Berlusconi e la stanza del vescovo

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Berlusconi e la stanza del vescovo
Il sole non si era ancora alzato, ma un bagliore rossiccio annunciava,
dietro Luino, una lucida mattina di vento, di quelle che sembrano
chiudere l’estate, dopo il Ferragosto, quando il lago, come una donna
che cambia abito, perde i suoi colori tenui e leggeri per vestirsi
di azzurro intenso e qualche volta di scuro turchino,...
Piero Chiara, La stanza del vescovo. (1)
Berlusconi e la stanza del vescovo
Racconto di un temporale sul Lago Maggiore
di Fabrizio Ottaviani
L’
avete letto il romanzo di Piero
Chiara “La stanza del vescovo”? O avevate visto il film con
Tognazzi e Ornella Muti, tratto
dal libro? Eccone la trama. Siamo nel primo dopoguerra e Marco, un giovane che
passa il tempo navigando sul Lago Maggiore sulla Tinca, la sua barca a vela, viene avvicinato da un ambiguo personaggio,
Temistocle Mario Orimbelli (Tognazzi nel
film), appena ritornato a casa dopo dieci
anni di assenza, che lo invita nella sua villa.
Qui gli presenta l’arcigna consorte Cleofe e la giovane cognata Matilde (la Muti),
presunta vedova di un fratello della moglie
disperso in Abissinia. Marco fa qualche gita con l’invadente Orimbelli, affrontando
bufere sul lago e avventure piccanti con
ragazze del posto; quando è in villa, gli viene assegnata la camera che era stata di un
prozio vescovo, morto annegato anni prima
in circostanze misteriose. Un giorno con
loro parte anche Matilde, e Marco, pur essendosi accorto di un certo interesse della donna per lui, la lascia all’altro, convinto
che siano già amanti. Mentre risiedono in
un albergo di una cittadina ad una ventina
di chilometri dalla villa, vengono avvisati
che Cleofe è annegata. Sul momento viene accettata la versione del suicidio e, poco tempo dopo, l’Orimbelli sposa Matilde,
mentre Marco continua a frequentare i
nuovi amici. Tuttavia la provvisoria ricom-
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parsa del fratello di Cleofe e marito di
Matilde, dato per morto, e i ripensamenti
di Marco inducono il giudice a riaprire il
caso e a provare l’assassinio compiuto
dal marito, che in bicicletta aveva avuto
il tempo, quella notte, di tornare a casa
per compiere l’uxoricidio. Smascherato,
egli si impicca prima di essere arrestato.
Marco è tentato di restare con Matilde,
ma finisce per ritornare alla sua vita di
libero vagabondo.
Il Lago Maggiore
Perché vi racconto questo? Perché
quest’estate ho trascorso alcuni giorni sul
lago in barca, proprio nei luoghi dove sono
ambientati il libro e il film, girovagando tra
In
La
alto a destra:
locandina
del film.
Sopra: il San
Carlun di Arona.
A destra: alba
sul medio lago.
le isole e ammirando le ville storiche dei
vari paesi che si affacciano dalle rive. Dal
romanzo di Chiara e da alcuni suoi brani
ho preso spunto per descrivere meglio la
nostra “crociera”. Sí, ma Berlusconi cosa
c’entra? Calma, ci arriviamo.
Quando si va in vacanza con la famiglia non
si cercano piú le avventure da marinai, né
si spera di incappare in vicende gialle come quelle di Piero Chiara. Però le occasioni di divertimento non mancano e gli episodi vissuti lasciano dei ricordi forse non
cosí intensi come quelli della gioventú,
ma pur sempre piacevoli. E soprattutto ci
danno l’impressione di continuare a vivere con una certa energia. Eravamo dunque
partiti dal porto di Ascona, diretti a sud.
E qui mi fermo subito per alcune considerazioni campanilistiche. L’aspetto che
colpisce di piú i luganesi che si recano a
Locarno e Ascona è la lingua: a noi sem-
bra che ogni tanto si senta parlare anche
italiano. Senza scomodare il Petrarca e
certe sue considerazioni, (2) è vero che in
quella regione i tedescofoni sono una realtà molto consistente, sia i residenti, sia
i turisti. In realtà il Locarnese è una zona
bellissima e saggia, che dagli alemanni ha
recepito soprattutto le loro qualità. L’unico aspetto negativo che ho riscontrato è la
differenza di comportamento di certi operatori commerciali o turistici locali, a scapito dei ticinesi stessi: in altre parole, con
noi si permettono ritardi e imprecisioni,
che mai potrebbero consentirsi con i loro
clienti del nord. D’altronde è colpa nostra,
li abbiamo viziati e adesso ci trattano cosí!
