10. Favole

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10. Favole
Cenerentola
C'era una volta, in un paese lontano, un gentiluomo vedovo che viveva in una bella casa con la sua unica figlia.
Egli donava alla sua adorata bambina qualsiasi cosa ella desiderasse: bei vestiti, un cucciolo, un cavallo..... Tuttavia capiva che la
piccola aveva bisogno delle cure di una madre.
Così si risposò, scegliendo una donna che aveva due figlie giovani, le quali, egli sperava, sarebbero diventate compagne di giochi
della sua bambina.
Sfortunatamente, il buon uomo morì poco tempo dopo, ed allora la matrigna mostrò la sua vera natura.
Era dura e fredda, e profondamente invidiosa della dolcezza e bontà della sua figliastra, perché queste qualità facevano per contrasto
apparire le sue due figlie, Anastasia e Genoveffa, ancor più meschine e brutte. Le sorellastre andavano riccamente vestite, mentre la
povera ragazza era costretta ad indossare un vestito semplice e grossolano, ed un grembiule, e a compiere in casa tutti i lavori più
pesanti. Si alzava prima dell'alba, andava a prender l'acqua, accendeva il fuoco, cucinava, lavava e puliva i pavimenti. Quando aveva
finito di sbrigare tutti i lavori, per riscaldarsi era solita sedersi vicino al camino accanto al carbone ed alla cenere. Perciò
cominciarono a chiamarla Cenerentola.
La matrigna e le sorellastre dormivano in belle stanze, mentre la piccola camera di Cenerentola era in soffitta, proprio sotto il tetto
della casa, deve vivevano dozzine di topi. Nonostante tutto questo, Cenerentola rimase gentile e cortese, sognando che un bel giorno
la felicità sarebbe arrivata. Fece amicizia con gli uccelli che la svegliavano tutte le mattine. Fece anche amicizia con i topi con cui
divideva la soffitta, diede a ciascuno un nome, e cucì loro dei minuscoli vestiti e cappelli. I topi amavano Cenerentola e le erano
grati, perchè talvolta li liberava da una trappola o li salvava da Lucifero, il malizioso gatto della matrigna.
Ogni mattina, Cenerentola, preparava la colazione per tutti gli abitanti della casa: una scodella di latte per il gatto, un osso per il cane,
avena per il suo vecchio cavallo, granoturco e frumento per le galline, le oche e le anitre del cortile. Poi portava al piano di sopra i
vassoi della colazione per la matrigna e le sorellastre Anastasia e Genoveffa. "Prendi questa roba da stirare e riportala entro un'ora"
ordinava Genoveffa. "Non dimenticare il mio rammendo, e non impiegare tutto il giorno a finirlo!" la rimproverava Anastasia.
"Stendi il bucato e vai avanti col tuo lavoro" ordinava la matrigna "Batti il grande tappeto della sala, lava le finestre, pulisci la
tappezzeria!" "Si Genoveffa. Si Anastasia. Si mamma" rispondeva Cenerentola mettendosi al lavoro di buona lena. Dall'altra parte
della città c'era il palazzo reale. Un giorno il re convocò il granduca Monocolao e gli disse: "E' tempo che il principe prenda moglie e
si sistemi!" "Ma vostra Maestà" rispose il duca " deve prima trovare una ragazza ed innamorarsi!" "Hai ragione" ammise il re.
