III - Pegaso

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III - Pegaso
INSEGNAMENTO DI
PROCEDURA PENALE II
LEZIONE III
“GLI EPILOGHI DELLE INDAGINI PRELIMINARI”
PROF. GIUSEPPE SACCONE
Procedura Penale II
Lezione III
Indice
1 L'azione penale: la nozione ----------------------------------------------------------------------------- 3 2 Le caratteristiche dell'azione penale------------------------------------------------------------------ 4 3 L'archiviazione: considerazioni preliminari -------------------------------------------------------- 6 4 La richiesta di archiviazione nei confronti di persona indagata -------------------------------- 8 5 L'udienza in camera di consiglio -------------------------------------------------------------------- 10 6 L'udienza preliminare senza richiesta di rinvio a giudizio ------------------------------------- 12 7 Archiviazione e procedimento contro ignoti ------------------------------------------------------ 13 8 La riapertura delle indagini a seguito di archiviazione ----------------------------------------- 14 9 L'udienza preliminare --------------------------------------------------------------------------------- 15 10 Lo svolgimento dell'udienza preliminare ---------------------------------------------------------- 17 11 Costituzione delle parti -------------------------------------------------------------------------------- 20 12 Ammissione di atti e documenti --------------------------------------------------------------------- 22 13 Discussione ----------------------------------------------------------------------------------------------- 23 14 Modifica dell'imputazione ---------------------------------------------------------------------------- 24 15 Integrazione delle indagini ed integrazione probatoria ----------------------------------------- 26 16 La decisione del GUP ---------------------------------------------------------------------------------- 29 17 Sentenza di non luogo a procedere ------------------------------------------------------------------ 30 18 Fascicolo per il dibattimento e fascicolo del pubblico ministero ------------------------------ 33 19 Impugnazione della sentenza di non luogo a procedere ---------------------------------------- 36 20 La revoca della sentenza di non luogo a procedere ---------------------------------------------- 38 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L'azione penale: la nozione
L'azione penale si sostanzia nella richiesta, rivolta al giudice, di decidere sull'imputazione
che, ai sensi dell'art. 405 comma 1, il pubblico ministero formula (eventualmente) all'esito delle
indagini preliminari. Nel procedimento ordinario l'imputazione è contenuta nella richiesta di rinvio
a giudizio (art. 417, comma 1); nei riti speciali è ricompresa nell'atto che instaura il singolo
procedimento (vedi, ad es., il giudizio direttissimo, art. 451, comma 4).
Consistendo nell'addebito di un reato in merito al quale si sollecita una decisione
giudiziale, l'imputazione deve specificare i termini concreti della incolpazione, cioè immettervi
contenuti storicamente determinati ( 1 ), sicchè ne costituiscono elementi essenziali:
• l'enunciazione del fatto storico "in forma chiara e precisa";
• l'indicazione degli articoli di legge violati (il cd. titolo del reato);
• le generalità della persona alla quale è addebitato il reato (art. 417,
comma 1).
Inoltre il codice impone di precisare anche le circostanze aggravanti e quelle che possono
comportare l'applicazione di misure di sicurezza.
L'esercizio dell'azione penale determina due effetti. In primo luogo, pone obbligo al
giudice di decidere su un determinato fatto storico. In secondo luogo, fissa in modo
tendenzialmente immutabile, l'oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di decidere
in merito ad un fatto storico differente da quello precisato nell'imputazione (salve le eccezioni
descritte negli artt. 423 e 516-521, sulle quali si tornerà in seguito).
Il codice non indica espressamente quali debbano essere gli elementi d'accusa idonei
a giustificare la formulazione di un'imputazione. E' possibile, tuttavia, dedurre indirettamente che al
giudice dell'udienza preliminare debbano pervenire solo domande fondate su elementi investigativi
apparentemente idonei a sostenere l'accusa in giudizio: in altri termini, il pubblico ministero
esercita l'azione penale quando le fonti di prova individuate appaiano sì consistenti da corroborare
la fondatezza dell'accusa e rendere altamente probabile che il giudizio esiti in una sentenza di
condanna. Invero, allorchè si determini a richiedere il rinvio a giudizio, il pubblico ministero non
può limitarsi a ritenere che l'ipotesi formulata riguardo alla colpevolezza della persona sottoposta
1
Che sia omicidio causare la morte d'un uomo è definizione astratta. L'atto di accusa fissa le variabili: N è
l'omicida, P l'ucciso; X lo strumento letale (arsenico); Y la condotta (microdosi venefiche nel caffè); è accaduto al
tempo T e nel luogo L.
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alle indagini appaia solo possibile; occorre invece che paia probabile l'emissione di un giudizio di
condanna nell'eventuale fase dibattimentale.
2 Le caratteristiche dell'azione penale
L'azione penale possiede quattro caratteristiche: obbligatorietà, titolarità da parte del
pubblico ministero, irretrattabilità e procedibilità d'ufficio.
Obbligatorietà. Ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, il pubblico ministero ha obbligo di
esercitare
l'azione
penale.
L'obbligatorietà,
tuttavia,
non
è
riferita
alla
formulazione
dell'imputazione, nel senso che il titolare delle indagini debba, all'esito delle stesse,
necessariamente elevare un'imputazione nei confronti del soggetto sottopostovi, bensì è riferita alla
valutazione della fondatezza degli elementi acquisiti, nel senso che il pubblico ministero è tenuto a
vagliare l'opportunità di formulare l'imputazione o, alternativamente, astenersene chiedendo
l'archiviazione (art. 326). Anzi, per essere più precisi, l'art. 50 usa una formula disgiuntiva:
ogniqualvolta non chieda l'archiviazione (art. 408), l'organo inquirente deve instaurare il processo.
Ciò implica che il pubblico ministero non deve necessariamente "accusare", ma è tenuto, piuttosto,
a verificare che il fatto non vada archiviato. Invero, non essendoci le condizioni per archiviare, si
profilerà necessario, per esclusione, formulare l'accusa.
Ad ogni modo, ai sensi dell'art. 409, la scelta di non esercitare l'azione penale sarà
sottoposta al controllo del giudice per le indagini preliminari.
Titolarità pubblica. Il codice ha stabilito che l'azione penale può essere esercitata soltanto da
un organo pubblico, attribuendo unicamente il potere di esercitare l'azione penale al pubblico
ministero (art. 405), con esclusione della persona offesa e di quella danneggiato dal reato.
L'obbligatorietà dell'azione penale ha il fine di assicurare due princìpi fondamentali: il principio di
eguaglianza (art. 3 Cost.) ed il principio di legalità (art. 25, comma 2 Cost.). Sotto il primo profilo,
se la persona offesa non ha possibilità economiche, ciò non deve impedire che il reato venga
comunque perseguito. Sotto il secondo profilo, può essere soltanto la legge a determinare chi debba
essere punito e chi debba andare esente da pena; ciò non deve dipendere da una scelta di
opportunità politica compiuta da un soggetto, sia pure esso un magistrato del pubblico ministero.
Procedibilità d'ufficio. In base all'art. 50, comma 2, quando non sia necessaria la querela, la
richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione penale è esercitata d'ufficio. Ciò implica
che il pubblico ministero non sia vincolato, nell'esercizio dell'azione, all'iniziativa di altri soggetti; è
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sufficiente che egli rilevi l'esistenza di un fatto storico previsto dalla legge come reato. Non occorre
neanche attendere denunzie per mettere in azione il meccanismo investigativo: il magistrato
inquirente può direttamente prendere «notizia dei reati di propria iniziativa» (art. 330). Vi sono,
tuttavia, alcune eccezioni alla regola dell'iniziativa d'ufficio: si tratta di ipotesi nelle quali occorre la
sussistenza di una condizione di procedibilità, e cioè di una querela, istanza, richiesta o
autorizzazione a procedere. Poiché si tratta di eccezioni, è però necessario che vi sia una norma di
legge che, in relazione ad un determinato reato, espressamente preveda la singola condizione di
procedibilità.
Irretrattabilità. L'esercizio dell'azione penale non può essere sospeso o interrotto se non nei
casi espressamente previsti dalla legge, poiché, a seguito dell'esercizio dell'azione penale, nessuno
può, di regola, interrompere la serie necessitata di atti processuali che automaticamente ne
scaturiscono. A processo instaurato, il pubblico ministero non può più disporne, come avverrebbe
se potesse desistere: le ruote girano fino alla sentenza, senza che né il titolare dell'azione, né il
giusdicente possano interferire. Il codice prevede, tuttavia, un'eccezione ossia che lo stato mentale
dell'imputato sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento: in tale ipotesi, il
giudice dispone, con ordinanza, la sospensione del procedimento ( 2 ).
2
Ogni sei mesi o meno, quando ne ravvisi l'esigenza, il giudice fa svolgere accertamenti sullo stato di mente
dell'imputato; la sospensione è revocata non appena risulti che quest'ultimo sia in grado di partecipare scientemente al
procedimento. Occorre, comunque, precisare che si può avere sospensione soltanto quando l'imputato rischia di essere
condannato; viceversa, questa non è consentita allorchè nei confronti dell'imputato debba pronunciarsi sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere
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3 L'archiviazione: considerazioni preliminari
La richiesta di archiviazione costituisce per il pubblico ministero l'alternativa all'esercizio
dell'azione penale. Il provvedimento che la dispone interviene a conclusione di una fase
investigativa, che può essere anche lunga e complessa. L'istituto dell'archiviazione adempie a tre
funzioni:
1) consente al pubblico ministero di operare una previa selezione dei procedimenti idonei a
sfociare in giudizi, prima di passare al successivo filtro dell'udienza preliminare;
2) consente un controllo ad opera del giudice per le indagini preliminari in ordine al corretto
adempimento dell'obbligo di esercitare l'azione penale da parte del pubblico ministero;
3) consente alla persona offesa dal reato di ottenere che il giudice verifichi, in apposita
udienza da tenersi in camera di consiglio, le ragioni di un'eventuale inerzia del pubblico ministero, a
fronte di possibili e fondati elementi d'accusa, idonei invece a giustificare la formulazione di una
imputazione.
