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20 aprile 2015 IL MERCATO DEL CREDITO E LE SOGLIE D’USURA. La riserva di legge e il paradosso della riserva della Banca d’Italia. 1. PREMESSA. Il legislatore ha effettuato nel ‘96 una scelta ferma di presidio all’usura, con finalità estese dal patrimonio individuale alla tutela del regolare funzionamento del mercato del credito1. 1 Gli interessi collettivi ad un corretto funzionamento del mercato del credito, che nella visione del legislatore sembrano accostare e travalicare quelli del singolo, ampliano la prospettiva nella quale si colloca il testo dell’art. 644 c.p. riformulato dalla legge 108/96. Il credito, sia esso rivolto agli investimenti che al consumo, costituisce il volano dello sviluppo economico: la regolarità del mercato e l’opera di calmiere dei tassi praticati alla generalità della clientela trovano fondamento e legittimità nell’art. 41 della Costituzione, ponendo un presidio agli indebiti riflessi che possono derivare da scelte degli intermediari eccessivamente protese al conseguimento di profitti economici. “Una scelta legislativa dunque dalla quale traspare l’evidente intento di delineare la disciplina dell’usura in chiave tendenzialmente oggettiva, caratterizzando la fattispecie come una violazione del rapporto di adeguatezza delle prestazioni, secondo parametri predefiniti ed obiettivi che necessariamente non possono non tener conto delle leggi di mercato e del variabile andamento dei tassi che da esse conseguono. Attraverso l’abbandono del tradizionale requisito per così dire soggettivistico dell’abuso, e la sua sostituzione con il rilievo del tutto prevalente che nella struttura delle fattispecie finisce per assumere il requisito – tutto economico – della sproporzione tra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario, la prospettiva della tutela sembra dunque essersi spostata dalla salvaguardia degli interessi patrimoniali del singolo e, se si vuole, dalla protezione della personalità del soggetto passivo, verso connotazioni di marcata plurioffensività, giacché accanto alla protezione del singolo, vengono senz’altro in gioco anche – e forse soprattutto – gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito ed alla regolare gestione dei mercati finanziari. (…) dovendo l’iniziativa economica, in base allo stesso precetto costituzionale, non soltanto non porsi in contrasto con l’utilità sociale, ma addirittura ‘essere indirizzata e coordinata ai fini sociali’: il che evidentemente 1 In materia di usura gli aspetti giuridici si intersecano con gli aspetti tecnici, dando luogo a pregnanti risvolti economici nei bilanci degli intermediari bancari e, di riflesso, a politiche del credito che, protese a cogliere compiutamente i margini tariffari consentiti, si collocano spesso ai limiti della norma. Quando i confini disciplinari sono pervasi da zone d’ombra, criticità e smagliature tecniche, risultano frequenti sia comportamenti elusivi, sia posizionamenti di mercato border line e anche oltre i limiti di un prudenziale rispetto del quadro normativo. Per altro, finalità di certezza nella verifica del rispetto delle soglie d’usura, oltre che di accostamento logico di confronto, hanno indotto il MEF a prevedere all’art. 3, comma 2: “Le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia.”. Il termine ‘criteri di calcolo’ è stato inteso nella sua accezione più ampia, dalla formula di calcolo del TEG ai criteri di inclusione previsti nelle ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia. Nella fase applicativa della legge, forzature logico-concettuali e peculiari classificazioni del credito hanno introdotto ampi spazi di flessibilità entro i quali risulta esercitata dall’organo amministrativo una vera e propria gestione dei limiti d’usura. Sostanziali contraddizioni fra il principio di legge e l’atto amministrativo di integrazione e completamento hanno prodotto equivoci e confusioni che hanno pregiudicato la tassatività della norma e, di riflesso, favorito diffusi comportamenti di elusione, compromettendo apprezzabilmente il presidio penale. Motivi opportunistici di bilancio hanno suggerito agli operatori bancari di privilegiare le difformi indicazioni della Banca d’Italia rispetto alla incontrovertibile formulazione dell’art. 644 c.p., confidando nella generale moratoria che la Cassazione ha, di fatto, dovuto riconoscere sul piano penale. evoca – quale ulteriore parametro di riferimento che viene senz’altro in discorso, alla luce delle segnalate innovazioni che l’art. 644 c.p. presenta sul piano del relativo oggetto giuridico – anche la protezione offerta all’esercizio del credito dall’art. 47 della Carta fondamentale.” (Cassazione penale, Sez. II 18/3/03, n. 20148). 2 In un mercato pervaso da pregnanti connotazioni oligopolistiche che ostacolano apprezzabilmente gli effetti di calmierazione della concorrenza e dove i comportamenti sono informati ad una stringente logica del profitto, la sanzione solo civile risulta inadeguata. Senza un fermo e rigoroso presidio penale i comportamenti degli intermediari risultano sistematicamente informati ai criteri di costo/beneficio che presiedono il mercato del credito. La Cassazione penale, dopo oltre un decennio di silenzio, è intervenuta ripetutamente negli ultimi anni, colmando un vuoto interpretativo, che altre istituzioni alle quali l’ordinamento assegna una diversa funzione, hanno senza alcun titolo occupato, condizionandone significativamente una piena applicazione. Gli eventi degli ultimi diciotto anni ne forniscono una prova palese. Il mercato del credito ha sempre subito, con malcelata ritrosia e opposizione, gli interventi normativi di regolamentazione dei rapporti, volti a tutelare il contraente debole. Come per l’anatocismo - altra criticità, considerata dalla Cassazione “una forma, subdola, ma non socialmente meno dannosa delle altre, di usura” (Cfr. Cass. 3479/71 e n. 1724/77) - gli interventi legislativi hanno incontrato, da parte dello stesso organo amministrativo, nella disciplina subordinata di applicazione, aspetti di esautorazione volti a mediare e temperare le ricadute economiche sui bilanci degli intermediari creditizi. Si è assistito ad atteggiamenti paternalistici della Banca d’Italia che appaiono spesso protesi a tutelare la funzione creditizia, e con essa l’intermediario bancario, dagli stringenti vincoli della normativa sull’usura. Le pronunce della Cassazione, nel ripristinare un corretto rapporto fra la norma primaria e gli atti subordinati, delineano un quadro giuridico dell’usura ispirato ad un estremo rigore e rispetto della riserva di legge. Nei comportamenti pregressi degli intermediari creditizi, affetti da diffusi e pregnanti aspetti di illeceità, si è tuttavia imposto un opportuno contemperamento delle fuorvianti circostanze psicologiche che li hanno determinati, con la salvaguardia dei principi di tutela e protezione di coloro che hanno fatto ricorso al credito. Un’attenta disamina dell’evoluzione storica che ha interessato il mercato del credito consente di meglio circostanziare le strategie di comportamento degli intermediari e discernere compiutamente le criticità e le dinamiche ‘deviate’ che hanno occupato e impegnato oltre misura la Magistratura. 3 2. IL QUADRO EVOLUTIVO DI RIFERIMENTO. Il mercato creditizio ha subito negli anni ’90 una trasformazione che non è fuori luogo definire epocale. Con l’apertura al mercato internazionale, l’adozione del modello di banca universale, e la privatizzazione delle banche avviata con la legge Amato del ’90, sospinti dal recepimento degli orientamenti comunitari, si è altresì proceduto ad una completa revisione della legge bancaria. Nel corso degli anni novanta, in un breve volger di tempo, il sistema bancario è passato da una guida dirigistico-paternalistica curata dalla Banca d’Italia ad una guida affidata al mercato in un quadro regolamentare e normativo completamente rivisitato; ad un’impostazione essenzialmente pubblicistica dell’attività bancaria si è sostituta un’impostazione privatistico-imprenditoriale, incardinata sugli obiettivi di profitto e massimizzazione del valore del patrimonio. La privatizzazione prima, e le rilevanti concentrazioni bancarie poi, hanno costituito il necessario presupposto di un modello bancario efficiente e competitivo nel confronto internazionale. Nel nuovo contesto regole di mercato, standardizzazioni e trasparenza delle condizioni contrattuali sono venute a costituire gli unici presidi e tutele del risparmio e dell’accesso al credito, condizionati e pregiudicati tuttavia da una scarsa concorrenza del mercato del credito e dalla debolezza contrattuale dell’utente bancario, affetto altresì da una modesta emancipazione. La legge sulla trasparenza bancaria e finanziaria del ’92 ed il successivo T.U.B. del ’93, pur apportando, rispetto alla precedente disciplina, pregnanti elementi di contorno giuridico ai comportamenti degli intermediari creditizi, riproducevano tuttavia, dopo un lungo e travagliato iter legislativo, un assetto normativo giudicato dalla dottrina insoddisfacente sul piano della tutela della clientela bancaria. Rispetto all’originaria proposta di legge dell’On. Minervini – che prevedeva per le banche l’obbligo di indicare il costo complessivo del credito attraverso un’unica aliquota percentuale annua, la formale sottoscrizione del cliente e la modifica delle condizioni solo in relazione a specifici mutamenti delle condizioni di mercato – il testo di legge, uscito dai lavori parlamentari, presentava indubbi elementi di squilibrio contrattuale. Né i poteri regolamentari affidati dal T.U.B. alla Banca d’Italia hanno consentito nel prosieguo di temperare tali squilibri. 