"Daremo un ballo ed inviteremo tutte le fanciulle del reame. Dovrà per forza innamorarsi d'una di loro." Subito furono spediti gli
inviti e il regale biglietto fu portato anche nella casa di Cenerentola. "Un ballo! Un ballo! Andremo ad un ballo!" gridarono Anastasia
e Genoveffa. "Anch'io sono invitata" disse Cenerentola. "C'è scritto: 'Per ordine del Re, ogni fanciulla dovrà partecipare!". Le
sorellastre risero all'idea di Cenerentola che andava ad un ballo indossando il grembiule con una scopa in mano. Ma la matrigna, con
un sorriso sornione, disse che Cenerentola sarebbe certamente potuta andare se avesse finito il suo lavoro e si fosse procurata un
vestito decente da indossare. "Se....." rise Anastasia "Se....." sghignazzò Genoveffa. E venne il gran giorno. Fin dall'alba le sorellastre
furono indaffarate a scegliere abiti, sottovesti ed ornamenti da mettere nei capelli, e non parlarono che del modo in cui si sarebbero
vestite per il ballo. Nel frattempo Cenerentola fu tenuta più occupata del solito, perché dovette stirare le ampie gonne, sistemare le
guarnizioni, annodare i nastri. Quando venne la carrozza a prendere la matrigna e le sorellastre, Cenerentola non aveva avuto neppure
il tempo di prepararsi. "Bene" disse la matrigna. "Allora non verrai. Che peccato! Ma ci saranno altri balli!" Cenerentola salì
tristemente le scale buie e si affacciò alla sua finestra illuminata dalla luna. E guardò mesta il palazzo lontano che risplendeva di luci.
All'improvviso, una candela venne accesa alle sue spalle. Cenerentola si voltò, e vide un bellissimo vestito da sera.
L'avevano cucito per lei gli uccelli ed i topi suoi amici, e lo avevano decorato con pezzi di nastro e perline che avevano trovato in
giro per la casa. In men che non si dica, Cenerentola indossò il vestito e corse giù per le scale, gridando: "Per favore, aspettate, vengo
anch'io!" Anastasia e Genoveffa si girarono: com'era bella! L'invidia le accecò e... "Le mie perle!" gridò una. "Il mio nastro!" urlò
un'altra e strapparono il vestito di Cenerentola. Poi, soddisfatte se ne andarono. Disperata Cenerentola corse in giardino e singhiozzò:
"E' proprio inutile. Non c'è niente da fare!" Ma in quel momento da una nuvola di polvere di stelle uscì una donnina dalla faccia
tonda, avvolta in un mantello con cappuccio. "Sciocchezze, figliola" disse con voce dolce. "Asciuga quelle lacrime: non vorrai
andare al ballo in questo stato!". Cenerentola smise di piangere e chiese: "Chi siete?" "Sono la fata tua madrina e mi chiamo
Smemorina" rispose lo strano personaggio. "Non abbiamo molto tempo a disposizione. Penso che per prima cosa tu abbia bisogno di
una zucca." Cenerentola non capì il motivo, ma obbedì e raccolse una grossa zucca. La fata agitò la sua bacchetta magica verso di
essa, e cantò: "Salagadula, mencica bula, bibbidi-bobbidi-bu...." la zucca si alzò lentamente sul fusto, mentre i viticci arrotolandosi si
trasformarono in ruote: in un attimo diventò una stupenda carrozza. "Ora" disse la fata "abbiamo bisogno di alcuni topi".
Quattro piccoli amici di Cenerentola si presentarono di corsa, ed ancora una volta la fata cantò le parole magiche mentre toccava i
topi con la sua bacchetta. I topolini furono trasformati in quattro cavalli grigi pomellati che furono subito attaccati alla carrozza. Poi
la fata trasformò il vecchio cavallo di Cenerentola in un superbo cocchiere ed il cane Tobia in un elegante valletto. "Ed ora tocca a te,
mia cara" disse la fata Smemorina, toccando Cenerentola con la sua bacchetta. Il vestito strappato diventò uno splendido abito di seta
e da sotto la gonna spuntarono delle deliziose scarpette di cristallo, le più belle del mondo. Cenerentola non riusciva a parlare per
l'emozione. La fata allora spinse la carrozza e le raccomandò di non rimanere al ballo dopo la mezzanotte: se fosse rimasta un solo
minuto di più, la carrozza sarebbe ridiventata una zucca, i cavalli topolini, il cocchiere un vecchio cavallo ed il valletto un cane, e lei
stessa si sarebbe ritrovata vestita di stracci. Cenerentola promise e partì felice verso il palazzo reale. Quando arrivò, il ballo era già
iniziato, e il principe, con aria un po' annoiata, stava facendo l'inchino alle duecentodecima e duecentoundicesima damigella: le brutte
sorellastre Anastasia e Genoveffa. All'improvviso alzò lo sguardo e scorse all'ingresso la più bella fanciulla che avesse mai visto.