L'archiviazione è pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in presenza di
presupposti di fatto o di diritto.
Presupposti di fatto. È pronunciata quando la notizia di reato è "infondata" (art. 408). Ai
sensi dell'art. 125 delle disposizioni di attuazione del codice di rito «il pubblico ministero presenta
al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene l'infondatezza della notizia di reato perché gli
elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio».
In tal caso si effettua una prognosi sull'esito di un eventuale dibattimento: la notizia
di reato sarà, cioè, da reputarsi infondata allorchè in un futuro giudizio appaia probabile la
pronuncia di una sentenza di assoluzione perché il fatto di reato non sussiste, l'imputato non lo ha
commesso, il fatto non costituisce reato, o il fatto non è punibile.
La regola di giudizio di cui occorre tener conto nella valutazione prognostica è la
stessa che l'art. 530 formula a proposito della sentenza di merito, perchè solo prevedendo come
probabile la pronuncia di una delle siffatte formule, il pubblico ministero può convincersi della
idoneità a sostenere l'accusa in giudizio. Certo, muta la prospettiva: mentre la sentenza di merito
esprime un giudizio che assume come esaurita ogni possibilità di ulteriore acquisizione probatoria
da parte di ciascuno dei soggetti coinvolti nel contraddittorio, il decreto di archiviazione, invece,
interviene in un momento in cui non è da reputarsi esaurita la possibilità di introdurre ulteriori
elementi probatori. Ciò posto, la regola di giudizio contenuta nell'art. 530 guiderà sia la sentenza di
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assoluzione che il decreto di archiviazione: nel primo caso, tuttavia, essa consentirà di elaborare una
“diagnosi”, nel secondo, invece, di procedere alla formulazione di una “prognosi”.
Presupposti di diritto. L'archiviazione, secondo quanto dispone l'art. 411, può essere
pronunciata anche in presenza di determinati presupposti di diritto. Più specificamente,
l'archiviazione può essere disposta quando:
a) manchi una condizione di procedibilità (ad esempio, la querela),
b) il reato sia estinto (ad esempio, per prescrizione),
c) il fatto non sia previsto dalla legge come reato (trattasi, ad esempio, di un illecito
amministrativo depenalizzato),
d) quando siano rimasti ignoti gli autori del reato (si tratta, tuttavia, di un tema che
esamineremo separatamente).
Peraltro, la legge n. 46 del 2006 ha introdotto un inedito vincolo legale che impone al
pubblico ministero di formulare richiesta di archiviazione quando la corte di cassazione - in sede di
impugnazione cautelare - abbia ravvisato la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ai sensi
dell'articolo 273) e non siano stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della
persona sottoposta alle indagini (art. 405 comma l-bis). La recente disposizione è volta a correggere
la tendenza della pubblica accusa a promuovere dibattimenti inutili, in quanto fondati su quadri
indiziari inconsistenti. La pronuncia della Corte di legittimità dovrà sancire l'insussistenza dei gravi
indizi giustificativi della misura cautelare. Il pubblico ministero, che non abbia acquisito ulteriori
elementi a carico dell'indagato, dovrà richiedere l'archiviazione; ma, ove non lo faccia, il sistema
sembra non fornire rimedi: si tratterà di una violazione di carattere disciplinare (art. 124); pertanto,
il giudice conserva il potere di valutare la richiesta di archiviazione in base agli ordinari criteri
contenuti nel codice.
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4 La richiesta di archiviazione nei confronti di
persona indagata
Il procedimento di archiviazione prende avvio a seguito dell'iniziativa del pubblico
ministero, che presenta al giudice per le indagini preliminari la relativa richiesta: non è consentito al
titolare delle indagini di pronunciare d'ufficio l'archiviazione. Nell'ipotesi in cui il pubblico
ministero rinunci alla formulazione dell'accusa, peculiare importanza assume l'intervento della
persona offesa, la quale, sin dalla presentazione della notizia di reato (denuncia, querela, etc.) o
successivamente ad essa, dichiari di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione (art. 408,
comma 2). La dichiarazione, però, deve essere espressa, non potendo essere ritenuta ad essa
equipollente la riserva di costituzione di parte civile (che, peraltro, può intervenire solo a
dibattimento instaurato).
Se una tale dichiarazione non vi sia stata, il pubblico ministero trasmette al giudice
la sola richiesta di archiviazione congiuntamente al fascicolo contenente la notizia di reato, la
documentazione delle indagini espletate ed i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le
indagini preliminari.
Se, invece, la dichiarazione vi è stata, il pubblico ministero deve disporre la notifica
del relativo avviso alla persona offesa informandola che, nel termine di dieci giorni dalla
notificazione, ha facoltà di prendere visione degli atti depositati nella segreteria e di presentare
opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. Solo dopo la
presentazione dell'eventuale opposizione o l'inutile decorso del termine per proporla, il pubblico
ministero trasmetterà gli atti al giudice. E non è da escludere che, qualora l'atto di opposizione
venga proposto, l'inquirente rinunci a coltivare la propria richiesta di archiviazione e ometta di
trasmettere gli atti al giudice, determinandosi a proseguire le indagini nel senso indicato dalla
persona offesa.
L'opposizione a richiesta di archiviazione è atto con cui si richiede la prosecuzione
delle indagini mediante l'indicazione, a pena di inammissibilità, dell'oggetto dell'investigazione
supplementare e degli elementi di prova acquisibili. La persona offesa, avvalendosi della facoltà
conferitale dall'art. 90 comma 1, può presentare, altresì, una memoria che prospetti
un'interpretazione dei fatti diversa da quella fornita dal pubblico ministero. Ma è evidente che solo
l'opposizione, non pure la memoria, determini per il giudice un dovere di pronuncia specifico.
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Trasmessi gli atti d'indagine, corredati dalla richiesta del pubblico ministero ed
eventuale opposizione della persona offesa, il giudice è posto nelle condizioni di decidere. Se non vi
sia stata opposizione (art. 409 comma 1), ovvero l'opposizione proposta risulti inammissibile (art.
410 comma 2), o la notizia di reato appaia effettivamente infondata (artt. 409 comma 1 e 410
comma 2), il giudice provvede de plano, senza ulteriore contraddittorio, pronunciando decreto
motivato di archiviazione e restituendo gli atti al pubblico ministero. Se, viceversa, l'opposizione
risulti ammissibile (art. 410 comma 3) o, comunque, la richiesta di archiviazione non appaia
convincente (art. 409 comma 2), il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa
dare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini, al difensore nonchè alla
persona offesa, disponendo che gli atti rimangano depositati in cancelleria fino al giorno
dell'udienza.
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5 L'udienza in camera di consiglio
Nell'udienza, che si svolge in camera di consiglio, e cioè senza pubblico, ma con possibilità
di partecipazione da parte del pubblico ministero e dei difensori (art. 409, comma 2, che rinvia
all'art. 127), il giudice per le indagini preliminari esercita ampi poteri di controllo. Oggetto di
valutazione è sia la richiesta di archiviazione, sia l'eventuale opposizione. La documentazione degli
atti di indagine è previamente depositata in cancelleria e messa a disposizione dell'indagato e
dell'offeso. I difensori hanno facoltà di estrarne copia (art. 409, comma 2 mod. dalla legge n. 397
del 2000). Della fissazione dell'udienza il giudice dà inoltre comunicazione al procuratore generale
presso la corte di appello (art. 409 comma 3), affinchè possa eventualmente disporre l'avocazione
delle indagini preliminari.
A seguito dell'udienza, che si svolge con le forme dell'art. 127 nel contraddittorio orale delle
parti, al giudice si prospettano tre alternative:
a) disporre con ordinanza ulteriori indagini specificamente indicate, fissando il termine
indispensabile per il loro compimento;
b) rigettare la richiesta di archiviazione ed ordinare che il pubblico ministero, entro dieci
giorni dalla notificazione dell'ordinanza di rigetto, formuli l'imputazione (art. 409 comma 5);
c) accogliere la richiesta di archiviazione.
Nei casi di non accoglimento della richiesta di archiviazione, la motivazione
dell'ordinanza sarà determinante, atteso che costituirà una direttiva nello svolgimento delle
investigazioni imposte. Il pubblico ministero è vincolato al compimento delle indagini indicate denominate comunemente indagini coatte -, seppure goda di un potere discrezionale nello stabilire
le concrete modalità di svolgimento delle stesse. Svolte le ulteriori indagini, egli può valutare
diversamente la globalità dei risultati investigativi raccolti e determinarsi a formulare l'imputazione;
ma può anche lasciare invariata la richiesta di archiviazione e depositare i verbali delle indagini
svolte.
La giurisprudenza ammette che, all'esito dell'udienza camerale fissata a seguito
dell'opposizione della persona offesa, il giudice possa ordinare che nel registro delle notizie di reato
siano iscritti i nominativi di ulteriori soggetti, mai prima indagati, per i quali il pubblico ministero
non abbia formulato alcuna richiesta; nei loro confronti il giudice può disporre il compimento di «
ulteriori indagini ». L'ordinanza con cui il giudice dispone la prosecuzione delle investigazioni, al
pari di quella che omologa la richiesta di archiviazione, è ricorribile per cassazione soltanto nelle
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ipotesi di nullità derivanti da violazione del contraddittorio previste dall'art. 127 comma 5: pertanto
non sono impugnabili i decreti di archiviazione pronunciati de plano, salvo che il pubblico
ministero abbia omesso di informare della domanda di archiviazione la persona offesa che avesse
chiesto di esserne avvertita.