La crociera sul lago
Ma torniamo al nostro viaggio. Non si può
navigare sul Verbano senza visitare le sue
isole (che invidia proviamo noi del Cere-
Ascona
dalle
Isole
di
Brissago.
sio: loro hanno anche le isole!). Partiti dal
porto di Ascona, le prime che incontriamo
sono quelle di Brissago: sono solo due,
ma hanno molti nomi: l’isola piú grande è
chiamata Isola di San Pancrazio o anche
Isola Grande ed ospita il Parco Botanico;
l’altra è detta Isolino, Isola Piccola, Isola
di Sant’Apollinare o anche Isola dei conigli, è ricoperta da vegetazione spontanea
ed è mantenuta allo stato naturale. Chissà
perché le isole non si accontentano di un
nome solo? Anche le Borromee e quelle
di Cannero, su cui arriveremo piú tardi,
ne hanno parecchi. È facile confondersi, tra i tre arcipelaghi del lago, con tutte
quelle denominazioni. Considerazioni
linguistiche a parte, abbiamo ormeggiato
il natante al pontile situato nello stretto
tra le due isole, siamo sbarcati e abbiamo
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visitato il bellissimo parco, ricco di specie rare. Oltre al grande palazzo, sede del
ristorante, esistono un giardino d’inverno
(“l’orangerie”), il bagno romano e la darsena. Dopo il breve giro nei giardini, ci
siamo goduti un pranzo nel ristorante della villa e ci siamo reimbarcati, puntando
verso la dogana. Superata questa e la cittadina di Cannobio, abbiamo compiuto una
sosta ai castelli di Cannero, due isolotti su
cui sorgono delle fortezze in rovina. Filata
l’ancora in una zona di basso fondale, abbiamo raggiunto la sponda di uno dei due
isolotti, chi con il canottino, chi a nuoto.
Sull’isola maggiore, la rocca della Vitaliana, voluta dal conte Ludovico Borromeo
nel 1518, occupa tutta la superficie; invece
sulla minore si ergono i ruderi delle cosiddette “prigioni”. Queste ultime rovine
lasciano uno spazio di prato pianeggiante,
con qualche pianta e alcune roccette, su
cui è agevole soffermarsi per una grigliata o una merenda o semplicemente per
prendere il sole. Esiste pure una terza
isola, un piccolo scoglio poco distante,
detto del “Melgonaro”, su cui cresce solo
un’unica tenace pianta, che ha affascinato
poeti e scrittori, fra i quali lo stesso Piero
Chiara o Carlo Rapp e incisori come Marco
Costantini (3) e su cui ci si arrampica per
tuffarsi poi nell’acqua profonda. Dopo aver
esplorato i castelli e fatto un bel bagno,
abbiamo salpato l’ancora e abbiamo proseguito il nostro viaggio oltrepassando Luino, Laveno e il golfo dove sorgono le Isole
Borromee, continuando dopo Ispra, fino
ad Angera, con la sua Rocca, e oltre ancora, giungendo all’estremità meridionale, a
Sesto Calende, dove il lago vien, quasi ad
un tratto, a restringersi, e a prender corso
e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e
il ponte che ivi congiunge le due rive, par
che renda ancor piú sensibile all’occhio
questa trasformazione, e segni il punto
in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia...
(scusate, come sempre mi sono fatto
prender la mano dai Promessi Sposi); volevo dire, il Ticino ricomincia. Ci siamo addentrati per un tratto nel fiume, prestando attenzione ai fondali bassi, poi siamo
ritornati nel bacino principale e abbiamo
ormeggiato in una marina turistica. Lí abbiamo cenato e trascorso la notte a bordo,
assordati dalla musica di tre discoteche
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dei dintorni. L’indomani abbiamo iniziato
la risalita, passando da Arona, e guardando
dal basso il Sancarlún, ossia l’enorme statua di San Carlo Borromeo. Si tratta di un
monumento alto 35 metri (fate conto che
la Statua della Libertà di New York misura
46 metri), con un piedestallo in muratura,
su cui sorge una statua ricoperta di lastre
di rame, vuota all’interno, nella quale si
può salire per una stretta scaletta fin dentro la testa. Essa è stata realizzata alla fine
del 1600 e uno dei due scultori era un luganese, Bernardo Falconi.
Temporale
Il temporale
Continuando la crociera, ci siamo ormeggiati ad una boa del campeggio di Solcio,
dove avevamo appuntamento con un turista nautico tedesco, che ci aveva portato
degli strumenti per un vecchio motoscafo.
