposizioni affinché tutti i miei beni, dopo la mia dipartita terrena, entrassero in possesso della legittima erede. Non avevamo figli. Mi restava solo lei ed un destino crudele, dettato dalle necessità che incombe a noi marinai, mi sospingeva lontano. Se Savona non avesse subito quel fatale tracollo, se quel porto avesse ancora potuto ospitare legni mercantili diretti nei vari porti del Mediterraneo, non avrei certo azzardato una seconda impresa, così perigliosa. Comunque, in previsione del fatto che potevo anche non ritornare, feci testamento a favore di Teresa. A Varazze, si era adunata folla per salutare la nostra partenza su un piccolo veliero. Si era svolta sul molo una piccola cerimonia, con un sacerdote che aveva detto, allʹaperto, la Santa Messa e celebrato lʹeucarestia. Aveva benedetto lʹequipaggio. Abbracciai ancora una volta la mia sposa, mentre Vivaldi che non lasciava nessuno a casa, ci guardava commosso. Poi salimmo entrambi a bordo. Detti lʹ ordine all ʹequipaggio di levare lʹancora, mentre guardavo la donna minuta, avvolta in uno scialle nero che tratteneva a stento le lacrime. Le feci ancora un cenno con la mano. Mi inviò un bacio. Salpammo. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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A Valencia, Vivaldi ed io fummo ricevuti dagli armatori. Non dissero i motivi veri di quella spedizione verso il Perù. Ma io li conoscevo ed erano, se vogliamo paradossali. La città di Valencia, regina dei traffici nel Mediterraneo, si era rovinata per così dire involontariamente: dandole raffigurazione umana si potrebbe dire che si era rovinata con le proprie mani. In che modo ? I suoi banchieri erano stati prontissimi a finanziare (assieme ai genovesi e ad altri) le spedizioni di Colombo. Erano stati onorati, i banchieri di Valencia, di prestare le somme necessarie a Ferdinando ed Isabella per quelle memorabili imprese. Ma, alla luce dei risultati, avevano dovuto pentirsene. Con le rotte transoceaniche, verso il Nuovo Mondo, Siviglia era diventata la regina, assieme ad altri porti (San Lucar de Barrameda, Palos) e Valencia, affacciata sul Mediterraneo e non sullo Stretto di Gibilterra, aveva ceduto ad altri porti il privilegio delle grandi rotte. In qualche modo, i suoi armatori volevano rientrare nel giro. Uscire dalla marginalizzazione cui le loro flotte ʺcasalingheʺ erano confinate. Insomma, Valencia puntava anchʹessa nellʹinserimento sulle rotte oceaniche. Due caravelle erano state approntate per la spedizione di viveri , vettovagliamenti, munizioni ed armi per i conquistadores del Perù. Erano state ribattezzate Santa Maria e Concepcion Ci dissero che potevamo, naturalmente, recarci al porto assieme ad un loro emissario per dirigere le operazioni di carico, non ancora ultimate, per verificare e richiedere, eventualmente, oggetti e comodità che non fossero ancora stati issati a bordo. A me, quale capo della spedizione, vennero assegnati due servitori. Erano malesi. Gli armatori spagnoli me li presentarono come dono. Ero stato in prigione sulle loro terre e conoscevo un poco i loro dialetti. Ci recammo, dunque, Vivaldi ed io, assieme ai servitori malesi, ad esaminare le navi alla fonda. Non tutto il carico era stato issato a bordo, perché ‐ ci spiegarono ‐ una parte di esso si trovava a Cadice. Dovevamo, quindi, salpare da Valencia navigare fino a Cadice. Completare il carico e, quindi, partire per il Perù, attraversando lo Stretto scoperto da Magellano. Era il mese dʹagosto dellʹanno di grazia 1536, quando, finalmente salpammo da Cadice. Io avevo assunto il comando della Victoria e Pietro quello della Concepciòn. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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A occhio e croce, la mia nave ‐ 120 tonnellate di stazza, con attrezzature e scialuppe ‐ doveva avere un valore approssimativo di 350.000 maravedis. Il carico valeva moltissimo. Ne parlerò più in dettaglio in seguito. La Concepciòn era più piccola, 110 tonnellate di stazza. Poteva valere 290.000 maravedis. E veniamo al carico di entrambe. Sacchi di gallette, a quintali, botti e bottiglie di vino di Jerez, damigiane di olio commestibile, centinaia di forme di formaggio, pesci e storioni essicati, cento hanegas di ceci e 30 di lenticchie, 60 hanegas di fagioli, trecento barilotti di acciughe. Vi erano quantitativi di zucchero, di aglio, cipolle, uva passa, fichi, mandorle. Insomma, in breve, i conquistadores , in Perù, avrebbero ricevuto rifornimenti adeguati. Assieme ad indumenti, corrazze, archibugi, polvere da sparo. Anche nel porto di Calice, prima della partenza, navi ed equipaggi erano stati benedetti dal vescovo del luogo. Ci eravamo inginocchiati, avevamo fatto la comunione. Gli uomini di equipaggio erano tutti spagnoli. Il vertice del comando, invece, era ligure. Il tempo era oltremodo favorevole, data la stagione estiva. Brillava un caldo sole, il cielo era biancastro perché vi era un pò di foschia dovuta alle elevate temperature che facevano, per così dire, evaporare il mare. Sospinte da una leggera brezza le vele cominciarono a gonfiarsi. Eccoci finalmente nellʹAtlantico, diretti alle Canarie. Prima sosta prevista, dopo aver lasciato la bianca città di Cadice. Ricordavo quellʹaltro viaggio compiuto alle Canarie al timone della Trinidad. Un sentimento di malinconia mi attanagliò. Nessuno ci fece caso. Né i servitori malesi, né gli uomini dellʹequipaggio. Scorgevo sulla Concepciòn la figura di Vivaldi sul ponte di comando, mentre sulla tolda al timone vi era uno sperimentato pilota di Cadice, Alvaro Molinas. Il nostromo che avevo scelto io si chiamava Diego Carron ed era di Malaga. SULLA ROTTA DELLA PRIMA SPEDIZIONE Diversamente da Pigafetta , il quale, su ordine dei cortigiani di Valladolid e, per L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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sua ammissione, dello stesso Carlo V, aveva dovuto lasciare nel calamaio tanti particolari della spedizione attorno al mondo, Pancaldo nel suo diario segreto buttava giù, ogni giorno, pensieri, dubbi e speranze. Sapeva che nessuno avrebbe mai letto i suoi appunti. Nessuno, quindi, avrebbe potuto ridurli, né cancellarli. Ma quanto al ritrovarli ed al leggerli, il navigatore sii sbagliava. Gli studiosi frugano negli archivi e finiscono, in alcuni casi, per ricostruire misteriose vicende sepolte sotto la patina del tempo. Ecco cosa scriveva Leon Pancaldo, ripercorrendo quella rotta a lui ormai nota. “Agendo in modo opposto alla decisione di Magellano che, ricordavo, venne così aspramente criticata dai capitani spagnoli delle altre caravelle, io evitai di spingermi sino alla Sierra Leone. E a che scopo , in effetti? Deviazione inutile e nociva. Perdita di tempo. Facevo tesoro dei pur comprensibili errori commessi a suo tempo da Magellano. Lui aveva pensato che correnti favorevoli facilitassero la navigazione verso il Brasile partendo dalla Sierra Leone. Chissà forse non si era neppure sbagliato di tanto. Ma io non volli riprovarci. Diedi ordine a Carron di puntare sul Brasile, comunicandogli longitudine e latitudine. Astrolabio e sestante, miei strumenti di lavoro, mi dicevano che quella diretta era la miglior rotta possibile con una discesa graduale verso Sud‐Ovest. Non incontrammo inconvenienti di particolare rilievo. Vi erano dei buoni venti a gonfiare le nostre vele. Controllato ad alba ed al tramonto la nostra posizione, prima di alzarle o ammainarle, per trascorrere le notti cullati dalle onde. Temevo sempre la possibilità di scogliere imprevedibili in quellʹOceano già esplorato ma non così a fondo come sarebbe stato auspicabile. Accendevamo tutti i fuochi di bordo. Una scialuppa consentiva, ogni tanto, quando glielo richiedevo con segnalazioni, a Pietro Vivaldi di lasciare la Concepciòn e di salire a bordo della Santa Maria per consultazioni su dettagli di navigazione. Ecco apparire le coste brasiliane. Avevamo impiegato, sicuramente, meno tempo che nella prima spedizione di Ferdinando. Naturalmente, continuavo a pensare che i capitani spagnoli, ribelli o meno, in parecchie occasioni non avessero avuto torto nel contestare lʹoperato di Magellano. Più di duecento morti era costata quella decisione di proseguire lungo lo Stretto, e poi nel Mar de Sur, anziché invertire la rotta. Tornare a L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Siviglia. Annunciare la scoperta al mondo. Preparare una nuova spedizione, con forze fresche , viveri in abbondanza. Insomma, senza sacrifici inutili ed una ecatombe di uomini. Magellano, pensavo, sarebbe stato ancora vivo. Non potevo evitare, compiendo quella rotta, a quanto era accaduto. I dubbi , non riuscivo a dissipare i miei dubbi. Mi chiedevo con sempre maggiore insistenza una cosa: poteva lui, lʹammiraglio, ripresentarsi alla corte di Valladolid, dopo aver fatto giustiziare i capitani spagnoli ? Non mi stupivo più, portando avanti la mia quasi maniacale riflessione e ripensandola cento volte con la mente turbata, che non avesse avuto fretta di farlo. Sapeva, in cuor suo, che quegli hidalgos non gli avrebbero mai perdonato quel gesto estremo, quella punizione spietata. Eʹ possibile – mi chiedevo, formulando tra me e me nuove ipotesi – che Magellano, sapendosi condannato comunque, abbia cercato inconsciamente la morte. Lʹinconscio è forse più vitale e potente del conscio. Perché aveva proseguito, in pratica contro il parere di tutti. Perché chi non aveva osato aprire bocca per dare quel consiglio che tutti avevamo negli animi e sulla punta della lingua, cioé di tornare indietro , sapeva che le sue punizioni