Ultimate le indagini eventualmente richiestegli dal giudice, l'inquirente potrà
formulare una nuova richiesta di archiviazione e si riaprirà il procedimento descritto dagli artt. 408
e 409.
Il meccanismo di controllo sulla possibile inerzia del pubblico ministero risulta, così,
attivabile da ben tre soggetti:
a) la persona offesa, che può, mediante opposizione, suggerire nuove indagini o,
comunque, prospettare interpretazioni alternative a quelle del pubblico ministero;
b) il procuratore generale, che può disporre l'avocazione, oltre che nei casi di ritardo
(art. 412 comma 1), appunto nelle ipotesi di richiesta di archiviazione ritenuta prima facie non
convincente dal giudice e nelle ipotesi in cui la persona offesa abbia proposto opposizione alla
richiesta di archiviazione (e, in tal caso, il giudice non può disporre l'archiviazione contro il parere
del procuratore generale avocante);
c) il giudice per le indagini preliminari, il quale può decidere di disporre delle
indagini supplementari.
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6 L'udienza preliminare senza richiesta di rinvio a
giudizio
Entro due giorni dalla formulazione dell'imputazione coatta, ossia imposta dal giudice per le
indagini preliminari, questi deve fissare con decreto la data dell'udienza preliminare. Si tratta di una
forma particolare di udienza, dal momento che non viene preceduta da alcuna richiesta di rinvio a
giudizio (art. 128 disp. att.). In tale sede, un diverso giudice - il giudice dell'udienza preliminare controllerà la fondatezza dell'accusa e potrà, se del caso, ordinare ulteriori indagini (art. 421) o
assumere prove (art. 422).
Nell'ipotesi di imputazione coatta, il decreto di fissazione della data d'udienza deve
esplicitare il fatto contestato dal pubblico ministero ed indicare le fonti di prova acquisite (art. 128
disp. att.). Essendo l'udienza preliminare fissata direttamente dal giudice, a seguito di rigetto di
richiesta di archiviazione, sarà proprio quest'ultimo a dover indicare le fonti di prova che
giustificano l'emissione del provvedimento.
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7 Archiviazione e procedimento contro ignoti
La richiesta di archiviazione perché è ignoto l'autore del reato è regolata dalle medesime
norme che disciplinano l'archiviazione contro gli indagati (art. 415 comma 3).
Il pubblico ministero deve avvisare della richiesta di archiviazione contro ignoti la
persona offesa che ne abbia fatto istanza, informandola del diritto di presentare opposizione con
richiesta motivata di prosecuzione delle indagini (art. 408).
Se l'offeso non si oppone e la richiesta è meritevole di accoglimento, il giudice per le
indagini preliminari dispone l'archiviazione de plano; viceversa, se l'offeso si oppone o, comunque,
il giudice non accoglie la richiesta, deve svolgersi una udienza in camera di consiglio (art. 409,
comma 2), della cui fissazione va dato avviso al pubblico ministero, all'offeso ed al suo difensore.
All'esito si prospettano al giudice per le indagini preliminari tre diverse alternative:
1. accogliere la richiesta del pubblico ministero e disporre l'archiviazione con
ordinanza;
2. ordinare che il nome dell'indagato sia iscritto nel registro delle notizie di
reato, se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuabile (art.
415, comma 3);
3. respingere la richiesta ed indicare le ulteriori e necessarie indagini, ove reputi
che il titolare delle investigazioni le abbia omesse e, conseguentemente,
fissare, con ordinanza, il termine indispensabile per il compimento delle
stesse.
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8 La riapertura delle indagini a seguito di
archiviazione
Il provvedimento di archiviazione non possiede efficacia preclusiva dello svolgimento di
indagini, atteso che il giudice è tenuto ad autorizzarne la riapertura qualora la relativa richiesta
risulti motivata dalla esigenza di espletare nuove investigazioni.
Non è necessario, quindi, che sopravvengano nuove prove, bensì è sufficiente che
una nuova ipotesi investigativa risulti percorribile, anche se in conseguenza di una mera
rivalutazione degli stessi dati già esistenti.
Ottenuta l'autorizzazione alla riapertura delle indagini, il pubblico ministero procede
ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 414 comma 2), a partire dalla quale
decorreranno nuovamente i termini ordinari di durata delle investigazioni.
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9 L'udienza preliminare
La fase processuale inizia con l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero
all'esito della quale il giudice dell'udienza preliminare (GUP) dovrà stabilire se l'imputato debba
essere prosciolto oppure rinviato a giudizio. La richiesta di fissazione dell'udienza preliminare
rappresenta solo una delle modalità di esercizio dell'azione penale, che può esercitarsi, altresì,
mediante l'attivazione di un rito speciale (giudizio direttissimo e giudizio immediato, destinati ad
anticipare il dibattimento saltando la fase dell'udienza preliminare, nonchè giudizio per decreto che
omette l'udienza preliminare ed evita finanche il dibattimento) ovvero attraverso la citazione diretta
a giudizio da parte del pubblico ministero riservata ai reati di minore rilevanza sociale.
La spiegazione della molteplicità delle forme risiede nel fatto che il codice di rito
configura l'udienza preliminare principalmente come diritto dell'imputato, tanto da consentirgli di
rinunciarvi nell'ipotesi, ad esempio, dell'instaurazione del giudizio immediato. Peraltro, l'udienza
preliminare può fungere da sede di definizione anticipata del procedimento, qualora vi si attivino i
riti speciali cd. “alternativi al dibattimento” (sulla definizione si tornerà in seguito) quali il giudizio
abbreviato o il patteggiamento.
Ad ogni modo, oltre a consentire una deflazione del dibattimento attraverso il
proscioglimento o l'eventuale celebrazione dei riti “alternativi” (patteggiamento e giudizio
abbreviato) la funzione principale dell'udienza preliminare è quella di sottoporre ad un giudice, di
cui si sono estesi i poteri istruttori e decisori, il controllo in ordine al corretto esercizio dell'azione
penale. Si tratta di una valutazione giudiziale sulla consistenza dell'accusa, destinata a fungere da
filtro delle imputazioni azzardate prima che si instauri il giudizio.
Secondo la formulazione originaria dell'art. 425 comma 1 il GUP poteva decidere il
“non luogo a procedere” soltanto quando l'accusa fosse palesemente infondata. Successivamente,
nell'intento di ampliare l'ambito di valutazione del giudice, il legislatore (art. 23 l. 16 dicembre
1999, n. 479, cd. Legge Carotti) ha completamente riscritto la disposizione normativa in commento,
prevedendo, tra l'altro, che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere anche quando gli
elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere
l'accusa in giudizio (art. 42 comma 3): vale a dire, non solo quando sia certa la sua infondatezza,
ma anche quando vi sia dubbio in ordine alla fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico
ministero.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Procedura Penale II
Lezione III
Alla luce della riforma, dunque, non è più sostenibile la tesi che l'udienza preliminare
abbia una finalità meramente procedurale, volta a verificare che l'accusa non sia manifestamente
infondata e, dunque, inidonea a legittimare il passaggio alla fase dibattimentale. Può, invece,
affermarsi che l'udienza preliminare consiste in una vera e propria valutazione di merito,
concernente, cioè, non solo la mera infondatezza ma, altresì, la fondatezza dell'accusa, malgrado
solo per finalità preliminari, quelle cioè di consentire al giudice di decidere se prosciogliere
l'imputato o rinviarlo a giudizio innanzi al giudice dibattimentale. Si tratta, cioè, di un'udienza che
consente il confronto orale delle prospettive di accusa e di difesa mediante il contraddittorio delle
parti. Essa, peraltro, è preordinata ad andare oltre la mera decisione allo stato degli atti, adottata
sulla base degli elementi di prova acquisiti durante la fase delle indagini preliminari, poichè
consente al giudice che non ritenga di poter adottare una decisione sic rebus stantibus di svolgere
personalmente in udienza attività di integrazione probatoria (art. 422), ovvero di ordinare al
pubblico ministero l'espletamento di indagini integrative (art. 421bis).
Il mutamento di prospettiva ha sollecitato la necessità di garantire al massimo livello
la “terzietà” dell'organo giurisdizionale chiamato a definire la fase. La funzione di giudice
dell'udienza preliminare, infatti, è svolta da un magistrato addetto alla sezione dei giudici per le
indagini preliminari, ma, poichè la nuova disciplina consente una valutazione più penetrante sulla
fondatezza dell'accusa che si risolve in un vero e proprio giudizio di merito, si è avvertita la
necessità di garantire in misura maggiore la terzietà del giudice chiamato a svolgere in modo
imparziale un'importante funzione. E' questo il motivo per il quale il D.Lgs. 51/1998, nel corpo
dell'art. 34, ha inserito il comma 2 bis, ove è previsto che non possa celebrare l'udienza preliminare
come GUP il magistrato che, nel medesimo processo, abbia precedentemente svolto le funzioni di
giudice per le indagini preliminari. In precedenza, invece, le medesime funzioni erano esercitate
dallo stesso giudice che era intervenuto nel procedimento in veste di GIP. Quest'ultimo, tuttavia,
potendo adottare provvedimenti incidenti sulla posizione dell'accusato (es. applicazione di una
misura cautelare), inevitabilmente finiva col formarsi un pregiudizio in ordine alla sua
responsabilità. Sicchè la modifica legislativa, sancendo l'incompatibilità tra GIP e GUP, tende a
garantire la celebrazione dell'udienza preliminare innanzi ad un magistrato scevro da pregiudizi e,
quindi, neutrale (terzo) rispetto ad accusa e difesa.
