Science in nutrition

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Milano – Hotel Principe di Savoia
ANTI-INFLAMMATION, QUALITY OF LIFE AND SPORTS IN NUTRITION
Venerdì 14 marzo 2014 - Prima Sessione – Anti-inflammatory diet
Nella prima sessione del Congresso, sono stati presi in esame diversi aspetti delle diete
antinfiammatorie; moderatori sono stati il professor Giancarlo Carli (Università di Siena) e il professor
Thomas Stulnig (Università di Vienna).
Il dottor Barry Sears, presidente dell’Inflammation Research Foundation di Boston, ha aperto i lavori del
Congresso sul tema “Review completa sulle diete antinfiammatorie”.
Le patologie croniche – ha affermato Sears - sono sostenute dall’infiammazione. Nella relazione è stata
presentata una panoramica su come il bilanciamento fra i macronutrienti, degli acidi grassi omega-6 e
degli omega-3 nella dieta possa alterare l'espressione dei geni infiammatori. In particolare, è stato
sottolineato come l'equilibrio tra le proteine e il carico glicemico in un pasto possa influire sulla
produzione di insulina e di glucagone e come l'equilibrio tra gli acidi grassi omega-6 e gli omega-3 possa
agire sulla formazione degli eicosanoidi. Sono stati mostrati i risultati clinici della riduzione
dell’infiammazione seguendo diete antinfiammatorie, nonché i bersagli molecolari della nutrizione
antinfiammatoria.
Il professor Stulnig ha presentato i risultati di una ricerca nella sua presentazione dal titolo “Una dieta a
basso indice glicemico, arricchita in proteine con supplementazione di omega-3 e il controllo
metabolico nel diabete di tipo 2”.
Lo studio condotto presso l’Università di Vienna ha valutato l’effetto di un intervento dietetico con
maggiore contenuto proteico, con carboidrati a basso indice glicemico e con integrazione di acidi grassi
polinsaturi omega-3 sul controllo metabolico e sui parametri infiammatori in una normale situazione di
vita in 30 soggetti con diabete di tipo 2 per sei mesi. Il parametro primario che indicava l’efficacia
dell’intervento era la variazione dell’emolobina glicata (HbA1c), i parametri secondari comprendevano la
variazione di infiammazione sistemica (valutazione della proteina C-reattiva ultrasensibile - usCRP), il
peso corporeo, la circonferenza vita, la massa grassa, la valutazione dell’insulino resistenza. L'intervento
dietetico ha ridotto significativamente le variazioni del parametro primario HbA1c, ha migliorato il
controllo glicemico, la circonferenza della vita e l'infiammazione silente nei pazienti in sovrappeso o
obesi con diabete di tipo 2.
La Valutazione dei biomarker per un innovativo profilo alimentare personalizzato è stato l’argomento
trattato dal professor Attilio Francesco Speciani, Università di Milano. Tutti hanno – ha affermato
Speciani - o hanno avuto esperienza di cosa sia l’infiammazione. Misurare il livello d’infiammazione con
un approccio innovativo (con analisi ematiche per valutare l’azione di citochine come BAFF, PAF, IL6,
Sirtuina) consente di capire meglio il linguaggio del corpo. L’organismo riconosce gli alimenti e gli
antigeni alimentari attraverso una “mappatura” effettuata per mezzo delle IgG. Studi recenti hanno
evidenziato che alti livelli di IgG verso un nutriente esprimono il personale eccesso di quel cibo nell’
alimentazione quotidiana. Il cibo è la più importante fonte di infiammazione nascosta, ma è anche il
principale strumento per riconquistare il benessere. Gli Europei hanno soprattutto reazioni a latte, lieviti
e glutine, mentre i Giapponesi a riso e soia. La conoscenza scientifica dei mediatori infiammatori
consente di scoprire nuovi farmaci, nuovi integratori, nuovi composti vegetali (Resveratrolo, Maqui, Olio
di Perilla) , capaci di ridurre l’infiammazione e di sostenere il benessere. L’interazione tra ambiente,
nutrizione e conoscenza dell’infiammazione rappresenta un’evoluzione e al tempo stesso una rivoluzione
per conquistare e mantenere la salute.