4 Nel mercato del credito, privato di adeguati stimoli alla concorrenza, permane, nei rapporti con la clientela, un ampio potere contrattuale delle banche: talune vetuste clausole vessatorie continuano ad essere riportate nei contratti, seppur ridotte, da interventi normativi e giurisprudenziali, ad un labile presidio psicologico della posizione di dominanza degli intermediari 2. Di fronte a pervasive forme di oligopolio del credito, che minano significativamente ogni forma di concorrenza, la trasparenza assume l’aspetto di un simulacro dietro il quale si celano diffuse forme di prevaricazione, estese dalla raccolta del risparmio all’impiego del credito. Tale aspetto viene acutamente colto da Dolmetta: “Per quanto l’opinione sia diffusa in letteratura, la trasparenza non si esaurisce nell’informazione. Intere tematiche della vigente normativa di trasparenza bancaria non risultano oggettivamente raccordabili con l’idea di un semplice flusso di notizie, pur orientato, che dal produttore va verso il cliente. Né le vanno dati – o riconosciuti – compiti sostitutivi: per dirla in breve, sapere che le uova sono marce non le fa diventare fresche. Pensare che una riduzione delle asimmetrie informative conduca a riequilibri, o a parità di forza delle posizioni è una mistificazione. L’informazione non rende in specie un’operazione equilibrata, posto se non altro che l’equilibrio è misura di rapporto oggettiva. Tanto meno l’informazione potrebbe surrogare l’adeguatezza: in un’ora non si diventa professionisti. E meno ancora l’informazione del cliente viene da sé a rendere diligente l’agire dell’impresa.” (A.A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Zanichelli, 2013). Il nuovo modello di conduzione aziendale, incentrato sulla crescita dimensionale delle aziende di credito e rivolto esclusivamente agli obiettivi di efficienza organizzativa, produttiva ed economica, ha imbrigliato ed esautorato la discrezionalità dell’addetto ai rapporti con la clientela: il rispetto degli obiettivi di budget ha fatto premio sulle esigenze ed interessi della clientela. La fidelizzazione della clientela viene perseguita e conseguita 2 “Le banche, per cautelarsi, sono solite esigere la specifica approvazione, con doppia sottoscrizione di tutte le clausole sospette, anche se non rientranti nell’elenco legislativo, pur ritenuto tassativo, delle clausole vessatorie. La doppia firma da parte del cliente si risolve perciò in un vuoto rito che non vale certo a scoraggiare il massiccio ricorso a clausole vessatorie o comunque tali da determinare un forte squilibrio a danno del contraente debole, quale tipicamente è il cliente della banca, costretto ad aderire, per la mancanza di reali alternative, alle condizioni unilateralmente predisposte ed in modo uniforme applicate da tutte le banche” G.F. Campobasso, Servizi bancari e finanziari e tutela del contraente debole: l’esperienza italiana, in Banca, borsa, tit. cred., 1999. 5 con lacci e laccioli che solo recentemente, con mirati e reiterati provvedimenti normativi, si viene cercando di sciogliere. La rilevante funzione pubblica assolta dall’operatore bancario ne è risultata apprezzabilmente svilita. Il pregnante aspetto pubblico assegnato all’attività di raccolta del risparmio, selezione ed allocazione del credito, se giustifica l’attenzione e protezione che leggi speciali riservano all’intermediario, rende tuttavia aberranti quelle scelte aziendali che, sfruttando la posizione di privilegio normativo, condizionano e piegano all’interesse di bilancio le esigenze e l’interesse del cliente, sia esso risparmiatore od imprenditore, pregiudicando nel contempo lo stesso sviluppo economico del paese. Gli accadimenti succedutesi nell’ultimo ventennio evidenziano palesemente gli scarni elementi di mediazione e temperamento dei comportamenti bancari con le esigenze di presidio e tutela dell’interesse pubblico sotteso all’intermediazione del risparmio e all’allocazione del credito. Per lungo tempo si è perseguita da parte della Banca d’Italia la stabilità del sistema bancario, prestando attenzione sovrana alla patrimonializzazione degli istituti di credito e rimettendo, invece, a regole di comportamento e trasparenza la tutela del cliente utilizzatore dei servizi: le regole, tuttavia, si sono rivelate carenti e insufficienti. È stata pervicacemente protetta la funzione creditizia da un’eccessiva esposizione alla concorrenza nella convinzione, assai diffusa, che quest’ultima potesse ledere la stabilità del sistema. Da molti anni l’autorità monetaria manifesta un atteggiamento di estrema cautela, attento a privilegiare e preservare la redditività delle banche per i positivi riflessi di stabilità. L’Organo di Vigilanza, proteso a presidiare la stabilità dell’intermediario, ha rivolto deboli misure ed inefficaci richiami ad un più corretto e trasparente rapporto con il cliente: nel corso degli anni, nel trade-off efficienza/trasparenza, anche i rapporti con la clientela sono stati asserviti alla stabilità dell’intermediario, trascurando e logorando oltre misura il rapporto fiduciario banca-cliente costruito nei decenni precedenti. Nonostante taluni interventi di censura curati negli anni passati dalla Banca d’Italia3, le indicazioni suggerite dall’ABI hanno continuato per lungo tempo ad indurre significativi 3 Con il provvedimento n. 12 del 3/12/94, la Banca d’Italia dichiarava restrittive della concorrenza talune clausole contenute nelle N.U.B., costituendo esse, sul piano oggettivo, il frutto di deliberazioni assunte da un’associazione d’imprese alla quale aderisce la quasi totalità del complessivo aggregato delle banche italiane. Di riflesso la predisposizione, divulgazione e 6 elementi di uniformità nell’offerta del servizio e apprezzabili limitazioni alla concorrenza, risultando completamente coartata la libertà negoziale dell’utente bancario. Le gravi carenze di concorrenza nel settore del credito consentono l’impiego indiscriminato di contratti di adesione nei quali l’intermediario stabilisce – in piena discrezionalità – tassi, modalità e termini di erogazione del credito. Attraverso un impiego diffuso dello jus variandi, su contratti uniformi di adesione predisposti dall’ABI, la posizione di dominanza dell’operatore bancario si è protratta nel tempo, pregiudicando ed impedendo che si liberassero gradi di concorrenza a beneficio di prezzi e condizioni. Per lungo tempo, sino alla revisione dell’art. 118 del T.U.B. (mediante il D.Lgs. n. 223/06 convertito nella L. n. 248/06), era prassi generalizzata quella di modificare continuamente le condizioni dei rapporti di credito, salvo poi a comunicarle al primo estratto conto inviato al cliente. Il ricorso alla facoltà dello jus variandi per modificare unilateralmente tassi, prezzi e condizioni – finanche ad introdurre nuovi oneri e spese – è stato ampiamente praticato dalle banche; ancor oggi tale pratica, seppur moderata e temperata dalla nuova disciplina introdotta nell’art. 118 del T.U.B., accompagna una prassi bancaria di finanziamenti eccessivamente concentrati sul breve termine e a revoca, perpetrando un’incertezza e dipendenza che crea disagi e precarietà non trascurabili agli operatori economici. Quando poi il legislatore del ’96 ha posto limiti operativi e presidi penali ai tassi bancari di remunerazione del credito, grazie a provvedimenti amministrativi carenti e di scarsa chiarezza, si è potuto liberamente operare con forme surrogatorie di remunerazione, per lo più riconducibili alle Commissioni di Massimo Scoperto, oltre che ad una proliferazione, senza limiti di fantasia, di spese di dubbio contenuto funzionale: attraverso una mirata dispersione dei costi del credito, sono stati ampiamente edulcorati i limiti d’usura4. raccomandazione da parte dell’ABI di moduli contrattuali nel regolamento dei rapporti con la clientela con criteri di stretta uniformità veniva a costituire attività che integrava intese ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 287/90, cioè a dire intese che già ab abstracto apparivano suscettibili di produrre nocumento al gioco della concorrenza. 