Cenni della Tesi di Laurea sul Rugby in carrozzina

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Cenni della Tesi di Laurea sul Rugby in carrozzina
L’allenamento mentale nel Wheelchair Rugby
La mia esperienza
Il 15 luglio 2013 ho presentato alla commissione di laurea dell’Università di Verona la mia tesi con titolo
Allenamento mentale nel Wheelchair Rugby. Io sono Samuele Beghetto è da quel giorno possiedo la Laurea
Specialistica in Scienze e Tecniche dello Sport. Dopo una vita passata tra il fitness e la preparazione atletica
per normodotati, sono stato spinto da una voglia innata di provare una nuova esperienza nell’ambito di uno
sport per disabili. Voglia che, in realtà, penso mi sia stata trasmessa inconsciamente da mio fratello
maggiore, affetto da grave autismo.
Ho approfittato del tirocinio formativo proposto dall’Università di Verona per contattare il CIP, dove il
Presidente Claudio Carta e il tutor universitario Paola Noventa mi hanno elencato numerose squadre da
poter affiancare. La mia scelta è ricaduta nel Wheelchair Rugby, forse per la passione stessa nel rugby, o
forse per la curiosità di vedere uno sport nuovissimo. E così nella primavera del 2012 ho cominciato a
seguire gli allenamenti della squadra Asd Padova Rugby Onlus nella palestra di San Michele delle Badesse
(PD).
Successivamente sono stato invitato a seguire la squadra nel torneo internazionale di Fontanafredda, dove
ho passato dei giorni indimenticabili, sia come crescita a livello personale, che come crescita a livello
tecnico. È stato in quei giorni che ho scelto di dedicare l’elaborato della mia tesi di laurea a questa squadra
e a questo sport.
Non sapendo da dove cominciare, ho chiesto aiuto alla Prof.ssa Donatella Donati, che con molto
entusiasmo ha accettato la mia proposta di tesi, e mi ha indirizzato a contattare la Prof.ssa Francesca Vitali
che attualmente sta eseguendo molte ricerche scientifiche negli sport per disabili e che mi ha proposto la
misurazione delle abilità mentali degli atleti. Ho accettato con molta motivazione e con la consapevolezza
di affrontare un campo a me fino ad allora poco conosciuto.
Di cosa parla la tesi?
L’intento della mia tesi è di offrire una panoramica del Wheelchair Rugby e di trattare in modo specifico le
abilità mentali degli atleti che lo praticano.
Ormai è noto da tempo che la preparazione atletica è alla base degli allenamenti di qualsiasi sport, andando
a sovrastare, in alcune circostanze anche ingiustamente, persino l’allenamento tecnico e tattico oltre a
quello mentale. Si trascurano dunque degli aspetti della preparazione sportiva che sono fondamentali per
la completa crescita sia dell’atleta, sia della persona.
L’allenamento mentale è nato ufficialmente a metà degli anni ’60 a Roma nel primo Congresso Mondiale di
Psicologia dello Sport, fortemente voluto da uno psichiatra italiano, Ferruccio Antonelli, che ha avuto il
merito di riunire molti esperti del settore. La disciplina in seguito si è sviluppata negli USA e nell’Europa del
nord, mentre in Italia sta acquistando popolarità solo negli ultimi anni.
Nell’ambito degli sport per disabili, invece, l’allenamento mentale sta facendo proprio ora il suo ingresso e
questa ricerca vuole aiutare a promuovere la preparazione mentale come vera e propria esercitazione da
inserire in tutti gli sport.