erano tremende. Aveva fatto squartare Gaspar de Quesada, dopo la decapitazione. Spettacolo orrendo, ma visto da tutti. E poi, una volta compiuta la scoperta dello Stretto, a che era servito chiedere: volete tornare o continuare ? Certo che Estevao Gomes, il primo pilota della SantʹAntonio aveva espresso (chissà quanto coraggio gli era costato quel parere) lʹopinione: torniamo comandante. Poi, preparandoci meglio, potremo tornare nel paso che ormai ci è noto. Gli era stato detto di non pensarci nemmeno. In modo tacito, ma perentorio. Lʹaveva letto nello sguardo impassibile e freddo di Magellano. Una determinazione assoluta: doveva andare avanti. A qualsiasi prezzo. Ma Gomes aveva portato la sua nave allʹ ammutinamento con tutti i suoi uomini. Questo era stato il suo torto, dopo un così buon consiglio non seguito aveva commesso un atroce gesto nei confronti di coloro che erano costretti a completare lʹopera ed a volgere la prua verso lʹOceano inesplorato. Anche Gomes, dunque, era stato responsabile delle nostre difficoltà nel Pacifico. Quando affamati e disperati, perché la pesca non riusciva, fummo costretti a cibarci di topi e persino a mangiare della segatura mista a delle gallette ormai L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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imputridite. Lo scorbuto, quellʹoceano che non terminava mai. Tutti gli sguardi perduti nel vuoto di quei marinai che non avevano neppure la forza di ribellarsi a colui che li aveva sospinti per ambizione verso lʹignoto. Lʹignoto, già. Le scoperte geografiche, i nuovi mondi. Ma mi chiedevo, sinceramente, a cosa sarebbe servito tutto ciò. A scoprirci nuovi nemici in ogni terra scoperta. Beato lʹEvo di Mezzo, beata ignoranza di tutto e di tutti. Già gli antichi romani, pensavo, ne sapevano troppo del mondo per la loro tranquillità. Terre in Oriente, terre nellʹestremo nord, conquiste, battaglie, popoli vinti, schiavi in catene. Anche gli spagnoli, adesso, mettevano gli indios in fila ad entrare nelle miniere di oro, dʹargento, di rame. Anche gli spagnoli abbattevano idoli ed antiche civiltà Atzechi, Maya, Incas. Trafugavano tesori immensi appartenenti a civiltà sconosciute, cancellate dalla faccia della terra. Ma anchʹio andavo avanti, sempre avanti. Avevo la prua diretta verso il Brasile ; poi sempre più giù, avrei rivolto le caravelle, per una sosta, verso il Rio de la Plata, quindi avrei costeggiato Patagonia e Terra del Fuoco, mi sarei infilato ‐assieme a Vivaldi sulla Concepciòn in quello Stretto e poi, costeggiando sarei risalito col mio carico fino al Perù dei Conquistadores. Già, con i loro elmetti pieni di piume strappate a qualche povero volatile, anchʹesso scoperto. Con i loro archibugi, le loro corazze, i loro cannoni. A fare scempio di carni umane. A portar via oggetti dʹoro, collane di perle, pietre preziose. Tutto per il lusso delle corti europee, per la potenza navale e terrestre di quella gente che se ne stava nei salotti ad oziare e a divenire ogni giorno più ricca. Poveri Colombo, Caboto, Nunez de Balboa, per giunta decapitato come un malvivente, Cabral, Tristan da Cunha, e quanti altri. Avrebbero aggiunto il mio nome tra coloro che provarono lʹingratitudine del Portogallo o della Spagna ? Cominciai a temerlo. E mi venne quel giorno una gran voglia: virare di bordo e tornarmene a Cadice, affermando che non avevo ritrovato lo Stretto di Magellano. Al diavolo la fama ed i soldi ! Certo restava lʹonore di mantenere gli impegni con gli armatori e con la Casa de Contratacion. Alla fama ed allʹoro della Spagna avrei anche potuto rinunciare. Allʹonore, no. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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LE DUE CARAVELLE PROSEGUONO IL VIAGGIO Pancaldo , dʹintesa con Vivaldi, aveva ridotto al minimo la permanenza a Rio de Janeiro, ormai consolidata colonia portoghese. Le navi spagnole – essendosi ormai normalizzate del tutto, con reciproco vantaggio, le relazioni nel Nuovo Mondo tra la corte lusitana di Montemor o moro e quella dellʹEscorial – attraccavano in modo regolare nel porto brasiliano ed il governatore portoghese ormai accoglieva bene le caravelle e le caracche della nazione amica e confinante. La nazione iberica ‐ sotto il dominio di Carlo V‐ governava un impero. Il Portogallo era, per così dire, entrato nella sfera dʹinfluenza a pieno titolo. Ma Leon non aveva un buon ricordo dei portoghesi e riduceva al massimo, per quanto possibile, la loro frequentazione. Lasciato Rio de Janeiro, rotta a sud, la navigazione procedette in modo del tutto tranquillo. La Santa Maria e la Concepci òn giunsero finalmente in vista del Rio de la Plata. Eʹ un mare – esclamò Vivaldi dalla tolda della sua caravella‐ è davvero immenso.” Pancaldo sorrideva a bordo della Santa Maria. In effetti, pensava, tutti lo avevano scambiato per un mare. Annotò ancora sul suo diario: “Ci ritrovammo allʹestuario di quel fiume che Magellano aveva con certezza indicato come un mare e che avrebbe dovuto portarci allʹaltro oceano. Mi veniva in mente, rivedendolo, la speranza che si era accesa in tutti noi, uomini degli equipaggi la prima volta che esso apparve dinnanzi ai nostri sguardi . Ma, dopo pochi giorni, la delusione fu davvero crudele. Ecco fu lì che tutto si decise. Magellano perse definitivamente la fiducia dei capitani spagnoli, quando cominciò a dubitare. Le mappe di Ruy Faleiro si erano rivelate erronee, oltre ogni possibile dubbio. Non era quello il passaggio. Ma valeva, la pena di spingerci oltre . Sapevo che gli spagnoli lo avevano fatto ed ai bordi di quel fiume era sorta la città di Espiritu Santo y Puerto Santa Maria del Buen Ayre. Avrei voluto rivederla. Così come avrei voluto sostare più a lungo dallʹaltro lato a Montevideo dʹUruguay. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Ma la mia rotta era tracciata e la meta, il Perù, ancora lontana. Dovevamo ripartire. Lo dissi a Vivaldi, il quale mi chiese – un poʹ ingenuamente – se non avremmo potuto destinare i nostri carichi agli spagnoli del Rio della Plata, anziché mantenere la rotta fino al Perù. Gli risposi che quelli non erano i patti. Noi avevamo stipulato con gli armatori di Valencia clausole precise. Dovevamo attraversare lo Stretto di Magellano e poi risalire quelle terre fino al Perù, luogo di destinazione delle merci che avevamo nelle stive. Eʹ vero – mi rispose il mio secondo – la nostra meta è ancora lontana”. E risalì sulla Concepcion ad ordinare che si levassero le ancore. Ma, senza saperlo, Vivaldi era stato buon profeta. In fin dei conti il carico sarebbe finito proprio ai conquistadores del Rio de la Plata. Nelle circostanze che ora indicherò. “Sembrava triste e preoccupato Vivaldi. Certo, la navigazione più difficoltosa per noi doveva ancora venire. Si trattava di ripercorrere quel passaggio che, nel frattempo, non si era fatto una buona reputazione presso i marinai iberici. Ben due spedizioni spagnole – avevo appreso a Valencia per bocca degli stessi armatori ‐ erano andate perdute proprio lì . Per questo gli spagnoli mi avevano cercato. Si erano detti: è lʹultimo nocchiero della spedizione di Magellano. Lʹultimo ad essere tornato in patria, circondato da una nomea di grande navigatore. Chi meglio di lui può contribuire a superare quello Stretto che, in fondo, anchʹegli ha contribuito a scoprire. Era vero. Mi sentivo allʹaltezza dellʹimpresa. Ma il destino mi era avverso. Vivaldi aveva avuto, forse, una premonizione. Certo, la Patagonia non ci presentò un volto sereno. In quel punto la navigazione costiera si fece difficile. Gli attracchi perigliosi. Riuscimmo, non senza grandi difficoltà, a prendere terra, nuovamente nella baia di San Julian. Ma mi accorsi subito che le popolazioni indigene non erano così amichevoli come la volta precedente. Avevamo messo in catene alcuni indios dai grossi piedi. Sì, poi erano morti di stenti a bordo delle nostre caravelle. Gli indigeni della Patagonia evidentemente non lo avevano dimenticato. Guardammo a lungo dai ponti di comando quella gente che ci osservava senza fare segni di amicizia. Non si poteva parlare di ostilità aperta. Non avevano lance e frecce. Almeno, le armi non erano visibili. Dissi ai marinai del mio equipaggio che si sbrigassero ad imbarcare dalle vicine L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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sorgenti i barili di acqua fresca. Chiesi ai due servitori malesi di accompagnarmi a terra, come guardie del corpo, muniti dei loro kris per ogni evenienza. Ordinai a Vivaldi di rimanere a bordo della Concepcion e di tenere pronte le armi. Extrema ratio. Così pure le scialuppe di salvataggio. Non vi furono atti di ostilità, ma capii dagli sguardi di quelle genti che la spedizione di Magellano e , forse, visite successive di conquistadores avevano lasciato nei loro animi sentimenti di rancore, di paura ma anche di rabbia verso di noi bianchi. Ci temevano, li avevamo incuriositi dapprima ; adesso, ci odiavano. Ricordavo con commozione la descrizione che di un patagao (dai grandi piedi) aveva fatto il povero Pigafetta nella sua narrazione del viaggio: ʺQuesto era tanto grande che non gli arrivavamo alla cintura e ben disposto; aveva il volto grande, dipinto tutto attorno di rosso e intorno agli occhi di giallo, con due cuori dipinti in mezzo alle guance. I pochi capelli che avea erano tinti di bianco, era vestito di pelli di animali cucite sottilmente insieme.