Vendette - Astrazione

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Vendette - Astrazione
Vendette
di Igor Mazzetti e Antonio Pomara
In un mondo migliore le vittime del caso, del dolore e della vita non sentono il bisogno di
agire le loro vendette. Ascoltano il vento in silenzio. Susanne Bier, raffinata interprete di un
cinema introspettivo e didascalico, racconta, tra le righe di una storia di vite confuse,
inquietante e intensa, quanto il problema degli esseri umani siano gli esseri umani stessi,
addentrandosi in quegli anfratti antropologici che troppo spesso si tende a ignorare, dove
la sofferenza è l'humus di una natura folle, arcaica, davvero troppo umana. Al contrario,
nella pellicola, la natura non umana, sempre ordinata, grandiosa e algida, diviene entità
vegliante del nostro annaspare, come se l'evoluzione sia l'opposto di quello che abbiamo
sempre creduto, e che quindi si esprima, nella sua forma più compiuta, attraverso gli
esseri che hanno abbandonato la loro dimensione senziente, il linguaggio, il pensiero, gli
istinti e il corpo, scegliendo di abbracciare soltanto la loro anima eterna. La luce, ombrosa
e profonda, accecante e polverosa, dei paesaggi esistenziali, illumina limpidamente i colori
e i volti del mondo, simbolo di quell'incantevole inaccessibilità che infine ci condanna alle
nostre fatiche, alle nostre vendette, appunto Hævnen in danese.
Premio Oscar e Golden Globe 2011 per il miglior film straniero, In un mondo migliore,
traccia le linee parallele di due famiglie in difficoltà. Rimasto orfano di madre, il giovane
Christian si trasferisce in Danimarca insieme al padre Claus, nonostante l'avversione nei
confronti di quest'ultimo. Il dolore gli scolpisce la rabbia sul volto, mentre nell'anima gli
scava un buco nero, pieno di lucida, gelida indifferenza e di arcana sete di vendetta contro
le ingiustizie. Nella nuova città incontra Elias, un coetaneo timido e perseguitato dal bullo
della scuola, con il quale intesse una straordinaria quanto rischiosa amicizia, tra solitudini,
impotenza e fragilità, preludio di un insidioso cammino verso il male.
Christian ha bisogno di trovare un responsabile per la morte della madre, che a turno
diventa il padre, colpevole di un'inevitabile resa dinanzi alla notte del male, l'energumeno
Lars, riparatore di automobili e architetto primordiale della propria ignoranza, catalizzatore
della sua rabbia, o il bullo della scuola Sofus, minacciato con un coltello e malmenato in
nome di una volontà protettiva e auto-conservativa. Infine cerca di incolpare anche se
stesso, e nel tentativo di espiare il peccato presente (la presunta morte dell'amico) tenta di
risolvere quello passato e, soprattutto, il suo male di vivere. Elias, che sembra essere il più
fragile, in realtà dimostra un maggiore senso di realtà, sebbene la sofferenza per la
lontananza del padre e per i problemi coniugali tra i genitori lo allontanino da se stesso.
Ma nemmeno i saldi principi di Anton riescono a tacere le ombre del piccolo Christian;
nemmeno la luce delle sue nobili idee riscalda il cuore del figlio Elias, che si abbandona
così alla follia dell'amico in un atto di delirante vendetta camuffata da giustizia,
divenendone l'unica vittima nell'agire il finale impeto eroico.
Anton, infatti, è un uomo che non si piega dinnanzi alla prepotenza della violenza arcaica
e primitiva di un mondo sottoculturale, ma a nulla serve la sua dimostrazione di civiltà
nell'officina di Lars, il quale infetta, con la sua aggressività selvaggia, anche il piccolo
Morten, fratello minore di Elias, che reitera l'eco della rabbia assorbita nell'officinacaverna. E nell'Africa Nera il dottore continua a lottare contro le tenebre di esseri umani
votati unicamente alla sopravvivenza, ora mentre cura il brigante di turno, ora quando,
tacito, ne osserva il linciaggio ricordando le vite che questi aveva dilaniato. Egli non vacilla
quando avrebbe la possibilità di punire Big Man, efferato carnefice, perché sempre
illuminato dal faro della sua morale. Tuttavia, infine, cede all'istinto della caducità umana,
allontanando dal campo medico l'immeritevole paziente, reo, per l'ennesima volta, di aver
dileggiato la salma di una giovane donna, mentre nell'aria echeggiano le parole di un
rosario di vane e impenetrabili verità umane: “Qui siamo tutti assassini, donne, bambini...”.
Sullo sfondo, i genitori, attoniti, fragili interpreti della commedia coniugale, vessilli della
buona educazione, ma portatori di incertezza nei figli, tra idealismo, civiltà e quotidianità,
non possono che soccombere alla loro inevitabile disperazione, figli, che in ogni parte del
mondo, si uccidono a vicenda, persuasi dagli abomini dell'eclissi umana, mentre
producono nuovi mostri che insaziabili divorano le loro stesse vite in brutta copia.
Claus, partecipe del dolore del figlio con fermezza posticcia, si allontana dalla realtà dei
suoi sentimenti e si barrica dietro a una disponibilità al dialogo che Christian sente non
essere autentica, ulteriore evidenza di un copione inesorabilmente imperfetto. Marianne
assiste alla sofferenza di Elias impotente e inerte, ancora vittima del tradimento di Anton, il
quale fugge dall'altra parte del mondo che vorrebbe salvare, senza riuscire a salvare
neanche se stesso.
La sola possibilità di fronteggiare la violenza e l'orrore è contrapporre un'etica individuale il
cui motore, stanco e usurato, è una volontà quotidianamente provata dalla sua intrinseca
incompiutezza. Quale speranza può avere il Bene in un mondo rassegnato? Quale
pedagogia consegnare a figli smarriti dai precoci deserti dei loro vissuti e dalla friabilità di
modelli esistenziali incompleti? Nei cieli profondi e crepuscolari del Nord così come in
quelli ancestrali del Sud, può ancora l'uomo essere finalità e significato?
Nell'epilogo, catartico, poche e semplici risposte. Ognuno rinuncia esausto alle proprie
rivendicazioni, minuscole e velleitarie, perché essenzialmente inutili, dinanzi ad un'Anima
del Mondo che nel suo silente e solenne rinnovarsi ci ricorda che ognuno di noi è sempre
l'altro, specchiato nelle sue imperfezioni e nei suoi impossibili deliri di mutare le sorti di
una esistenza parziale e transitoria. E allora, se visti con la lente di ingrandimento,
impauriti, veniamo conquistati dalla frenesia di sovrastare l'altro, di possedere cose e
persone, di urlare il nostro male, e ci convinciamo che sia fondamentale assecondare
esclusivamente la nostra umanità. Dimentichiamo così che sopra di noi il sole, immutabile,
sorge e tramonta, gli alberi si raccontano l'eternità al vento e alla luce del cielo stellato, e
la neve cade silenziosa sulle cime della terra e sulle vite degli esseri animati, senza
lottare, senza vivere, senza finire.