4 L’Istituto Centrale, sin dai lavori parlamentari di preparazione alla l. 108/96, ha reiteratamente espresso, in Commissioni parlamentari e consessi pubblici, la propria opinione contraria ad ogni limitazione amministrativa al costo del credito che, anziché contenere, favorisce il fenomeno 7 La Banca d’Italia alla quale è affidata dall’ordinamento giuridico la delicata funzione di regolamentazione, supervisione e indirizzamento del credito, appare oltremodo protesa ad asservire a tale funzione i compiti alla stessa assegnati, in via mediata, dalla legge 108/96. La Commissione di Massimo Scoperto non era inizialmente ricorrente: applicata ad una marginalità di conti per un aliquota assai modesta (il famoso ottavino, 1/8 pari a 0,125%), poteva ben essere ricompresa nello spread (50%) sul tasso medio di mercato fissato dalla norma. Successivamente è stata estesa, prima a tutte le aperture di credito, poi alle anticipazioni e alle operazioni di factoring, con un costante incremento dell’aliquota5. La CMS sarebbe rimasta presumibilmente relegata in una dimensione marginale, congiuntamente agli oneri minori, se non fosse intervenuta la legge 108/96 a porre rigide limitazioni ai tassi di interesse. Costrette nei vincoli delle soglie d’usura, le banche hanno impiegato i gradi di libertà operativa loro offerti dalle Istruzioni della Banca d’Italia “per la rilevazione dei tassi ai fini della determinazione delle soglie d’usura” per riversare nella C.M.S. margini di crescita degli interessi che avrebbero debordato i vincoli di legge. Nel volger del tempo le banche hanno innalzato l’aliquota delle CMS dall’usuale valore dello 0,125% trimestrale sino a valori che, nei limiti di soglia, hanno toccato l’1,26% dell’usura criminale. D’altro canto la Banca d’Italia è chiamata a rilevare i parametri medi di mercato di individuazione delle soglie e a presidiare il rispetto delle norme da parte del sistema bancario. Sia nell’una che nell’altra funzione le scelte e decisioni assunte, in oltre quindici anni, palesano una mascherata resistenza all’applicazione di una norma non condivisa, attraverso ‘Istruzioni’ e chiarimenti che vengono depotenziando il presidio di legge. Una celata frizione si trascina da lungo tempo, in materia di usura: la Cassazione, nei linguaggi suoi propri, aveva già mandato chiari segnali premonitori, sia precisando e circoscrivendo l’ambito operativo dell’organo amministrativo previsto dalla legge 108/96 (Cfr. Cass. Pen., Sez. II, 18/3/03, n. 20148), sia definendo i contorni giuridici delle Commissioni di Massimo Scoperto (Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 6/8/02, n. 11772 e 18/01/06), un comodo cuscinetto, posto dalla Banca d’Italia al di fuori della rilevazione dei tassi soglia. 5 “Nel tempo questa commissione, forse proprio per la non immediata percezione da parte degli utenti, è stata resa via via più onerosa non solo aumentandone, in termini assoluti, l’incidenza ma, soprattutto, prevedendo che la stessa potesse incidere sui clienti anche in relazione ad un utilizzo per un solo giorno e anche se tale utilizzo fosse determinato da problemi di valuta. L’aumento dei ricavi connessi alla CMS, la sua scarsa percepibilità da parte dei clienti, hanno poi indotto le banche ad introdurre la CMS anche in altre linee di credito: anticipo su fatture, anticipo al salvo buon fine, ecc. Così dilatata la CMS veniva a perdere il suo originale fondamento economico e cioè di costituire una remunerazione per la messa a disposizione di una riserva di credito, che per ipotesi poteva essere utilizzata anche solo in modo marginale, remunerazione del tutto distinta da quella rappresentata dagli interessi che si traduce in un corrispettivo degli utilizzi delle somme.” (P. L. Oliva, Le commissioni di massimo scoperto, 23/6/09, filodiretto.com). 8 trimestrale. In presenza di tassi di mercato in flessione, si è determinata una marcata incidenza di tale componente nel costo complessivo del credito: nei valori medi rilevati nelle aperture di credito, il rapporto C.M.S./Interessi è passato da valori inferiori al 5% all’inizio degli anni ’90, al 16% nel ’97 ed al 30% nel ’09: il valore dell’aggregato di commissioni ed oneri, riportato nei bilanci delle banche, in taluni anni ha pressoché eguagliato quello degli interessi. La Commissione di Massimo Scoperto è venuta gradualmente a costituire un'insidiosa voce di costo, unitamente alla pletora di costi impropriamente introdotti nei rapporti bancari. L’attività bancaria e finanziaria coinvolge interessi pubblici che trascendono gli obiettivi di profitto dell’impresa bancaria: la tutela del risparmio, nella carta costituzionale, è strettamente accostata alla sua corretta allocazione attraverso forme di selezione delle imprese più produttive e meritevoli del credito, nell’obiettivo generale di favorire lo sviluppo, l’occupazione e il progresso del Paese. Gli interventi della Banca d’Italia hanno sino ad oggi mancato l’obiettivo di ricondurre il mercato del credito a livelli di efficienza e concorrenza che possano esplicare effetti virtuosi di calmierazione del costo del credito, in grado di sollevare, o quanto meno alleviare, l’oneroso compito di tutela dell’utente bancario, rimesso esclusivamente – attraverso un pervasivo intervento legislativo – alla funzione di presidio svolta dalla Magistratura. Forme estreme di mercato esasperano le logiche di profitto e vengono di fatto a confliggere con i superiori interessi pubblici. Le regole di un mercato, privato della concorrenza, inducono spinte al profitto che esasperano i comportamenti ‘aggressivi’ sino al limite di legge ed oltre: con l’indesiderato riflesso di sospingere ai margini del mercato proprio quegli intermediari più cauti che, cogliendo la discrasia fra norma di legge e disposizione amministrativa vengono adottando comportamenti prudenziali a rispetto della norma. Non è la prima volta che l’operatore bancario, cogliendo opportunisticamente improprietà e perplessità insite nel testo letterale, disattende la norma di legge sulla base di un calcolo di convenienza economica. In una stretta visione aziendalistica, la mera valutazione dei costi/benefici induce a sospingere i rischi legali e reputazionali sino a quando i riflessi economici delle vertenze giudiziarie e dei danni di immagine non 9 sopravanzano i benefici economici che gli intermediari traggono dalle aggressive strategie di comportamento. L’esperienza dell’ultimo decennio ha mostrato una sospinta tensione da parte delle banche a cogliere margini di concorrenza e benefici economici utilizzando, all’occorrenza, oltremisura gradi di elusione che regolamenti o istruzioni applicative consentono, impegnando e congestionando apprezzabilmente l’opera della Magistratura, in una preordinata strategia di trade-off costi/benefici, fondata sul marginale ricorso alle onerose e tortuose vie delle aule giudiziarie. Si assiste da lungo tempo ad una continua e pervicace tensione degli intermediari bancari a ricercare margini di profitto in forme contrattuali e comportamenti giuridicamente estremi, confidando nei tempi lunghi impiegati dalla giurisprudenza per dirimere dubbi, contraddizioni e discrasie. Le circostanze di scarsa chiarezza e definizione delle regole di condotta pregiudicano la stessa concorrenza nel mercato del credito, inducendo comportamenti ‘aggressivi’ volti ad acquisire margini di profitto, attraverso strategie di prezzo e condizioni di credito, collocate su posizioni border line, dove i limiti di demarcazione legale non trovano un’unanime e condivisa individuazione6. 6‘Le difficoltà sono senz’altro conseguenza del fatto che la disciplina penale dell’usura è stata ideata e strutturata per un contesto sensibilmente differente dalle asettiche stanze degli istituti di credito: molti dei problemi applicativi incontrati dagli interpreti nascono dalla circostanza che la risposta repressiva agli abusi di posizione dominante perpetrati dalle banche nella conclusione dei contratti con i privati ha dovuto utilizzare una norma a-tecnica (l’art. 644 c.p.), finendo spesso per eseguire vere e proprie forzature interpretative allo scopo di non lasciare privi di tutela penale le persone danneggiate da condotte ritenute “sostanzialmente” ingiuste. A tali difficoltà applicative si sono aggiunte le “naturali” resistenze da parte degli istituti di credito, che da sempre oppongono ai tentativi di assicurare tutela penale agli abusi di posizione dominante interpretazioni difformi da quelle dei giuristi e circolari emanate dalla Banca d’Italia a tutela delle ragioni degli istituti creditizi. Si è in tal modo creata in più di un’occasione una dicotomia tra le due istituzioni statali interessate (la magistratura da una parte e la Banca d’Italia dall’altra) che hanno assunto sullo stesso tema posizioni opposte, ciò che ha a sua volta ingenerato ulteriori problemi interpretativi e nuove difficoltà applicative. La disamina dei principali problemi in tema di usura bancaria è dunque la storia del continuo tentativo della magistratura, soprattutto inquirente, di offrire attraverso gli strumenti legislativi esistenti tutela ai privati contraenti con gli istituti di credito a condizioni ritenute inique, e delle reazioni del sistema bancario pubblico e privato sia in funzione sia di mantenimento delle posizioni dominanti che di correzione dai ritenuti eccessi nell’applicazione delle norme a tutela dell’economicità del sistema creditizio, potenzialmente messo in crisi dagli interventi tranchant e spesso distruttivi dei giudici.’ (C. De Robbio, Convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura insieme all’ABI, Palazzo Altieri, 15/7/14). 