Come trasognato piantò in asso le sorelle e si avvicinò a Cenerentola, la prese per mano e l'accompagnò nella grande sala, in mezzo a
tutti. Per tutta la serata il figlio del re non ballò con nessun altra e non lasciò la sua mano un solo minuto. Le sorellastre e la matrigna
non riconobbero Cenerentola e si rodevano d'invidia chiedendosi chi potesse essere la bella sconosciuta. Tutte le dame osservarono il
suo abito e la sua pettinatura, e si ripromisero di copiarli il giorno seguente. Il vecchio re sorrideva soddisfatto: il principe aveva
trovato la sposa dei suoi sogni. Passarono le ore. Quando l'orologio del palazzo cominciò a battere la mezzanotte, Cenerentola
ricordò la promessa. "Devo andare" gridò spaventata e, liberando la sua mano da quella del principe, attraversò il palazzo e scese di
corsa lo scalone, inseguita dal principe e dal granduca. Una scarpetta di cristallo le si sfilò correndo, ma lei non si fermò finché non
fu in carrozza. L'orologio stava ancora battendo l'ora quando la carrozza lasciò il palazzo di gran carriera: mentre oltrepassava il
cancello, risuonò il dodicesimo rintocco: carrozza, cavalli, tutto sparì ed al loro posto comparvero una zucca, alcuni topolini, un cane,
un vecchio cavallo e una fanciulla vestita di stracci. Tutto ciò che rimaneva di quella magica serata era la scarpetta di cristallo che
brillava al piede di Cenerentola. Il mattino seguente, il figlio del re comunicò al padre che avrebbe sposato solo la fanciulla che aveva
perso la scarpetta al ballo. Il granduca Monocolao fu incaricato di cercare la ragazza il cui piede entrasse perfettamente nella preziosa
scarpetta. Il granduca provò la scarpetta a tutte le principesse, alle duchesse, alle marchese, a tutte le dame del regno, ma inutilmente.
Arrivò infine a casa di Cenerentola. La matrigna tutta eccitata, corse a svegliare le sue pigre figlie. "Non abbiamo un minuto da
perdere" gridò. "C'è la possibilità che una di voi diventi la sposa del principe, se riuscirà a calzare la scarpetta di cristallo!" e le
mandò giù di corsa dal duca, con la raccomandazione "Non deludetemi"! Poi seguì Cenerentola, che era andata in camera sua per
rendersi presentabile al duca, e la chiuse dentro a chiave. Nessun'altra doveva poter approfittare di un'occasione tanto fortunata.
Quando Cenerentola udì lo scatto della serratura, capì, troppo tardi, cos'era accaduto. "Per favore, vi prego, fatemi uscire!" implorò
girando inutilmente la maniglia. La matrigna si mise in tasca la chiave e se ne andò sogghignando. Non si accorse però che due
topolini la seguivano, senza mai perdere di vista la tasca in cui aveva messo la chiave. Nel frattempo Anastasia e Genoveffa stavano
discutendo sopra la scarpetta di cristallo, e ciascuna affermava che era sua. La matrigna le osservò con attenzione mentre cercavano
senza successo di far entrare i loro piedoni nella minuscola scarpetta. Non si accorse che i due topolini le sfilavano silenziosamente la
chiave dalla tasca e se la portavano via. Il granduca riprese la scarpetta alle due sorellastre immusonite e si avviò alla porta per andare
nella casa seguente, quando Cenerentola, chiamò dalle scale: "Per favore Vostra Grazia, aspettate! Posso provare la scarpetta?" La
matrigna tentò di sbarrarle il passo. "E' solo Cenerentola, la nostra sguattera." disse al duca, ma egli la spinse di lato. "Signora, i miei
ordini sono: ogni fanciulla del regno!" La malvagia matrigna tentò un ultimo trucco. Fece lo sgambetto al servitore del duca che
reggeva su un cuscino la scarpetta di cristallo: la preziosa scarpina cadde per terra frantumandosi in mille pezzi. "Oh è terribile!"