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Lezione III
10 Lo svolgimento dell'udienza preliminare
L'atto introduttivo dell'udienza preliminare è costituito dalla richiesta di rinvio a giudizio che
il pubblico ministero deve depositare nella cancelleria del giudice (416). Tale richiesta costituisce,
come rilevato, uno dei modi di esercizio dell'azione penale (art. 405), perchè attraverso di essa il
magistrato inquirente individua uno o più imputati e formula a loro carico una specifica
imputazione, descrivendo analiticamente il fatto reato di cui si assume la commissione con
l'indicazione delle fonti di prova acquisite e delle norme penali violate ( 3 ).
La legge 479/1999 riformulando il primo comma dell'art. 416, ha previsto una
specifica ipotesi di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, qualora non sia preceduta dall'avviso
previsto dall'art. 415bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art.
375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini ne abbia fatto richiesta (4 ). Con la novella
il legislatore sì è posto l'obiettivo di arginare la prassi, consolidatasi sotto la vigenza della
previgente formulazione normativa, in conformità alla quale veniva richiesto il rinvio a giudizio di
un imputato senza che gli fossero contestati, in un previo interrogatorio, i reati attribuitigli e senza
che quest'ultimo venisse sentito a sua difesa. Allo stato, quindi, il pubblico ministero, al termine
della fase investigativa, è tenuto ad inviare all'indagato avviso di conclusione delle indagini
preliminari, informandolo che ha facoltà di prendere visione degli atti e di chiedere di essere
interrogato sui fatti oggetto di contestazione (art. 415 bis). Di fronte a validi argomentazioni addotte
dall'accusato (in memorie o nel corso dell'interrogatorio), bene può il magistrato inquirente
determinarsi a richiedere l'archiviazione invece del rinvio a giudizio, ovvero disporre ulteriori
indagini.
A norma dell'art. 417 la richiesta di rinvio a giudizio deve contenere:
a) le generalità dell'imputato onde consentire la sua precisa identificazione;
b) le generalità della persona offesa dal reato;
c) l'imputazione, ossia la descrizione analitica della condotta criminosa, con l'indicazione
degli articoli di legge violati; essa deve essere enunciata in modo chiaro e preciso, con l'indicazione
anche delle circostanze aggravanti e di quelle che potrebbero comportare l'applicazione di misure di
sicurezza;
3
La richiesta produce anche un effetto penale di natura sostanziale, in quanto costituisce uno degli atti idonei ad
interrompere il decorso della prescrizione del reato (art. 160, comma 2 c.p.).
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d) l'indicazione delle fonti di prova che si ritiene possano sostenere l'accusa in dibattimento;
e) la domanda di emissione del decreto che dispone il giudizio;
f) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero.
Con la richiesta di rinvio a giudizio il magistrato inquirente deve depositare nella
cancelleria del giudice il fascicolo contenente tutti gli atti delle indagini preliminari espletate (art.
416, c.2), in particolare: la notizia di reato, la documentazione delle indagini (es. verbali di
interrogatorio, verbali di perquisizione e sequestro ecc.), i verbali di eventuali atti compiuti innanzi
al giudice per le indagini preliminari (es. verbali di convalida d'arresto, atti d'incidente probatorio
ecc.); il corpo di reato (es. monete false, armi ecc.), ed altre cose pertinenti al reato. Su tali atti e su
quelli acquisiti nel corso dell'udienza preliminare, le parti articoleranno la loro discussione ed il
giudice fonderà la propria decisione.
Con il deposito degli atti di indagine si realizza quella che negli ordinamenti
anglosassoni viene chiamata “discovery”, cioè la piena conoscenza dei risultati investigativi,
peraltro già resi noti all'indagato in precedenza, ai sensi dell'art. 415bis. Inoltre, a differenza di
quanto avviene nel processo nordamericano, il pubblico ministero ha l'obbligo di depositare tutti gli
atti di indagine compiuti, anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio - avendo il
medesimo facoltà, fino alla data di fissazione dell'udienza preliminare, di compiere investigazioni
suppletive, benchè siano scaduti i termini previsti per il completamento delle indagini preliminari e non soltanto quelli che egli ritenga indispensabili per ottenere il rinvio a giudizio dell'imputato.
Gli atti non “scoperti” dal pubblico ministero non saranno più utilizzabili nelle fasi successive del
processo, nel senso che non potranno essere inseriti né nel suo fascicolo, né in quello del
dibattimento.
Ricevuta la richiesta di rinvio a giudizio, spetta al GUP provocare la formazione del
contraddittorio innanzi a lui. A tale scopo egli fissa l'udienza con decreto. Sono previsti termini
brevi: cinque giorni per l'emanazione del decreto e 30 giorni per la celebrazione dell'udienza (art.
418).
La pienezza del contraddittorio è assicurata sia dalla previsione della vocatio in jus,
dell'imputato, soggetto passivo di quest'ultima, nonchè della persona offesa dal reato (interessata,
come tale alla pretesa punitiva), sia dalla possibilità dell' intervento provocato (citazione) delle parti
4
Si tratterebbe tuttavia di una nullità a regime intermedio, deducibile a pena di decadenza prima della chiusura
della udienza preliminare.
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private accessorie, quali il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria
nonchè dall'intervento volontario della parte civile e dello stesso responsabile civile ( 5 ).
L'avviso della data di udienza. All'imputato ed alla persona offesa è notificato, almeno dieci
giorni prima, l'avviso della data di udienza unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio. Della
fissazione dell'udienza sono informati, altresì, il pubblico ministero, con l'invito a trasmettere la
documentazione delle indagini comprensiva di quelle eventualmente compiute dopo la richiesta di
rinvio a giudizio, e il difensore dell'imputato, con avvertimento della facoltà di prendere visione
degli atti e delle cose trasmesse dal pubblico ministero e di presentare memorie e produrre
documenti. Pur non essendo previsto un termine per il deposito degli eventuali atti di indagine
suppletiva, è stabilito che il tardivo deposito di tali atti sia idoneo a giustificare un differimento
dell'udienza, al fine di consentire alla difesa di prenderne adeguata cognizione.
L'imputato è avvertito altresì che, se non compare, sarà giudicato in contumacia (art.
419, comma 1). Come è noto, il danneggiato può costituirsi parte civile per l'udienza preliminare;
analogamente possono essere citati anche il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per
la pena pecuniaria.
L'omessa notificazione dell'avviso di fissazione di udienza preliminare all'imputato è
causa di nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del processo (invero, la giurisprudenza
della Corte di Cassazione equipara l'omesso avviso alla mancata citazione di cui agli artt.178, lett.c)
e 179 c.p.p.)
5
Non sempre alla richiesta di rinvio a giudizio segue la celebrazione dell'udienza preliminare, oppure non
necessariamente l'udienza già iniziata giunge alla sua naturale conclusione. La mancanza di udienza preliminare può
dipendere dalla volontà dell'imputato che rinunci ad essa e richieda il giudizio immediato, con atto notificato
tempestivamente ai suoi naturali contraddittori - p.m. e persona offesa -, approdando così direttamente al dibattimento.
Viceversa, il giudizio abbreviato evita il dibattimento e comporta la definizione del processo proprio all'udienza
preliminare (art. 438). Lo stesso procedimento di applicazione di pena patteggiata può innestarsi nel corso
dell'udienza preliminare, alterandone il suo consueto svolgimento o addirittura può precedere l'evenienza dell'udienza
qualora l'accordo sulla pena patteggiata avesse già avuto luogo in sede di indagini preliminari. Analogamente non si
svolge l'udienza, se il giudice accerta che il pubblico ministero l'abbia erroneamente richiesta, trattandosi di reato per il
quale sia prevista la citazione diretta (art. 550). In tal caso gli atti sono restituiti all'inquirente il quale dovrà emettere il
decreto di citazione diretta a giudizio.
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11 Costituzione delle parti
L'udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del
pubblico ministero e del difensore dell'imputato (art. 420, comma 1). Il giudice deve controllare che
vi sia stata regolare costituzione delle parti, valutando la correttezza degli avvisi, nonché la
tempestività e la regolarità delle notifiche (art. 420, comma 2). Non sorgono problemi se le parti
regolarmente citate siano comparse; il verbale d'udienza, peraltro, documenta, nel caso in cui
l'imputato sia presente, quale difensore lo assista ed, eventualmente, quale difensore rappresenti la
parte civile, il responsabile civile ed il soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
Il giudice, qualora l'imputato sia sprovvisto di un difensore di fiducia, ne designa uno
di ufficio - il quale eserciterà i diritti ed assumerà i doveri del difensore di fiducia - e provvede
eventualmente anche alla sostituzione del designato d'ufficio, se non fosse prontamente reperibile o
non comparisse. Invece, per quel che concerne la tutela dell'imputato, al fine di rendere più
penetrante il rispetto del principio del contraddittorio, il GUP deve disporre:
- la rinnovazione dell'avviso all'imputato, quando sia provato o appaia probabile che
questi, senza sua colpa, non ne abbia avuto conoscenza;
- il rinvio dell'udienza, se risulti (o appaia probabile) che l'imputato non si sia presentato
per assoluta impossibilità a comparire (es. ricovero ospedaliero) o per caso fortuito, forza
maggiore od altro legittimo impedimento (es. comparizione in un altra udienza).