10 Se poi l’Organo di Vigilanza non esplica compiutamente i poteri che gli rivengono dall’art. 5, più recentemente rafforzati nell’art. 127 del T.U.B., il presidio della norma rimane affidato esclusivamente alla Magistratura. Nei tempi ritardati di quest’ultima, i fenomeni di reato, per la stessa dinamica del mercato7, si vengono diffondendo a buona parte degli intermediari finanziari determinando un continuo flusso seriale di ricorsi giudiziari. Appare calcolata e predeterminata l’economia di costi che all’intermediario riviene dalla quota parte dei soggetti che desistono e rinunciano a percorrere il lungo ed oneroso iter giudiziario per vedere riconosciuti i propri diritti. E’ carente un presidio sanzionatorio, commisurato alla rilevanza e pregnanza dell’interesse pubblico coinvolto. Se all’intermediario, che adotta comportamenti illegittimi, diffusi all’intera platea della clientela, si impone il ristorno dell’indebito solo per coloro che hanno adito le vie legali, si depotenzia il portato coercitivo della norma, rinunciando a quei correttivi che, riconducendo ad equilibrio il trade-off costi benefici, risultano estremi ma efficaci. In altre circostanze, per infrazioni di minor rilievo, si arriva a sanzioni multiple del valore dell’omesso adempimento, inducendo per questa via, seppur forzatamente, comportamenti virtuosi, più prudenti ed attenti alla corretta applicazione della norma. Più volte il legislatore è intervenuto a correggere e modificare assetti contrattuali e posizioni giurisprudenziali. Tuttavia tali interventi, nel confronto e tensione fra opposte esigenze, hanno determinato confusioni e spunti di conflittualità ulteriore. Il ripristino dell’anatocismo trimestrale, ad opera del D.Lgs. n. 342/99 e della successiva Delibera C.I.C.R. 9/2/00, nonché l’articolata struttura di determinazione delle soglie d’usura, introdotte con la legge n. 108/96 e l’intervento integrativo operato dalla L. n. 24/01, come anche il menzionato intervento operato sulle C.M.S. con l’art. 2 bis della L. n. 2/09 e il 7 “E’ naturale e consequenziale che l’imprenditore bancario adotti strategie di mercato che massimizzino i profitti, nell’ambito delle regole definite dalle norme e dalle indicazione della Banca d’Italia: la patologica proliferazione di commissioni, oneri e spese, a cui si è assistito negli ultimi quindici anni, è tutta riconducibile alla discrasia insita nella norma amministrativa che ha prevalso sulla norma di legge, discriminando, nella formula del TEG, gli interessi dalle altre competenze. Motivi opportunistici di bilancio hanno suggerito agli operatori bancari di privilegiare le difformi indicazioni della Banca d’Italia rispetto alla incontrovertibile formulazione dell’art. 644 c.p., confidando nella generale moratoria che le recenti sentenze della Cassazione penale hanno dovuto riconoscere per il periodo precedente il 2010.”. (R. Marcelli, ‘La soglia d’usura ha raggiunto un livello pari a 100 volte l’Euribor: il presidio di legge è un argine o una copertura?’, 2013, in www.assoctu.it.). 11 successivo intervento calmieratore (D.L. “anticrisi” n. 185/08), che ha limitato allo 0,50% la percentuale trimestrale massima di commissioni, hanno temperato pur legittimando comportamenti spesso censurati dalla Magistratura. Da ultimo il ripristino, con la recente legge n. 147/13, dell’inderogabilità dell’anatocismo previsto dall’art. 1283 c.c. rimane tuttora inapplicato, nell’indifferenza dell’Organo di Vigilanza e del CICR, chiamato a disporne le norme applicative. La patologia dei comportamenti nei rapporti bancari di conto corrente, con la sua ampia diffusione e dimensione, palesa ambiti di illiceità nei quali l’Organo di Vigilanza è apparso restio ad intervenire nel prevenire, correggere e rimuovere tempestivamente comportamenti che dispiegano un ampio pregiudizio alla tutela della clientela bancaria, consumatori ed imprese. Nonostante il TUB (art. 5) assegni alla Banca d’Italia il compito di vigilare sulla ‘sana e prudente gestione’ degli intermediari creditizi oltre che sull’’osservanza delle disposizioni in materia creditizia’8, la stessa sembra astenersi dall’intervenire e addirittura talora pare assecondare i menzionati comportamenti degli operatori bancari; si scorgono atteggiamenti di tutela, in odore di connivenza, che non paiono propri all’Organo di Vigilanza9. Si è venuto creando un solco fra Istituto Centrale e società civile: il rapido deterioramento dell’immagine reputazionale dell’intermediario ha toccato anche l’Istituto Centrale i cui interventi non appaiono talvolta distanti e distinti dall’Associazione di categoria. Nel corso dell’ultimo decennio la cura e l’attenzione mostrata dalla giurisprudenza all’equilibrio ed alla correttezza dei rapporti fra banca e cliente si è apprezzabilmente accresciuta. La complessità e articolazione della normativa bancaria, sottoposta ad un continuo rapporto di forza fra sistema bancario e organo legislativo, ha incontrato negli ultimi anni una più accorta sensibilità e attenzione: nei meandri specialistici della materia l’intervento dell’autorità giudiziaria risulta tuttavia difficoltoso, incerto e tardivo. 8 Le finalità delle Autorità di Vigilanza sono state ulteriormente allargate e precisate dall’art. 127, come modificato dai D. Lgs n. 141/10, n. 218/10 e n. 169/12, il quale prevede che “Le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’articolo 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela.”. 9 In tali circostanze insorgono pregiudizi che, ad esempio, non fanno ritenere compiutamente trasparenti commissioni di istruttoria veloce la cui aderenza ai costi è affidata a procedure interne soggette esclusivamente al controllo dell’Organo di Vigilanza. 12 I tribunali sono, da lungo tempo, ricolmi di vertenze, avanzate da operatori economici e privati cittadini, che richiedono, nei rapporti bancari, un puntuale rispetto del dettato normativo, frequentemente disatteso, dietro apparenze formali, nella sostanza. La Magistratura è chiamata a gestire – in un quadro giuridico complesso e talvolta contraddittorio – vertenze che non costituiscono casi sporadici e circoscritti, ma, al contrario, risultano estesi in tutto il territorio con una frequenza ed intensità, che denuncia, nella stessa dimensione del fenomeno, comportamenti speciosi, improntati a scarso rispetto delle norme di legge: non è un caso che buona parte dei procedimenti civili avanzati nei confronti degli intermediari bancari si risolvano con la soccombenza di questi ultimi. Troppo spesso i comportamenti dell’operatore bancario occupano ed impegnano la Magistratura, chiamata – non per singoli accadimenti ma per circostanze generalizzate – a surrogare e colmare carenze istituzionali, con gli inevitabili ritardi e i diffusi costi posti a carico della collettività. 3. L’OPERA DELLA BANCA D’ITALIA E LE SOGLIE D’USURA. La pratica di una soglia massima al tasso di interesse e il presidio a forme endemiche di anatocismo hanno spesso costituito una norma che ancora oggi risulta apprezzabilmente diffusa in numerosi paesi, soprattutto nel credito al consumo. Si ritengono funzionali limitazioni amministrative al costo del credito nella misura in cui risulta carente un’efficiente concorrenza del mercato che possa autonomamente temperare il prezzo di equilibrio della domanda ed offerta di credito. La presenza di limitazioni ai tassi di interesse è una pratica assai diffusa, realizzata attraverso modalità ed intensità alquanto diversificate che rispecchiano dappresso la sensibilità e cultura, l’organizzazione e lo sviluppo del mercato del credito10. 10 In uno studio curato nel 2010 presso i Paesi della Comunità Europea si riporta: “While modern interest rate ceilings are typically imposed administratively, courts in germany have transformed the ancient subjective principle of good morals into a modern objective interest rate ceiling, a process that would in principle be open to Member States with non interest rate ceiling; some initial forms of this may also be identified in Estonia, Spain and Sweden. ▪ From the perspective of the contractual interest rate itself there are three countries with an absolute ceiling in the tradition of usury, and this does not seem to have impact on the economy (Greece, Ireland and Malta). ▪ Countries which use relative interest rate ceilings based on an average market rate, multiplied by a quota such as that applied in France of one-third, or based on a money market rate multiplied 13 Lo sviluppo economico del Paese può trovare un adeguato modello di sostegno e protezione in ‘calibrati’ vincoli amministrativi ai tassi fintanto che il mercato del credito non acquisisca un sufficiente grado di trasparenza e concorrenza. Mano a mano che il mercato del credito evolve su superiori livelli di maturità ed efficienza, scemano i benefici apportati dai vincoli amministrativi e, se questi risultano eccessivamente restrittivi, si palesano i costi ed inefficienze che da questi possono derivare. L’articolazione dei parametri previsti a presidio dei tassi praticati nelle specifiche categorie di credito, se attentamente posti entro ampi limiti che consentano un corretto dispiegamento del mercato del credito, non configura una forma surrettizia di amministrazione dei tassi creditizi. Assume invece una significativa funzione surrogatoria di un’efficiente concorrenza, contrastando un drenaggio abusivo di risorse, non commisurato al costo del credito, che sortirebbe riflessi di significativa incidenza nello sviluppo produttivo e nell’equilibrio dei rapporti fra credito e consumo. Nei comparti del mercato creditizio calmierati da una proficua concorrenza, i limiti imposti divengono ininfluenti e laschi, più propri ad una funzione residuale, di presidio a forme estreme di patologia del credito. Il mercato del credito risulta in Italia ancora in una fase iniziale. La concorrenza, con le riflesse sinergie di calmiere, è pressoché assente in buona parte delle categorie di credito. Il prezzo del credito si discosta significativamente dal costo della provvista, tendendo a schiacciarsi sull’utilità marginale del prenditore. La soglia d’usura dello ‘Scoperto senza affidamento’ si colloca ad oltre 100 volte l’Euribor a tre mesi11. La confusione e le incertezze che hanno accompagnato l’applicazione della normativa dell’usura ne hanno ostacolato un efficiente presidio, generando forme di opportunismo non tempestivamente controllate e rimosse. Una maggiore chiarezza e una by four, as in Poland, have developed fairly new systems with a high degree of effectiveness (Belgium, Estonia, France, Germany, Italy, the Netherlands, Poland, Portugal, Slovakia, Spain Slovenia).” (iff/ZEW (2010): Study on interest rate restrictions in the EU, Final Report for the EU Commission DG Internal Market and Services, Project N. ETD/2009/IM/H3/87, Brussels/Hamburg/Mannheim; submitted by Prof. Dr. Udo Refner, Sebastien Clerc-Renaud, RA Michael Knobloch). 