gridò il duca. "Cosa dirà il Re?" Allora Cenerentola mise la mano nella tasca del grembiule. "Non preoccupatevi" disse "ho io l'altra
scarpetta" Il duca gliela calzò, ed il piede naturalmente entrò senza fatica. Il quel momento apparve la fata Smemorina, che toccò
Cenerentola con la bacchetta magica. E tutti poterono constatare che era proprio lei la bella sconosciuta che aveva conquistato il
cuore del principe al ballo. Cenerentola fu accompagnata al palazzo reale con la carrozza del re. Là, fra grandi feste ed al suono di
tutte le campane del reame, Cenerentola sposò il suo principe. E da quel giorno vissero felici e contenti.
Biancaneve
Era una fredda giornata d'inverno; bianchi fiocchi cadevano volteggiando dal cielo come piume leggere e una regina sedeva
ricamando accanto alla finestra aperta. Mentre così se ne stava, ricamando e guardando la neve, si punse un dito con l'ago e tre gocce
di sangue rosse come rubini caddero sul bianco manto nevoso. Tanta era la bellezza di quelle tre stille rosso fiamma sul bianco
immacolato che la regina pensò: "Oh, se potessi avere una bambina dai capelli neri come l'ebano, dalle labbra rosse come il sangue e
dalla pelle bianca come la neve!" Poco dopo, diede alla luce una bambina a cui fu dato il nome di Biancaneve . Ma dopo poco si
ammalò gravemente e morì. Un anno dopo il re si risposò. La sua seconda moglie era bella, ma anche gelosa e crudele , e non poteva
tollerare neppure il pensiero che esistesse al mondo qualcuna più bella di lei. Possedeva uno specchio magico, ed ogni giorno
chiedeva: "Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?" e ogni giorno lo specchio rispondeva: "O mia regina, al
mondo non c'è nessuna che sia più bella di te" . Intanto però, Biancaneve cresceva e diventava sempre più bella. L'invidia della
regina cresceva di pari passo con la bellezza della fanciulla, tanto che la costringeva a vestirsi di stracci e a fare la serva. La
principessina affrontava ogni fatica senza un lamento. Anzi, sempre allegra e sorridente: Solo un desiderio era solita confidare,
cantando, alle amiche colombe: incontrare presto l'uomo dei suoi sogni. Un giorno, mentre si trovava accanto al pozzo, le bianche
colombe le confidarono un segreto: " Questo" dissero tubando "è un pozzo incantato. Esprimi un desiderio affacciandoti ad esso e se
udrai l'eco il desiderio diverrà realtà." Così Biancaneve sussurrò: "Vorrei tanto trovare qualcuno che mi ami." E non appena l'eco le
rispose, nell'acqua del pozzo apparve un bel principe su un cavallo nero. Il principe guardava Biancaneve con tanta ammirazione che
la fece arrossire e fuggire timidamente nella sua stanza. La regina, di lontano aveva assistito a tutta la scena. Subito impallidì per
l'invidia e corse a rivolgersi a suo specchio magico: "Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?" e lo specchio
le rispose: "Tu mia regina sei sempre bellissima, ma Biancaneve è più bella di te!" La regina non poteva tollerare una rivale: e così
convocò un guardiacaccia suo fido e gli disse: "Porterai la principessa nella foresta, e la la ucciderai. Mi porterai poi il suo cuore
come segno del delitto". Il guardiacaccia portò Biancaneve nella foresta ma al momento giusto non ebbe il coraggio di ucciderla. Le
intimò di scappare nella foresta, e sulla strada del ritorno uccise un cerbiatto per portare il cuore alla regina. Biancaneve corse a
perdifiato nella foresta, fin quando non arrivò in una radura, dove sorgeva una minuscola e graziosa casetta: entrò e capì che ci
viveva qualcuno, e pensò che abitassero sette bambini senza mamma. C'erano infatti sette piccole sedie impolverate, sette piattini
sporchi, sette camicine sporche e polvere e ragnatele dappertutto. Biancaneve non stette a pensarci su: prese scopa e strofinaccio, e di