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ANTI-INFLAMMATION, QUALITY OF LIFE AND SPORTS IN NUTRITION
Con “Il ruolo degli acidi grassi omega-3 nelle diete“ la dottoressa Carmen Gòmez Candela
dell’Università La Paz di Madrid, ha sottolineato che i cambiamenti delle abitudini alimentari hanno
portato ad una variazione del consumo di acidi grassi, con un incremento di acidi grassi omega-6 e una
notevole riduzione del consumo di acidi grassi omega-3 con conseguente squilibrio nel rapporto omega6/omega-3, molto diverso dal rapporto 1:1, che presentava l’alimentazione umana in passato.
Data l'importanza del rapporto tra acidi grassi essenziali omega-6 e omega-3 nello sviluppo di varie
malattie, supportate anche da uno stato infiammatorio, vengono proposti i cambiamenti nelle abitudini
alimentari che hanno portato alla riduzione del consumo di acidi grassi essenziali omega-3 e viene
sottolineata l'importanza dell'equilibrio tra questi acidi grassi nel mantenimento della salute. Vengono
proposte, inoltre, le raccomandazioni atte a prevenire una carenza nella assunzione di acidi grassi
essenziali omega-3 e le indicazioni per compensare la mancanza di questi acidi grassi nella dieta. Per
raggiungere questi obiettivi, è necessario promuovere programmi di educazione alimentare
sottolineando la necessità di aumentare il consumo di alimenti ricchi di omega-3 (in particolare EPA e
DHA), compresi integratori alimentari, in forma di prodotti certificati e validati per purezza e per qualità,
da consumare nel contesto di una dieta equilibrata.
A conclusione della sessione il professor Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute and
Cell Transplant Center dell’Università di Miami, ha trattato di “Nutrizione e infiammazione: possibili
effetti sull’immunità, sulle patologie croniche e sulla longevità”.
L'infiammazione cronica influisce negativamente su tutte le funzioni fisiologiche provocando una serie di
condizioni degenerative tra cui diabete, cancro, patologie cardiovascolari, osteo-articolari,
neurodegenerative, autoimmuni e invecchiamento. Diversi importanti componenti bioattivi della dieta
possono esercitare il loro effetto attraverso determinate vie infiammatorie che possono influenzare
cambiamenti metabolici e genetici. Componenti alimentari che possono modulare i livelli di glucosio e di
insulina, nonché qualsiasi altro mediatore che può attivare il fattore NF-kB, infatti, possono innescare
l'infiammazione attraverso significative variazioni delle comuni vie metaboliche.
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Venerdì 14 marzo 2014 - Seconda Sessione – Quality of life and anti-inflammation
La seconda sessione del Congresso ha avuto come tema conduttore la “Qualità della vita e
antinfiamazione” e ha come moderatori il professor David Jenkins (Università di Toronto) e il professor
Giovanni Scapagnini (dell’Università del Molise).
Con la Lectio Magistralis del professor Robert Cummins, direttore della Scuola di Psicologia della Deakin
University di Melbourne, sul tema “Un nuovo approccio nella comprensione della qualità della vita in
medicina” sono stati presi in considerazione i tradizionali parametri medici che determinano la qualità
della vita, indici oggettivi delle funzioni biologiche. Tuttavia, negli ultimi decenni si è registrato un
crescente interesse nei confronti delle sensazioni che i pazienti avvertono delle loro stesse funzioni.
Questo fatto ha comportato un notevole aumento delle ricerche e delle valutazioni della qualità della
vita in relazione allo stato di salute (Health Related Quality of Life), definita anche valori riportati dal
paziente (Patient Reported Outcomes). Da queste ricerche sono stati determinati importanti e
innovativi metodi nello studio dell'efficacia degli interventi medici, che si basano principalmente su
sintomi riferiti dai pazienti e su dati relativi a sensazioni riguardanti le funzioni biologiche di carattere
medico, piuttosto che a sensazioni in generale, quelle definite come benessere soggettivo (SWB –
Subjective Wellbeing). Questo termine è fondamentale per la comprensione, poiché SWB esercita una
forte influenza sulle sensazioni dei vari aspetti della vita, tra cui i sintomi. È stato anche evidenziato che
per ogni individuo SWB presenta un valore base (set-point) determinato geneticamente per definire
una moderata e positiva attivazione dell’umore.