11 Cfr. R. Marcelli, ‘La soglia d’usura ha raggiunto un livello pari a 100 volte l’Euribor: il presidio di legge è un argine o una copertura?’, 2013; R. Marcelli, L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità, 2014, in www.assoctu.it. 14 ferma tassatività dei limiti, un più pervasivo monitoraggio dell’Organo di Vigilanza e un apparato sanzionatorio più incisivo appaiono condizioni necessarie e propedeutiche. Le soglie d’usura italiane, dopo il recente ampliamento dello spread sul tasso medio di mercato (da 0,50% a 0,25% + 4 punti), si collocano su valori marcatamente discosti sia dai valori medi di mercato, sia soprattutto dai costi di raccolta, lasciando ampi margini di manovra all’intermediario bancario. Lungi dal porre problemi di razionamento del credito, le soglie, nei dilatati margini di operatività ormai raggiunti, sono parse assumere una forma di copertura a comportamenti opportunistici che hanno condotto il costo del credito su livelli tra i più alti in Europa: in tali circostanze il costo del credito, nei confronti internazionali, presenta per l’impresa nazionale un sovraccarico economico, alla stregua di quello energetico e fiscale. La soglia d’usura deve essere posta su valori sufficientemente accostati ai valori espressi dal mercato per evitare l’acquisizione di rendite ‘abusive’ a danno di imprenditori e consumatori, ma al tempo stesso deve essere sufficientemente discosta per non condizionare il libero svolgimento del mercato del credito e consentirne l’accesso ad ogni iniziativa economicamente efficiente. Il mercato deve poter esprimere tassi che variano entro margini idonei ad allineare il costo del credito al rischio dell’iniziativa finanziata, sino a quel valore massimo tendenziale di rischio oltre il quale il costo stesso del finanziamento pregiudica l’investimento. “Sul piano della teoria economica, la correlazione tra rischio e rendimento non ha un andamento sempre crescente. Oltre un certo livello, nessun aumento di tasso può compensare l’aumento del rischio, anzi l’onerosità del tasso aggrava il rischio in una spirale perversa. La curva di offerta dei prestiti – che raffigura la quantità di credito offerta dagli intermediari in funzione del prezzo a cui il finanziamento viene erogato – diviene a quel punto anelastica, insensibile al tasso”12. La soglia d’usura pone pertanto un delicato equilibrio, dove gli effetti virtuosi o perversi sono connessi in un particolare rapporto di trade-off, reso complesso e multivariegato in funzione della diversificazione geografica e di settore economico, oltre che dimensionale. Le soglie d’usura, nonostante le inefficienze applicative, hanno esercitato, negli ultimi diciotto anni, una forma di tutela a favore di imprenditori e consumatori, sopperendo 12 G. Berionne, Usura e Disciplina penale del credito, CSM, Frascati, 1997. 15 alle marcate inefficienze del mercato del credito. Senza un corretto equilibrio, che contemperi la stabilità dell’intermediario con la concorrenza del mercato del credito, ogni forma di rimozione delle soglie d’usura sortirebbe unicamente un indebito travaso economico dalle classi economico-sociali più deboli. La marcata tensione a cogliere le opportunità di un mercato del credito affetto da un’endemica carenza di concorrenza, dove il prezzo del denaro si forma più sull’utilità marginale del prenditore che sul costo del servizio del datore, sospinge gli intermediari ad utilizzare pieghe normative e risvolti elusivi per massimizzare i profitti, valutando, nel calcolo dei costi/benefici, di esiguo rilievo i riflessi reputazionali e giudiziari dei comportamenti opportunistici adottati13. Le ristrettezze nell’offerta del credito e l’anomala dimensione che è venuto assumendo il credito a revoca e a breve termine – ampiamente scollegato dalle esigenze finanziarie dell’impresa – determinano una situazione di oligopolica dominanza. In questa cornice del mercato, l’ampio ricorso allo ius variandi per modificare le condizioni contrattuali vanifica ogni spinta alla concorrenza: ogni ragionata selezione e comparazione degli intermediari creditizi, con gli apprezzabili costi di spostamento dei rapporti, si scontra con l’instabilità e la precarietà delle mutevoli condizioni economiche praticate dall’intermediario. Una depenalizzazione dell’usura bancaria, così come insistentemente sostenuto dalla compagine bancaria, renderebbe oltremodo più aggressive le politiche di prezzo praticate dagli intermediari creditizi, informandole esclusivamente al trade-off costi benefici, senza alcuna remora di sostanziale rilievo. Ancorché la norma penale abbia accostato, in maniera poco consona con la diversa natura, l’usura bancaria all’usura criminale, ciò non è valso a moderare i comportamenti bancari14. Nelle discordanze e confusioni create dalla normativa secondaria si è trovato il 13 Il Governatore Draghi, in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano, a commento dell’Enciclica Caritas in veritate, così si esprimeva: “Un modello in cui gli operatori considerano lecita ogni mossa, in cui si crede ciecamente nella capacità del mercato di autoregolamentarsi, in cui divengono comuni gravi malversazioni, in cui i regolatori dei mercati sono deboli o prede dei regolati, in cui i compensi degli alti dirigenti d’impresa sono ai più eticamente intollerabili, non può essere un modello per la crescita del mondo”. 14 “Si è osservato che si è trasfigurata l’usura da fattispecie di contrasto di condotte pericolose intrinsecamente illecite – quelle del ‘cravattaro’ e della criminalità organizzata – a fattispecie di regolamentazione di un’attività pericolosa lecita: l’attività bancaria o di intermediazione 16 pretesto per eludere la soglia d’usura, confidando, come ultima sponda, nella generale prudenza che, di regola, accompagna l’operato della Magistratura penale. Per contro viene riversato nelle aule dei Tribunali un marcato quantitativo di vertenze, per ricorrenti ed uniformi irregolarità, la cui patologica dimensione denuncia la confusione e opacità della regolamentazione, nonché la lacunosità e scarsa incidenza dei controlli dell’Organo di Vigilanza15. Una diffusa elusione delle soglie d’usura induce una lievitazione dei costi e dei rischi generali d’impresa, con conseguenti limitazioni all’espansione degli investimenti e tassi più elevati di default, con pregiudizio, in ultima istanza, dello stesso sviluppo economico. Per altro verso vengono oltremodo appesantite le condizioni economiche del settore Famiglie, risultano frenati i consumi ed esasperate le problematiche umane e sociali. Le soglie d’usura sembrano, per altro verso, indurre, in una tacita collusione, un indebolimento della concorrenza, assumendo la veste di valori di riferimento nell’assunzione delle decisioni sul prezzo del credito. La modalità endogena di rilevazione del tasso soglia sortisce, fra un trimestre e il successivo, un effetto perverso di crescita finanziaria, e, più in generale, di esercizio del credito. Che la direttrice della tutela (recte: dell’intervento) penale sia ormai vieppiù prevalentemente orientata verso il corretto funzionamento del mercato (ufficiale) del credito è confermato dal recente provvedimento legislativo – il d.l. 29 novembre ’08, n. 185 conv. L. 28 gennaio ’09, n. 29 – che, nel disciplinare finalmente la controversa “commissione di massimo scoperto”, non ha mancato di considerarne la rilevanza ai fini dell’art. 644 c.p., così implicitamente riconoscendo alle banche il ruolo di attrici protagoniste del nuovo delitto di usura. L’usura bancaria palesa ontologica distanza, sul piano empirico e criminologico, con il corrispondente fenomeno attribuibile alla criminalità ‘comune’, specie organizzata. Sostenere che l’usura ‘comune’ e l’usura ‘bancaria’ sono fenomeni ontologicamente differenti (e che pertanto necessitano di una risposta differenziata), non significa in alcun modo escludere che l’esercente una legale attività di credito possa macchiarsi del reato d’usura: significa, semplicemente, che l’usura è altro dall’eccesso nelle condizioni di credito, il quale ultimo può ben assumere rilievo giuridico, ma non nell’ambito di una fattispecie penale di usura. Volendo ricorrere ad una semplificazione, ed esprimendosi un po’ brutalmente, si può dire: anche il banchiere può essere un cravattaio, ma affermare che il banchiere che eccede i tassi è sempre un cravattaio non è corretto, anzi è inaccettabile.” (Cfr. R. Borsari, Il delitto di usura ‘bancaria’ come figura ‘grave’ esclusa da benefici indulgenziali. Profili critici, in. Riv. Trim. dir. Pen. econ. 1/2/09). 