buona lena ripulì ogni cosa. Poi salì al piano superiore e vi trovò sette lettini di legno. Su ciascun letto era inciso un nome: Dotto,
Gongolo, Eolo, Cucciolo, Brontolo, Mammolo e Pisolo. "Che strani nomi!" pensò Biancaneve. Poi, siccome era molto stanca , si
addormentò sui lettini. Gli abitanti della casa erano sette nanetti che lavoravano nella miniera di diamanti vicina. Rientrando
trovarono Biancaneve e decisero di ospitarla, raccomandandole di essere estremamente prudente per via della regina cattiva. Per
Biancaneve iniziò un periodo sereno, con nuovi amici ed a contatto con la natura. Ma un brutto giorno la regina cattiva chiese di
nuovo allo specchio chi era la più bella del reame. E lo specchio magico le rispose : "Al di là dei sette monti, al di là delle sette valli
c'è la casa dei sette nani, in cui vive Biancaneve che è ancora più bella di te". La regina decise di uccidere Biancaneve: prese una
mela, una mela bellissima e la immerse in un veleno magico. Poi si trasformò da mendicante, ed andò nella casa dei nani. Biancaneve
stava preparando una torta e impietosita le offrì una fetta. In cambio la strega travestita le diede la mela e Biancaneve diede un
morso. Subito cadde a terra addormentata, sembrava morta! La strega fuggì felice: l'unico antidoto era il primo bacio d'amore,
credeva che i nani vedendola morta l'avrebbero sepolta. Ma i nani, disperati non vollero separarsi da Biancaneve e la misero in una
bara di cristallo nella foresta, per vegliarla in continuazione. Passò molto tempo. Un bel giorno un principe su un cavallo nero sentì la
gente del villaggio parlare di quella meravigliosa fanciulla che giaceva addormentata nel bosco. Il suo cuore diede un sobbalzo. Si
trattava forse della bellissima fanciulla che aveva visto un giorno a palazzo e che non era più riuscito a trovare? Subito cavalcò fino
alla radura nel bosco. Quando la vide non ebbe dubbi: era proprio quella fanciulla che aveva incantato il suo cuore, ed era morta!
Mestamente, il principe sollevò il coperchio di cristallo e si chinò per dare un bacio al suo amore perduto... Immediatamente
Biancaneve aprì gli occhi e sorrise: quel primo bacio d'amore aveva spezzato l'incantesimo. Così il sogno che un giorno Biancaneve
aveva confidato al pozzo dei desideri divenne realtà.
Il principe la fece salire sul cavallo e partì con lei verso il suo palazzo tra le nuvole... dove vissero, per sempre, felici e contenti!
BARBABLU'
Una matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano sulle montagne. Come sia arrivata al convento nessuno lo sa.
Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quel che restava del suo corpo, perché nessun altro l'avrebbe toccato. Perché mai le
monache conservino una siffatta reliquia nessuno lo sa, ma è vero. L'amica della mia amica l'ha vista con i suoi occhi. Dice che la
barba è blu - indaco, per l'esattezza. E' blu come il ghiaccio scuro del lago, blu come l'ombra in un buco di notte. Questa barba
apparteneva un tempo a uno che dicono fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di
Barbablù. Si diceva corteggiasse tre sorelle contemporaneamente. Ma quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e così
si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza, le invitò a una passeggiata nel bosco. Arrivò
con cavalli ornati di campanelli e nastri cremisi. Sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli, e al piccolo galoppo si avvicinarono
nel bosco. Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano accanto e davanti a loro. Poi si fermarono davanti a un albero
gigantesco e Barbablù le intrattenne narrando storie e offrì loro leccornie. Le sorelle cominciarono a pensare:
" Insomma , questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo".
