MATTEO PERRINI LE «CONFESSIONI», RICHIAMO ALLA VITA

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MATTEO PERRINI LE «CONFESSIONI», RICHIAMO ALLA VITA
MATTEO PERRINI
LE «CONFESSIONI», RICHIAMO ALLA VITA INTERIORE1
A quarantatré anni, dodici dopo la conversione, Sant'Agostino scrisse le Confessioni, per aprirsi al
genere umano, al cospetto di Dio: apud te, haec narro, generi meo, generi humano. Nessun'altra sua
opera ebbe maggior diffusione. Intorno ai settantaquattro anni, quando si volterà a giudicare le sue
opere, parlerà delle Confessioni con tenerezza e in termini di netta predilezione: «esse mi commuovono
ancora, quando le leggo, così come mi commuovevano quando le scrivevo» (Retract., II, 32). Le
Confessioni non sono soltanto un capolavoro di autobiografia intellettuale: esse sono il manifesto della
vita interiore. Per colui che ha potuto scrivere: «Sono entrato in ciò che ho di più mio» (intravi in
intima mea, Conf., VII, 10), l'alienazione più profonda sta per l'uomo nel non conoscersi, nel non
pensarsi.
«Gli uomini guardano pieni di stupore alle vette delle montagne, al flusso ininterrotto delle maree,
all'ampia distesa dei fiumi, agli oceani che li circondano e al movimento delle stelle; e tuttavia essi
passano inosservati a loro stessi, non sono oggetti del loro stupore» (Conf., X, 8). L'esperienza
dell'uomo diventa autentica nella misura in cui si fa interiore (ibid., X, 6). L'anima non riesce a trovare
Dio se non mediante un ritorno su se stessa e una specie di progressione ab intus. Solo chi ha il
coraggio di esplorare se stesso ritrova in sé la comunanza di sentimenti, aspirazioni, debolezze che lo
unisce ai suoi simili, riscopre in sé «quel che l'uomo è – può - deve» e incontra Dio. Un uomo non può
sperare di trovare Dio, se prima non ha trovato se stesso, poiché il Dio vivente è presente all'interiorità
più profonda dell'uomo, ed è il più intimo all'uomo di quanto egli possa essere a se stesso (intimior
intimo meo, Ibid., III, 6). Di qui la sublime limitazione del socratismo cristiano di sant'Agostino, che fa
dell'anima umana e di Dio il centro di gravitazione, l'oggetto precipuo di una stessa ricerca: la ricerca
del senso della vita. Per questo le Confessioni oltrepassano di continuo il piano dell'analisi psicologica,
per darci un'antropologia filosofica, una teologia, una morale, una spiritualità.
Che cosa fa sì che l'uomo si conosca indubitabilmente come capace di conoscere? Perché l'uomo è
chiamato ad esercitare la sua signoria sul mondo, a usarne secondo i suoi bisogni? Perché è l'unico
animale che fa storia? Quali sono le ragioni della sua libertà di scelta? Qual è la sorgente delle regole di
verità e di bene, interiori e trascendenti, nella cui attuazione si celebra l'eminente dignità della persona
umana? Interrogarsi in profondità sull'uomo significa aprirsi a Dio. «Il filosofo è con Dio perché ha
coscienza della propria interiorità» (sapiens prorsus cum Deo est, nam et seipsum intelligit sapiens, De
ordine, II, 2, 5). Una partecipazione analogica e insieme realissima fa dell'uomo un'immagine di Dio.
Tuttavia l'immagine divina dell'uomo non è solo, né principalmente, il pensiero e la libertà. Ciò in cui
l'uomo rassomiglia effettivamente a Dio è la spinta dinamica, la tensione teologica per cui l'anima,
traversando in certo modo se stessa, usa questa similitudine appunto per raggiungere Dio. Questo
pensiero, che pervade le Confessioni dall'inizio alla fine, Agostino lo ha bene precisato nel De Trinitate
(XIV, 12).
San Tommaso, citando esplicitamente il passo agostiniano, ribadisce lo stesso principio:
«l'immagine di Dio si trova nell'anima, in quanto l'anima si innalza verso Dio, o in quanto la sua natura
le permette di innalzarsi verso di lui» (imago Dei attenditur in anima, secundum quod fertur vel nata
est ferri in Deum, S. Th., I, 93, 8, sed contra et resp.). Immagine di Dio, l'uomo non può conoscere
veramente se stesso senza conoscere qualcosa di Dio. L'uomo, il cui spirito si scopre in relazione
costitutiva con Dio, acquista così una profondità nuova, insospettata dagli antichi. Noi siamo
inscrutabili a noi stessi perché partecipiamo in qualche misura alla profondità di Dio: «il pensiero
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Humanitas, 1/2 del 1978.
stesso non può essere compreso, neppure da se stesso, in quanto è un'immagine di Dio» (mens ipsa non
potest comprehendi, nec a se ipsa, ubi est imago Dei, De symbolo, I, 2).