In tal modo si vuole garantire in maniera rigorosa il diritto dell'imputato a
partecipare al processo, dimodocchè, ove egli non sia presente, il giudice sia tenuto ad accertare se
ciò dipenda da una scelta volontaria o non derivi, viceversa, da mancata conoscenza incolpevole del
provvedimento di fissazione dell'udienza preliminare. Proprio a tal fine l'art. 420-bis impone di
rinnovare l'avviso non soltanto quando esiste la prova che l'imputato non abbia avuto effettiva
conoscenza dello stesso senza sua colpa, ma anche quando non sussiste prova che l'imputato abbia
avuto effettiva conoscenza dell'avviso e appaia dunque "probabile" la mancata conoscenza
incolpevole. Quando accerti la nullità dell'avviso o della sua notificazione, il giudice è tenuto a
dichiararle, disponendo la rinnovazione degli avvisi e delle notifiche, e rinviando all'uopo l'udienza
(art. 420, comma 2). Se non risulta che vi sia stata impossibilità a comparire - e dunque l'assenza sia
da ritenersi volontaria -, il giudice dichiara la contumacia dell'imputato (art. 420-quater, comma 1).
Nello stesso modo, il giudice è tenuto a comportarsi se l'impedimento riguardi il
difensore - di fiducia o d'ufficio -: un suo eventuale legittimo impedimento dovuto ad assoluta
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impossibilità di comparire (purché prontamente comunicato) costituirà ostacolo alla celebrazione
dell'udienza (76), al pari dell'impedimento dell'imputato non dichiarato contumace. Il giudice fissa
con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato (art. 420-ter,
comma 5).
Si verifica di frequente che l'imputato chieda o consenta che l'udienza preliminare si
svolga in sua assenza (art. 420-quinquies, comma 1): in tal caso non si applicano le disposizioni
sulla contumacia. Diverso è il caso in cui l'imputato, dopo essere comparso, si allontani dall'aula di
udienza: in tale eventualità lo stesso è considerato presente (art. 420-quinquies, comma 2) ed è
rappresentato dal difensore.
Una volta che l'udienza si sia conclusa, al contumace dovrà essere notificato l'emesso
decreto che dispone il giudizio. Al decreto è allegata la dichiarazione di contumacia (artt. 420quater, comma 7; 429, comma 4).
È possibile, tuttavia, che l'imputato dichiarato contumace compaia prima della
decisione. In tal caso il giudice deve revocare la relativa ordinanza. L'imputato, non più contumace,
può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio (art. 420quater, comma 3).
Può altresì accadere che, dopo la pronuncia dell'ordinanza dichiarativa della
contumacia ma prima della decisione conclusiva dell'udienza, pervenga la prova che l'imputato non
sia comparso a causa della mancata conoscenza incolpevole dell'avviso o per legittimo
impedimento (art. 420-quater, comma 5). Trattandosi di prova "tardiva", che sopraggiunge dopo la
dichiarazione di contumacia, il giudice dovrà revocare l'ordinanza contumaciale e, se l'imputato
non sia presente, dovrà rinviare l'udienza su richiesta di parte o d'ufficio ( 6 ). Se l'imputato dimostra,
altresì, che il sopraggiungere tardivo della prova non sia attribuibile a sua colpa, il giudice disporrà
l'assunzione o la rinnovazione degli atti che ritiene rilevanti ai fini della decisione. Ciò, ovviamente,
non è possibile in caso di prova "tardiva" per colpa dell'imputato ( 7 ).
6
Quando si procede a carico di più imputati e solo alcuni di essi sono contumaci, il
giudice deve disporre la separazione dei processi, salvo che la riunione risulti assolutamente necessaria per
l'accertamento dei fatti (art. 420-quater, comma 6). Il codice prevede che gli atti compiuti restino, comunque, validi.
7
L'art. 420-quater, comma 4 commina la nullità dell'ordinanza dichiarativa della contumacia se al momento
della pronuncia vi sia prova che l'assenza dell'imputato sia dovuta a mancata conoscenza dell'avviso di udienza o ad
impossibilità di comparire per legittimo impedimento.
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12 Ammissione di atti e documenti
Effettuata la costituzione delle parti, il giudice ammette “gli atti e i documenti” che le parti
stesse producono. Gli “atti” sono quelli eventualmente compiuti dal pubblico ministero dopo il
deposito della richiesta di rinvio a giudizio e le eventuali memorie dei difensori o dei consulenti di
parte; i documenti sono quelli di formazione extraprocessuale, che ogni parte potrà produrre.
Quanto agli atti, il giudice dovrà valutarne l'ammissibilità e l'utilizzabilità,
dichiarando le eventuali nullità accertate. Non saranno utilizzabili, ad esempio, gli atti compiuti
dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari e prima della richiesta di rinvio a giudizio.
Si ritiene, tuttavia, che il pubblico ministero possa ottenere l'ammissione anche degli atti di indagine
compiuti dopo la fissazione dell'udienza preliminare e prima dell'inizio della discussione. Quanto ai
documenti, potrà trattarsi, oltre che di scritture, anche di fotografie o registrazioni audiovisive,
purchè non rappresentative di dichiarazioni descrittive destinate al procedimento; comunque la loro
ammissibilità dovrà essere valutata dal giudice (artt. 234 e ss.).
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13 Discussione
Compiuta questa attività di istruzione dibattimentale, si apre la discussione, che inizia con
l'illustrazione da parte del pubblico ministero dei risultati delle indagini e delle fonti di prova che
giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. Di seguito, l'imputato può rendere dichiarazioni
spontanee (senza cioè ricevere domande) e chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, che sarà
di regola condotto dal giudice, previa contestazione dell'imputazione e delle fonti di prova a carico.
Tuttavia, su richiesta di parte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle forme previste
dagli artt. 498 e 499; e in questo caso si tratterà, in sostanza, di un esame condotto dalle parti e
regolato dal giudice.
I difensori delle parti private svolgono, quindi, le proprie argomentazioni. L'ordine
dell'esposizione rispetta le cadenze dell'assunzione della prova, che prevede come ultimo
l'intervento del difensore dell'imputato, anche per le eventuali repliche. Prende, quindi, per primo la
parola il pubblico ministero, poi il difensore della parte civile - se costituitasi - ed a seguire i
difensori del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria - se
citati - ed infine il difensore dell'imputato. Il pubblico ministero ed i difensori possono replicare
una sola volta. Il pubblico ministero ed i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni,
utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari (depositati insieme alla richiesta
di rinvio a giudizio art. 416, comma 2) ed i documenti prodotti in principio di udienza ed ammessi
dal giudice prima dell'inizio della discussione.
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14 Modifica dell'imputazione
Nel nostro ordinamento vige il “principio di correlazione”, in base al quale l'imputato deve
essere giudicato in relazione al reato che gli è stato preventivamente contestato e non per un fatto
diverso (art. 521). Può capitare però che nel corso dell'udienza nasca la necessità di un
aggiustamento dell'accusa: ad es. il pubblico ministero dalla lettura degli atti o dopo l'interrogatorio
dell'imputato, potrebbe accorgersi che la rapina per cui si sta procedendo è aggravata, in quanto
commessa con arma. Per rimediare ad una palese disarmonia tra il fatto e la contestazione ed
adeguare l'imputazione indicata nella richiesta di rinvio a giudizio alla reale verificazione del fatto
(mediante la contestazione dell'aggravante dell'arma e del concorrente reato di detenzione e porto
illegale della stessa), è consentito al pubblico ministero di modificare l'imputazione ed addirittura di
contestare fatti nuovi.
Nell'udienza preliminare la modifica della imputazione è disciplinata dall'art. 423,
nel quale sono disciplinate tre diverse situazioni: il fatto diverso; l'emergenza di una circostanza
aggravante o di un reato connesso (c.d. contestazione suppletiva); il fatto nuovo.
Si ha fatto diverso quando la contestazione deve essere modificata nel suo
accadimento materiale, ma non nei connotati storici essenziali: ad es. una maggiore quantità di
droga ceduta; un ulteriore raggiro utilizzato nella truffa. Se ricorre tale ipotesi, il pubblico
ministero, di sua iniziativa, modifica l'imputazione in udienza contestandola all'imputato presente
od, in sua assenza, al difensore che lo rappresenta (art. 423). L'udienza proseguirà poi secondo il
normale iter, solo che l'imputato verrà giudicato per una diversa accusa rispetto a quella contestata
nella richiesta di rinvio a giudizio.
Analogamente si procede in caso di “contestazione suppletiva”. Può accadere che
leggendo meglio gli atti d'indagine il pubblico ministero si accorga che è stata omessa, nella
descrizione dell'imputazione, la contestazione di un'aggravante ovvero di un reato legato da
concorso formale o da nesso continuativo a quello per cui si procede (art. 12 lett. b) c.p.p., art. 81
c.p.).
Si ha, invece, fatto nuovo quando nel corso dell'udienza l'imputazione, nei tratti
essenziali dell'accadimento, risulta essere totalmente diversa da quella contestata (ad es.
nell'interrogatorio l'imputato dichiara e confessa che l'omicidio preterintenzionale per cui si procede
è in realtà un omicio volontario). In tali casi, svolte ulteriori indagini, il pubblico ministero
dovrebbe esercitare nuovamente l'azione penale in un diverso procedimento; tuttavia, quando tutto
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ciò non necessiti, può contestare in udienza il “fatto nuovo” all'imputato quando ricorrano le
seguenti condizioni:
a) vi sia il consenso dell'imputato ( 8 );
b) il GUP autorizzi la contestazione, valutando, ad esempio, che non gravi sulla speditezza
del processo in corso (art. 423, c. 2).
8
Si tratta di scelte spettanti alle due parti necessarie del processo: per un verso, il pubblico ministero può
decidere se iniziare un separato procedimento nel quale svolgere le indagini che reputa necessarie; per altro verso,
l'imputato valuta se gli conviene percorrere lo svolgimento ordinario di un nuovo procedimento o affrontare
direttamente la valutazione giudiziale nell'udienza preliminare.