Tornarono a casa e non finivano più di parlare di quella giornata così interessante, di quanto si erano divertite. Pure riaffiorano i
sospetti e timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù. Ma la più piccola pensò che se un
uomo poteva essere tanto affascinante, allora forse non era neanche così cattivo. Più rimuginava tra sé, e meno le sembrava terribile,
e anche la barba le sembrava meno blu. Così quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò. Aveva accolto con orgoglio la
proposta di matrimonio, e pensava di sposare un uomo molto elegante. Si sposarono, e poi andarono al suo castello nei boschi.
Un giorno andò da lei e le disse:
"Devo andar via per qualche tempo. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potrete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di
preparare un banchetto, potrai fare tutto quello che vuoi, tutto quello che il tuo cuore desidera. Ecco il mio mazzo di chiavi. Puoi
aprire tutte le porte dei magazzini, le stanze del tesoro, qualunque porta del castello; ma non usare questa piccola chiave con la
spirale in cima".
Rispose la sposa:
"Si, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai dunque, mio caro marito, e non preoccuparti e torna presto".
Così lui partì, e lei rimase. Le sorelle andarono a trovarla e, come tutte le donne, erano molto curiose di sapere che cosa il Padrone
aveva detto di fare durante la sua assenza. Gaiamente la giovane sposa raccontò tutto
"Ha detto che possiamo fare tutto ciò che desideriamo ed entrare in tutte le stanze che vogliamo, tranne una. Ma ignoro quale sia. Ho
soltanto una chiave, e non so quale porta apra". Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare quale chiave apriva quale porta. Il
castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e c'erano beni di ogni sorta, e ogni volta sembrava tutto più
meraviglioso. Alla fine arrivarono siccome molte erano le chiavi del mazzo, si divertirono immensamente a passare da una porta
all'altra. Dietro a una porta c'erano le dispense, dietro a un'altra i depositi delle monete. In ogni stanza alla cantina. Si scervellarono
sull'ultima chiave, quella con la piccola spirale in cima.
"Forse questa chiave non apre proprio nulla".
Mentre così dicevano, udirono uno strano suono:
"errrrrrrrrrr".
Sbirciarono dietro l'angolo, e - guarda guarda! - c'era una porticina che si stava appunto richiudendo. Cercarono di riaprirla, ma era
sprangata.
Una gridò: "Sorella, sorella, porta la tua chiave. Sicuramente è questa la porta della misteriosa chiavetta". Senza riflettere neanche un
momento una delle sorelle infilò la chiave nella toppa. La serratura scattò, la porta si spalancò, ma dentro era così buio che non
potevano vedere nulla.
"Sorella, sorella, porta una candela".
Venne così accesa una candela e portata nella stanza, e le tre donne lanciarono tutte insieme un urlo perché la stanza era un lago di
sangue e ossa annerite di cadaveri erano sparse ovunque, e negli angoli i teschi erano impilati come piramidi di mele. Richiusero
velocemente la porta, sfilarono la chiave dalla toppa e si aggrapparono una all'altra, respirando affannosamente.
Dio mio! Dio mio!
La sposa guardò la chiave e vide che era macchiata di sangue. Terrorizzata, usò l'orlo della gonna per ripulirla, ma il sangue restava.
"Oh, no!"urlò. Ogni sorella prese la chiavetta in mano e cercò di farla tornare come prima, ma il sangue non se ne andava. La sposa si
nascose in tasca la piccola chiave e corse in cucina. Quando arrivò, il suo abito bianco era macchiato di rosso dalla tasca all'orlo
perché la chiave lentamente versava gocce di sangue rosso scuro. Ordinò al cuoco: "Svelto, dammi uno strofinaccio". Strofinò la
chiave, ma non smetteva di sanguinare. Goccia su goccia, puro sangue rosso colava dalla piccola chiave. Portò fuori la chiave, la
strofinò con la cenere. La avvicinò al fuoco per cauterizzarla. La ricoprì di ragnatele per arrestare il flusso, ma niente riusciva a
fermare il sangue.