15 Secondo un sondaggio realizzato per Plus 24 da Ipr Marketing, il 68% degli italiani ritiene squilibrato il rapporto dei clienti con la banca e ‘quasi la metà degli italiani, ovvero il 45%, ritiene che non ci sia nessuno a sorvegliare le banche. Solo il 22% ritiene che questo sia un compito della Banca d’Italia’. (A. Criscione, Sole 24 Ore, Plus 24, 5 luglio ’14). 17 (échelle de perroquet) nella misura in cui l’intermediario finanziario è sospinto a praticare tassi prossimi alla soglia. Non si dispone del dettaglio delle statistiche di rilevazione dei tassi curate dalla Banca d’Italia per la determinazione delle soglie d’usura, ma l’evoluzione dei tassi praticati dopo l’introduzione dell’Euro segnala, per talune categorie di credito, andamenti di crescita che potrebbero essere ricondotti al noto effetto dell’’échelle de perroquet’, che in Francia viene attentamente monitorato e presidiato. In particolari segmenti del credito al consumo e alle imprese – privi di concorrenza, caratterizzati da asimmetria informativa e vincolati da rapporti negoziali di maggiore dipendenza dal credito – l’effetto di trascinamento verso il tasso soglia del tasso medio sembra assumere una pregnante rilevanza16. Le ‘Istruzioni’, chiarimenti ed indicazioni della Banca d’Italia, travalicando il ristretto ambito di competenza attribuitole dalla legge 108/96, hanno ampiamente condizionato l’applicazione delle soglie d’usura, inducendo criteri di verifica improntati a scarsa trasparenza e sospinta soggettività, più funzionali, in un’ottica di stabilità, a edulcorare i limiti di legge e coprire i rischi legali dell’operato degli intermediari, che a tutelare gli utilizzatori del credito. Sul piano penale, buona fede e favor rei hanno sino ad oggi di fatto arenato i procedimenti di accertamento d’usura. Le ‘difformi’ Istruzioni della Banca d’Italia hanno per lungo tempo prestato una ‘copertura’ all’operato degli intermediari bancari consentendo, nel rispetto della forma, di disattendere l’art. 644 c.p.. La carenza non è nella legge, ma rimane nell’impiego ‘difforme’ della norma amministrativa. Gli interventi della Banca d’Italia appaiono andare ben oltre ‘l’atto meramente ricognitivo, destinato a ‘fotografare’ l’andamento dei tassi finanziari distinti per classi omogenee di operazioni, secondo parametri di certezza ed obiettività’. 16 Taluni intermediari hanno iniziato a prevedere, per il credito in conto corrente, sia esso apertura di credito, anticipazione o altro, un tasso variabile che, anziché essere collegato all’ordinario parametro di finanziamento praticato dal mercato, quale l’Euribor, viene riferito direttamente al tasso soglia, sottraendo a questo uno spread fisso in funzione del merito di credito del cliente. La mora, per contro, viene sistematicamente posta eguale al tasso soglia. Ciò comporta una discrasia che induce un’artificiosa e perversa lievitazione dei tassi che viene a ledere significativamente il mercato del credito. Contiene infatti una super-indicizzazione al valore medio del mercato: ogni variazione di tasso e/o di oneri e spese viene trasferita, maggiorata del 25%, nell’interesse praticato. 18 Le norme amministrative, impiegate come determinazione del precetto penale, sollevano delicati problemi di oggettività con i connessi riflessi sul principio di tassatività che presiede la norma. A fronte della ‘fotografia’ reiteratamente richiamata dalla Cassazione, traspaiono interventi dell’Organo Amministrativo che richiamano le pitture di Ferdinando Botero. Le criticità dell’intervento della Banca d’Italia si pongono sia sul lato della rilevazione dei tassi per la determinazione delle soglie d’usura, sia sul lato delle interferenze con la verifica dell’usura. La scelta del metodo di calcolo del tasso effettivo, dei criteri di raccolta dei dati statistici, dei criteri di individuazione delle categorie omogenee, incide significativamente sulla determinazione delle soglie e, se intesa in senso creativo, libera eccessivi margini ‘in bianco’ della norma penale: la discrezionalità amministrativa deve trovare contenimento e limiti invalicabili nell’oggettività dei criteri stessi. Le ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia per la rilevazione del tasso medio di mercato – anche dopo le correzioni apportate nel 2009 – in più aspetti si pongono in contraddizione con il criterio di verifica del rispetto del tasso soglia dettato dall’art. 644 c.p. In primis, la formula di calcolo del TEG, impiegata dalla Banca d’Italia per la determinazione del TEGM si discosta apprezzabilmente dal tasso annuo effettivo richiamato dalla norma di legge17. La formula ideata dalla Banca d’Italia è del tutto sconosciuta alla matematica finanziaria. Con tale formula si realizza un improprio allentamento del vincolo disposto dall’art. 644 c.p. che prevede espressamente il riferimento al credito erogato: “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.”. 17 L’art. 2 della legge 108/96 prevede espressamente: ‘Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari …’. Il tasso effettivo, riferito ad anno, è univocamente indicato in ogni manuale di matematica finanziaria e viene usualmente impiegato nel mercato per esprimere l’effettiva misura del costo del credito. 19 Introducendo una discriminazione fra interessi da un lato e commissioni, oneri e spese dall’altro, nel TEG indicato dalla Banca d’Italia18, ai primi si applica il previsto disposto normativo, riferendoli al credito erogato, mentre ai secondi si applica un diverso e più edulcorato vincolo, riferendoli al credito accordato o, al più, al massimo credito concesso nel trimestre. Tale anomalia è stata prontamente colta dagli intermediari finanziari, che hanno alimentato una rapida proliferazione di oneri e spese, solo da ultimo arginata – limitatamente alle aperture di credito - dall’introduzione della commissione onnicomprensiva di affidamento e dalla commissione di istruttoria veloce. Un’altra rilevante contraddizione è emersa nel criterio di annualizzazione delle commissioni, oneri e spese, introdotto nella formula di calcolo del TEG con le nuove ‘Istruzioni’ ‘09, ma apprezzabilmente edulcorato con le successive modifiche apportate dalle FAQ. Così che uno stesso ammontare, che addebitato come interesse risulterebbe debordare la soglia, addebitato invece come onere o spesa, sarebbe rispettoso della soglia. La circostanza non è di scarso rilievo considerando che commissioni oneri e spese coprono ormai oltre un terzo del costo del credito19. Per valutare quantitativamente l’effetto di distorsione riconducibile alla circostanza che nella seconda frazione del TEG viene riportato l’accordato anziché il credito erogato, si fornisce qui di seguito una esemplificazione di un finanziamento per il quale è prevista la soglia d’usura al 12%. Si supponga che le commissioni e le altre spese siano commisurate a € 1.000 trimestrali su un fido di € 100.000. Se a questi oneri si accompagna l’interesse dell’8% il TEG praticato dalla banca rimane entro le soglie20. Ma, mentre il TEG della formula della Banca d’Italia rimane nei limiti dell’usura, l’effettivo costo del credito (TAEG) cresce significativamente al decrescere dell’importo del credito utilizzato. 18 La discriminazione in parola si riferisce esclusivamente alle Categorie: Apertura di credito in c/c; Scoperti senza affidamento; Finanziamenti per anticipi su crediti e documenti, sconto di portafoglio commerciale, factoring e credito revolving. Per le restanti Categorie di credito (Credito personale, Credito finalizzato, Leasing, Mutui, Prestiti contro cessione del quinto, Altri finanziamenti) è previsto il riferimento all’effettivo costo del credito (TAEG). 19 Si veda l’esempio a pag. 18 e seg. del documento ‘La soglia d’usura ha raggiunto un livello pari a 100 volte l’Euribor: il presidio di legge è un argine o una copertura?’, 2013, in www.assoctu.it. 20 Per semplicità di costruzione non viene considerato l’effetto della capitalizzazione infrannuale. 20 Calcolo trimestrale (commissioni e spese 100% continuative) Accordato Credito erogato (utilizzato) Interessi % Interessi Euro Commissioni oneri e spese TEG TAEG 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 125.000 100.000 75.000 50.000 25.000 10.000 8,00% 8,00% 8,00% 8,00% 8,00% 8,00% 2.500 2.000 1.500 1.000 500 200 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 12,00% 12,00% 12,00% 12,00% 12,00% 12,00% 11,20% 12,00% 13,33% 16,00% 24,00% 48,00% Il valore del costo del credito, nella formula del TEG impiegata dalla Banca d’Italia, risulta invariato, pari al 12%; l’effettivo costo del credito (TAEG) ascende al 48% se l’affidamento è utilizzato solo per il 10%. La circostanza può forse indurre un effetto marginale nella valutazione statistica del tasso medio praticato dal mercato, ma nei singoli casi concreti di verifica del rispetto delle soglie d’usura rimane insostenibile ritenere legittimo ex art. 644 c.p. un costo del credito del 48%21. La discrasia si accresce ulteriormente se le commissioni, oneri e spese assumono una veste non continuativa e occasionale, a prescindere dalla frequenza22. 21 Più che condizionare l’applicazione della legge alle modalità contrattuali impiegate dagli intermediari bancari, queste ultime dovranno modificare la loro struttura per un compiuto rispetto della norma penale, prevedendo un intervento di ‘cimatura’ dei costi nei casi estremi – così come talora si è previsto con le clausole di salvaguardia negli interessi di mora – o mediante altre formule contrattuali che evitino le circostanze descritte. 