ʺ Così erano rimasti, più o meno, i patagoni, m a era finita quella primitiva, ingenua, accoglienza gioiosa che aveva caratterizzato il primo contatto con quel mondo ostile per la natura, ma così caloroso per il ricevimento riservatoci dagli uomini che lo abitavano. Le loro donne avevano smesso di sorridere agli stranieri. Guardavano con aria inquieta i miei marinai. LʹEden aveva perso la sua ingenuità, la sua naturalezza. Il sospetto aleggiava ovunque, la sfiducia era palese. Lʹodio covava sotto le ceneri dei loro villaggi. Terra del Fuoco, appunto, un fiamma di rancori e di conti non ancora sistemati con i bianchi che possedevano il lampo ed il tuono, che apparivano nelle loro argentee corazze, ma solo per portarsi via degli schiavi o imporre una prepotenza odiosa a schiere di indios inermi, la cui ingenua nudità aveva pagato un prezzo troppo alto alla civilizzazione spagnola. Rinnovate le provviste , non indugiai oltre in quelle terre. Ormai, sapevo che lo Stretto era a poche giornate di navigazione. Non come quella volta che ci eravamo spinti sino a San.Sebastian, una semplice insenatura rocciosa che ci aveva celato quel misterioso labirinto di mare, sfociante sul grande oceano. Adesso, si trattava di ripercorrere quel labirinto. Senza mappe precise, ma col ricordo ancora vivo nella mia mente e con la certezza che quel che era già stato compiuto poteva, tranquillamente, ripetersi. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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TEMPESTE NELLO STRETTO . LA CONCEPCION Eʹ PERDUTA Giungemmo in vista dello stretto di Magellano allʹalba di un giorno piovoso. Il mare era agitato, le onde ci sballottavano da ogni parte. Confesso che guardando quelle onde minacciose e quelle rocce che cadevano a picco, quelle montagne livide e spazzate dai venti di tempesta, provai un senso di sgomento. Un freddo dentro a stringermi il cuore. Ecco apparire il Capo delle Vergini. Frastagliata la costa, desolati ed inospitali i rari tratti di spiaggia tra le scogliere a strapiombo, contorni tormentanti di colline deserte. Gli uomini della ciurma cominciarono a mormorare, come avevano fatto quelli della Triniad. Curiosa ripetizione dei cicli storici, rappresentati da questa mia seconda spedizione. Le due navi beccheggiavano ed ondeggiavano. Compresi che Vivaldi era inquieto dai segnali che, sul calar delle tenebre mandava dalla Concepcion. Gli segnalai di procedere seguendo la scia della Santa Maria. Poi pensai che era meglio virare di bordo e tornare verso San Sebastian. Avremmo tentato la traversata dello Stretto in condizioni più clementi. Entrambi gli equipaggi riuscirono a compiere lʹinversione di rotta in modo encomiabile, tanto più che in quella angusta spaccatura, tra le colline a strapiombo sul mare, le manovre non erano facili. Cʹera il rischio di essere sbattuti contro gli scogli o di arenarsi sulla riva. La fortuna ci sorrise. Uscimmo dal labirinto di baie, di insenature, di banchi di sabbia. Ma il giorno seguente, mentre si costeggiava nuovamente la Patagonia, una bufera ancora più rabbiosa si scatenò sulle nostre teste. Vidi la Concepciòn catturata in una sorta di mulinello dʹacqua, sbalzata in preda ai marosi e trascinata senza più opporre resistenza. Aveva le vele ammainate, per fortuna, altrimenti lʹimpatto contro la riva sarebbe stato disastroso. Ma andò ad arenarsi irrimediabilmente, con la chiglia lacerata dagli scogli. Era perduta. Feci di tutto, urlando ordini a Diego Carron affinché mantenesse la barra per attendere più al largo che la tempesta si calmasse. Guardavo ansiosamente la riva per vedere come la ciurma dellʹaltra nave avrebbe reagito. Lʹimbarcazione era ormai arenata. Ma gli uomini erano salvi, poiché, per fortuna scorsi le loro sagome che facevano grandi gesti verso la Santa Maria, avevano alzato lembi delle vele per segnalare la loro posizione in quella L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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insenatura dove era rimasta rovesciata su un fianco la Concepciòn. Appena, le acque si calmarono, riuscimmo a trovare un approdo. Pietro Vivaldi ci venne incontro sulla spiaggia. Era lʹimmagine della costernazione e del rimpianto. Non me la sentìì di fargli il minimo rimprovero perché la sua bravura non era minimamente in causa. Oltre al vento, la sua nave si era evidentemente infilata in una corrente irresistibile. ʺEʹ stato tutto più forte di noi ‐ esclamò ‐ facendo un gesto rassegnato in direzione della ʺConcepciònʺ. Non ci sarà modo di rimetterla a galla.ʺ ʺNo. Eʹ perduta.ʺ confermai, senza asprezza nella voce. Anchʹio ero rassegnato a quel destino beffardo che si prendeva gioco dei marinai, anche dei più avvertiti. Gli elementi naturali avevano spesso lʹultima parola, a prescindere dalle capacità degli uomini. Mi recai, assieme a Vivaldi e ad altri uomini della sua ciurma ad ispezionare la situazione sulla riva. Diedi disposizioni affinché quel era possibile salvare delle mercanzie venisse trasbordato sulla Santa Maria. Naturalmente, tutti gli uomini della Concepciòn , una ventina in tutto, salirono a bordo della Santa Maria. Cercai di fare coraggio al mio secondo, visibilmente abbattuto. ʺForza Pietro. Inutile recriminare. Colpe non ve ne sono. Gli armatori ci chiederanno dei conti. Glieli daremo. Il viaggio continua. Saremo un pò più stretti a bordo; questo è tutto. Adesso, non cʹè tempo per valutare i danni. Abbiamo perso la Concepcion. Ci rimane la Santa Maria. Diedi ordine di abbassare le vele e col favore di un vento in poppa , ci ripresentammo dinnanzi allo Stretto. Ma i marinai cominciarono a mormorare, quasi a volerci far capire a Vivaldi ed a me che, quanto a loro, ne avevano avuto abbastanza. Ricordavo fin troppo bene cosa aveva voluto dire, per Magellano, razionare i viveri a bordo, scontentare gli altri ufficiali, insomma, fare di tutto per rischiare lʹinsubordinazione e lʹammutinamento. Non avevo i suoi poteri; la mia era una missione prettamente commerciale e mi imponeva di assumere il minor numero possibile di rischi. Ma, vedendo quel mare ribollire allʹingresso dello Stretto, quelle fosche nubi cariche di pioggia, decisi ‐ contrariamente al grande Magellano ‐ di non pasar adelante, di non procedere oltre, di non lanciare una seconda volta i dadi per sfidare apertamente la sorte. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Prudenza del capitano di una nave mercantile e non lʹavventatezza di un grande esploratore dei mari sconosciuti. Si sarebbe detto questo, ma cosa importava. Non eravamo certo lì a caccia di primati. Di nuove circumnavigazioni. Certo, sarebbe stata una colossale impresa raggiungere con un bel carico i conquistadores del Perù. Ma non era possibile. Tutti a bordo convennero con me (Vivaldi per primo) che era molto più prudente limitarsi a raggiungere un porto spagnolo, dove scaricare le mercanzie. Tutti sapevamo che nella città fondata da Pedro de Mendoza, Ciudad del Espiritu Santo y Puerto Santa Maria del Buen Ayre, vi erano i conquistadores spagnoli. Si poteva negoziare lì, con lo stesso governatore de Mendoza, che si trovava ad Asuncion, la vendita del carico. IL NUOVO ARRIVO SUL RIO DE LA PLATA ʺ Gli uomini a bordo chiamavano Pietro Vivaldi don Juan Pedro de Vivaldo. Ma che hai in fondo al cognome ‐ gli chiesi un giorno, durante la navigazione verso il Rio de la Plata ‐ una ʺiʺ oppure una ʺoʺ. Mi rispose che anchʹio, forse, avevo perso una vocale, nel cognome, in favore di unʹ altra ‐come dire ‐più adatta ad un hidalgo, più iberica, ecco. ʺNon ti chiamavi per caso Pancaldi, tu e tutta la tua famiglia ? mi chiese , con fare sornione. ʺNo. Mi chiamavo Pancaldo, fin dallʹinizio. Non sono come te che mi nasci genovese e mi diventi spagnolo strada facendo!ʺ gli dissi , ridacchiando, per tenermi e tenergli su il morale. Ricordavo le deduzioni filologiche del buon amico Pigafetta, con un groppo in gola perché il vicentino era passato a miglior vita ad esplorare regioni del cielo davvero sconosciute ai mortali. ʺSappi, che mi chiamo Pancaldo, e cioé Pane Caldo. Capito ? I miei avi dovevano avere un forno per fare il pane.ʺ ʺAvrei dovuto conoscere i tuoi avi al posto tuo. Avrei avuto almeno diritto ad una bella pagnotta fumante, perché non ne posso più di queste gallette!ʺ ʺA Ciudad del Espiritu Santo, sarai accontentato.ʺ gli dissi. E fui un pessimo profeta. Perché i conquistadores di Mendoza avevano una fame da lupi, altro che pane, e tutti quanti erano laceri e smunti come dei mendicanti, tanto erano privi di viveri. Ma non voglio anticipare cosa trovai e come andò a finire. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Ricordo che il ritorno sulla rotta del Nord, dal cinquantesimo grado di latitudine al quarantesimo, si svolse con una navigazione tranquilla e senza problemi. Addio alla Terra del Fuoco, addio alla Patagonia. E rieccoci di fronte al maestoso Rio de la Plata. Si trattava di risalirlo fino alla città dei conquistadores. Li immaginavo facoltosi clienti. Gli armatori di Valencia potevano ancora realizzare cospicui guadagni. Per un bel tratto, mentre risalivamo il grande fiume, notai che non vi era anima viva lungo la costa, sia dal lato destro che da quello sinistro. Tenevo la Santa Maria bene al centro, per paura delle secche e dei banchi di sabbia. Vi avevo pilotato la Trinidad e sapevo, per esperienza, quanto fosse rischioso risalire il Rio. Volli essere estremamente cauto; prudente fino alla pignoleria. Avevo una scialuppa a bordo e decisi di esplorare le sponde dellʹimmenso Rio con quella piccola imbarcazione assieme al nostromo. Per maggiore sicurezza, data la possibile, eventuale presenza di indios ostili, chiesi ai due servitori malesi di accompagnarci come guardie del corpo. Lasciai Vivaldi o ʺdonʺ Pedro Vivaldo, come preferite, come secondo capitano sulla Santa Maria, che aveva gettato lʹancora in una piccola insenatura del fiume maestoso. In avanscoperta sul fiume, potei verificare meglio le condizioni dei banchi sottostanti. Notai su mappe improvvisate , tutti i possibili intoppi alla navigazione. Tenni a mente i luoghi. Nel frattempo, come appresi al mio ritorno, Vivaldi ebbe la visita di un galeone spagnolo. Era rimasto, il buon secondo, a bordo come gli era stato ordinato. Il giorno seguente, mi raccontò poi, aveva visto apparire allʹestuario del fiume, diretto verso lʹinterno un galeone spagnolo, dal nome suggestivo El Dorado che aveva affiancato la Santa Maria alla fonda. Il capitano, di cui feci la conoscenza, al mio ritorno sulla caravella, si chiamava Anton Lopez de Aguiar, un fiero comandante di Siviglia che era stato fatto salire a bordo della Santa Maria da Vivaldi, con tutti gli onori che la circostanza imponeva. Così andavano trattati i capitanes y hidalgos imperiali . Tutti i semplici ʺgrumetesʺ (marinai ) erano scattati sullʹattenti allʹarrivo di Anton Lopez de Aguiar. Costui disse che si trovava sul galeone alla ricerca di una nave, la L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Santiago, che era comandata da Alonzo Cabrera. Vivaldi spiegò lo scopo del nostro viaggio e la mia assenza. ʺIl comandante Pancaldo ‐ gli disse ‐ è partito in ricognizione. Cerchiamo la città di de Mendoza. ʺ ʺPosso condurvi io, senza problemi. ʺ ribatté il comandante spagnolo. ʺAnzi, è proprio lì che sono diretto. Immagino che Alonzo Cabrera sia attraccato A Ciudad del Espiritu Santo y del Buen Aire. Devo trovarlo.ʺ Lopez de Aguiar avrebbe voluto che Vivaldi partisse subito, assieme al suo galeone, per risalire il Rio. ʺTanto ‐ gli disse ‐ il vostro comandante tornerà con la sua scialuppa e lo incroceremo. Vivaldi non volle sentire ragioni e osò dire di no al fiero hidalgo. Se voleva continuare la ricerca di Cabrera, che partisse da solo a bordo di El Dorado. Quanto a lui, ligio agli ordini ricevuti, mi avrebbe atteso al posto convenuto. Gliene sono ancora grato. Giunsi pochi giorni dopo e scorsi da lontano il galeone spagnolo che affiancava la Santa Maria. Quando de Aguiar vide la scialuppa, chiese dal galeone, di poter tornare sulla caravella, per conoscermi di persona. Era un pò altezzoso, ma niente di più. Decidemmo, di comune, accordo di ripartire. Il galeone ci avrebbe guidato fino alla nuova città, nel cui porto lʹhidalgo sperava di trovare Cabrera. Ma questʹultimo si trovava allora in Brasile. Lo apprendemmo più tardi. Dissi che per me andava bene e riprendemmo la navigazione. El Dorado apriva la rotta. La Santa Maria seguiva. Fu una leggerezza da parte mia, affidarmi ad un comandante di cui non conoscevo nulla, neppure il nome. Solo il volto: lunghi baffi appuntiti, una barbetta caprina; occhi neri mobilissimi e curiosi di tutto. Un portamento degno di un grande di Spagna. Ma come navigatore, una testa vuota. Seguimmo il galeone. Ebbi modo di pentirmene. LA SANTA MARIA SI INCAGLIA AL RIACHUELO Il grande fiume aveva sponde desertiche, il suo centro era punteggiato da scarni L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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isolotti. Tutto lasciava presagire che vi fossero banchi di sabbia insidiosi per la navigazione. Ne avevo visti parecchi con i miei occhi, durante il viaggio sulla scialuppa. Ma non tutti erano stati esplorati. Giungemmo, comunque, in vista della prime case molto modeste della nuova città del Buen Ayre. Alla congiunzione con il Riachuelo. E fu lì, mentre stavamo per attraccare, che andò prima ad incagliarsi il galeone e, troppo tardi per evitare il ban co di sabbia, anche la “Santa Maria”. Sentii la chiglia finire improvvisamente con un brusco scossone contro il fondale. Tutta la caravella ebbe un tremito. Mi misi ad urlare con quanto fiato avevo in gola di ammainare le vele e di virare di bordo. Ma la spinta contro il fondo era inarrestabile e, per un breve tratto, continuammo ad insabbiarci. Il galeone El Dorado era ormai immobile, reclinato sul fianco destro. A bordo di quellʹimbarcazione, vi erano solo armi. Non interessavano a quei Conquistadores, visto lo stato in cui essi erano ridotti. Una folla cenciosa, veri e propri desesperados, smunti, magrissimi, si affollò attorno alle due navi incagliate. Chiesti di parlare con il governatore. Mi venne risposto da quello che doveva essere un rappresentante locale dellʹordine, un sottufficiale che de Mendoza era ad Asuncion. Lo avrei visto in seguito. Il sottufficiale era accompagnato da due guardie. Tutti e tre salirono a bordo. Non impedirono ad altri uomini visibilmente male in arnese di salire sulla Santa Maria. “Noi trasportiamo un carico importante di viveri – dissi a Giovanni DʹAranga, questo il nome del funzionario – appartengono ad armatori di Valencia. Eravamo diretti in Perù.” “Ma ora siete qui. Incagliati davanti al nostro porto.” La folla si era ingrossata. I tre rappresentanti dellʹordine erano stati raggiunti da altri appartenenti alla truppa locale dei Conquistadores. “Dobbiamo cominciare la distribuzione del carico ‐sentenziò DʹAranga – ne abbiamo bisogno assoluto.” “Va bene per i viveri, i generi commestibili, di abbigliamento, insomma di prima L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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necessità. Ma per i beni preziosi, come facciamo. Eʹ un carico che non mi appartiene, Senor. Dovrò renderne conto agli armatori. E assieme a me, il mio secondo don Pedro Vivaldo....” “Spagnolo ?” chiese il funzionario sbirciando il vecchio nostromo. “No, veniamo entrambi dalla Liguria... Ma battiamo bandiera spagnola. Lo vedete no ?” “ Intanto, uomini e donne, davvero demuniti chiedevano a gran voce qualche cosa con cui comer. Poter mangiare. Poveretti. “Facciamo così – dissi – quello che verrà distribuito a questa gente, dovrà essere ripagato agli armatori. Poiché vi è uno stato di necessità, acconsentiamo a trasferire il carico dei beni più necessari a coloro che lo richiedono e ne abbisognano. Potranno, beninteso, firmare degli atti, impegnandosi a pagare in futuro.” “Sì, gridò un uomo, quando troveremo lʹoro e la plata, lʹargento. Pagheremo, pagheremo. Ma, intanto, dateci da mangiare.” Il sottufficiale fece un rapido inventario, aiutato dal nostromo e dal magazziniere addetto alle stive di viveri. Era cominciata la distribuzione. La gente affamata aveva invaso letteralmente la caravella. Cʹerano donne con gli occhi infossati. Ma la maggioranza erano i poveri Conquistadores di de Mendoza, trasformati in una sorta di corte dei miracoli, e costretti a mendicare un chilo di gallette, del pesce affumicato, dei fagioli, delle lenticchie... Cʹerano anche pezzi di sapone, che vennero afferrati al volo. Il DʹAranga cercava di regolare il tutto alla meno peggio. Ci aveva raggiunti sulla tolda di comando un mortificatissimo Anton Lopez de Aguiar. Il poveretto faceva quasi pena. Aveva unʹespressione sul volto imbarazzata e confusa. “Ci siamo incagliati; temo non vi sia più alcunché da fare se non scaricare quanto abbiamo a bordo”, mi disse , cercando di nascondere in qualche modo il suo orgoglio ferito di capitano spagnolo. Sentendo parlare di cose a bordo, il sottufficiale gli chiese, speranzoso: “Che avete su El Dorato. A proposito, bel galeone peccato da quelle secche non si muoverà mai più.” L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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“Corazze, spade, archibugi, moschetti, polvere da sparo, lance da tornei, palle di cannone e cannoncini agli oblò, come potete vedere...” La gente attorno a lui e quelli rimasti sul ponte ascoltavano con facce smunte, magrissimi, occhi infossati, spalle cadenti; cʹera nelle espressioni di tutti smarrimento e dolore. Uno sgomento generale, quasi palpabile. I prodotti bellici elencati dal fiero conquistador non interessavano una cicca, perché di quella roba, i soldati del governatore, don Pedro de Mendoza ne avevano i depositi pieni. Quel che occorreva erano invece i viveri per campare. Generi commestibili di prima, indispensabile, necessità; in attesa dei nuovi raccolti delle piantagioni. Quelli da tempo attesi, a causa di unʹondata di maltempo, erano stati gravemente danneggiati o erano andati perduti. Insomma, cʹera una carestia che colpiva non solo le popolazioni indigene, ma gli stessi spagnoli giunti in quella colonia appena fondata in cerca di fortuna. Lʹarrivo della “Santa Maria” per loro era una manna dal cielo. Ci eravamo arenati sui banchi di sabbia e questo era un segno del cielo. I conquistadores avevano una fame da lupi e sulla nostra caravella cʹera di che sfamarli e rifocillarli almeno per qualche tempo. Il carico del galeone venne ostentatamente ignorato. Gli indios erano già stati sottomessi. Gli archibugi però potevano servire per la caccia. E qualche colono che ancora si reggeva in piedi corse a procurarseli. Noi avevamo di che sfamare la moltitudine. Accettai tutti i “pagherò” che quella gente mi porgeva in cambio dei viveri. Accatastai quelle cambiali sul tavolaccio di bordo. Alcuni fogli recavano la firma con tanto di nome,cognome, professione dellʹesecutore ed indirizzo. Altri, non recavano alcuna firma. I più avevano firmato quegli impegni sine die con delle semplici croci, poiché erano analfabeti. Io sapevo benissimo che quei fogli di carta valevano zero. Non avrei ricavato un solo ducato, un solo maravedi, né una corona. Ricordavo però lʹimperativo contenuto nelle parole del Vangelo: dare da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi. Si portavano via i sacchi in spalla, sotto gli occhi preoccupati dellʹequipaggio che, però, teneva dʹocchio le stive. Cʹerano anche i nostri approvvigionamenti e quelli, per Giove, non dovevano sparire. I marinai erano pronti a difenderli con le unghie e con i denti. Dovetti dire loro di stare calmi e di lasciar fare, tanto ce ne sarebbe stato per tutti. Almeno così speravo. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Ringalluzzito dal buon esito delle operazioni, il sottufficiale DʹAranga, spalleggiato dai due gendarmi che lo affiancavano sin dallʹinizio dello scarico merci, mentre la gente del posto, in modo abbastanza dignitoso ed ordinato, con pacatezza, si serviva lasciando a me le cambiali, decise di colpo di fare dello zelo. Mi apostrofò con improvvisa durezza, indicando con lʹindice accusatore i miei servi malesi, dai nomi impronunciabili, i quali – sentendo odore di guai – se ne stavano timidamente in disparte. “E quelli chi sono ?” mi chiese, sospettoso. “Lo vedete. Due servitori malesi. Tutto regolare. Li hanno destinati al mio personale servizio gli armatori di Valencia.” “Tutto regolare, un corno!” esclamò con scortesia. E aggiunse:”Sono schiavi. Eʹ proibito introdurre schiavi in questa nostra città; almeno senza pagare le tasse previste.” Persi la pazienza e mi saltò la mosca al naso, come capitava di frequente a qualsiasi marinaio ligure degno di questo nome. “Ma che ti venga un poʹ di bene! ‐ replicai a muso duro – ci siamo appena arenati su un banco di sabbia. Lo vedi con i tuoi occhi oppure no ? Sei salito a bordo con i tuoi uomini. State arraffando tutto il carico, compresi generi voluttuari non di prima necessità... Sì, sì: inutile che neghi ti ho visto! Queste persone hanno diritto a sfamarsi, ma scusa se non sono passato alla dogana a pagare le tasse, nel frattempo. E poi, ficcatelo bene in zucca: i due servitori non sono schiavi.” “Sono schiavi e farò rapporto al governatore !” “Bravo. Fai così e adesso scendi dalla mia nave! A proposito, come vedi sul mio tavolo si stanno ammucchiando un sacco di riconoscimenti di debiti, che un bel giorno gli armatori faranno valere stanne certo. Allora, mettici anche questo nel tuo rapporto al governatore.” “Eʹ vietato introdurre schiavi...” rispose, cocciutamente, a corto di argomenti. “Senti, amico del sole, ‐ replicai – forse sarò proprio io a pagare per tutti voi. Lo faccio volentieri, per questi poveretti . Ma adesso falla finita col possesso degli schiavi che schiavi non sono.” “Farò rapporto al governatore, appena tornerà da Asuncion.” “Ti ho detto di darci un taglio.” A questo punto, il capitano del galeone intervenne in mio favore: “Subordinato ignorante – esclamò – come vi permettete di minacciare e di usare un simile linguaggio con el senor Pancaldo, che vi sta salvando tutti dalla carestia, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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sacrificando il carico ? Eʹ un capitano che naviga sotto bandiera spagnola, lo avete dimenticato ?” Il sottufficiale se ne andò con la coda in mezzo alle gambe. Ma sapevo che avrebbe riferito la faccenda al governatore. Ci saremmo rivisti in tribunale. Quanto a Lopez de Aquiar cercava di farsi perdonare il bel risultato ottenuto con la sua intraprendenza inopportuna sul Rio de la Plata. Proprio una bella manovra. Come capo rimorchiatore non lʹavrei più scelto per nessun motivo al mondo. Come avvocato invece sì. Di avvocati, Vivaldi ed io, avemmo proprio bisogno, per tutto il nostro soggiorno a Buen Ayre. Decisi di rimanere a bordo della Santa Maria, assieme a tutto lʹequipaggio. Non avevamo altro posto, in cui andare. Era la nostra casa. Pensando al focolare domestico, alla mia casa sulle rive del torrente, decisi – chissà poi perché – di ribattezzare la caravella “La Pancalda”. Con quel nome la nave venne conosciuta dagli abitanti, che da allora mi mostrano amicizia e riconoscenza perché col nostro provvidenziale, anche se obbligato, soggiorno li avevamo in qualche modo salvati, consentendo loro di avere provviste per superare il periodo più duro in attesa dei raccolti. Quanto a pagare i debiti, manco a parlarne. Da lì altri processi intentati dagli armatori. Era scritto la mia odissea doveva finire davanti ai giudici. RITORNA DA ASUNCION IL GOVERNATORE DE MENDOZA Finalmente, il condottiero De Mendoza tornò da Asunciòn a vedere come se la passavano i suoi Conquistadores. Se lo immaginava, purtroppo. E non aveva fretta di rivederli. Saranno ridotti pelle ed ossa, pensava lʹ Adelantado del re di Spagna. Dire che aveva promesso loro un sacco di maravedis, tutte le meraviglie di questo mondo, in quella terra dove persino le pietre erano pepite dʹoro. Un corno! Per mettere le cose in chiaro sin dallʹinizio sul possesso delle terre, una bella retata di indios seminudi e terrorizzati. Avevano riconosciuto subito, anche perché alcuni erano stati sbrigativamente giustiziati per ribellione, chi comandava lì. Ma a parte questo, ricchezze non ce nʹerano. In compenso cʹera la terra. Coltivabile. Non si era trovato lʹoro. Gli schiavi erano definiti, in modo cinico, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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lʹavorio nero. Ma i poveri indios erano deboli di costituzione e poco portati a lavori pesanti. Vivevano dei frutti della loro terra. Quando le tribù si combattevano tra di loro non era raro che vi fossero casi di antropofagia. De Mendoza fece una smorfia al pensiero del cannibalismo tribale, si accese un sigaro. Almeno il tabacco, quello si era trovato. Non rimaneva che aspettare i raccolti del mais, della barbabietola, delle patate, dei pomodori. Che diamine, qualcosa bisognava pure aggiungere ai prodotti della pesca e della caccia. Ma la sua gente comprendeva di tutto, avventurieri di ogni risma, racimolati nelle taverne di Malaga; poveri contadini richiamati dai miraggi delle terre da coltivare a condizioni vantaggiose per loro. E poi, i soldati al soldo della corona. Soprattutto quelli. Aveva la scorta, De Mendoza. Ci sarebbe mancato altro che cadere nelle mani di una tribù di selvaggi nel trasferimento da Asunciòn a Ciudad del Espiritu Santo e del Buen Ayre. Che razza di nome per un villaggio sgangherato, pensava il governatore in sella alla sua cavalcatura. Giunse in vista delle prime casupole e la sua sorpresa fu grande. Lì piantate nel centro del Rio, alla congiunzione con lʹaffluente, un bel galeone in secca ed una caravella, piantata sul fondale come una bottiglia nel fango. Sangre de Dios! esclamò il prode hidalgo. ʺAbbiamo avuto visite, a quanto pare.ʺ Poi sogghignò: ʺBattono bandiera spagnola. Mi auguro che siano carichi dʹoro e di viveri.ʺ Il suo vecchio cuore piratesco gli suggeriva che il carico fosse ormai al sicuro, sulla terraferma. Per il rapporto sulla vicenda convocò il sottufficiale DʹAranga, il quale ligio al dovere spiegò per filo e per segno cosa era accaduto sulla ʺSanta Mariaʺ, svuotata del carico, una parte del quale era conservata nei depositi del governatore, mentre lʹaltra se lʹerano divorata gli affamati. Pancaldo venne, immediatamente convocato dal governatore. Ce lo narra egli stesso nel suo diario segreto: ʺ Mi ritrovai di fronte il sottufficiale spagnolo, con un sorriso di scherno stampato sul brutto muso. Avrei voluto dargli un bel pugno sul naso, pur non essendo di natura un violento. Ma la sua aria canzonatoria era davvero indisponente. Era come se mi dicesse: per te cominciano i guai. Si limitoʹ a dire: capitano, il governatore vuole vederla. La prego di seguirmi. Le parole contraddicevano lʹatteggiamento del volto. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Anchʹio ero ansioso di conoscere il capo dei Conquistadores e, quindi, tallonato da Vivaldi, seguii il sottufficiale e le sue due inseparabili guardie. Fummo introdotti alla presenza di don Pedro de Mendoza, el conquistador. Presenza imponente davvero, con tabacco da masticare a portata di mano in una tabacchiera dorata; barba ispida, sguardo dʹacciaio. Don Pedro el conquistador era meno male in arnese dei suoi uomini, ma tuttavia, non aveva lʹaria troppo sicura di sé. La divisa era sgualcita, le medaglie messe sul petto a fare eroico sembravano obsolete. Come monete fuori corso. Sapeva che se non tornava in Spagna con i galeoni carichi dʹoro e dʹargento la sua carriera sarebbe terminata lì in quel villaggio appena fondato, che avevano chiamato Ciudad, ma che città ancora non era. Informato delle transazioni avvenute a bordo della “ Santa Maria”, il buon governatore dovette comprendere che, in fondo, era un debitore in presenza di un creditore. Gli armatori erano di Valencia. Qualcuno, alla fine, doveva pagarli per il carico sparito. Questo lo sapeva benissimo. Scorsi nel suo sguardo un lampo di furbizia che non piacque né a me, né a Vivaldi, il quale si era portato dietro una parte degli impegni di pagamento per i viveri presi a bordo dagli abitanti. Voleva mostrarli al governatore, ma egli non gliene dette il tempo. De Mendoza, lo comprendemmo al volo, dovette pensare che per saldare i debiti, la miglior difesa fosse lʹattacco. Aveva apprezzato il comportamento del suo sottufficiale e gli piacque lʹidea di mettermi sul banco degli imputati per la storia dei due schiavi malesi. ʺVoi sarete entrambi processati ‐ ci disse ‐ senza tanti complimenti. Avete introdotto, voi ed il vostro secondo, schiavi nella nostra città. Dovrete pagare una multa salata, come minimo. Molto salata.