"Oh, che devo fare?" urlò. "Ecco che cosa farò: la nasconderò. La metterò nell'armadio e chiuderò la porta. Questo è un brutto sogno.
Andrà tutto bene". E così fece.
Il marito tornò la mattina dopo ed entrò nel castello chiamando la sua sposa.
"Allora? come è andata durante la mia assenza?"
"E' andato tutto bene, sire."
"E come sono i miei depositi?" tuonò.
"Bellissimi, sire."
"E le stanze del tesoro?" ringhiò.
"Anche quelle sono bellissime, sire."
"Tutto bene, dunque, moglie?"
"Si, tutto bene."
"Bene", sussurrò, "allora sarà meglio che tu mi restituisca le chiavi."
Con una rapida occhiata si accorse che mancava una chiave.
"Dov'è la chiave più piccola?"
"Io…l'ho perduta. Stavo cavalcando, il mazzo di chiavi mi è caduto e deve essersi perso in quel frangente."
"Che cosa ne hai fatto, donna?"
"Io…io…non ricordo."
"Non mentirmi! Dimmi che cosa hai fatto di quella chiave!"
Le posò una mano sulla guancia come per accarezzarla, ma invece la afferrò per i capelli.
"Infedele!" ringhiò, e la gettò a terra. "Sei stata nella stanza, vero?"
Spalancò l'armadio e la piccola chiave sul ripiano in alto aveva sanguinato sangue rosso sulle belle sete dei suoi abiti appesi lì.
"Ora tocca a te, mia signora"
urlò, e la trascinò giù nella cantina, finché non arrivarono davanti alla terribile porta. Barbablù guardò la porta con gli occhi di fuoco
e subito per lui la porta si aprì. Là giacevano gli scheletri di tutte le sue mogli precedenti.
"Eccoci!" ruggiva, ma lei si era aggrappata alla porta e non lasciava la presa. Implorò per la sua vita:
"Ti prego, consentimi di raccogliermi per prepararmi alla morte. Concedimi soltanto un quarto d'ora prima di togliermi la vita, per
trovarmi in pace con Dio".
"Va bene" urlò. "Avrai un quarto d'ora soltanto, e fatti trovare pronta."
La sposa salì di corsa le scale per raggiungere la sua camera e per mandare le sorelle sui bastioni del castello. S'inginocchiò per
pregare, ma invece interrogava le sorelle. "Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?"
"Non vediamo nulla, nulla sulle pianure aperte."
A ogni istante ripeteva: "Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?"
"Vediamo un turbine in lontananza, forse un polverone."
Intanto Barbablù chiamò a gran voce la moglie perché scendesse in cantina, dove l'avrebbe decapitata. Di nuovo interrogò:
"Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?"
Di nuovo Barbablù chiamò a gran voce la moglie e prese a risalire i gradini di pietra. Urlarono le sorelle:
"Si, li vediamo! I nostri fratelli sono arrivati e sono appena entrati nel castello". Barbablù si lanciò verso la camera della moglie:
"sto venendo a prenderti!" urlava.
Pesanti erano i suoi passi; le pietre del vestibolo si aprirono, la sabbia della calcina cadde sul pavimento. Mentre Barbablù avanzava
pesantemente nella stanza con le mani tese per afferrarla, i fratelli a cavallo percorsero al galoppo il vestibolo del castello e a cavallo
entrarono nella stanza. Lanciarono Barbablù sul bastione.
Con le spade sguainate, avanzarono verso di lui, colpendolo e fendendolo, tagliando e sferzando, abbattendo Barbablù per terra,
uccidendolo infine e lasciandolo alla poiane il suo sangue e le cartilagini.