22 Nonostante il chiaro asserto riportato nelle ‘Istruzioni’, le FAQ, in termini alquanto confusi e distorsivi, hanno offerto la sponda ad una lettura opportunistica, preordinata, in talune circostanze, a ‘rinnegare’ l’annualizzazione introdotta dalle ‘Istruzioni’. Con le FAQ il concetto di ‘evento occasionale’ non ripetibile delle ‘Istruzioni’ viene rimosso e sostituito con il concetto di ’evento non continuativo’, così che se l’onere addebitato, ancorché ricorrente in tutti i trimestri, è riferibile a scoperti non continuativi, non viene annualizzato e viene considerato solo nell’ultimo addebito, con esclusione quindi degli altri addebiti allo stesso titolo effettuati nell’anno. Una successione di sconfinamenti frazionati nel corso dell’anno, che hanno generato costi ripetitivi, ma riferiti ad uno sconfinamento non continuativo concorrerebbero solo per l’ultimo sconfinamento. Anche le spese ripetute nei trimestri, relative ad uno sconfinamento continuativo, se interrotto anche brevemente, prima del trimestre di rilevazione, egualmente non concorrerebbero nel calcolo del TEG. Infatti, con le FAQ del novembre ’10, vengono consolidati i cambiamenti già introdotti nelle FAQ precedenti, chiarendo, per entrambi i casi di scoperto (senza fido e oltre il fido): “ad esempio, se nel trimestre di segnalazione si è registrato uno scoperto che ha avuto inizio nel trimestre precedente e che sia durato in totale quattro mesi, la segnalazione dovrà considerare gli interessi e gli oneri sostenuti nel trimestre di rilevazione, moltiplicandoli per quattro se si tratta di oneri 21 Ipotizzando la presenza di commissioni, oneri e spese ‘non continuativi’ (è il caso delle CIV applicate saltuariamente) la banca può arrivare a percepire un compenso assai più marcato nei casi estremi, per il vero singolari ma possibili, nei quali ad un utilizzo medio modesto si associno circostanze di applicazione di commissioni, oneri e spese ‘non continuativi’23. Calcolo trimestrale (commissioni e spese 50% continuative) Accordato Credito erogato Interessi (utilizzato) 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 100.000 125.000 100.000 75.000 50.000 25.000 10.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 200 Commissioni oneri e spese (continuative) 750 750 750 750 750 750 Commissioni oneri e spese (non continuative) 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000 TEG TAEG 12,00% 12,00% 12,00% 12,00% 12,00% 12,00% 13,60% 15,00% 17,33% 22,00% 36,00% 78,00% Come si rileva dalle tavola la differenza fra il TEG della Banca d’Italia e l’effettivo costo del credito diviene rapidamente marcata non appena il credito utilizzato si riduce mensili o per 120 se giornalieri e rapportandoli al saldo massimo di segno negativo registrato nel trimestre di rilevazione.”. Con la precisazione: ‘La presente indicazione si applica a partire dalla rilevazione relativa al trimestre ottobre-dicembre 2010 (quindi applicativa, per la verifica, dal 1 aprile ’11)”. Una simile lettura delle ‘Istruzioni’ – disposta per altro con decorrenza, per la verifica dell’usura, dal 1 aprile ’11 – risulta ‘bislacca’, prima ancora che priva di fondamento logico-finanziario: rimuovendo in buona parte l’annualizzazione, può avere riflessi economici di dimensioni significative. La confusione e l’irragionevolezza finanziaria del criterio prospettato sollevano ampie perplessità che minerebbero la tassatività della norma si mutuate nella verifica dell’usura. Con il chiarimento, dopo poco meno di un anno, si mira a modificare il dettato delle ‘Istruzioni’, sotto la veste di una ‘precisazione’ alla quale si attribuisce altresì una decorrenza. Nel senso che prima della rilevazione del trimestre ottobre-dicembre 2010, le ‘Istruzioni’ vanno interpretate per come sono scritte, mentre con la menzionata rilevazione, vanno interpretate come riportato nella precisazione. Appare un ossimoro: come può una FAQ, per la natura stessa che la costituisce, avere una valenza modificativa della norma che intende chiarire? Non è per altro trascurabile, per la valenza normativa delle FAQ, l’espresso richiamo nei decreti ministeriali che, nella Nota metodologica, precisano: “Le segnalazioni inviate dagli intermediari tengono conto dei chiarimenti forniti dalla Banca d’Italia, attraverso il sito internet, in risposta ai quesiti pervenuti.”. 23 Questi oneri non possono essere previsti anticipatamente ma la gestione delle tariffe può trovare un opportuno ausilio nel sistema di ‘cimatura’ (taglio automatico dei costi sino alla soglia d’usura) del quale sono dotate le banche. Si osserva inoltre che la commissione onnicomprensiva dello 0,5% trimestrale è prevista esclusivamente per le aperure di credito: per le altre forme di finanziamento l’intermediario è libero di strutturare propri criteri di tariffazione per commissioni, oneri e spese. 22 discostandosi dal credito affidato o in presenza di costi non continuativi, segnando una palese disapplicazione del principio dettato dall’art. 644 c.p. Gli uffici finanziari delle banca che predispongono i piani tariffari sono particolarmente attenti a cogliere queste smagliature delle ‘Istruzioni’ fornite dalla Banca d’Italia: anche una modesta integrazione tariffaria alle spese ‘eventuali’, applicata sull’intera platea della clientela, è suscettibile di apportare apprezzabili margini al bilancio dell’intermediario. Con questi interventi – se estesi dalla rilevazione del TEGM alla verifica dell’usura – la Banca d’Italia verrebbe ad esercitare un ruolo attivo nel diritto, un compito ‘creativo’ che le risulta precluso. La delicata funzione di imparzialità, oggettività e professionalità rimessa all’Istituto Centrale richiederebbe una maggiore oggettività e trasparenza, ispirate ad un puntuale rispetto ed attenzione alle pronunce della Cassazione, a garanzia che i rapporti di coerenza della norma subordinata alla legge penale rimangano nei limiti previsti dall’art. 25 della Carta Costituzionale24. Ancorché la Cassazione ritenga che ”non v’è dubbio che la legge abbia determinato con grande chiarezza il percorso che l’autorità amministrativa deve compiere per ‘fotografare’ l’andamento dei tassi finanziari” (Cassazione Pen. n. 12028/10), si assiste ad un ingiustificato e reiterato interventismo che fa della ‘fotografia’ un simulacro. Dalla 24 “Non possono, pertanto, nel caso in esame, distinguersi, nella legge penale, gli elementi costituenti sufficiente determinazione del fatto tipico, essenziali all'individuazione del medesimo, dagli elementi integranti la determinazione legale (ben consentito è, invero, che taluni elementi, soprattutto di natura <tecnica>, impossibilitati ad essere previamente ed una volta per tutte individuati dalla legge penale, vengano dalla stessa legge rimessi alla storica variabilità delle determinazioni degli atti dell'amministrazione) a causa della mancanza, nella legge penale impugnata, di ogni distinzione che possa ricondurre l'ipotesi in esame alle classiche, e consentite, <distinzioni> operate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di rapporti tra legge penale e norme o provvedimenti subordinati, destinati a completare la prima. Il totale rinvio al regolamento od all'atto amministrativo <subordinato>, da parte della legge penale (finanche per l'identificazione dei soggetti obbligati) nella persistenza del potere dell'amministrazione di modificare l'atto stesso, equivale a rinvio, da parte della legge, al potere subordinato ed è, pertanto, chiaramente violativo della riserva di legge ex art. 25, secondo comma, Cost. Tale tecnica di normazione penale induce, fra l'altro, ad incertezze sul contenuto essenziale dell'illecito penale: sicchè, anche in assenza di modifiche, da parte dell'amministrazione, dell'atto formalmente recepito dalla legge penale, tali incertezze non possono ritenersi escluse. In base alle precedenti considerazioni, il totale rinvio della legge penale al regolamento od all'atto amministrativo già esistente non può considerarsi rinvio ad uno specifico atto bensì, ove perduri la facoltà dell'amministrazione di mutare, sostituire od abrogare l'atto stesso, rinvio al potere subordinato a quello legislativo e, come tale, costituzionalmente illegittimo.” (Corte Cost. n. 282/90). 