ʺ ʺAnche noi ‐ gli dissi senza temere le minacce ‐ abbiamo crediti da far valere nei confronti vostri e dei cittadini che comandate, poiché siete lʹAdelantado del Re, il governatore.ʺ ʺNon ditemi chi sono. Voi piuttosto, chi siete ? Chi sono io lo so benissimo, non cʹè bisogno di ricordarmi che sono la massima autorità. Dovrete rispondere ad un mio tribunale che deciderà con una sentenza il da farsi. Per ora, non muovetevi dalla vostra nave. Eʹ un ordine.ʺ Vivaldi sbottò: ʺGovernatore, stia tranquillo. Resteremo sulla nave. Dove vuole che andiamo ? ʺ L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Per fortuna, seppi dopo, venne ascoltato anche il capitano del galeone che ancora una volta parlò in nostro favore. Ma la denuncia era partita. Il tribunale era stato convocato. Il pretesto dellʹintroduzione in città dei due schiavi unʹeccellente trovata per lasciarmi col becco asciutto. Compresi che quella scusa serviva al governatore per nascondere la completa sparizione del carico. Intanto, tornai a bordo della “Santa Maria”. Assieme a Pietro Vivaldi che era divenuto lʹimmagine vivente dello sconforto, per non dire della disperazione. Mi faceva davvero pena. Bravissimo ed esperto nostromo come era sempre stato, pensava di aver fallito come capitano. Non era vero. Era stato un eccellente capitano per la Concepciòn. Ma lʹOceano ha le sue leggi ferree. Eʹ come un animale selvaggio che misura la propria forza con i migliori. A volte risparmia i mediocri, ma ci tiene soprattutto a sconfiggere coloro che sulle navi hanno trascorso unʹintera vita. Eʹ come dire: sei vissuto sulle mie spalle per sempre; adesso, devi pagare, in sol colpo, il prezzo che ti ha consentito di vivere. Errori di manovra, il povero Vivaldi, non aveva commessi. Quando lʹonda gigantesca aveva ghermito la sua caravella, aveva fatto eseguire tutte le operazioni previste in simili frangenti. Ma ogni marinaio può farne testimonianza. Il più forte è sempre il mare, lʹoceano, lʹelemento naturale che ha una serie di colpi segreti imparabili. Anche i migliori capitani lo sanno. Cʹè quasi fatalmente il punto vulnerabile che viene compreso da questa misteriosa divinità acquatica. Come se Nettuno, o Poseidone, la divinità dei pagani, insomma, sʹincarnasse ogni volta per quella che deve considerare come la sfida finale nei confronti di un uomo, indipendentemente dal valore o dalla bravura di costui. Senonché, mentre i conquistadores si apprestavano a processare me per la faccenda dei servitori malesi, gli armatori di Valencia avevano deciso di iniziare ricerche delle due caravelle scomparse che non davano più notizia alcuna e che, ovviamente, non avevano superato lo Stretto di Magellano e non avevano risalito la costa fino ai porti del Perù. I messi degli armatori finiranno per ritrovarci ed i tribunali della corona spagnola avrebbero avuto parecchio da fare, sotto lo sguardo compiaciuto del governatore De Mendoza. “ LʹAdelantado del Rey aveva così qualche capro espiatorio per far dimenticare alla corona di Spagna i propri fallimenti su quelle terre. Rovesci di fortuna che, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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forse non del tutto per colpa sua, avevano trasformato un esercito di Conquistadores in una legione di mendicanti, nella nuova corte dei miracoli del Buen Ayre. Davanti ad un indifferente e placido Rio de la Plata, gonfio dʹacque ma privo di vene aurifere e di plata,,cioé dʹargento. Un bel guaio per i rapaci spagnoli venuti per saccheggiare ricchezze inesistenti.* * Cʹerano dei bei pascoli e delle terre fertili, però, e la colonizzazione dei posteri dei Conquistadores dimostrerà che il sudore della fronte può portare egualmente a ricchezze e benessere. Nel caso dellʹArgentina , meravigliosi allevamenti di cavalli e ricche e prospere piantagioni. Ma i ricercatori dʹoro e dʹargento, i latifondisti, i capitalisti di pochi scrupoli, i militari, le guerre ed i tiranni renderanno, nella sua storia, ancora una volta povera una nazione che poteva essere immensamente ricca. E che, infatti, in alcuni periodi, lo fu. IMPUTATI NEI TRIBUNALI DEL RE Il primo giudizio, relativo allʹintroduzione di schiavi – prosegue il diario segreto di Leon – mi fu sfavorevole. Ma siccome le mie risorse finanziarie si limitavano ai pochi ducati e maravedis rimasti ed erano rappresentate,soprattutto, da quei fogli cartacei, che costituivano i riconoscimenti di debiti da parte della popolazione locale, i giudici furono dʹaccordo , nel riconoscere, che io non potevo pagare. Dovevano aspettare che rientrassi in possesso dei quattrini delle merci vendute.
Quei pochi viveri che rimanevano a bordo della “Santa Maria” (ormai tutti gli abitanti la chiamavano, familiarmente “La Pancalda”) vennero rapidamente consumati. Fu giocoforza per i marinai adattarsi ai lavori manuali a terra. Chi faceva il carpentiere,, chi il fabbro ferraio, chi si adattava a lavorare nei campi. La maggioranza della ciurma aveva chiesto di potersi imbarcare su navigli diretti in Spagna, in modo da poter rientrare in patria. Ciò era stato accordato senza difficoltà dal governatore, il quale si era preso in casa sua i miei due servitori malesi. A bordo rimanemmo Vivaldi, il pilota di Cadice, Alvaro Molinas ed il nostromo Diego Caron ed io. Si era imbarcato su una nave diretta in Brasile, alla ricerca di L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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Alonzo Cabrera, il nostro amico del galeone. Anton Lopez de Aguiar, che aveva appunto per missione di ritrovare lʹaltro navigatore. Prima di andarsene e di lasciare in custodia il galeone ad un gruppo di suoi subordinati che avevano deciso di rimanere sulle nuove terre, il buon capitano venne a trovarci a bordo, con la sua aria afflitta e con un basso profilo. “Mi dispiace, senor Pancaldo, per quanto è accaduto. Credetemi. Mi duole di sapere che siete qui trattenuto e non per colpa vostra. Mi sento responsabile per quanto è avvenuto a voi personalmente ed ai membri del vostro equipaggio. Quando tornerò in Spagna farò conoscere a tutti la vostra storia.” “Partirei volentieri con voi, amico mio, gli dissi, ma il governatore ci considera quasi come prigionieri, siamo comunque imputati in attesa di giudizio. Eppoi, essendo Vivaldi ed io, parte in causa anche nei processi, non possiamo andarcene.” “Già. Credete che la “Santa Maria” ed il mio galeone potranno essere disincagliati ?” “Ne dubito. Avremmo bisogno di una collaborazione che i conquistadores di Mendoza non intendono offrirci. Finiranno per trasformare le due imbarcazioni in legna da ardere, quando i rigori dellʹinverno giungeranno. Non lo hanno ancora fatto perché siamo nella belle stagione e poi cʹè un limite anche per i fuorilegge. La caravella è di proprietà di armatori spagnoli. Il galeone vostro, sicuramente, appartiene alla corona.” “Dunque, sono intoccabili. Ma non possono essere recuperati. Eʹ così?” “Per questo dico che finiranno come legna da ardere. Perché per farli navigare nuovamente occorrerebbe disincagliarli, riparare le falle sicuramente aperte negli scafi, rimetterle a secco in un cantiere navale. Insomma, qui non ci sono i mezzi. Aspetto di conoscere le decisioni degli armatori che non tarderanno a farsi vivi in qualche modo. Il governatore mi ha assicurato di aver inviato dei messi in Spagna, anche allo scopo di informare i committenti della nostra spedizione di quanto è accaduto. Precedentemente, avevamo già perduto una nave. Per fortuna, si era salvata la ciurma ed un parte del carico. Ma era destino – dissi con amarezza – che le cose dovessero andare storte. Non prendetevela troppo, don Anton, noi gente di mare a queste disavventure siamo abituati. Anche se, mi costa dirlo, provo lo stesso dolore che provai perdendo la Trinidad. Il gentiluomo di Spagna mi guardò stupito ed incredulo: “Quella Trinidad ? La spedizione di Ferdinando Magellano ? Eravate un navigatore sulla nave che L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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circumnavigò il globo !” Il suo stupore si trasformò in uno sguardo di ammirazione. “Ma lo avete detto a don Pedro de Mendoza ? Benedetto uomo. Volete tacere chi siete. Ma è una follia. I vostri meriti, il vostro passato parlano da soli. Lo dirò io al governatore, altro che. Non lascerò questo posto senza dire a tutti chi è Leon Pancaldo. Che diamine! Uno che ha circumnavigato il globo, rimane qui, agli arresti , per così dire, domiciliari su una caravella spagnola. Ma non diciamo eresie!” Ed, infatti, fece sapere tutto a Pedro De Mendoza, il governatore dei luoghi. Potrà sembrare incredibile, ciò che sono in procinto di narrare, ma non solo la rivelazione di chi io fossi peggiorò la mia situazione, ma addirittura il governatore me ne volle perché ero stato al servizio di un navigatore portoghese e lui, evidentemente., non amava i portoghesi. Lopez de Aguiar era già ripartito. Ci eravamo lasciati, commossi e stretta forte la mano, onorati della reciproca conoscenza. Immaginate la mia sorpresa quando il De Mendoza mi fece sapere da un suo messaggero che io ero stato citato come “insolvente” anche dal capitano del galeone “El Dorado “. Mi precipitai ad Asunciòn. Il governatore faceva la spola tra le due città ed era lì che potevo trovarlo. Fui ricevuto in sua presenza e mi disse le testuali parole: “Dunque, siete voi che avete navigato agli ordini di quel capitano portoghese, quello che aveva tradito il suo re ed il suo paese...” “Ma che era al servizio della Spagna, dellʹimperatore Carlo V, come ben saprete. Non è così ?” Replicai con acrimonia, guardandolo fisso negli occhi fino a costringerlo ad