Ho misurato tramite l’Inventario Psicologico della Prestazione Sportiva (IPPS-48) le abilità mentali
fondamentalmente più importanti ai fini della prestazione atletica, ho ottenuto dei profili individuali per
ogni atleta, in modo tale da poter applicare un protocollo di allenamento e di preparazione mentale
personalizzato. L’Inventario Psicologico della Prestazione Sportiva è stato studiato appositamente per
essere applicato per scopi di ricerca e quindi, grazie anche alle sue buone caratteristiche psicometriche, è
l’ideale per la valutazione degli aspetti psicologici. Questi aspetti sono suddivisi in otto fattori, che vengono
misurati tramite 48 item. I fattori riguardano la categoria emozionale, composta da fiducia, controllo
dell’arousal emozionale, preoccupazione e disturbi della concentrazione, e la categoria cognitiva, composta
invece da preparazione per la gara, goal setting, pratica mentale e self-talk.
L’allenamento mentale
In tutti gli sport sia agonistici sia amatoriali la preparazione fisica sta ricoprendo un ruolo sempre più
essenziale ai fini della prestazione sportiva. A pari passi con questa evoluzione stanno progredendo anche
le ricerche scientifiche in modo da fornire continuamente nuovi aspetti metodologici con lo scopo di
migliorare la performance atletica. I continui studi nell’ambito della preparazione fisica stanno portando a
un livellamento della prestazione atletica, risultano così essenziali altri fattori ai fini della vittoria.
Quindi, che cosa fa la differenza tra un atleta vincente e uno che non lo è?
La risposta è semplice e la sentiamo dire spesso, mentre guardiamo una manifestazione sportiva in
televisione, ma anche negli stadi o in qualsiasi palestra o campetto di periferia: “Quel giocatore sarebbe un
campione, peccato non abbia la testa!”. Lo sport infatti richiede una combinazione di allenamento fisico e
mentale.
Oggi la preparazione mentale, mediante tecniche e procedure che aiutano a ottimizzare la prestazione, ha
assunto un’importanza fondamentale. A volte tanti sacrifici e tanto impegno per potenziare il “motore”
vengono poi vanificati in gara da problemi emotivi e psicologici: ciò è tipico di chi rende meglio
nell’allenamento rispetto alle competizioni. Altre volte ci si allena tantissimo, ma si ha l’impressione di non
riuscire a migliorare: in questo caso il motivo può essere una cattiva gestione dello stress, oppure la resa
può essere diminuita da un’insufficiente concentrazione in gara o in allenamento.
Gli esperimenti effettuati durante l’allenamento hanno fornito modelli di studio sul comportamento degli
atleti. A parte la naturale predisposizione, il soggetto impara gradualmente, mediante prove ed errori, i
comportamenti più efficaci da adottare nella prestazione sportiva. I tecnici che assistono l’atleta devono
dirigere in maniera opportuna questo sviluppo dal punto di vista non solo fisico motorio, ma anche
mentale.
Il consolidamento attraverso la ripetizione di nuovi schemi comportamentali, sia fisici che mentali, insegnati
all’atleta per meglio affrontare lo stress in allenamento e in gara, fa sì che questi diventino quasi automatici
nei momenti di maggiore intensità agonistica, aiutando l’atleta a superare gli ostacoli anche psicologici nel
modo migliore.
Il controllo dell’ansia, così importante nella performance sportiva, è da valutare volta per volta in base alla
personalità dello sportivo. Infatti è importante per un atleta mantenere uno stato di allerta, un’attenzione
concentrata adeguata alla gara che deve affrontare. Lo stato di allerta non deve essere eccessivo, perché
può generare ansia, ma non deve essere nemmeno troppo blando, perché la concentrazione non sarebbe
sufficientemente alta. Ecco allora che le tecniche di rilassamento e di concentrazione aiutano l’atleta a
raggiungere lo stato ottimale per ottenere un elevato livello di performance: queste tecniche sono
raggruppate nel mental training.
Negli ultimi anni il mental training nello sport sta acquisendo anche in Italia sempre più notorietà e
legittimità scientifica, non solo nella sua pratica a livello agonistico, ma anche dilettantistico e amatoriale.
