E LO CHIAMAVANO AMORE … MA ERA TANTO DOLORE
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E LO CHIAMAVANO AMORE … MA ERA TANTO DOLORE
E lo chiamavano amore … ma era tanto dolore La silenziosa attività del Centro Donna Antiviolenza a Messina. Un’intervista che dà voce a chi si adopera nel restituire la libertà a vite interrotte. Dominga Carrubba Artemisia Gentileschi, Ester e Assuero, 1628-1635, Metropolitan Museum of Art - New York Seconda stella a destra / questo è il cammino / e poi dritto, fino al mattino poi la strada la trovi da te / porta all’isola che non c’è. (da “ L’isola che non c’è ” di Edoardo Bennato) moleskine 26 S ono queste le parole che sembrano fare da sottofondo alla risposta che mi viene riferita dal citofono dell’isolato in Via del Vespro n.65, dove è attualmente ospitato il Centro Donna Antiviolenza . «Non appena entrata, vada dritto, e poi giri a destra, fino al primo piano.» Qui trovo Teresa Staropoli, la psicologa del Cedav di Messina. Mentre aspetto in compagnia di variopinte matrioske, inconsapevoli testimoni di solerti api operaie nel volontariato, i vetri della porta che separano dal corridoio diventano un eloquente chador, dietro il quale si nasconde il volto di donne anonime nel dolore. Si riaprono le porte, è Teresa Staropoli. D. « Allora, adesso, è questa la sede del Cedav ? » R. « Da quando il Cedav ha dovuto lasciare la precedente sede per mancanza di somme sufficienti per pagare le spese essenziali di gestione, si è deciso di ospitare il Centro presso il mio studio pur di assicurare la continuità nell’assistenza alle donne che ci chiedono aiuto, anche perché Messina non offre una struttura alternativa. Dove potrebbero trovare ascolto e assistenza nel loro percorso di paure e solitudine?» D. « Quante siete ad offrire la vostra disponibilità per sostenere il Cedav? » R. « L’attività viene svolta da due psicologhe, due avvocati fra cui Carmen Currò, Presidente del Cedav - un’assistente sociale, una pedagogista dell’ascolto psico – motociclista, tre volontarie all’ascolto. E poi un telefonino che ci scambiamo, in modo tale da realizzare turni che possano supplire alla mancanza di una sede stabile, garantendo la reperibilità.» Nel mentre che una stufa elettrica scaldava la stanza, emergeva la capacità di ascoltare come chiave di lettura dell’attività svolta dalle operatrici del Cedav, che innanzitutto sono donne che partecipano della solitudine in cui vivono altre donne, prigioniere di stereotipi culturali, tanto radicati da edificare un contesto sociale che minimizza la violenza in uno scatto d’ira, che scambia il possesso per amore. D. « Ma non pensate » nel frattempo si è unita la pedagogista « che l’aumento dei casi di violenza contro le donne possa dipendere dalla frustrazione economico – lavorativa ormai generalizzata, riflettendosi in ambito privato e familiare ? » R. « La tradizione culturale e il costume sociale sono le vere cause che influenzano i comportamenti. Non a caso il Cedav promuove in particolare nelle scuole il cortometraggio “Giulia ha picchiato Filippo” di Francesca Archibugi – progettato da “Differenza Donna Ong” e finanziato dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il 1° Piano Nazionale contro la violenza di genere e lo stalking – al fine di alimentare la prevenzione contro la violenza sulle donne, tramite l’educazione al rispetto verso l’altro genere.» Il neo - Presidente della Camera, Laura Boldrini, nel discorso d’insediamento ha affermato:« Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore […] ». E l’educazione, la formazione con la capacità di ascoltare sono gli strumenti ed insieme gli obiettivi dell’attività di consultorio svolta dal Cedav nel comprensorio messinese, dedito nell’accompagnare le donne in un percorso a ritroso, dove riscoprire la propria identità non umiliata da sovrastrutture socialmente ereditate. Giulia ha picchiato Filippo, scena con Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio moleskine 27 moleskine 28 «Filippo è un ragazzino vivace, è un maschiaccio, ma che c’è un problema in questo ?» Sono le parole che nel docufiction riassumono l’eziologia socio – culturale espressa dalle operatrici del Cedav. È la madre (Jasmine Trinca) che giustifica Filippo (Jacopo Comisso) per le ripetute aggressioni agli altri bambini della scuola materna, sia maschi che femmine, fino a quando Giulia reagisce (Ludovica Mezzanotte). E allora, soltanto allora, scoppia il caso! La maestra (Lucia Mascino) chiama anche il padre di Giulia (Riccardo Scamarcio), il quale chiede alla piccola: «Ma che è successo?» Appare sulla scena l’ossimoro tra la crudezza di una violenza reale e la tenue voce di una bambina impaurita, che risponde al padre: « Filippo mi picchia sempre […] non vuole che faccio niente.» Ecco che il concetto di appartenenza culturale ad un contesto sociale diventa tangibile, dove la prevaricazione dell’uomo sulla donna rasenta la normale tollerabilità. Tanto che alla domanda «Se doveste fare una statistica sull’estrazione sociale delle donne che si rivolgono al Cedav, potreste sostenere - in base alla vostra esperienza diretta, seppure limitata al territorio messinese – una maggiore percentuale di donne disagiate economicamente o culturalmente?» R. « No, purtroppo ! » - rispondono all’unisono. Come si può sradicare la convinzione che la causa della violenza usata dall’uomo è il comportamento provocatorio della donna, quando persino una madre allude « Poi se arriva una ragazzina che lo provoca … perché quella lo provoca […] ». Così sostiene la madre interpretata nella fiction, ma quante volte si riporta questa giustificazione nella realtà. D. « Quale forma di aiuto il Cedav offre ad una donna in difficoltà?» R. « Si comincia con l’ascolto - risponde la dott.ssa Staropoli - e quando squilla il telefonino non si pensa ad un caso da sovrapporre sugli altri; ma ad una’altra donna con una storia diversa, con tempi di recupero della propria identità libera da vessazioni fisiche e psicologiche che variano per il carattere, per l’autonomia economica o meno, per la presenza eventuale di figli. L’ascolto deve essere personalizzato, da qui il progetto di attivare al più presto – seppure a nostre spese – corsi di formazione orientati a fare acquisire le competenze opportune per l’ascolto e l’accoglienza, prima di tutto per gli operatori volontari in modo da potere realizzare nuove sedi nella provincia messinese, e di seguito per il Violenza sulle donne personale medico e le Forze dell’Ordine .» D. « E se si tratta di una donna che non ha indipendenza economica ? » R. « Il Cedav – se possibile – contatta aziende disponibili, indirizza verso le strutture di accoglienza in anonimato e rappresenta il primo interlocutore nel dare sostegno alle madri con figli che, avendo assistito ad una violenza perpetrata in famiglia, dimostrano insofferenza e scatti d’ira improvvisi.» D. « Ma la famiglia di origine è sempre collaborativa? » R. « Non sempre ! » “Non sempre” rappresenta quella realtà documentata nella fiction, quando viene detto dal padre a Giulia: «Chiedi scusa a Filippo[…]Guarda che è bello chiedere scusa, poi si fa la pace e non ci si pensa più […]. » Eppure Giulia ha reagito perché era stata limitata nelle proprie scelte, umiliata, aggredita, impaurita e snervata, in un climax inarrestabile, ma nessuno ha detto a Filippo di chiedere scusa. Nel prologo del docufilm una delle donne che testimonia la propria esperienza dice una frase che fa da cerniera fra la realtà e la fiction: «Un donna vittima di violenza è una donna che ha una vita nel mondo […] questo mondo che cosa fa rispetto a lei ? » Il Cedav di Messina sfida l’assenza di risorse finanziarie con la stabilità di una voce che risponda ad un telefonino, complice di una staffetta silenziosa tra la finzione che appare e la realtà segnata dal dolore. «Forse smarriti / O distratti / O immemori / Di essersi, per un breve attimo, / amati per sempre.» (Prospettiva, da “Due punti” di Wislawa Szymborska).