aprii gli occhi di colpo

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aprii gli occhi di colpo
APRII GLI OCCHI DI COLPO
Aprii gli occhi di colpo. Li avevo chiusi solo per un attimo eterno. Il ghiaccio dietro la
nuca bruciava. Girai lentamente lo sguardo verso il mio angolo.
“Io butto la spugna, Carlo, non ce la fai più...”
“Non ci provare, quanti round mancano?” risposi.
“L'ultimo... ma non stai più in piedi, rischi la pelle... io mollo!”
“Io oggi vinco, Franco... me l'ha detto Lei.”
Mi guardò, sorpreso.
“Ma lei chi?”
“La Santa Vergine Maria.”
Ricordo ancora lo stupore nel suo sguardo. Istantaneo. Poi scosse la testa e
probabilmente pensò che mi fossi definitivamente giocato il cervello. Molto probabile
se fai il pugile e prendi botte sulla testa tutti i giorni. Ma io il cervello non me l'ero
giocato, io l'avevo vista davvero. E lei mi aveva detto che avrei vinto. Non potevo
mollare. Strano a dirsi, ma a soli venticinque anni questo era il mio ultimo treno, il treno
per tornare ai vertici. Basta solo una sconfitta e al tappeto non vai tu, ma tutta la tua
carriera, trascinandosi dietro la tua vita. Una vita di stenti e sacrifici, di pugni e sudore. In
quest'ultimo round c'era la mia vita, e io avrei vinto. Lei me lo aveva garantito.
Una luce intensa, buona, mi aveva svegliato nel cuore della notte. Non ricordavo le frasi
precise, ricordavo solo che mi aveva parlato con benevolenza. E io questa benevolenza
la sentivo su di me. Ma, nonostante questa incantevole sensazione, i pugni del mio
avversario erano ugualmente pesanti. Macigni.
Gong!
Franco tolse il ghiaccio dalla mia nuca. Un brivido lungo la schiena mi colse e mi
raddrizzai. Ero pronto, mi serviva un solo pugno. L'avversario sembrava fresco, ma
probabilmente lo vedevo male, con gli occhi gonfi. Anche lui doveva essere sulle
ginocchia come me, anche lui doveva traballare, lo avevo colpito anche io. Mi serviva
solo un ultimo pugno, uno solo.
Mi avventai su di lui con un paio di diretti. Sapevo che la benevolenza della Santa
Vergine Maria era con me e questo mi rendeva più sicuro: questo era il mio round,
l'aveva detto lei. Forza, avanti a testa bassa. L'avversario mi colpì con un diretto destro
e un jab sinistro, una combinazione micidiale. Ma io ero invincibile. Mi lasciai colpire un
altro paio di volte e poi caricai il colpo. Lo avevo immaginato proprio così prima del
match, un pugno d'incontro che non gli avrebbe lasciato scampo.
Ero pronto. Swisssh... buio!
Aprii gli occhi di colpo. Li avevo chiusi solo per un attimo. Il ghiaccio sulla nuca bruciava,
ma questa volta non ero eretto. Guardavo sdraiato il soffitto dello spogliatoio, fissando
una macchia verde di muffa.
“Ho vinto?”
Franco non si degnò neanche di darmi la risposta che conoscevo bene. No, non avevo
vinto. Si, la mia vita era al tappeto. Nel silenzio più gelido mi tagliò i lacci dei guantoni e
mi porse davanti il secchio del ghiaccio. Uscì fuori con passo calmo, chiudendo
leggermente
la
porta.
Era dura alzarsi, abbandonando la macchia verde di muffa. Mi raddrizzai un attimo e con
le mani spostai la borsa del ghiaccio, facendola aderire alla nuca. Respirai
profondamente. Buio.
Aprii gli occhi di colpo. Li avevo chiusi solo per un attimo. Il ghiaccio sulla nuca bruciava.
Non c'era più il ring. Non c'era più nessuno. Ero solo. Tremante. Le mani mi dolevano, il
volto era gonfio e avevo perso. Io, il benedetto dalla Santa Vergine. Perso. Misi le mani
nel ghiaccio per cercare di raffreddare le nocche. Potevo sentire il dolore atrofizzarsi
piano piano, accarezzato dal gelido abbraccio di quegli insensibili cubetti.
Come avevo potuto perdere con Lei al mio fianco? Impossibile. Impossibile. Eppure era
successo. Iniziai a piangere, la mia mente era ancora annebbiata da tutti i colpi presi.
Avevo bisogno di scollegare la spina del cervello e rifiatare un attimo. Avevo bisogno di
isolarmi. Respirai profondamente. Buio.