abbassare lo sguardo. “Non mi piacciono i portoghesi e neppure i traditori della patria.” si limitò a brontolare tra i denti. Poi rialzò la testa, lanciandomi unʹocchiataccia di sfida. “Osate negare che Magellano avesse tradito il Portogallo ?” “Magellano era un grande navigatore. La sua impresa travalica gli interessi delle nazioni. Eʹ il genere umano che gli deve riconoscenza.” “Ammettiamolo pure. Ma voi, in fondo, non eravate che il suo nostromo. Perché ve la prendete tanto a cuore ?” “Per un senso di giustizia. Credo che la Spagna debba rendere grandi onori alla sua memoria.” L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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“A proposito di giustizia, voi non siete messo troppo bene, nevvero Pancaldo.” “Eʹ il motivo per cui sono venuto a trovarvi.” “Contravvenendo allʹordine di rimanere a bordo della vostra caravella arenata!” “Sentire, governatore, questi sono affari legali e sottigliezze da giuristi. Lasciamole ai giudici. Oltretutto, mi sembrano questioni di lana caprina, data la situazione in cui tutti ci troviamo in questa terra non del tutto esplorata. Siamo , per così dire, ospiti e al tempo stesso prigionieri. Io sono qui in vostra presenza perché ho ricevuto una convocazione, una nuova, per un processo intentatomi dallʹamico de Aguiar. Non è possibile che sia stato lui. Ci eravamo separati in ottimi termini...” “Ne sono al corrente, state tranquillo. Me lo disse egli stesso che era vostro amico e che vi ammirava per quellʹimpresa compiuta. Anchʹio vi ammiro, don Leon, vi assicuro. Ma la legge è legge. Il galeone El Dorado vi ha scortato lungo il Rio de la Plata. Il suo equipaggio, la ciurma, reclama i maravedis dovuti per aver fatto da scorta alla Santa Maria.” “Ma è incredibile !”‐ esclamai ‐ “Sono certo che se il capitano del galeone fosse qui sarebbe il primo ad indignarsi per questa pretesa assurda. Anche lui si è incagliato. Lo sapete benissimo, quel galeone è lì piegato su un fianco. Non intendo attribuire colpe ad anima viva, ma se siamo finiti in questo bel pasticcio, lasciatemelo dire, il merito è proprio della nostra scorta, che ci ha fatto da guida fin sulle secche.” “Ma voi siete amico di Lopez de Aguiar.” “Ve lʹho detto. In fondo, un errore è ammissibile. Eʹ uomo dʹonore. Non può venire certo da lui la richiesta di pagamento per averci “rimorchiato” sui banchi di sabbia. Era il primo ad essere contrito ed addolorato per quanto è accaduto.” “Infatti, ammise il governatore, lʹiniziativa viene dal suo secondo che è rimasto a bordo del galeone, Luca del Pilar. “ “Il nostromo ?” “Eggià!” “La cosa, comunque, non sembra addolorarvi troppo. Eʹ così governatore?” “Che intendete dire ?” “Per essere franco, dopo le multe che mi sono state inflitte per la faccenda dei servitori...” “Degli schiavi...” “Sì, che ora sono al vostro servizio. Dopo quello dicevo, ecco adesso una nuova L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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iniziativa pretestuosa. Ciò vuol dire in chiaro che la Spagna ha deciso di rovinare lʹultimo navigatore fedele a Magellano. Non è così, don Pedro ?” “State attento a quel che dite e badate a ciò che fate. “ “Posso chiedervi a che punto sono le mie richieste di rientrare in possesso dei crediti ?” “Non è di mia competenza. Siete voi che avete accettato le cambiali ...” “I vostri uomini, governatore, erano affamati, laceri e disperati. Ho accettato volentieri. Dovevano salvarsi quei poveri diavoli. Certamente. Accettare i loro impegni cartacei non era un obbligo, ma unʹazione umanitaria. Lʹho compiuta e non me ne pento di sicuro. Ma, vi avviso, gli armatori chiederanno dei conti.” “Sicuramente, non a me, governatore della corona di Spagna. Statene pur certo.” “Avete notizie da Valencia o da Cadice , poiché mi avevate assicurato di aver fatto partire dei messi con le informazioni sulla sorte della Santa Maria ?” “Per ora no. Adesso, tornate a Ciudad del Espiritu Santo e del Buen Ayre. Chiuderò un occhio sul fatto che vi siete allontanato senza autorizzazione dalla vostra caravella, sulla quale – non dimenticatelo mai – siete agli arresti.” Tornai, dunque, a bordo dove trovai un Pietro Vivaldi in preda ad unʹestrema agitazione. Gli armatori spagnoli si erano fatti vivi. Purtroppo. Gli avevano fatto causa ( e per giunta, a mio nome!) per la perdita della caravella Concepciòn. Mi mostrò lʹingiunzione che un messo del tribunale locale gli aveva consegnato il giorno prima, quando io ero lontano. “Ho appena visto il governatore ad Asunciòn. Faceva finta di non saperne nulla. Dunque, gli emissari degli armatori sono giunti qui. Dovremo farci dire dove si trovano. Il documento parla di una causa nei tuoi confronti, intentata da me. Eʹ evidente che si tratta di un artificio giuridico. Dovevano mettere un nome sopra una citazione in giudizio ed hanno messo il mio senza neppure chiedere il mio parere, visto che non ci hanno raggiunti.” Vivaldi, di pessimo umore, replicò: “ Non ho pensato per un solo istante che tu mi avessi fatto causa. La situazione è paradossale. Ma siamo anche circondati da gente ostile, non da parte dei poveretti cui abbiamo salvato la vita con i nostri viveri, non i poveri abitanti affamati che, anzi, ogni giorno ci mostrano una qualche riconoscenza e si sentono, giustamente, in debito con noi. Abbiamo nemici nelle alte sfere del potere spagnolo. Così ben rappresentato dal L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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conquistador e adelantado del rey, De Mendoza. Quello sì che è un personaggio da tenere dʹocchio.” “Siamo nelle sue mani, caro amico. Stiamo sperimentando la riconoscenza dei grandi di Spagna.” IN EUROPA, LA PACE DI CAMBRAI Mentre tutto ciò accadeva nel lontano Rio della Plata, in Europa, i potenti potevano continuare a tessere i loro intrighi con accordi incrociati, paci separate, le ambasciate che prefiguravano future camarille e le intese futuri conflitti, guerre e guerricciole. Era stata conclusa la pace di Cambrai tra lʹImpero la Francia e quella di Barcellona tra lʹimperatore Carlo V ed il Papa. Tutto ciò rappresentò più che altro un intermezzo alla lunga catena di conflitti in cui venivano travolti soldati di ventura e povera gente. Papa Clemente aveva incoronato Carlo V a Bologna. Lʹimperatore si era sdebitato per la cortesia, piombando su Firenze, ormai lasciata sola dopo la partenza frettolosa dei francesi, e sottoponendo la ribelle città del Giglio allo stesso trattamento riservato anzitempo a Roma. Il Papa dei Medici non poté rallegrarsi della vittoria sui turchi ottomani, nellʹepica battaglia di Tunisi del 1535, perché era morto lʹanno precedente. Ma il suo successore Paolo III, che pochi anni dopo avrebbe indetto il Concilio di Trento, poté ospitarlo in visita a Roma, senza arrossire. Il Sacco e le azioni dei Lanzichenecchi erano per così dire dimenticate. Quindicimila case distrutte, trentamila persone in seguito a quella depredazione erano morte o erano fuggite dalla città eterna. Carlo V aveva potuto percorrere le strade di Roma, come se niente fosse accaduto. Un imponente seguito: cinquemila fanti, mille cavalieri e grandi di Spagna, cardinali, guardie dʹonore. Per far passare lʹimponente corte vennero abbattuti persino alcuni edifici. Lʹopera era compiuta. Così i reduci su terra e sui mari erano serviti, i militi ignoti delle caserme o quelli degli Oceani, come Pancaldo, ormai in un altro continente, erano dispersi a riflettere sulla sorte che tocca in genere agli umili e quella che, invece, si fabbricano generosamente i potenti, quelli che contano. Un bel contrasto, stridente, L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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nei destini degli uomini. ʺMi chiedevo, in quel villaggio appena fondato dai conquistadores ‐scrive ancora Pancaldo ‐ nel suo memoriale, se tutto ciò fosse valsa la pena. Avrei anche potuto vivere, restandomene tranquillamente seduto davanti al mio impetuoso torrente Letimbro, come, in Oriente avevo visto fare a certi santoni indù, seduti davanti al sacro fiume Gange, nelle loro vesti gialle, impassibili e apparentemente sereni. Il padre di Colombo, Domenico, aveva fatto nella mia città il cardaiolo. Avrei potuto farlo anchʹio. Invece, come il suo figliolo amante dellʹavventura, mi ero spinto per mari sconosciuti ed oceani inesplorati. Dovevo rimpiangere tutto questo? Dal trattamento che Cristoforo aveva ricevuto al suo ritorno dallʹultimo viaggio dagli spagnoli che lo avevano messo in catene, e da quello che stavo subendo io ad opera del governatore De Mendoza, sì, forse, dovevo rimpiangere il mio di agire. Ma col senno di poi... Non avevo, tuttavia, alcun rimpianto. Aveva condotto la vita così come lʹavevo scelta e voluta, a seconda della mia indole. Semplicemente, stavo seguendo il mio destino. Gli inviati degli armatori giunsero, finalmente, nella Ciudad a prendere in mano le cose. Li guidava un giurista, Lazarillo Munez, il quale volle parlare con me con Vivaldi e, alla fine,venne ricevuto dal governatore. Gli armatori intentarono causa a Vivaldi per la perdita della Concepciòn. Egli venne condannato a pagare le spese. Ma essendo demunito di tutto poté soltanto rimanere a bordo della Santa Maria, esattamente come me. Con me, gli armatori non ottennero alcuna rivalsa. Consideravo ormai conclusa la vicenda e vivevo quelli che apparivano alla ragione come i miei ultimi anni in mezzo alla popolazione, sulla mia nave. Era conosciuta da tutti e tutti potevano venirmi a trovare salendo a bordo della “Pancalda”. Tutti gli abitanti della nuova città la conoscevano con quel nome. In fondo, me ne rallegravo. La cosa mi faceva onore e mi faceva ricordare la mia vera casa lontana. Dove viveva la mia donna. La situazione, però, non era tranquilla. Vi fu una ribellione di indios. Quelle genti non sopportavano più i pesanti lavori cui erano sottoposti. Per un tozzo di pane. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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I conquistadores esigendo da quei poveracci fatiche inadatte alle loro deboli membra, li avevano portati alla disperazione. Giusto la forza necessaria per ribellarsi. Questo rimaneva loro. Non erano potenti guerrieri, ma non potevano sopportare oltre le cento angherie cui venivano sottoposti. Da qui, la rivolta. LA RIBELLIONE DEGLI INDIGENI Era una mattinata di cielo terso, dopo una settimana di continui temporali. I raggi del sole si riflettevano sulle tranquille acque del Rio, quando da bordo, udii un inconsueto rullio di tamburi ed altissime grida. Corsi sul ponte e mi affacciai alla balaustra. Anche Vivaldi era accorso e mi indicava un punto da cui si innalzavano colonne di fumo. Era un deposito di legname, cui gli indigeni erano riusciti ad appiccare il fuoco, prima di scagliarsi contro la caserma delle guardie. Avevano risposto i gendarmi con il tiro di moschetti e di archibugi. Vedemmo con i nostri occhi cadere molti indios. I più coraggiosi lanciavano frecce e lance. Apparve sulla riva, attorniato da un manipolo di soldati, Giovanni DʹAranga. La scena era irreale. Gli indios li avevano costretti con le spalle al fiume e li stavano falcidiando con i loro dardi. Cadevano uno ad uno, lanciando grida disperate al cielo. DʹAranga guardò in direzione della Santa Maria. Noi non avevano armi a bordo, ma gli urlai che avrei calato una scialuppa e che lo avremmo tratto in salvo. ʺResistete| ‐ gli urlai ‐ veniamo a soccorrervi.ʺ Balzammo , Vivaldi io ed il nostromo, sulla scialuppa a ci mettemmo disperatamente a remare verso la riva, raggiungendola abbastanza presto. I soldati ed il sottufficiale sparavano allʹimpazzata contro gli indigeni che cadevano a terra, urlando. DʹAranga riuscì a saltare a bordo. Lo seguirono in fretta e furia cinque gendarmi. Gli altri caddero prima di poter mettere un piede in salvo. Gli indios erano ormai vicinissimi. Forse, saremmo periti tutti nellʹimpresa, se i conquistadores di De Mendoza, che L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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già erano riusciti a domare la rivolta scoppiata più Nord (avevano dato alle fiamme decine e decine di capanne e di casupole, falciando le giovani vite di centinaia di guerrieri indios) non fossero sopraggiunti in forze prendendo alle spalle i selvaggi che erano giunti con le loro lance a pochi metri da noi. Fu una carneficina. Ma una freccia raggiunse al petto Pietro Vivaldi che stramazzò nelle acque del fiume con la faccia in avanti. Mi tuffai e riuscii con lʹaiuto degli uomini a bordo della scialuppa ad issarlo a bordo. Povero, vecchio amico. Tornati sulla nave lo trasportammo nella sua cabina, stendendolo su un giaciglio. Era pallidissimo, esangue. Non riuscimmo a fermare la emorragia . La freccia aveva trapassato un organo vitale. Spirò, pronunciando parole di rimpianto per la perdita della sua caravella. ʺMi dispiace, davvero. Non rivedrò più Varazze!ʺ Piansi la perdita dellʹamico fedele e persi anchʹio ogni speranza di tornare un giorno a rivedere Teresa e la mia città. Le mie condizioni di salute, di giorno in giorno, peggioravano. Ignoro quale ne fosse la causa. Avevo frequenti malesseri e mi sentivo stranamente debole. La perdita di Vivaldi, dal punto di vista affettivo e psicologico, fu per me il colpo di grazia. La ribellione degli indios venne domata nel sangue. Il nostro comportamento coraggioso e lʹaiuto che avevamo fornito al sottufficiale ed ai suoi uomini, aveva messo in tuttʹaltra luce la mia persona agli occhi degli spagnoli. Il governatore mi fece convocare a palazzo e mi ricevette con grande cordialità. ʺDevo elogiarvi ‐ mi disse ‐ per il vostro comportamento durante la rivolta. Avete salvato la vita al DʹAranga ed ai suoi uomini. Questo non possiamo certo dimenticarlo. Vi proporrò per una onorificenza. Frattanto, vi comunico che siete libero di andare dove volete qui nella nostra città. Siete ormai un cittadino a pieno titolo. Potete scegliere anche, volendolo, di tornare in Spagna e nella vostra terra, la Liguria, mi pare che sia.ʺ ʺDavvero, gli risposi, vi sono estremamente grato. In effetti, se potessi imbarcarmi su una nave diretta in Spagna e poi tornare nel mio paese, sarei lʹuomo più felice del mondo.ʺ L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ʺVedrò di farvi ottenere un posto a bordo del primo vascello che partirà per il viaggio oltre Oceano.ʺ Intanto, dovete sentirvi anche qui con noi, in mezzo ai conquistadores, come a casa vostra. Devo riconoscere che la provvidenza divina ha fatto arenare la vostra nave, con tutti i viveri che trasportava, nel nostro porto. Eravamo davvero allo stremo delle forze ed in condizioni molto precarie...ʺ ʺEffettivamente. Quelle provviste erano destinate, come voi sapete, agli uomini di Francisco Pizarro, in Perù...ʺ ʺGli armatori me lo hanno fatto sapere. Sentite, Pancaldo, ho garantito io per il pagamento del carico. Non per nulla sono il governatore. Quelli di Valencia avranno ciò che loro spetta, anche se qui non troveremo argento né oro. Eʹ comunque una terra ricca di armenti, di cavalli, di mandrie di bovini. Il raccolto, in questa stagione, è stato buono. Il suolo comincia a dare i suoi frutti. Voi non dovrete più preoccuparvi. Sia che intendiate restare oppure nellʹipotesi contraria. Con queste parole, egli prese concedo da me. Comincio ad intravvedere un barlume di riconoscenza da parte della nazione spagnola. Certo, lo devo anche al sacrificio del mio buon secondo Pietro Vivaldi al quale abbiamo garantito, qui in questa terra generosa, una dignitosa sepoltura. Lui ed io siamo stati i primi liguri a mettere piede in queste contrade. Vivaldi riposerà qui per sempre. Io spero ancora di poter salire a bordo di una caravella della corona di Spagna per tornare a Cadice e da lì potermi imbarcare per la mia città lontana e riabbracciare la donna che per tutti questi anni è rimasta nel mio cuore.ʺ EPILOGO Leon Pancaldo, invece, non poté mai più tornare a Savona. Morì a Ciudad del Espiritu Santu y del Buen Ayre. Una missiva degli armatori di Valencia venne recapitata, un anno dopo la data in cui si concludeva il diario segreto di Leon ( mese di agosto dellʹ anno di grazia 1540 ) , alla casa lungo il torrente Letimbro, la ʺPancaldaʺ, ad una donna incurvata dal peso degli anni , a Teresa detta “la Selvaggia”, colei che era divenuta la vedova del grande navigatore: L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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ʺCi duole, comunicarvi, nostra buona Signora, che vostro marito ha trovato la morte in terra lontana. Non in quel Perù dove egli era diretto a bordo di una nostra imbarcazione, bensì a Ciudad del Espiritu Santo e Santa Maria del Buen Ayre. Il vostro sposo ed il suo capitano in seconda, Vivaldi, avevano fatto naufragio nei pressi di quello che è ormai conosciuto come lo Stretto di Magellano. In quella circostanze una delle due caravelle affidate al signor Pancaldo ed a Vivaldi andò perduta, precisamente quella che comandava il vice di vostro marito. Con lʹimbarcazione rimasta riuscirono a raggiungere Ciudad del Espiritu Santu y del Buen Ayre. Dove, però, ebbero delle controversie con i conquistadores. Vennero privati del carico e trattenuti agli arresti. Poi liberati e si resero utili alle autorità locali. Il vostro sposo, in particolare è stato molto apprezzato da tutti. Purtroppo, ormai ha abbandonato questo mondo. Lo abbiamo appreso noi stessi in seguito ad una comunicazione in tale senso dal governatore locale, Pedro De Mendoza. Non sono state chiarite , del tutto, le circostanze della scomparsa del vostro sposo, che siamo i primi a deplorare vivamente. Il governatore, nella sua lettera ai nostri rappresentanti armatoriali, ha fatto sapere che il signor Pancaldo si era spinto allʹinterno del paese, oltre Asunciòn, con alcuni suoi marinai. Presumibilmente, egli è caduto vittima di un agguato degli indios, i quali si erano precedentemente ribellati al potere del governatore di sua maestà il re di Spagna ed imperatore del Sacro romano impero, Carlo V. Vi esprimiamo i sentimenti del nostro più profondo cordoglio. Gli armatori di Valencia.ʺ Il Roitero, il Diario segreto di Pancaldo non venne mai ritrovato. Era tra i suoi oggetti personali andati in eredità ad un lontano nipote, il quale non dette troppa importanza al diario di bordo di un marinaio e lo perdette definitivamente. In quel diario cʹera, invece, la verità sullʹodissea e sulla morte di un grande navigatore, quale è stato il portoghese Ferdinando Magellano. Questʹultimo è caduto nellʹisoletta di Mactan, in circostanze che, nellʹintera storia delle grandi esplorazioni marittime, restano quantomeno misteriose. Il roitero del suo nostromo, Leon Pancaldo, tuttavia, contribuisce non poco a gettare luce su quella tenebrosa vicenda che vide un pugno di eroici marinai compiere la prima circumnavigazione del globo. L'Odissea di Leon Pancaldo – I misteri della Storia
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FINE Libro terminato in Loano, nel settembre dellʹanno 2007. Una copia è depositata nellʹarchivio della casa editrice Fratelli Frilli di Genova.