Formazione Genitori - Istituto Comprensivo di Gualtieri

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Formazione Genitori - Istituto Comprensivo di Gualtieri
Metacognizione e famiglia: l’ora dei compiti
Come favorire atteggiamenti positivi, motivazione
e autonomia nei propri figli
Istituto Comprensivo Gualtieri (RE)
11- marzo- 2016
Gianna Friso
Motivare allo studio e rendere piacevole
l’apprendimento costituiscono importanti
sfide educative…..
a chi tocca?
 come fare?
 Cosa contribuisce ad appesantire e
rendere talvolta così difficile
l’ esecuzione di esercizi e lo studio?
Il ruolo dei genitori è rilevante, poiché
sono i primi che - fin da quando i
bimbi ancora non frequentano la
scuola
possono trasmettere motivazioni,
emozioni, atteggiamenti
fondamentali per la costruzione
della motivazione
Non esistono “ricette”
ma orientamenti
1. Che emozioni provano i ragazzi quando
fanno i compiti ( EMOZIONI)?
2. Quali compiti fanno più volentieri
(MOTIVAZIONI)?
3. Il sostegno dei genitori quando serve e
quando è efficace) (ORGANIZZAZIONE?
4. Chi dovrebbe motivare ai compiti e come
(STRATEGIE DI STUDIO)?
1.Emozioni
• La ricerca ha dimostrato che nei contesti di
apprendimento i ragazzi provano una varietà di
emozioni più o meno piacevoli: divertimento, ansia,
noia, orgoglio, soddisfazione….
• Ha però messo a confronto anche ambiti differenti:
le emozioni provate durante una lezione non sono le
stesse che accompagnano il momento della verifica o
quello e i compiti.
• In particolare uno studio ha dimostrato che nel fare i
compiti i ragazzi provano più noia, rabbia e ansia e
meno gioia e orgoglio che nell’ascoltare una lezione.
1.Perché i ragazzi dovrebbero annoiarsi?
• Può darsi che i compiti siano ripetitivi oppure applicazioni di regole
già assimilate in classe o ripasso di contenuti almeno in parte
padroneggiati. Può darsi che non facciano sentire competenti o che
non ne sia percepita l’utilità.
• Il tal caso il ruolo dell’adulto, insegnante o genitore, sarebbe quello
di far capire a cosa serve il compito e modularlo in modo che non
risulti né troppo semplice né troppo complicato.
• Una spiegazione alternativa è che il compito è vissuto come noioso
non di per sé, ma confrontato con le alternative.
•
In casa - diversamente da quanto avviene in classe – vi sono molte
possibilità più divertenti e meno noiose di occupare il tempo.
• L’eventuale intervento dell’adulto consisterebbe nel creare un
luogo e un tempo per i compiti, in modo da instaurare un’abitudine
che rientri nelle routine del pomeriggio.
1.Emozioni negative
• Alcuni studiosi si sono occupati dell’aspetto affettivo legato
al “fare i compiti”, testando le madri, visto che sono più
coinvolte rispetto ai padri nell’affiancare i figli nello studio.
• I risultati hanno evidenziato che le madri provano più
emozioni negative nei giorni in cui ci sono più compiti e
quando il figlio/a manifestano impotenza piuttosto che
persistenza di fronte alle sfide poste dal compito.
• La madre che esprime poca passione ed entusiasmo e
manifesta irritazione e rabbia fa percepire le stesse
emozioni nel figlio/a e gli comunica che i compiti sono cosa
difficile, noiosa, inutile, problematica, fonte di ansia e
difficoltà,
1.Importanza delle emozioni positive
• Le madri che riescono a mantenere uno stato
emotivo positivo annientano gli eventuali effetti
dovuti alle emozioni negative, sostengono un
vissuto di autonomia e riducono le espressioni di
rinuncia, incapacità e difficoltà tipiche
dell’impotenza.
• Le madri che “stanno positive”, ovvero che
rispondono a rabbia, noia, disappunto del figlio
trasmettendo fiducia, speranza, soddisfazione
anticipata, aiutano i ragazzi ad affrontare meglio
sul piano emotivo il momento dei compiti.
Tale vantaggio dello “stare positive”
si applica in generale e ancor più con
i ragazzi che si percepiscono meno
capaci, si trasferisce dal piano
emotivo a quello della percezione di
competenza, anche attraverso la
trasmissione di obiettivi di
padronanza e del senso di “ compito
come sfida”…..
2.Quali sono i compiti che i ragazzi
amano di più?
• Come per qualsiasi attività, è motivante ciò
che sappiamo fare e che ha senso per noi.