“Composti nutraceutici bioattivi per contrastare lo stress osiidativo e l’infiammazione nella patologie
cardiovascolari” è stato il tema proposto dalla professoressa Silvana Hrelia del Dipartimento di Scienze
per la Qualità della Vita dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna.
È noto da tempo, che il danno ossidativo e l'infiammazione sono intimamente coinvolti nello sviluppo di
patologie cronico-degenerative. Tra queste, le patologie cardiovascolari (CHD) rappresentano la
principale causa di morte nei paesi industrializzati e in via di sviluppo. Anche se non si possono
modificare alcuni fattori di rischio come la storia familiare, il sesso o l'età, possiamo comunque operare
in un’ottica di prevenzione. Molti studi anche di carattere epidemiologico hanno dimostrato che
seguendo una dieta “cardioprotettiva” si può prevenire o ritardare l'insorgenza di CHD. Vi sono chiare
evidenze che aumentando il consumo di componenti nutraceutici bioattivi si riduce il rischio di malattia.
Il termine “nutraceutico”, che unisce le parole "nutrizionale" e "farmaceutico", indica componenti
presenti negli alimenti, principalmente componenti fitochimici, che hanno effetti benefici per la salute,
tra cui la prevenzione e/o il trattamento delle patologie. Un salutare stile di vita, basato su una dieta a
basso indice glicemico, sull’assunzione di nutraceutici e su un corretto esercizio fisico appare la
soluzione più efficace per superare il deficit di difese antiossidanti e l'infiammazione, per favorire un
buon invecchiamento cardiovascolare e per diminuire il rischio di patologie del cardio-circolo.
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Il professor Robert McNamara del Dipartimento di psichiatria dell’Università di Cincinnati ha parlato
dello “Status degli acidi grassi omega-3 come fattore di rischio modificabile per i disturbi dell’umore in
risposta all’infiammazione”.
Nella eziologia patologica dei disturbi dell'umore, tra cui il disturbo depressivo maggiore e il disturbo
bipolare, si è registrata un’elevata attività di segnalazione immunitario-infiammatoria, sostenuta in parte
da elementi di prove in sezione trasversale per aumento dei livelli di eicosanoidi pro-infiammatori,
citochine e proteine ​di fase acuta durante episodi di disturbo dell'umore.
L'acido arachidonico (AA) e gli acidi grassi a catena lunga omega-3, tra cui l'acido eicosapentaenoico
(EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA), hanno effetti opposti sui segnali infiammatori.
Studi trasversali evidenziano che i deficit di acidi grassi LCN-3 e un elevato valore del rapporto di AA e di
LCN-3, sono associati alla depressione endogena e studi di intervento controllati suggeriscono che la
riduzione di questo rapporto attraverso la supplementazione con acidi grassi omega-3 può alleviare i
sintomi depressivi. Lo status degli acidi grassi LCN-3 è un fattore di rischio modificabile per i disturbi
dell’umore indotti dall'infiammazione.
Un altro argomento relativo all’infiamazione su „Polifenoli e marker dell’ossidazione: uno studio crossover randomizzato“ è stato esposto dal professor Giovanni Scapagnini dell‘Università del Molise –
Campobasso. Numerose evidenze suggeriscono che i polifenoli dei frutti a bacca, e in particolare le
antocianine, soprattutto quelle del maqui (Aristotelia chilensis), hanno la capacità di proteggere contro
le malattie associate all’età attraverso una varietà di importanti meccanismi.
Molti studi dimostrano chiaramente che l'attivazione dei geni bersaglio del Nrf2 e in particolare HO-1, è
fortemente protettiva contro l'infiammazione, il danno ossidativo e la morte cellulare. In uno studio
cross-over randomizzato in doppio cieco del nostro dipartimento, abbiamo dimostrato che i polifenoli
del maqui (450 mg/die di estratto o placebo), regolano sia l'attivazione di NF-kB e l'espressione delle
citochine pro-infiammatorie in macrofagi esposti a LPS, mentre, in vivo, è stata evidenziata di recente la
capacità dei polifenoli del maqui per proteggere i lipidi dai danni ossidativi, misurando l’LDL plasmatico
circolante ossidato, gli isoprostani-F2α totali nelle urine e diversi altri bio-marcatori del danno ossidativo.