Nell’ambito degli sport per disabili, invece, si deve ancora entrare nell’ottica di un allenamento mentale da
affiancare alla preparazione fisica degli atleti e questo è un fattore molto negativo, perché le tecniche di
mental training possono essere molto utili all’atleta disabile, non solo per vincere lo stress da competizione
e aumentare la concentrazione e l’autostima durante la prestazione sportiva, ma soprattutto nel suo
personale percorso di riabilitazione.
Ho voluto fare il primo passo e con questa tesi ho analizzato tramite il questionario IPPS-48 le abilità
mentali degli atleti della nazionale italiana di Wheelchair Rugby.
I risultati
Nella ricerca sono state misurate e analizzate le abilità mentali di ogni atleta della Nazionale Italiana di
Wheelchair Rugby, e per ognuno è stato creato un profilo per evidenziare punti deboli e punti forti.
Dai risultati ottenuti si può affermare che l’atleta di Wheelchair Rugby non ha sostanziali problematicità sia
in campo cognitivo sia in quello emozionale. I fattori con punteggi inferiori sono risultati il self-talk e la
pratica mentale e il loro scarso esercizio rispecchia l’unica difficoltà di questi atleti. È consigliato, quindi, un
appropriato lavoro di allenamento mentale per favorire l’uso del linguaggio interiore e per sviluppare
ulteriormente l’imagery, ai fini di aumentare l’attenzione al gesto atletico e la sua ripetizione mentale, che
di conseguenza porta a un miglioramento della performance.
Altre ricerche hanno confermato che atleti di livello maggiore e con più esperienza presentano abilità
mentali maggiori rispetto ad atleti di livello inferiore e con minor esperienza. Nella mia ricerca, avendo tutti
gli atleti che praticano lo sport del Wheelchair Rugby all’incirca dallo stesso periodo, si sono suddivisi gli
atleti che praticano altri sport, con più esperienze sportive e dunque classificati di livello maggiore, da quelli
che non hanno praticato nessun altro sport, classificati di livello inferiore. Non sono presenti differenze
significative in nessun fattore, escluso quello riguardante i disturbi della concentrazione, dove la differenza
è rilevante (p<0.05). Questo sta a indicare che il Wheelchair Rugby è unico nel suo genere e che la pratica e
l’esperienza compiute con altri sport non hanno validità per le abilità mentali necessarie in questo sport.
Poi sono stati paragonati gli aspetti psicologici del Wheelchair Rugby con quelli degli altri sport per disabili,
suddivisi per livello di impegno in lieve (tiro a segno, tennis tavolo, vela) ed elevato (nuoto, atletica, basket
in carrozzina). I valori ottenuti nei fattori preparazione per la gara, goal setting, fiducia e controllo
dell’arousal emozionale sono risultati molto simili a quelli per gli sport ad alto impegno, mentre nei fattori
self-talk e pratica mentale, i valori sono affini a quelli per gli sport a basso impegno. Questo perché, come
visto precedentemente, nei fattori di self-talk e pratica mentale gli atleti di Wheelchair Rugby hanno
particolari problematiche. Quindi si può affermare che il Wheelchair Rugby sia uno sport ad alto impegno.
Ringraziamenti
In conclusione voglio ringraziare un po’ di persone che ho avuto il piacere di incontrare durante
quest’esperienza: per primi ringrazio tutti gli atleti che si sono sottoposti al test (in ordine alfabetico Alen,
Alvise, Antonio, Davide, Giuseppe, Lucio, Massimo, Nicolò, Sante, Stefano, Vladimiro), nonostante la lunga
e faticosa sessione di allenamento effettuata quel giorno, poi tutto lo staff della squadra che mi ha sempre
affiancato (Franco, Mauro e Salvatore), Eva Roccato, il personale del CIP (il Presidente Claudio Carta e Paola
Noventa) per la sua disponibilità e le Prof.sse Donatella Donati e Francesca Vitali per avermi aiutato nella
formazione e stesura della tesi, collaborando a farmi conseguire una votazione di 10/10 nella tesi di laurea.