• Ciò vale per i ragazzi come per gli insegnanti e
i genitori, nei loro ruoli.
• Un compito è quindi motivante se il ragazzo lo
sa svolgere e se capisce per quale ragione lo
deve fare.
2.Quali sono i compiti che i ragazzi
amano di più?
Fra i motivi dovrebbero prevalere quelli intrinseci
( per imparare, per sviluppare competenze, per
essere pronti ad affrontare le sfide della vita)
rispetto a quelli estrinseci (compiacere, sottrarsi a
minacce di punizione).
Infatti, i motivi (estrinseci) sono transitori (legati
alla presenza di qualcuno che pressa) e rischiano
di demotivare il ragazzo che potrebbe percepire i
compiti come spiacevoli, da evitare o da
affrontare solo se proprio costretto.
2.Quali sono i compiti che i ragazzi
amano di più?
I genitori dovrebbero trasmettere al figlio l’idea che i
compiti sono importanti, aiutano a crescere e fanno
sviluppare delle abilità.
Se la percezione di competenza del ragazzo è un po’ in crisi,
cioè quando non capisce cosa fare che risposta dare, è
utile che i genitori lo sostengono emotivamente (dicendo,
per es. “va bene così: dai che troverai la soluzione”) o
strategicamente (dicendo, per es.”cosa puoi fare per…?
Magari vai a vedere la regola o gli appunti presi prima di
svolgere l’esercizio”)senza però sostituirsi a lui.
Sarebbe da evitare l’uso della prima persona plurale (“
facciamo i compiti”, “ abbiamo la verifica”…) per far sentire
il figlio il vero protagonista del suo apprendimento.
2.Ci sono compiti più motivanti?
Sono più accattivanti i compiti un po’ nuovi e
diversi, mentre risultano più noiosi quelli
ripetitivi.
Serve esercizio sì, ma- acquisita la regola- serve
ulteriore esercizio? Non è facile trovare il punto
giusto. Un ragazzo facendo pochi esercizi ha già
assimilato una regola, altri hanno bisogno di
molto di più. Servirebbe del materiale auto –
correttivo: se per un certo numero di volte non fai
errori passa all’esercizio successivo.
2.Ci sono compiti più motivanti?
Si può applicare il principio di continuità . Un
qualsiasi compito è decisamente più
motivante se si pone in una relazione di
continuità. A scuola si spiega l’argomento, si
inizia un esercizio da completare a casa ( i più
veloci e brillanti magari approfitteranno anche
del tempo in classe..) anche poi sarà subito
ripreso nella spiegazione successiva, cui
seguirà un altro esercizio iniziato a scuola,
completato a casa, ripreso a scuola.
2. Chi deve essere motivato ai compiti? Tutti: ragazzi,
insegnati e genitori.
Far leva sul valore, sulla percezione di competenza, in
un’ottica di sostegno all’autonomia. L’insegnate può
scegliere il tipo di compito da assegnare. Inoltre, può
esprimere delle convinzioni più o meno motivanti: i
ragazzi si impegnano di più nel fare i compiti se
l’insegnante trasmette loro la convinzione che i
compiti servono agli studenti, mentre manifestano
meno impegno se l’insegnante crede che servano per
fare esercizio e comunicare con la famiglia o se adotta
uno stile controllante, cioè fa pressione, minaccia,
forza a fare cose di cui non si capisce il senso, giudica o
svilisce.
3. Che sostegno dare
• L’atteggiamento migliore da assumere, quindi, è quello
supportivo , non controllante ( che fa leva su pressioni,
minacce e guarda alla persona che apprende e non ai
risultati) associato a una struttura che include
chiarezza sugli obiettivi e sui tempi.
• Per esempio: “ Sai che devi svolgere tre esercizi di
grammatica. Come ti potresti organizzare?”.
• E’ importante anche fare leva su risorse interne: per es,
se il figlio dice “ Mamma è difficile!”, la risposta “ ma
tu sei bravo nel fare cose difficili!”è un’espressione di
fiducia.
3. Che sostegno dare
Il ruolo dei genitori non è un”sostituirsi” ma
un “esserci”, cioè una presenza affettiva ( che
fa sentire al figlio che vale, che ce la può fare,
che va bene anche se sbaglia), di sostegno a
fronte delle difficoltà e degli eventuali errori,
che trasmette emozioni positive di fiducia e
sfida, che si interessa di ciò che si fa a scuola e
di come il figlio si sente a scuola.