Questo e altri studi consentono di stabilire una base per prendere in considerazione l'uso dei polifenoli
per lo sviluppo di nuove strategie nutrizionali per gestire una corretta condizione di salute e contro
specifiche malattie età-correlate.
La relazione del professor Enzo Nisoli, direttore del Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità dell’Università
degli Studi di Milano ha trattato dell’ Infiammazione e invecchiamento: strategie nutrizionali e
longevità. Con l’incremento dell’aspettativa di vita, il numero degli anziani è aumentato in maniera
significativa nei paesi occidentali, con una conseguente maggiore richiesta dei servizi sanitari dedicati
alle malattie legate all’età. Il processo di invecchiamento e i disturbi metabolici legati all’età sono
accomunati da meccanismi fisiopatologici che determinano disfunzione energetica cellulare e
infiammazione (fenomeni compresi in un nuovo termine: “inflammageing”). L’infiammazione metabolica
cronica, di basso grado – “metaflammation” – è ritenuta oggi un meccanismo patogenetico
fondamentale nell’insorgenza e nello sviluppo dell’obesità e delle malattie correlate, come l’insulinoresistenza. Numerosi studi hanno infatti dimostrato un aumentato accumulo di cellule infiammatorie
macrofagiche nel tessuto adiposo dei pazienti obesi. Tale aumentata espressione di citochine
infiammatorie e infiltrazione dei macrofagi in corso di obesità è presente nel fegato, nel pancreas, nel
cervello e, probabilmente, nei muscoli scheletrici degli obesi. I nutrienti sono importanti regolatori dei
meccanismi biochimici e fisiologici in tutti gli organismi viventi. Per questo, la corretta nutrizione, la
restrizione calorica e l’assunzione di aminoacidi ramificati (BCAA), ritardano l’insorgenza delle malattie
legate all'invecchiamento, compresi gli stati infiammatori.
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Sabato 15 marzo 2014 - Sports and nutrition
“Sports and Nutrition” è il titolo della sessione di sabato 15 del Congresso. Chairman saranno il prof.
Enrico Arcelli (Università di Milano) e il dottor Rodolfo Tavana (Università dell’Insubria e medico sociale
del Milan).
Il tema della relazione di apertura, tenuta dal professor Giuliano Fontani, fisiologo dell’Università di
Siena, ha trattato delle “Funzioni cognitive e uso di carboidrati durante attività sportive di situazione” .
Diversi studi dimostrano che i livelli stabili di glucosio nel sangue sono utili per mantenere elevati livelli di
attenzione, specialmente in discipline sportive dove le variabili sono numerose. È anche noto che
durante una prolungata attività fisica, la concentrazione di glucosio nel sangue tende a ridursi e questo
sembra influire negativamente sulle prestazioni. Lo scopo dello studio del Dipartimento di Fisiologia è
stato quello di valutare quale tipo di carboidrati consente di mantenere livelli costanti di glucosio nel
sangue (misurati con un holter glicemico) durante attività sportive di situazione (sono stati testati
soggetti durante partite di tennis da tavolo) e di influenzare positivamente le funzioni cognitive.
L'integrazione con miscele di carboidrati a basso indice e carico glicemico consente di mantenere stabili
le concentrazioni di glicemia e di mantenere costanti le funzioni cognitive durante tale attività sportive.
Con la seconda relazione “Miscela di proteine per ottimizzare la costruzione muscolare e il recupero
dopo l’esercizio”, presentata dal professor Gregory Paul (St. Louis – USA) sono stati comparati gli effetti
dell’assunzione di proteine animali e vegetali e le loro applicazioni sulle prestazioni sportive. Si è
evidenziato che le proteine a più rapido assorbimento come quelle del siero del latte e della soia
tendono a favorire maggiormente la sintesi proteica rispetto a quelle assorbite più lentamente come la
caseina. Altro punto da considerare: per sfruttare al meglio la tendenza alla sintesi proteica derivata
dall’allenamento (tendenza che si protrae per almeno 48 ore dopo la seduta), è un errore consumare
un’elevata quantità di proteine in un unico pasto e non mangiarne per niente negli altri, perché
l'assunzione di molte proteine in una volta sola ne riduce l'assorbimento. Lo studio del gruppo di ricerca
del professor Paul ha dimostrato che, ai fini di un aumento della massa muscolare e del recupero dopo
l’attività fisica, le miscele di proteine con differenti tempi di digestione si sono rivelate più efficaci
rispetto a un unico tipo di proteina o a una combinazione di aminoacidi e di proteina a rapido
assorbimento.