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15 Integrazione delle indagini ed integrazione
probatoria
Dopo la discussione delle parti, e prima della sua chiusura, il giudice, se ritiene di non poter
definire l'udienza allo stato degli atti, non adotta una decisione definitiva - sentenza di non luogo a
procedere o rinvio a giudizio - potendo assumere una decisione interlocutoria che consistente o
nell'indicare al pubblico ministero ulteriori indagini da compiere (art. 421-bis) o nel disporre anche
d'ufficio l'assunzione di prove (art. 422).
Le indagini su iniziativa del giudice. Allorché le indagini preliminari risultino incomplete
(se ad es. non sia stata sentita la persona offesa o non sia stata svolta una consulenza tecnica
necessaria), il GUP pronuncia ordinanza con la quale indica al pubblico ministero l'attività
integrativa di indagine ( 9 ), stabilendo un termine per l'espletamento della stessa e fissando, altresì,
la data della nuova udienza preliminare (art. 421-ter). Deve ritenersi che l'integrazione delle
indagini non sia prevista al fine di concedere al pubblico ministero un'ultima occasione per
rafforzare una richiesta di rinvio a giudizio alquanto debole, ma piuttosto nell'intento di colmare
eventuali lacune investigative dalle quali potrebbero emergere elementi favorevoli all'imputato. Una
volta che il pubblico ministero abbia provveduto all'adempimento, si terrà una nuova udienza, che
avrà come oggetto di discussione i risultati delle indagini integrative. All'esito di tale udienza è
possibile che il giudice decida allo stato degli atti. In caso contrario, può emettere una nuova
ordinanza per l'integrazione delle indagini (art. 421-bis) ovvero disporre l'integrazione probatoria.
Attività di integrazione probatoria del giudice. Il codice prevede un'attività di integrazione
probatoria ad opera del giudice, consistente nel potere di assumere prove nel corso dell'udienza
preliminare (art. 422, sostituito dalla legge n. 479 del 1999). Il presupposto per l'espletamento di
tale supplemento probatorio sta nella impossibilità di decidere allo stato degli atti, valutazione
discrezionalmente affidata al giudice. In tale ipotesi il G.U.P., se ritiene che l'escussione di un
testimone, di un consulente tecnico o l'interrogatorio di un imputato di reato connesso o collegato
(art. 210) o ancora l'espletamento di una perizia siano decisivi per l'eventuale emissione di una
sentenza di non luogo a procedere e a condizione che non sia stata già disposta l'integrazione delle
9
Viene da chiedersi se il giudice debba limitarsi ad indicare genericamente i temi di prova da approfondire o se
possa specificare i singoli atti di indagine che il pubblico ministero deve compiere. A noi pare che la soluzione più
corretta sia la seconda, stando a quanto si desume dal tenore letterale dell'espressione « indica le ulteriori indagini ».
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione III
indagini, può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appaia evidente la
decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere (art. 422, comma).
Quest'ipotesi di integrazione probatoria, costruita come residuale rispetto a quella
precedente poichè percorribile solo quando non si debba provvedere a norma dell'art. 421-bis, è
prevista esclusivamente per le prove richieste dall'imputato a sostegno della propria tesi difensiva,
una volta che sia stata già esercitata l'azione penale. Deve pertanto escludersi che l'assunzione possa
riguardare mezzi di prova già oggetto di richieste prospettate dall'imputato nella fase delle indagini
preliminari, perchè si verserebbe nell'ipotesi di cui all'art. 421Bis. Inoltre le parti non hanno alcun
"diritto" all'ammissione delle prove: non essendo applicabile in questa sede l'art. 190, è al giudice
che spetta il potere di decidere se debbano essere assunte.
L'ammissione delle prove. Occorre precisare che il criterio in base al quale il giudice
dispone l'ammissione delle prove è quello della "evidente decisività" delle stesse ai fini della
sentenza di non luogo a procedere. In altre parole, il supplemento istruttorio è finalizzato
all'assunzione di prove a discarico già individuabili sulla base degli atti o documenti esistenti e che
presentino la caratteristica della evidente decisività. A ben vedere, tuttavia, è raro che il risultato di
una prova appaia con certezza prima che questa sia stata assunta; pertanto la limitazione imposta dal
codice rappresenta un vincolo "apparente" alla discrezionalità del giudice.
L'assunzione delle prove. L'audizione dei testimoni, consulenti tecnici e periti e
l'interrogatorio degli imputati connessi sono condotti dal giudice (art. 422, comma 3). Le parti
possono proporre domande a mezzo del giudice nel seguente ordine: per primo il pubblico
ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria ed infine dell'imputato. L'imputato può chiedere di
essere sottoposto all'interrogatorio in ogni caso, e cioè senza che il giudice possa sindacare
l'ammissibilità di tale atto (art. 422, comma 4). Anche l'interrogatorio deve essere condotto dal
giudice. Tuttavia, alla stregua di quanto avviene nello svolgimento ordinario dell'udienza, il codice
prevede che, se una parte ne faccia richiesta, l'interrogatorio possa svolgersi con le forme dell'esame
incrociato.
Le conclusioni delle parti. Terminata l'assunzione delle prove, il pubblico ministero e i
difensori illustrano le rispettive conclusioni. E' prerogativa esclusiva del giudice l'attività
decisionale sui fatti sottoposti dalle parti alla sua valutazione.
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Tra i due strumenti messi a disposizione del giudice per l'acquisizione di nuovi elementi di
prova – attività integrativa di indagine ed attività di integrazione probatoria – è possibile
delineare le seguenti differenze.
Innanzitutto, lo strumento previsto dall'art. 421bis presuppone necessariamente una
carenza investigativa del pubblico ministero, mentre quello previsto dall'art. 422 ne prescinde e
trova giustificazione in un'esigenza probatoria palesatasi nel corso della discussione.
In secondo luogo, le indagini integrative servono per consentire al giudice la
definizione dell'udienza e quindi può trattarsi d'indagini dirette sia al consolidamento dell'accusa sia
al rinvenimento di elementi a discarico; l'integrazione probatoria, invece, è finalizzata solo
all'eventuale proscioglimento dell'imputato.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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16 La decisione del GUP
La fase di decisione si apre subito dopo che è stata chiusa la discussione. In coerenza alla
funzione dell'udienza preliminare, essa non può che concludersi con una sentenza di non luogo a
procedere ovvero con un decreto che dispone il giudizio, a seconda che l'azione penale debba
definitivamente interrompersi oppure proseguire verso la fase successiva, il dibattimento.
Nella pratica, tuttavia, il decreto di rinvio a giudizio (art. 429) e la sentenza di non
luogo a procedere (art. 425) non sono gli unici provvedimenti con i quali può concludersi l'udienza
preliminare. Essendo naturalmente esclusa la possibilità di una pronuncia di archiviazione dopo
l'esercizio dell'azione penale, le decisioni cui può approdare l'udienza preliminare, quando non si
trasformi in giudizio abbreviato o non si concluda con una applicazione di pena su richiesta delle
parti, sono quelle di seguito prospettate.
Declaratoria di nullità e restituzione degli atti al pubblico ministero. Il GUP, durante la
formalità di apertura dell'udienza od all'esito della discussione, potrebbe rilevare una nullità della
richiesta di rinvio a giudizio, come ad esempio l'omesso invio all'indagato dell'invito a comparire.
In tal caso egli è tenuto a dichiarare la nullità, e in forza del principio della regressione processuale,
restituire gli atti al pubblico ministero. Questi, una volta sanato il vizio, può nuovamente esercitare
l'azione penale con altra richiesta di rinvio a giudizio, atteso che il GUP non si è ancora pronunciato
sulla fondatezza o meno dell'azione penale.
Declaratoria di difetto di giurisdizione, di competenza, di attribuzione. Nel corso
dell'udienza il GUP potrebbe rilevare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario (ad es. perchè
si procede per un reato attribuito alla cognizione del tribunale militare) ovvero del giudice italiano
(ad. es. perchè il fatto è di competenza del giudice straniero). In tal caso, il giudice dell'udienza
preliminare deve dichiarare il difetto di giurisdizione con sentenza, trasmettendo gli atti all'autorità
competente (art. 20). Inoltre si potrebbe profilare un difetto di competenza (ad es. perchè il reato per
cui si procede è attribuito alla cognizione del tribunale di altro circondario). In tale ipotesi il giudice
deve emettere sentenza di incompetenza, trasmettendo gli atti al pubblico ministero presso il giudice
competente (art. 22, comma 3). Infine il giudice potrebbe rilevare che il reato per cui si procede è
attribuito alla cognizione del tribunale in composizione monocratica (sicchè non doveva farsi luogo
all'udienza preliminare). In tal caso il GUP è tenuto a pronunciare un'ordinanza in cui evidenzia la
violazione del rito e contestualmente, sostituendosi al pubblico ministero, deve emettere decreto di
citazione a giudizio, ai sensi dell'art. 555.
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17 Sentenza di non luogo a procedere
Nella valutazione del merito della contestazione, la regola di giudizio che il GUP applica è
ben diversa da quella del giudice dibattimentale, essendo la sua una funzione delibatoria circa la
fondatezza dell'accusa e non dichiarativa di eventuale colpevolezza. Come già rilevato, la legge
479/99 ha ampliato il potere di emettere, all'esito dell'udienza, una sentenza di non luogo a
procedere, rimarcando la natura di valutazione di “merito” svolta in sede di udienza preliminare.