Aprii gli occhi di colpo, li avevo chiusi solo per un attimo. Non c'era più ghiaccio sulla
nuca, ma le mani erano ancora immerse nel secchio gelido. Nella penombra dello
spogliatoio una luce apparve, nitida. Era Lei, la Santa Vergine. Mi guardava e non
proferiva parola. Silente e bella. Immacolata.
Le lacrime che vergavano il mio volto si interruppero di colpo. Percepii la stessa
sensazione di serenità provata la sera precedente. Ma questa volta Lei non parlava, si
limitava a guardarmi.
“Ho fallito – sussurrai – ho perso la mia ultima occasione. Ho tradito la tua fiducia e la
tua benevolenza. Eppure io ce l'ho messa tutta, tu lo sai. Mi sono allenato duramente,
per anni. Ho seguito la dieta giusta, ho ascoltato tutti i consigli, anche quelli che
ritenevo più assurdi. Ho portato rispetto ai miei avversari e ai miei allenatori,
combattendo sempre con grande correttezza. Io non meritavo di perdere.”
Respirai. La guardai e lei non si mosse di un millimetro. Sapeva che stavo mentendo. La
cosa strana è che improvvisamente lo capii anche io. Non era vero che mi ero sempre
allenato duramente. Spesso mettevo poca energia e saltavo gli esercizi che non mi
piacevano. La dieta giusta, ma chi l'ha mai seguita? Il mio metabolismo mi ha sempre
consentito di mangiare come un bue e non ingrassare. Dote naturale. I consigli poi...
tutta gente che non capiva nulla, che voleva imbrigliare il mio talento. Io ero come
Muhamed Alì, ero la farfalla e l'ape. Io... io ero... ero un fallito!
Un peso insostenibile mi gravò sulla schiena, incurvandomi. Era il peso della verità,
quella che non avevo mai voluto ammettere. Era il peso dello sguardo di Franco, che
nonostante tutto mi sosteneva, pur sapendo della mia indolenza. Era il peso dell'ultimo
fallimento, di una carriera che si era spezzata inesorabilmente.
Ero confuso e spaventato. Aspettai una sua predica, una frase, che non arrivò mai. Non
era necessaria, perché aveva già parlato con lo sguardo, aveva messo a nudo la mia vita.
Il pugilato è fatto di lacrime e sudore, mi raccontavo. Gladiatori che combattono uno
contro l'altro. La nobile arte.
Ricordai improvvisamente quello che disse il mio professore di ginnastica a mia madre,
ai tempi delle medie.
“Suo figlio non si applica, non ci mette tutto l'impegno che può.”
Mia madre rispose ingenuamente che lei non sognava un figlio campione nello sport e
lui la gelò. “Come una persona si comporta nello sport, così si comporta nella vita.”
Avevo dimenticato quella frase per troppo tempo e, quando riaffiorò dal mio cuore, mi
sembrò una coltellata in pieno petto, la lancia che il soldato romano conficcò nel
costato di Gesù. E io ero il figlio di Dio. No, che dico... il ladrone, il farabutto, l'impostore!
Le mani erano diventate insensibili, in quel secchio di ghiaccio. Mi sentivo monco e
fragile. Ma a venticinque anni si può raddrizzare una vita di finzione? Si può imparare a
rialzarsi? Lei mi stava dicendo di si, silenziosamente.
Si aprì la porta e la luce scomparve. Franco mi guardava silente, con lo stesso sguardo
caritatevole che aveva la Santa Vergine.
“Vai a far la doccia, Carlo.” E richiuse. Buio.
Aprii gli occhi di colpo. Capii che non li avevi chiusi solo per un attimo, ma che lo erano
da tutta la vita. Tolsi le mani dal ghiaccio ormai sciolto e rovesciai il secchio sulla testa.
Alzai lo sguardo e mi raddrizzai, fradicio e tremante. Ero finito al tappeto sul ring ma
l'ultimo round, quello della vita, non lo avevo ancora perso. Dopo la doccia presi i
guantoni e li gettai nell'immondizia. Aprii la porta e Franco mi guardò.
“Io con stasera ho chiuso.” dissi.
Lessi nel suo sguardo che lui lo sapeva già.
“E ora che strada prenderai, Carlo?” sorrise.
“È importante?” risposi.
Non lo era. Uscii dalla palestra e la notte mi avvolse, preziosa e materna. La mia vita
cominciava di nuovo. Attraversai la strada. Una luce mi abbagliò ed ebbi il tempo solo di
sentire una frenata stridente e un impatto sordo. Bum! Non sempre si ha il tempo per
rialzarsi e ricominciare, era questo che mi aveva detto la Santa Vergine nella notte, ora
lo ricordavo. Andai al tappeto per l'ultima volta. Libero dalle colpe. Sereno. I miei occhi
non si riaprirono mai più.
Matteo Mastragostino