Ripartiti e attraversato il lago, abbiamo
costeggiato Ispra, cercando di riconoscere dal largo la villa che amici lombardoticinesi hanno in questa cittadina. Dando
un’occhiata al cielo, ci siamo accorti che
i nuvoloni si stavano addensando, soprattutto verso settentrione, proprio dove noi
eravamo diretti. Ci aspettava un bel temporale, che vi voglio raccontare alternando le mie parole con le frasi del romanzo
di Chiara, che ben si adattano alla nostra
impresa. Bisogna premettere che noi,
marinai d’acqua dolce, non siamo molto
abituati alle burrasche, vuoi perché da noi
sono rare, vuoi perché solitamente scappiamo prima a terra. Come diceva Totò, “Il
coraggio ce l’ho. È la paura che mi frega”
(5). Nella mia vita lacustre però qualche
temporale violento me lo sono buscato,
ai tempi d’oro delle scorribande giovanili.
Forte di quelle esperienze, dunque abbiamo deciso per l’avanti tutta! Le altre barche si dirigevano rapidamente verso sud,
mentre noi dovevamo tornare nel nostro
porto, molto piú su, a settentrione. Visto
che ormai eravamo in ballo, tanto valeva
affrontare la tempesta. Messa dunque la
prua a nord, ci siamo avvicinati al fronte
del cattivo tempo. “Al largo, trovammo il
vento d’un temporale che rumoreggiava da
tempo dietro il Mottarone e pareva deciso
a scoppiare da un momento all’altro. Ci
convenne attraversare il lago per andarci a
rifugiare sotto la sponda opposta, mentre
il temporale scendeva improvvisamente in
sul lago.
basso e cominciavano i rovesci d’acqua, i
lampi e le raffiche.” Presto grossi goccioloni hanno cominciato a picchiettare sulla
cappotte, poco dopo fiumi di acqua scorrevano sul parabrezza, appena spostati dal
piccolissimo tergicristallo, che apriva un
minimo varco appena sufficiente per capire se davanti ci fosse il lago o la riva. “Da
sottocoperta venivano le grida soffocate
delle ragazze, che ad ogni panciata della
barca, credendo arrivata alla fine, invocavano la mamma. In verità una corrente fortissima, di quelle che si formano durante
grandi temporali, ci trascinava verso il bacino centrale, cioè nell’occhio del maltempo, dove non c’è riparo di sorta ai venti,
che disponendo di uno spazio illimitato si
liberano e imperversano a loro piacimento.” Il grosso pericolo, oltre i fulmini di cui
diremo, era infatti quello di andare a sbattere contro la costa o un’isola, perché la
visibilità era quasi nulla: la bussola aiutava
per la direzione teorica, ma non era sufficiente. Per fortuna ci è venuto in soccorso
un piccolo apparecchio GPS per escursionismo, grazie al quale il giovane ufficiale di
rotta mi indicava la via, facendo disegnare
alla barca un largo arco, parallelo alla costa che avrebbe portato a Stresa. Pensavo
che il nostro destino era nelle mani del
giovane aiutante, ma sapevo che potevo
fidarmi. “Lo vedevo alla luce dei lampi,
con la faccia bianca come la tela delle vele
che ogni tanto sbattevano sinistramente,
con un frastuono quasi maggiore di quello della bufera. Le raffiche arrivavano del
tutto impreviste per il buio che impediva
di vedere l’appannamento dell’acqua che
le accompagna e le annuncia. Ma la barca
teneva, ubbidiente al timone e al gioco
delle vele, guadagnando sempre piú verso
il riparo della costa.” Improvvisamente, a
pochi metri dalla prua, è apparso tra gli
scrosci di pioggia uno strano convoglio,
formato da una lancia dei Carabinieri,
con al traino un vecchio e bellissimo Riva
Aquarama, l’ammiraglia della flotta del
famoso cantiere di Sarnico. Le imbarcazioni hanno attraversato la nostra rotta e
sono presto sparite tra gli spruzzi, come
il vascello fantasma dell’Olandese Volante. Poco piú avanti l’alta sagoma di un
traghetto, che già si allontanava, avrebbe
dovuto farmi riflettere. Invece la preoccupazione maggiore, quella per i fulmini
che cadevano nel lago non troppo distanti
da noi, mi ha fatto dimenticare le onde di
scia che si formavano dietro al battello e
si sommavano a quelle già alte del fortunale. Senza preavviso la nostra barca si è
alzata su un onda, ne è discesa, la prua si è
impennata sulla seconda, è andata sempre
piú su, è rimasta come sospesa nel vuoto,
per un attimo interminabile come librata
nell’aria, poi è ricaduta nel cavo dell’onda,
picchiando violentemente e subito risalendo sulla prossima. In barca è successo
il pandemonio: tutti han preso un gran
colpo e uno spavento, dalla plancia sono
volati gli oggetti appoggiati, l’acqua ha
spazzato la coperta. Dall’interno, giú in cabina, si è sentito un pianto di bimbo: il piú
piccolo dei nostri marinai, che riposava in
cuccetta, è stato sbalzato dal suo giaciglio,
A
è rimbalzato sul tavolo ed è rovinato sul
pavimento, per fortuna senza grosse conseguenze. “I fulmini scendevano uno dopo
l’altro intorno alla Tinca, che si dibatteva
e a volte si impennava come un cavallo.