Il giudice deve emettere sentenza di non luogo a procedere (art. 425) nei seguenti
casi:
1) se sussista una causa di estinzione del reato (es. amnistia, prescrizione) o per la
quale l'azione penale non doveva essere iniziata (es. difetto di querela) o proseguita (es. remissione
di querela). A tal fine - ed è questa una novità introdotta dalla legge 479/99 - il GUP potrà valutare
l'eventuale ricorrenza di circostanze attenuanti, operando ove necessario il giudizio di comparazione
ai sensi dell'art. 69 c.p.;
2) se il fatto non sia previsto dalla legge come reato (es. per intervenuta
depenalizzazione), ovvero non sussista o l'imputato non lo abbia commesso, o ancora se il fatto non
costituisca reato (ad es. perchè commesso per legittima difesa);
3) se l'imputato sia persona non punibile (ad es. per incapacità di intendere e volere).
In tale ultimo caso, se dal proscioglimento consegue l'applicazione di una misura di sicurezza (es.
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario: art. 222 c.p.), il giudice non potrà pronunciare
sentenza di non luogo a procedere, ma dovrà disporre il rinvio a giudizio, per non privare l'imputato
della possibilità di poter eventualmente provare, al dibattimento, dopo adeguata istruttoria, la sua
innocenza ( 10 ).
Elementi insufficienti o contraddittori. Inoltre il giudice pronuncia sentenza di non luogo a
procedere «anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque
non idonei a sostenere l'accusa in giudizio » (art. 425, comma 3, mod. dalla legge n. 479 del 1999).
Si tratta di una vera e propria regola di valutazione che il codice impone al giudice
dell'udienza preliminare. Il non luogo a procedere deve essere pronunciato quando gli elementi di
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Le misure di sicurezza personali, infatti, consistendo nell'imposizione di pesanti limiti alla libertà personale
(ad esempio, il ricovero in un manicomio giudiziario per chi sia risultato infermo di mente: art. 222 c.p.), possono
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prova a carico risultano insufficienti, e cioè tali da far ritenere di non poter essere integrati dalla
attività istruttoria tipica del dibattimento. Parimenti, deve essere emessa sentenza di non luogo a
procedere quando vi siano elementi "contraddittori"; ciò avviene allorché, tra le prove raccolte,
emerga un contrasto tale che si ritiene non possa, con elevata probabilità, essere superato nemmeno
durante lo svolgimento del dibattimento. Viceversa, viene disposto il decreto che dispone il
giudizio, se appaia probabile che gli elementi a carico possano essere integrati in dibattimento. La
previsione normativa assegna al GUP una completa valutazione critica della fondatezza
dell'accusa, preclusa sotto la vigenza dell'originaria formulazione della norma in commento,
allorquando, in presenza di fonti di prova a carico contraddittorie o insufficienti, s'imponeva il
rinvio a giudizio, lasciando al giudice dibattimentale il compito di valutare la sufficienza della
prova ai fini dell'eventuale affermazione di responsabilità penale.
Il dispositivo della sentenza (cioè la sintesi della decisione: ad es. “visto l'art. 425
c.p.p., si dichiara non luogo a procedere nei confronti dell'imputato per non aver commesso il
fatto”) deve essere immediatamente letto in udienza; il giudice, se non redige immediatamente e
contestualmente la motivazione della decisione, deve depositarla in cancelleria entro 30 giorni (art.
424). A seguito di sentenza di non luogo a procedere l'imputato, se detenuto, deve essere
immediatamente scarcerato, anche dopo la sola lettura del dispositivo.
Il decreto che dispone il giudizio. Il decreto che dispone il giudizio è emesso nei casi in cui
il giudice dell'udienza preliminare non pronunci sentenza di non luogo a procedere. L'articolo 429
non indica il quantum di prova necessario; questo si può ricavare a contrario dai criteri previsti per
l'emissione della sentenza di non luogo a procedere, formulati ed esplicitati nella legge n. 479 del
1999. Pertanto, il giudice emette il decreto che dispone il giudizio quando gli elementi probatori
forniti dal pubblico ministero a sostegno della ipotesi accusatoria e le prove eventualmente raccolte
nell'udienza preliminare facciano ritenere prevedibile una condanna in dibattimento.
Il giudice, dunque, ha la possibilità di operare un "filtro" alquanto incisivo in ordine
alla fondatezza della richiesta di rinvio a giudizio. Invero, se permanessero dubbi circa la
attendibilità e credibilità degli elementi a sostegno dell'ipotesi accusatoria o se i medesimi elementi
dovessero risultare contraddittori, il giudice può respingere la richiesta. In definitiva, la valutazione
del pubblico ministero in ordine alla "idoneità" degli elementi a sostenere l'accusa in dibattimento
può essere smentita dal giudice dell'udienza preliminare (art. 125 disp. att.).
essere applicate soltanto in forza di un provvedimento che sia conseguito ad un completo e scrupoloso controllo da
parte del giudice del dibattimento.
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Il decreto esprime una "decisione" e non è motivato in quanto il legislatore vuole
evitare che, anteriormente allo svolgimento del dibattimento, all'imputato derivi un pregiudizio a
causa di una esposizione ragionata in ordine all'attendibilità degli elementi di prova a carico, idonea
ad interferire con l'imparzialità del giudice del dibattimento. Invero, si determinerebbe in
quest'ultimo un pregiudizio sulla responsabilità dell'imputato, in contrasto con il principio di oralità
del processo accusatorio secondo cui le prove devono essere assunte nel contraddittorio delle parti e
il convincimento giudiziale formarsi nell'apposita sede dibattimentale,.
Il decreto contiene l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle
circostanze, con l'indicazione dei relativi articoli di legge e l'esposizione sommaria delle fonti di
prova e dei fatti cui esse si riferiscono (art. 429, comma 1, lett. d). Si tratta di informazioni che
probabilmente la difesa già conosce perché sono inserite nella richiesta di rinvio a giudizio (art.
417, comma 1, lett. b) ed e) o perché sono emerse nel corso dell'udienza preliminare.
Poiché il decreto che dispone il giudizio consiste in una “vocatio in iudicium”, ossia
funge da convocazione delle parti in dibattimento, dovrà contenere l'indicazione della data
dell'udienza dibattimentale, nonchè del luogo in cui la medesima si tiene, con avvertimento
all'imputato che, non comparendo, sarà giudicato in contumacia (art. 429, comma 1). Il decreto,
naturalmente, dovrà essere noto alle parti mediante la immediata lettura in udienza (art. 424, comma
2). Dovrà inoltre essere notificato sia all'imputato contumace che alla persona offesa, qualora non
presenti alla lettura del decreto stesso. La notifica deve essere effettuata almeno venti giorni prima
della data fissata per il giudizio (art. 429, comma 4, mod. dalla legge n. 144 del 2000), al fine di
consentire alle parti di potersi avvalere di un tempo sufficiente ad elaborare le proprie tesi difensive.
Il decreto che dispone il giudizio legittima, altresì, il pubblico ministero al
compimento di attività integrativa d'indagine, in previsione del celebrando dibattimento; i relativi
atti affluiranno nel fascicolo dello stesso pubblico ministero (art. 433, comma 3). Ai sensi dell'art.
430bis è vietato, però, al magistrato inquirente ed alla polizia giudiziaria assumere informazioni da
persone indicate dalla difesa nella lista delle persone da esaminare in dibattimento (art. 468).
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18 Fascicolo per il dibattimento e fascicolo del
pubblico ministero
A seguito dell'emissione del decreto che dispone il giudizio, il GUP, in udienza (od in altra
apposita udienza all'uopo fissata su richiesta della parte) e in contraddittorio tra le parti, provvede a
formare il fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero.
La distinzione tra i due fascicoli costituisce uno dei punti nodali del codice. Essa
scaturisce da due fondamentali esigenze: in primo luogo, riservare, di regola, al dibattimento la
formazione della prova ed evitare, conseguentemente, che in tale sede il giudicante venga in
qualsiasi modo condizionato dalla conoscenza degli atti di indagine assunti fuori del contraddittorio.
Il fascicolo per il dibattimento. Il codice detta un elenco tassativo degli atti che debbono
essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento. In sintesi, in tale fascicolo sono raccolti tutti gli atti
compiuti prima del dibattimento, sia quelli formatisi nel contraddittorio delle parti che quelli nati
come atti non ripetibili. A titolo esemplificativo sono ritenuti atti irripetibili ed in quanto tali
confluibili nel fascicolo per il dibattimento:
i verbali di sopralluogo, osservazione e relative fotografie;
le relazioni di servizio della polizia giudiziaria
i verbali di arresto e sequestro operati dalla polizia giudiziaria;
il verbale degli ispettori del lavoro, relativamente alla descrizione di cose, tracce e luoghi
suscettibili di modificazione;
la planimetria dei luoghi redatta dalla polizia giudiziaria nell'immediatezza di un incidente
stradale;
i verbali di riconoscimento delle cose furtive restituite al proprietario;
i verbali di constatazione di verifiche tributarie;
la consulenza tecnica del pubblico ministero espletata ai sensi dell'art. 360 c.p.p.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno precisato che l'atto è irripetibile
in ragione della consacrazione in esso di un risultato ulteriore non riproducibile in dibattimento, a
causa dell'inevitabile modificabilità delle cose. Invero, il decorso temporale e l'inevitabile variabilità
della materia finirebbe con vanificare la genuinità e la affidabilità dell'operazione di riproduzione
di taluni risultati investigativi. In particolare, le relazioni di servizio della polizia giudiziaria
divengono atti irripetibili, qualora contengano la descrizione di un'attività materiale ulteriore
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rispetto a quella investigativa e non riproducibile ex novo in dibattimento, come per esempio la
descrizione di luoghi, cose o persone soggette a modificazioni.