23 lettura delle FAQ, assurte ad integrazione delle ‘Istruzioni’, si colgono pregnanti elementi pervasi da un’accentuata discrezionalità, forse funzionali alla gestione del credito, ma in palese difformità con il principio di oggettività che deve presiedere la definizione delle Categorie e dei TEG di rilevazione del TEGM25. Le indicazioni, spesso parziali e di favore, prospettate dalla Banca d’Italia, appaiono più dirette ad amministrare la verifica dell’usura che a curare una corretta rilevazione statistica del tasso medio di mercato. Attraverso il disposto dell’art. 3 comma 2 dei decreti ministeriali, si vorrebbero trasporre i margini ‘accomodati’ della rilevazione statistica del TEGM alla verifica del rispetto della soglia d’usura. Sembrano perpetrarsi quegli spazi di scarsa trasparenza e di conflitto con la norma penale che hanno consentito in passato l’ampio ricorso al favor rei, in presenza di significative lesioni al rispetto della legge. Seppur tendenzialmente accostati, se non si tengono distinti e separati i criteri di rilevazione del tasso medio (TEGM) dai criteri di verifica del rispetto della soglia, continuano a permanere ampie zone di criticità dove la rilevazione del TEGM non fotografa l’effettivo tasso di mercato e la verifica dell’usura mutua dai criteri di rilevazione aspetti in aperto conflitto con i principi dell’art. 644 c.p.. Comportamenti opportunistici degli intermediari, dietro la formale copertura dell’art. 3, comma 2 dei decreti ministeriali e le confuse indicazioni della Banca d’Italia, hanno per lungo tempo reiterato problemi di determinatezza e tassatività della norma, aprendo il varco a condotte che, pur 25 Le frequenti modifiche e cambiamenti che intervengono nella classificazione e rilevazione statistica, non trovano spiegazione in alcuna analisi e documentazione resa disponibile dalla Banca d’Italia: gli stessi dati rilevati rimangono esclusi all’informazione. Gli andamenti storici dei TEG rilevati sollevano apprezzabili perplessità che andrebbero fugate ponendo a disposizione analisi e dati di dettaglio per comprenderne compiutamente l’evoluzione. I dati del TEGM rilevati dalla Banca d’Italia, nonostante l’impiego della formula del TEG che induce un’apprezzabile sottovalutazione del tasso effettivo, risultano marcatamente superiori a quelli di una diversa rilevazione, riportata nel Bollettino statistico, riferita al TAEG, l’effettivo costo del credito, che tuttavia esclude le esposizioni inferiori a € 30.000. Ma queste esposizioni costituiscono il ventre ‘molle’ e ‘allargato’ del Paese dove si concentra numericamente la parte rilevante delle esposizioni creditizie più deboli. Se si considera che per la rilevazione del TEGM ai fini dell’usura, la Banca d’Italia ha adottato la media semplice in luogo della media ponderata, sembra potersi dedurre che la flessione dei tassi, conseguente all’ingresso dell’Euro, abbia riguardato, quasi esclusivamente, i crediti di più elevato importo. La ritrosia ad una maggiore informazione sembra voler escludere interferenze e critiche sulle scelte operate dalla Banca d’Italia. 24 oggettivamente illecite, non hanno integrato il reato penale per mancanza dell’elemento soggettivo26. La norma che regola l’usura è chiara, semplice, di immediata comprensione ed applicazione. La norma amministrativa, rivolta alla rilevazione di un dato statistico, risulta al contrario articolata in dettagli e specificazioni necessari a cogliere compiutamente il dato fisiologico medio di mercato, mutando altresì nel tempo per coglierne la dinamica evolutiva. Le perplessità ed incertezze insorgono quando i criteri di calcolo ed inclusione della rilevazione statistica vengono trasposti sulla verifica dell’usura, ponendo una variegata casistica di fattispecie concrete nelle quali il TEG risulta entro la soglia, mentre il costo del credito, fornito dal tasso annuo effettivo (TAEG), si colloca, anche apprezzabilmente, al di sopra della soglia. Con i fermi principi di responsabilità e di stretto rispetto dell’art. 644 c.p. fissati dalla Cassazione Penale n. 46669/11 – senza alcun riconoscimento di delega al MEF e alla Banca d’Italia, salvo la ‘fotografia’ dei tassi di mercato – risulta ristabilita la determinatezza e tassatività della norma penale; dopo la menzionata pronuncia non sembra si possa escludere, anche sotto il profilo soggettivo, il reato d’usura, in quei comportamenti degli operatori bancari riferiti esclusivamente alle indicazioni e ‘Istruzioni’ della Banca d’Italia. Anche all’usura concreta (3° comma, art. 644 c.p.), con la recente pronuncia della Cassazione n. 18778/14, è stato restituito un definito ed oggettivo ambito di applicazione, al quale gli intermediari sono chiamati a prestare una pari attenzione. 26 Come hanno evidenziato le vicende della CMS, le scelte della Banca d’Italia dispiegano frequentemente un velo di opacità sui contenuti operativi della norma penale, ponendo un ostacolo all’ineludibile presupposto della responsabilità penale, costituito, appunto, dalla chiarezza, riconoscibilità e tassatività dell’effettivo contenuto precettivo della norma penale: “Accade così che, nei processi per usura bancaria, là dove siano in discussione questioni tecnicocivilistiche (…) i consulenti ed i periti formulino ognuno, in un ideale contraddittorio con se stesso, più di un’ipotesi ricostruttiva, con esiti differenti quanto al superamento della soglia individuata; e capita di leggere, in tali casi, che il giudice dia atto della scientificità di tutti i pareri espressi dai consulenti di parte e d’ufficio, nonché dell’esistenza di una reale incertezza e lacunosità tecnica del settore, prima di giungere ciò nonostante alla pronuncia della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, reputando corretto riferirsi all’una piuttosto che all’altra delle letture. La normale, quasi scontata assoluzione dell’imputato sul piano dell’elemento soggettivo, nei casi in esame, non fa che convincere ulteriormente del fatto che nella tassatività della norma si aprono talune falle, alla luce delle quali la condotta del singolo, pur ritenuta oggettivamente illecita, viene tuttavia, ritenuta non integrante il reato per mancanza dell’elemento soggettivo.” (A. Boido, Usura e diritto penale, 2010 CEDAM). 25 Si avverte l’esigenza di evitare discrasie, interpretazioni ed indicazioni che si frappongono ad una verifica dell’usura riferita esclusivamente al dettato letterale dell’art. 644 c.p27, rimuovendo la fuorviante prescrizione che continua ad essere riportata nell’art. 3, comma 2 dei decreti del MEF di pubblicazione delle soglie d’usura, oltre al richiamo negli stessi all’indagine campionaria della Banca d’Italia del 2001: tali enunciati costituiscono lo sparuto velo al quale si appoggiano i più sospinti comportamenti opportunistici degli intermediari. La pronuncia della Cassazione è categorica: “La materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legittimità si verifica solo mediante il confronto con la norma di legge (art. 644, comma 4, c.p.) ...”, e precisa: “Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi …” aggiungendo ulteriormente: “Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà …” (Cassazione Pen. n. 46669/11). Una maggiore trasparenza e chiarezza normativa impone che il MEF e la Banca d’Italia recepiscano in radice lo spirito espresso nella menzionata Cassazione Penale riconoscendo, anche nelle disposizioni amministrative, la netta separazione fra i criteri di rilevazione del tasso medio di mercato ed i criteri di verifica della soglia d’usura. Seppur accostate le finalità rimangono distinte e la ricerca di una inesistente omogeneità di calcolo finisce per condizionare da un lato la rilevazione statistica e distorcere dall’altro la verifica del rispetto dell’art. 644 c.p.. Lasciando impregiudicata la responsabilità del rispetto delle soglie all’intermediario bancario e circoscrivendo il giudizio di verifica al semplice e chiaro enunciato dell’art. 644 c.p., la Banca d’Italia potrebbe al più esprimere – all’unisono con la Corte Suprema e 27 .. “La legge 108/96, imperniata sull’oggettivo squilibrio delle prestazioni dedotte in contratto, rappresenta il punto di arrivo di una precisa tendenza – espressa già qualche anno prima dal legislatore in materia di credito al consumo, ove assume preminente rilievo la nozione di ‘tasso annuo effettivo globale’ (TAEG, cfr. art. 122 TUB) – volta ad identificare il concetto di ‘interesse pecuniario’ con il ‘costo del denaro’. Va da sé che ciò comporta inevitabilmente una metamorfosi del bene giuridico protetto dalla norma penale (art. 644 c.p.), che non potrebbe essere più identificato – come la dottrina dominante era orientata a ritenere in passato – con il patrimonio individuale o con la libertà di autodeterminazione (negoziale) della vittima, ma va individuato nel corretto e razionale svolgimento delle relazioni di credito.” (A. Maniaci, Le regole sugli interessi usurari, in Il Mutuo e le altre operazioni di finanziamento, Ed. Zanichelli). 26 separatamente dai criteri statistici di rilevazione del valore medio del mercato (TEGM) – una propria autorevole valutazione sui principi di coerenza con il dettato dell’art. 644 c.p. e di cautela negli eventuali margini di dubbio che dovessero insorgere. Tali indicazioni, ove condivise, potrebbero guidare gli intermediari nella predisposizione dei piani tariffari del costo del credito e nei processi informatici di ‘cimatura’, già ampiamente impiegati nel calcolo e nell’addebito di interessi, oneri e spese. Chiariti i contorni normativi e riportati ad unità le espressioni di consenso alla corretta applicazione dell’art. 644 c.p. non rimarrebbero margini operativi a spinte opportunistiche che si alimentano e diffondono nelle zone grigie della normativa. Gli intermediari finanziari avvertono la confusione del coacervo di indicazioni che promanano dall’ABI, dalla Banca d’Italia, dall’ABF e dalla Cassazione, ben consapevoli che solo quest’ultima è istituzionalmente designata a fornire la corretta lettura ed indirizzo della norma; le altre indicazioni, pur provenienti da istituzioni di prestigio, si risolvono in autorevole ‘opinioni’, che tuttavia, fornendo una lettura di parte, orientano i comportamenti e finiscono per pregiudicare la determinatezza e tassatività della norma. dott. Roberto Marcelli 27