Pareva immobile e legata al fondo con una
catena, e invece correva a grandi balzi verso la sponda piemontese, piegando ora a
dritta ora a mancina, a seconda delle raffiche e delle bordate che la investivano.”
Navigavamo in modo strumentale, fidandoci del piccolo schermo che ci indicava
la via, sperando di uscire presto dal quel
pasticcio. Se non temevamo per la tenuta dello scafo, i lampi erano, come detto,
motivo di apprensione. Come forse sapete, un’automobile o una barca di metallo
sono protette dall’effetto “gabbia di Faraday”, perché un fulmine che li colpisse,
si scaricherebbe lungo le pareti esterne.
La barca di legno o plastica invece no. Una
saetta che si abbattesse sulla parte alta
dell’imbarcazione, la attraverserebbe per
la via per lei piú diretta, bruciando tutto al
suo passaggio. Meglio dunque non pensarci troppo. “D’un tratto, come per miracolo,
il vento cadde e il lago si calmò. Le vele si
afflosciarono e la Tinca filò leggera verso
riva. Avevamo passato il fiume rombante
del centro lago ed eravamo entrati nella
fascia costiera, protetta dal promontorio
di Ghiffa. Poggiai del tutto per non andare
a dar di cozzo nella riva e la barca si mise
al passo, quieta come un cavallo stanco”.
Le isole Borromee
Eravamo finalmente entrati nel ramo di
Stresa, senza piú pioggia e con l’aria pulita
dopo il temporale. Passando tra le isole
e la riva, siamo giunti a Baveno, dove ci
siamo fermati per la notte. L’indomani,
asciugati i rimasugli dell’acqua entrata a
bordo, abbiamo deciso di visitare le Isole
Borromee, completando cosí il trittico
degli arcipelaghi del Verbano. Impariamo da vari siti che trattano il Verbano e
la sua storia (4) che queste isole sono
situate nel braccio di lago chiamato golfo
Borromeo, tra Stresa e Pallanza. L’arcipelago si compone di tre isole, un isolino
destra:
Il giardino Borromeo
Bella.
Castelli di Cannero.
sull’Isola
Sotto:
i
Sbarco
sull’Isola dei
Pescatori.
ed uno scoglio: l’Isola Madre, l’Isola Bella, chiamata anche Isola Inferiore, l’Isola
dei Pescatori, detta pure Isola Superiore,
l’Isolino di San Giovanni, per molti anni
residenza del compositore Arturo Toscanini, e lo Scoglio della Malghera, chiamato
anche Isolino dell’Amore o degli Innamorati o delle Bambole, (cosa vi avevo detto
sui nomi delle isole?), per una superficie
complessiva di circa 18 ettari. Nel 14° secolo i Borromeo, potenti feudatari della
zona, ma originari di Firenze, erano divenuti proprietari delle isole e avevano
iniziato cosí la loro trasformazione. Oggi
la famiglia possiede ancora l’Isola Bella e
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Berlusconi e la stanza del vescovo
l’Isola Madre, oltre ai Castelli di Cannero. L’isola dei Pescatori è l’unica abitata
stabilmente, anche se da una piccola
comunità, mentre le due isole “sorelle”
sono mete ambite dei turisti che ammirano i due splendidi palazzi e i relativi
giardini, famosi in tutta Europa per la
qualità del paesaggio e per la cura e la
varietà delle architetture vegetali, composte da oltre duemila varietà di specie
differenti. Nell’Isola Madre, il luogo piú
voluttuoso che abbia mai visto al mondo
come scriveva Flaubert, è presente una
numerosa fauna di volatili orientali, co-
me pavoni bianchi, fagiani dorati e pappagalli, liberi nello splendido giardino di
piante rare e fiori esotici, creando cosí
il fascino di una terra tropicale. L’Isola
Bella, oltre al grande palazzo, possiede
invece un giardino che, abilmente progettato nei secoli e sviluppato a terrazze ornate e sovrapposte su vari livelli,
presenta fioriture multicolori per tutto
l’anno, a rotazione, tra le varie specie
floreali (rose, orchidee, bulbose, magnolie, frutteti, azalee, gardenie, glicini): è un classico e inimitabile esempio
di “giardino all’italiana” seicentesco.