La valutazione circa l'irripetibilità degli atti compiuti dal pubblico ministero o dalla
polizia giudiziaria richiede una vera e propria decisione, sebbene interlocutoria, da parte del GUP, il
quale la adotterà nel contraddittorio delle parti. Tale decisione potrà, comunque, essere sottoposta a
verifica nel dibattimento, allorchè tra le questioni preliminari, saranno esaminate anche quelle
concernenti appunto il contenuto del fascicolo formato a norma dell'art. 431.
Sono esclusi dal fascicolo per il dibattimento tutti gli atti ripetibili nel dibattimento
(es. sommarie informazioni raccolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria) idonei a
generare un pre-giudizio nei confronti del giudice del dibattimento, dinanzi al quale, invece,
dovranno formarsi come prova.
Il fascicolo per il dibattimento è conosciuto dal giudice (collegiale o monocratico)
ed, ovviamente, dalle parti; gli atti in esso contenuti, dopo essere stati letti nei tempi e con le forme
previste dall'art. 511, possono essere utilizzati ai fini della decisione.
Il fascicolo del pubblico ministero. Il fascicolo del pubblico ministero ha un contenuto
residuale, poiché vi sono inseriti tutti quegli atti che non sono confluiti nel fascicolo per il
dibattimento. Invero, nel fascicolo del pubblico ministero accedono, precipuamente, la
documentazione degli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria nonché gli atti
acquisiti nel corso dell'udienza preliminare.
Nel medesimo fascicolo confluiscono altresì i verbali di eventuali atti delle indagini
difensive che il difensore abbia presentato direttamente al giudice (fascicolo del difensore, art. 391octies, comma 3). Esso, nel corso delle indagini, è formato e conservato presso l'ufficio del giudice
per le indagini preliminari ed è conoscibile dalle sole parti (pubblico ministero e difensori).
Di regola, gli atti contenuti in questo fascicolo non possono essere letti (art. 514) e,
quindi, non possono essere utilizzati per la decisione, salvo quanto previsto negli articoli 500, 503,
512, 512-te, 513, 514.
L'acquisizione concordata di atti di indagine. In base al comma 2 dell'art. 431, le parti
possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del
pubblico ministero nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva.
Una volta inseriti nel fascicolo per il dibattimento, essi possono essere letti e, conseguentemente,
diventano utilizzabili per la decisione (art. 511).
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Accanto all'istituto dell'acquisizione concordata sostitutiva, che si verifica allorchè le
parti, mediante accordo, permettono al giudice di utilizzare l'atto di indagine rinunciando, al tempo
stesso, all'esame orale del dichiarante, è prevista un'acquisizione di tipo aggiuntivo secondo la quale
almeno una delle parti presta il consenso alla confluibilità dell'atto di indagine nel fascicolo
dibattimentale, affinchè possa essere letto ed immediatamente utilizzato ai fini della decisione
giudiziale senza che ciò pregiudichi il diritto di sentire il dichiarante nel corso dell'esame orale.
Tuttavia, ai sensi dell'art. 507, anche il giudice, d'ufficio, può disporre, se necessario,
l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti. E ciò per scongiurare che le parti possano
arbitrariamente escludere quel contraddittorio ritenuto indispensabile per l'accertamento dei fatti.
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19 Impugnazione della sentenza di non luogo a
procedere
La sentenza di non luogo a procedere, avendo carattere tendenzialmente terminativo della
pretesa punitiva, è necessariamente assoggettabile a impugnazione da parte di chi ne abbia
interesse e quindi dal pubblico ministero (in ogni caso), nonché dall'imputato (per ottenere una
formula di proscioglimento più favorevole) o dalla persona offesa e dalle altre parti private per i
capi che le riguardano ( 11 ).
La legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha eliminato la possibilità di proporre appello contro
la sentenza di non luogo a procedere, prevedendo, quale unico rimedio, il ricorso per cassazione,
consentito, in ossequio al principio di tassatività, soltanto nei casi previsti dall' art. 428. Contro la
sentenza di non luogo a procedere possono proporre ricorso per cassazione i seguenti soggetti:
a) il procuratore della repubblica e il procuratore generale presso la corte di appello;
b) l'imputato, eccettuata l'ipotesi in cui sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che
l'imputato non lo abbia commesso;
c) la persona offesa, nei soli casi di nullità previsti dall'art. 419, comma 7, e cioè quando sia
stata omessa nei suoi confronti la notifica dell'avviso dell'udienza preliminare o allorchè non le sia
stato notificato l'avviso almeno dieci giorni prima;
d) la persona offesa costituitasi parte civile. Si tratta dell'unico caso nel quale la legge
richiede che il danneggiato rivesta altresì la qualifica di persona offesa dal reato, poichè qualora non
sia anche titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, non è titolare di un
interesse giuridicamente apprezzabile all'esercizio del diritto di impugnazione.
Sul ricorso presentato dai soggetti sopra menzionati decide la Corte di Cassazione
con le forme del procedimento in camera di consiglio.
Se accoglie il ricorso, la Corte di legittimità pronuncia sentenza di annullamento con
rinvio al medesimo tribunale; l'udienza preliminare sarà svolta da un giudice differente da quello
che ha emanato la sentenza impugnata, il quale dovrà uniformarsi alla decisione statuita dalla Corte
di Cassazione (art. 627).
11
Con la sentenza in questione, il querelante è condannato alle spese e, se vi sia colpa grave, anche ai danni in
favore dell'imputato (ed eventualmente del responsabile civile, se il querelante si è costituito parte civile contro costui).
Il querelante non può essere, invece, condannato al pagamento delle spese sostenute dallo Stato allorché, sebbene
l'imputato sia stato prosciolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, non risulta che l'attribuzione
del reato al querelato sia frutto di colpa del querelante.
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In alternativa, viene pronunciata sentenza di inammissibilità o di rigetto del ricorso:
in tal modo, è confermata la sentenza di non luogo a procedere.
Tuttavia, seppure le parti non hanno presentato ricorso oppure la Corte di Cassazione
rigetta il ricorso o lo dichiara inammissibile, la sentenza di non luogo a procedere, comunque, non
diventa irrevocabile né passa in giudicato (a differenza di quanto avviene per la sentenza
pronunciata in dibattimento; art. 648). Si tratta di una sentenza emessa "allo stato degli atti": il
pubblico ministero può in qualsiasi momento (ovviamente, finché il reato non sia prescritto)
chiedere al giudice per le indagini preliminari la revoca della sentenza, qualora ne sussistano le
condizioni.
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Lezione III
20 La revoca della sentenza di non luogo a
procedere
Una fase eventuale di integrazione dell'udienza preliminare può aprirsi con la richiesta del
pubblico ministero di revocare la sentenza di non luogo a procedere. Invero, in presenza di una
sentenza di non luogo a procedere è normalmente preclusa una nuova attività investigativa nei
confronti della medesima persona e per il medesimo fatto. La riapertura delle indagini nei confronti
di quest'ultima implica, per prima cosa, la rimozione dell'ostacolo rappresentato dalla sentenza di
non luogo a procedere.
Siffatta rimozione può avvenire solo se sopravvengano o si scoprano nuove fonti di
prova, idonee a determinare il rinvio a giudizio. Trattandosi di una potenziale riviviscenza
dell'azione penale, l'iniziativa di richiedere la revoca della sentenza in questione spetta al pubblico
ministero, il quale valuta se sia già in grado di richiedere il rinvio a giudizio ovvero necessiti di
acquisire preventivamente nuove fonti di prova.
La richiesta di revoca, depositata presso l'ufficio del giudice per le indagini
preliminari, deve essere giustificata dalla sopravvenienza di nuove "fonti di prova" che, da sole o
unitamente a quelle già acquisite, si prospettano idonee a determinare il rinvio a giudizio (art. 434).
Occorre, dunque, che sopraggiunga un elemento di novità, qualcosa di ulteriore rispetto al materiale
probatorio determinante l'emissione della sentenza di non luogo a procedere. La novità può
sopraggiungere da una fonte di prova (persona o cosa) individuata a sentenza già emessa oppure in
un elemento determinante (ad esempio una dichiarazione orale o scritta) precedentemente esistente,
ma non ancora acquisito.
La richiesta è sottoposta all'esame del giudice per le indagini preliminari, in una
apposita udienza in camera di consiglio nel contraddittorio delle parti (art. 435, comma 3). La
procedura per la revoca della sentenza di non luogo a procedere (con ulteriore richiesta di riapertura
delle indagini), intervenendo nel corso della fase investigativa, non costituisce ancora esercizio
dell'azione penale e, quindi, la conseguente determinazione appartiene alla competenza funzionale
del giudice per le indagini preliminari.
Invece, la eventuale decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio, formulata a seguito
della riapertura delle indagini, apparterrà alla competenza funzionale del giudice per la udienza
preliminare, vertendosi nel momento successivo all'esercizio dell'azione penale vera e propria.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Procedura Penale II
Lezione III
Ricevuta dal pubblico ministero la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a
procedere, il giudice assume una delle seguenti decisioni:
a) dichiara inammissibile o rigetta la richiesta;
b) revoca la sentenza di non luogo a procedere e dispone la riapertura delle indagini,
stabilendo un termine improrogabile non superiore a sei mesi (art. 436, comma 3).
Entro tale termine il pubblico ministero deve concludere le indagini, all'esito delle
quali potrà chiedere l'archiviazione ovvero promuovere l'azione penale, formulando al giudice
dell'udienza preliminare la richiesta di rinvio a giudizio che, tuttavia, può essere presentata anche
contestualmente alla richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere, quando gli
elementi di prova a carico dell'imputato siano già stati acquisiti.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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