3.I COMPITI
• “Il tempo dedicato a casa per lo studio e i compiti può
essere visto come complementare all’apprendimento a
scuola. Permette agli studenti di consolidare i
contenuti insegnati o allenare le abilità apprese a
scuola e può fornire agli studenti l’opportunità di
sviluppare ulteriori abilità e competenze. I compiti a
casa sono anche visti come un modo per
rafforzare i legami tra casa e scuola” (Eurydice,
2012, p.147).
• “Gli effetti sono maggiori … quando i compiti
comportano apprendimento mnemonico, esercizi o
prove … e quando possono essere completati in tempi
non eccessivamente lunghi» (Hattie, 2009, p. 234)
3.Che cosa rappresentano la scuola e i
compiti?
1.Percezione di sé, anche nei confronti dei pari e degli
adulti
2.Avvio dell'autonomia e della gestione di stress e
frustrazione
3.Scoperta delle proprie abilità/lacune
I compiti servono per:
•Consolidamento –Automatizzazione
•Trasferimento –Collegamento
•Applicazione –Approfondimento
Con i compiti si apprendono:
•Contenuti
•Metodo di lavoro
•Abilità trasversali
Capita, infatti, che i ragazzi non siano
particolarmente interessati alla scuola
e al profitto, e che lo siano molto di
più i genitori, che investono sul futuro
dei figli e si preoccupano circa i
segnali di disinteresse,
disinvestimento emotivo, crollo
profitto.
4. Il periodo di conflittualità tra genitori e figli inizia
dalla scuola elementare e termina spesso alle scuole
superiori…
Se il bambino ha un comportamento molto
oppositivo, irrigidirsi nel divieto porta a una
partita a braccio di ferro che, per sfinimento
dell’adulto, potrebbe vincere sempre il
bambino finendo anche per rinforzare il
comportamento che si vuole invece
estinguere.
Lo scenario successivo vede il bambino che, dopo
numerose insistenze, arriva a sedersi e, solo
apparentemente, ad accettare la realtà dei fatti a
fianco di un genitore, che è spesso obbligato a
stare lì seduto per controllare quello che egli, in
modo disimpegnato, sta facendo.
Così, quando il genitore si illude di aver vinto la
battaglia, il bambino crea spazio per
innumerevoli piccole provocazioni: penne che
scivolano per terra, domande inutili, sguardi
distratti, richieste di andare al bagno, andare a
bere, a mangiare, qualsiasi altra cosa che possa
interrompere quello che si sta facendo.
La fase finale si sviluppa e svolge durante l’esecuzione dei
compiti; si tratta spesso di una reazione violenta e
aggressiva o, all’esatto opposto, remissiva, fino ad
arrivare al pianto sconsolato, quando il genitore:
-puntualizza un errore;
-richiede una maggiore precisione;
-pretende uno studio più approfondito;
-chiede una scrittura più comprensibile;
-altro …..
Un preludio, un inizio, un durante e un finale a
sorpresa che,dopo le esplosioni di rabbia da parte
di entrambi, può confluire in una
riappacificazione, almeno fino al giorno
successivo…..
L’alleanza con il ragazzo, la comprensione della
sua difficoltà di predisposizione emotiva
all’attività sgradita, la costruzione di un rituale
semplificato, frazionato, molto strutturato,
permettono al ragazzo di approcciarsi in modo
più favore alle piccole variazioni proposte, questo
fa sì che la gestione della situazione sia in mano
all’adulto, che però lo accompagna fuori dalla
trappola emotiva del rifiuto e lo aiuta a
raggiungere nuove tappe e a fare nuove
esperienze, guadagnando una nuova situazione
di benessere e spesso anche di soddisfazione che
aumenta la sua autostima.
• Più una cosa riesce, più la affrontiamo,
miglioriamo in essa, la portiamo meglio a
termine, e finisce con il piacerci.
• Viceversa, se evitiamo una cosa, non
diventiamo bravi e alla fine troviamo più
semplice svalutarla per proteggere il
nostro valore e continuare a percepirci
bravi in altre cose.
E’ importante sentirsi competenti, pensare
di farcela, credere di riuscire. Per
raggiungere tale traguardo si passa
attraverso varie fasi, che vanno dal non
volere al non sapere come fare, non
essere sicuri di volere, fino a capire come
fare, e quindi a volere, attraverso un
processo del tipo “se posso voglio”.
4.Comunicazione funzionale
Come riuscire a spronare i ragazzi allo studio?
• Potenziare il senso di autoefficacia, di
competenza e di autonomia dei figli
• Quale tono di voce usiamo per dire: «Dammi il
diario….»?
• La comunicazione orientativa e incoraggiante
• I feedback efficaci…
Perché capita di diventare controllanti?