Il professor Fulvio Marzatico dell’Università di Pavia nella relazione “Dosaggio e tempo di
somministrazione delle proteine sull’ipertrofia muscolare e sulla forza” ha sottolineato che l’azione
sinergica fra assunzioni di aminoacidi essenziali/proteine e l’allenamento contro resistenza
(Forza/Potenza) può determinare una stimolazione della sintesi proteica muscolare superiore alla
stimolazione operata dai singoli interventi. I fattori che intervengono sull’incremento ed eventualmente
anche sulla durata della sintesi proteica muscolare sono: la dose “dietetica” di proteine/AAE ingerita, la
sorgente alimentare delle proteine (siero, caseina, soia, collagene) e il momento (timing) di
somministrazione di proteine/AAE. L’esperienza maturata con soggetti sportivi ha dimostrato un
miglioramento della sintesi proteica muscolare per l’ingestione post-allenamento di miscele di
proteine/AAE e di strategie nutrizionali successive alle ore immediate dopo l’allenamento. La possibilità
di poter disporre di una buone dose di AAE dopo l’esercizio è la condizione più studiata e sembra quella
più attendibile per avere grandi effetti nello stimolo della “finestra anabolica”.
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Il dottor Morten Bryhn, cardiologo e ricercatore a Oslo, ha presentato una relazione su “ Gli acidi grassi
omega-3 per la prevenzione degli infortuni nelle attività sportive”.
Per riportare rapidamente l’atleta all’attività, le lesioni acute sono trattate secondo le attuali linee guida,
che non tengono conto dei nuovi risultati scientifici relativi al processo infiammatorio in seguito a un
trauma. La crio-terapia alle parti colpite e l’uso di farmaci anti-infiammatori sono ampiamente utilizzati,
ma possono impedire la guarigione. Il processo di guarigione è controllato da acidi grassi della serie
omega-3 e omega-6. Per facilitare la guarigione questi acidi grassi devono essere presenti in quantità
significative nei tessuti colpiti prima che si verifichi il trauma. Questo è particolarmente rilevante per gli
acidi grassi omega-3 di origine marina che sono spesso ridotti a causa di un’assunzione di pesce di solito
insignificante nelle persone che praticano sport. Alcune tipologie di sport anche ad alta intensità spesso
comportano problemi al capo e traumi cerebrali. La saturazione delle cellule cerebrali con acidi grassi
omega-3, in particolare l'acido docosaesaenoico (DHA), può facilitare la guarigione dopo un trauma
cerebrale, contrastando in tal modo risultati negativi a lungo termine, come documentato da recenti
studi scientifici.
“I lipidi nelle prestazioni di endurance” è l’argomento che è stato trattato a conclusione della sessione
dal dottor Luca Mondazzi, responsabile del Servizio di Nutrizione nello Sport – Mapei Sport Service. Il
fatto che sia le scorte di glicogeno all’inizio della prestazione, sia le possibilità di reintegrazione
energetica da carboidrati in corso di esercizio hanno limiti piuttosto marcati, ha da sempre stimolato la
ricerca di scelte dietetiche che potessero aumentare il consumo dei lipidi come elevata fonte di energia
in corso di esercizio di endurance. Il loro fabbisogno giornaliero è variabile in funzione del dispendio
energetico dell’atleta e deve essere rispettato al fine di mantenere il corretto bilancio energetico. La
fonte dei lipidi dietetici è molto importante e l’olio extravergine di oliva rappresenta certamente la prima
scelta per tutti gli atleti, affiancato da adeguate quantità di acidi grassi essenziali della serie omega-3 a
lunga catena. Contrariamente a quanto valga nel caso dei carboidrati e delle proteine, tuttavia, non
esistono indicazioni specifiche in merito alle modalità ottimali di assunzione dei lipidi in relazione al
tempo dell’esercizio di endurance. Unico aspetto valutato sperimentalmente, anche con l’uso di MCT
(acidi grassi a media catena), è stato quello del supporto alla prestazione attraverso l’assunzione di lipidi
in corso di esercizio di endurance.