Alla
Tutti in spiaggia
Terminata la visita delle Borromee, siamo
velocemente rientrati in Svizzera, risalendo
il medio e l’alto lago, ammirando le bellissime ville di Pallanza, Intra e quelle della
costa piemontese, sulla quale era stata ubicata anche Villa Cleofe, quella con la stanza
del vescovo. Verso il tardo pomeriggio eravamo nei pressi di Ascona, ma c’era ancora
il tempo per un po’ di vita da spiaggia. Abbiamo dato fondo nei pressi della foce della
Maggia, insieme a decine di altri motoscafi
e barchette, e siamo sbarcati sulla spiaggia, che a seconda dell’altezza dell’acqua e
delle stagioni è piú o meno ampia. Sembra
di trovarsi sul mare Adriatico o su un’isola tropicale, perché dalla riva si cammina
lungamente nel lago, sempre in fondali
bassi. Verso l’interno invece una fitta rete
di canneti e arbusti, intervallata da sentieri
piú o meno allagati secondo il livello del-
foce della
Maggia.
Il
battello bar.
le acque, fa sembrare la zona a un’isola
tropicale inesplorata. Poco distante dalla
spiaggia ormeggia ad orari regolari un
buffo battello, adibito a bar e gestito da
un bizzarro capitano. Dopo l’aperitivo sul
lago, era ormai ora di rientrare nel porto
di Ascona, sistemare la barca e rientrare
a casa, per assaporare finalmente un letto
sulla terraferma.
E allora, Berlusconi? Niente politica,
tranquilli; Berlusconi, nel romanzo che
ci ha accompagnati in questo resoconto, è il nome della famiglia della moglie
Cleofe. Leggiamo al proposito in un sito sull’argomento (6) che Piero Chiara
“era lombardo e conosceva ciò che già
si favoleggiava in quegli anni intorno a
quell’imprenditore edile che stava edificando “Milano 2” e che, molto italianamente, era inviso a molti per i suoi successi nel settore immobiliare. L’anno
dopo la pubblicazione del libro è uscito
il film (prodotto con la Francia) e i ripugnanti Berlusconi del film sono entrati
nella fantasia di milioni di italo-francesi, quasi in modo subliminale, pronti a
trasferire il loro mortifero bagaglio in
un Berlusconi vero e reale. Per anni ci
è stata imposta a dosi massicce la maschera dell’industriale brianzolo, cinico
e senza scrupoli, a volte rappresentato
con la erre moscia di certi personaggi
della Wertmüller o con la voce arrochita
dalla nebbiosa umidità milanese dell’incolto bauscia pieno di soldi e di fabbrichette, creato dalla fervida fantasia di
una folta schiera di autori.
Ecco, anche questa volta ho finito la mia
fatica, tra i Borromeo e i Berlusconi, tra
i marinai d’acqua dolce e i vescovi, tra
Tognazzi e Piero Chiara. Spero che questo mio scritto abbia contribuito almeno
un po’ a far conoscere il Lago Maggiore
anche ai luganesi, cosí come il tempo
trascorso in quelle acque ha consentito a
me di imparare molto e di viaggiare con la
fantasia in tempi e luoghi lontani, in realtà
senza allontanarmi troppo da casa.
s
Note
(1) Romanzo scritto nel 1976. Piero Chiara (all’anagrafe Pierino) è nato a Luino il 23 marzo 1913 ed è morto a Varese il 31 dicembre 1986. È stato uno dei
grandi scrittori italiani del Novecento. A lui è dedicato il Premio letterario Piero Chiara, istituito nel 1989 dal Comune di Varese.
(2) Petrarca, Ai grandi d’Italia, vs. 33-35: Ben provvide Natura al nostro stato / Quando de l’Alpi schermo / Pose fra noi e la tedesca rabbia e vs 74-75: Latin
sangue gentile, / sgombra da te queste dannose some.
(3) Cfr il sito Italia Turismo, a proposito di queste isole.
(4) Fra gli altri, vedi www.studioesseci.net e Wikipedia.org
(5) Totò nel film “Napoli milionaria”.
(6) perlascandinavablogspot.com.
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