“Se non lo controllo, non lo
tampino, non lo seguo passo a
passo, non fa….”
Momenti critici
Il ragazzo, sottoposto a continue pressioni,
si sente sempre scoraggiato: avverte la
preoccupazione della madre, si sente
sempre in colpa, ma non conosce il motivo
del malessere che prova e non sa darne
una ragione. Quando torna da scuola la
madre lo scruta, se vede il viso cupo del
figlio, inizia l’interrogatorio, per placare la
sua ansia e sapere come si sente il figlio.
Caratteristiche principali degli ambienti motivanti
(autonomia) e di quelli demotivanti (controllanti)
MOTIVANTE (a sostegno dell’autonomia)
DE-MOTIVANTE (caratterizzato da controllo)
Sostiene aspettative positive e speranze: “Dai
che ce la fai”!, “Con il giusto impegno puoi
riuscire”.
Rimanda a paure:” E’ una materia per cui non
sei portato”. “Non vorrai mica prendere
un’altra insufficienza”…”.
Esplicita ragioni intrinsiche per imparare:serve
per capire, per crescere.
Enfatizza che l’obiettivo è il voto, il diploma, il
giudizio positivo.
Promuove la scelta di obiettivi e sostiene
percorsi autonomi per raggiungerli.
Impone obiettivi, modalità, fa pressione, fa
leva sulle scadenze.
Favorisce il comportamento di esplorazione e
la conquista.
E’ direttivo, imperativo, sminuisce le
espressioni di creatività.
Promuove il senso di appartenenza e la
cooperazione
Fa confronti con altri, giudica, si riferisce a
standard esterni anziché personali.
Dà valore alle conquiste, al miglioramento,ai
tentativi da parte dei ragazzi di muoversi
autonomamente.
Esplicita che ciò che conta è il risultato, il
giudizio, non il percorso fatto.
Suggerisce un senso (personale e di crescita)
per comportamenti apparentemente poco
interessanti
Spinge a eseguire cose di cui non si capisce il
senso e/o che non si sanno fare.
• … è bene che lo studente, fin dagli ultimi anni della
scuola primaria, venga abituato a riflettere su quanto
si accinge a fare, per sviluppare la propria capacità di
previsione.
• Potremmo aiutare il ragazzo a organizzare una sorta
di “tavola del tempo” dove siano indicati:
• I compiti da svolgere
• Il loro ordine di esecuzione
• I tempi massimi entra i quali dovrebbero essere
eseguiti
• La durata delle pause tra un compito e l’altro
•
I genitori non devono sommarsi/sostituirsi ai docenti, più che
insegnare strategie, devono insegnare ai figli ad osservarsi,
per capire come studiano e come funzionano le strategie
adottate, aiutandoli a sviluppare senso critico.……
Successo
scolastico
MOTIVAZIONE
METODO
Prima motivare, poi assegnare compiti interessanti e
personalizzati
• Se i docenti non creano
una cornice motivante ai
compiti per casa, non
I compiti per casa,
possono aspettarsi che i
così come sono
compiti vengano svolti
vissuti oggi dagli
bene e in modo completo.
studenti, senza un
• Gli studenti accettano il
legame con la loro
motivazione e senza
valore di esercitazione e di
la chiara finalità di
allenamento dei compiti
ampliare la loro
per casa se essi sono
esperienza di
motivanti e li aiutano a
apprendimento,
migliorare le loro
sono inutili.
competenze.
ALCUNE
CONCLUSIONI:
ALCUNE
CONCLUSIONI:
Bisogna ridurre
l’eccesso e i
sovraccarico.
Bisogna
riconoscere
anche il valore
del riposo e dello
svago, come
necessità per
crescere bene.
• Non si possono assegnare
compiti per punizione.
• Non si possono assegnare
compiti per casa su argomenti
non spiegati bene in classe o
non bene appresi in classe.
• È necessario assegnare
compiti interessanti,
significativi, sfidanti e autentici
• I compiti devono allenare in
ogni studente, le sue
competenze strategiche,
metodologiche e
motivazionali, altrimenti sono
inutili e sprecati.
….. è
importante premiare il loro
impegno, quando si presenta,
anche se non coronato da
successo. E’ deludente lo
sforzo che passa inosservato!
• “Più che comportamenti specifici,
• i genitori devono avere l’atteggiamento di un
allenatore
• che guarda e aiuta,
• non fa il lavoro per l’atleta,
• non gioca la partita per lui,
• ma lo mette nelle condizioni di dare il meglio”
• (Williams e Sternberg, 2002, p. 192)
Grazie dell’attenzione!
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