Tutte le opere di sant'Agostino, ed in particolare le Confessioni, conducono a quell'affermazione e
ne sono quasi il commento e la giustificazione. Si pensi alla dottrina della memoria, sviluppata in
capitoli indimenticabili nel libro X delle Confessioni (8 – 27). Nello sforzo di trovarne in sé l'essenza,
l'anima vi traversa piani successivi sempre più profondi. Dapprima la memoria delle percezioni
sensibili, ampio palazzo dove trovano posto in modo incomprensibile le distese immense dell'universo;
è un rifugio misterioso, vasto e persino senza confini. Chi ne ha mai toccato il fondo? «Non è – dice
Agostino – che una facoltà del mio spirito; tuttavia essa mi sfugge, e io stesso non posso cogliere tutto
ciò che sono (nec ego ipse capio totum quod sum)». Qui, come mai prima nella storia del pensiero
occidentale, l'uomo è divenuto per se stesso un motivo di sorpresa, e di stupore: stupor adprehendit me.
Che cosa bisogna pensare, quando alla memoria delle cose sensibili si aggiunge quella delle scienze, e
le idee si offrono alla considerazione dello spirito? Quid ego sum, Deus? Quae natura sum? Che sono
dunque o Dio? Quale natura sono? Ma non è ancora tutto. Al di là delle idee stesse sta la verità che le
governa, e, poiché questa verità porta i caratteri divini della necessità e dell'eternità, bisogna bene che
Dio stesso sia presente alla nostra anima ogni volta ch'essa pensa il vero per mezzo di quei poteri e di
quelle interiori regole di verità che da Dio derivano. E non basta più parlare delle profondità dello
spirito: esso si apre sopra un vero infinito, si prolunga in Dio. Pieno di spavento e afferrato da un orrore
sacro (nescio quid horrendum) alla vista di questa presenza divina, l'uomo allora si sgomenta di se
stesso, e scorge il mistero latente sotto le apparenze della sua natura; fugge a se stesso, in quanto
immagine divina, perché l'ultima parola della conoscenza di sé è la prima della conoscenza di Dio.
«Nessun libro più delle Confessioni scalza con tanta abilità artistica quelle che sono le premesse di
una biografia convenzionale»2. Si comprende allora la ragione per cui i numerosi e dotti tentativi di
contrarre quel grande libro in uno schema rigido non potevano dare risultati attendibili e non hanno
giovato gran che alla sua lettura approfondita. «Un istintivo senso d'arte – osserva M. Pellegrino –
presiede a tutta l'economia della composizione, in forza del quale l'opera trova i suoi motivi non in
norme esteriori, ma nelle esigenze stesse della materia, interpretate dalla squisita sensibilità di un
artista»3. Agostino è anche artista nella più riuscita delle sue opere – oltre che filosofo, teologo,
psicologo, mistico: non scrive capitoli di un trattato, ma cerca, attraverso la riflessione sull'esperienza
vissuta, di cogliere l'uomo nella concretezza esistenziale e nel suo orientamento dinamico. Anche sulle
vette più pure della sua speculazione si riconosce sempre in Agostino «colui che abita nel cuore
dell'umano»4. Il pensiero agostiniano – vasto, complesso, zampillante – è sempre attento alle vibrazioni
dell'anima ed è una continua vitae meditatio.
Agostino è uno di quegli uomini che solo con l'elevazione del loro pensiero teoretico si mettono in
grado di raggiungere il loro essere più profondo. Egli fece, pertanto, della ricerca inesausta e della
contemplazione amante della Verità l'alimento, la ragione della sua vita, la sorgente del suo amore
senza misura per Dio e per gli uomini. Lo scandaglio degli abissi dell'anima umana, la capacità di
suscitare evocazioni e risonanze multiple, l'intuizione sbalorditiva nel cogliere i più diversi aspetti di un
problema (si pensi alle indagini sul male, sulla memoria e sul tempo svolte nei libri VII, X e XI), lo
spirito largamente umano nell'esporre i temi più rigorosi e l'arditezza inventiva delle soluzioni
proposte, la simbiosi perfetta di filosofia e fede: queste caratteristiche del grande africano fanno di lui
uno dei «Padri» dell'Europa e della civiltà universale, un genio del Cristianesimo, e del suo capolavoro,
delle Confessioni, un'opera unica. Un'opera che continuerà sempre, finché l'uomo sarà uomo, a
2
P. Brown, Agostino di Ippona, Einaudi, Torino, p. 14.
M. Pellegrino, Le «Confessioni» di sant'Agostino, Editrice Studium, Roma, 1972, p. 130.
4
J. Maritain, La sapienza agostiniana, in I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia, 1974, p. 343.
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inquietare, ad affascinare, a fecondare potentemente gli spiriti che la meditano, un libro insostituibile
per tutti coloro che non hanno smesso di cercare il senso della vita e di cercarsi.