Testo dell`intervento

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Testo dell`intervento
“China Meets Italy”
Osservatorio Asia
Torino, 8 Novembre 2007
La presenza diretta delle aziende cinesi in Italia
di Renato Ridella,
Partner
A.T. Kearney
Circa 750 ml € di fatturato, 1,243 dipendenti e 27 aziende: questi sono i numeri della
presenza diretta in Italia di gruppi industriali e finanziari di origine cinese1.
Una presenza molto distante da quella del primo Paese asiatico a investire in Italia, il
Giappone –16,5 miliardi di fatturato, 28,000 dipendenti e 317 aziende – e anche inferiore a
quella dell’altro gigante asiatico, l’India, che in Italia conta circa lo stesso numero di
aziende (24), con un fatturato però più che doppio (oltre 1,5 mld €) e dipendenti oltre 4
volte più numerosi (quasi 5,400).
La presenza cinese è fatta di molte aziende di piccola dimensione (28 milioni di euro di
fatturato aziendale medio e 46 dipendenti medi) per la Cina; le maggiori 5 aziende hanno
un fatturato tra gli 80 e i 170 ml € (Baosteel, Lenovo, Tacchini, Cemate, Haier Europe), 2
aziende hanno circa 30 ml €, le altre sono tutte sotto i 20 ml €.
Solo otto aziende di casa madre cinese svolgono attività produttiva. Ciò non deve indurre
a pensare a una presenza solo commerciale: 3 insediamenti riguardano Headquarters
Europei (Haier, Hengdian e China Shipping) e 2 sono i centri R&D: nella meccanica e
automotive, con i centri design e stile delle aziende automobilistiche Changan e Jianghuai
Automobile Company a Torino..
Ci sono inoltre elementi molto qualificanti nella presenza cinese in Italia: da un lato il
presidio della logistica e dei porti, dove China Shipping da Genova coordina i 25 paesi che
si affacciano sul Mediterraneo, e il gruppo Coscos è attivo in 3 città italiane; sotto il profilo
numerico, i settori di elezione da parte delle aziende cinesi sono in prevalenza quelli degli
elettrodomestici "white & brown" (cioè frigoriferi e televisori) e delle apparecchi per casa e
uffici, dove spicca Haier con le sue quattro articolazioni: una piattaforma produttiva
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A.T. Kearney ha sviluppato questo quadro e ne ha tratto le implicazioni per il sistema Italia e le sue aziende,
attraverso un ampio studio condotto nei primi mesi del 2007 che ha riguardato anche le aziende Russe e
Indiane in Italia. I dati si riferiscono solo agli investimenti in Italia da parte di corporation basate sul
continente (cosiddetta "mainland China"), escludendo i Gruppi basati a Hong Kong e Taiwan. In questo
modo, abbiamo voluto focalizzarci sui "campioni industriali e finanziari" sviluppatisi a seguito dell'evoluzione
economica e politica della Repubblica Popolare Cinese, in quanto fenomeno estremamente rilevante e ben
diverso da quello dello sviluppo internazionale dei grandi gruppi di Hong Kong, colonia britannica fino al
1997 caratterizzata da oltre 160 anni di libertà di impresa e libero mercato. Questa focalizzazione ha
conseguenze rilevanti, perché esclude dall'analisi la presenza italiana di aziende come Hutchinson
Whampoa, che nell'operatore di telefonia mobile 3 Italia ha finora investito oltre 6,5 miliardi di Euro, più del
fatturato complessivo di tutte le consociate RIC in Italia oggetto nello studio.
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europea di frigoriferi combinati a Campodoro, una joint venture a Pordenone per la
commercializzazione in Italia di condizionatori d'aria, la società commerciale italiana e gli
Headquarter europei per gli elettrodomestici a Varese.
Nel complesso, Baosteel (commercializzazione di acciaio) e le aziende impegnate
nell'high tech, IT e comunicazioni (Huawei, Lenovo e ODE della Defond) valgono oltre la
metà del fatturato delle aziende di matrice in Italia.
Perchè le aziende cinesi investono in Italia
L’attrattività del mercato italiano è naturalmente il principale motivo degli investimenti delle
aziende cinesi in Italia, terzo-quarto mercato europeo per dimensioni in praticamente tutti i
settori dell’economia.
Interessante è il secondo più importante driver di investimento: l’accesso al “Made-in-Italy”,
inteso come un sistema di competenze unico e specifico del nostro Paese, che si traduce
in prodotti di qualità – vuoi intrinseca, vuoi per il contenuto “moda-trend” - universalmente
riconosciuta come altissima, spesso venduti con brand essi stessi divenuti sinonimo di
questo sistema e quindi di qualità, e pertanto caratterizzati da premi di prezzo.
L’accesso al Made-in-Italy è perseguito fondamentalmente per due motivi: la ricerca del
posizionamento “alto di gamma” e/o l’accesso a competenze d’eccellenza reputate uniche.
Per capire la tensione al posizionamento delle aziende cinesi, dobbiamo considerare che
si tratta di una delle principali sfide che questi player affrontano sui mercati occidentali.
In base alla nostra survey, per le aziende cinesi in Italia questo problema è secondo solo a
burocrazia e lentezza delle istituzioni. Il problema esiste in tutti i settori: che si tratti di linee
aeree, abbigliamento, elettrodomestici o tecnologia delle comunicazioni, i clienti e i
consumatori italiani e europei automaticamente associano ai prodotti e servizi russi, cinesi
e indiani il posizionamento “basso prezzo – bassa qualità”. L’immaginario collettivo,
l’istintiva diffidenza verso la Cina e la scarsa o nulla notorietà del brand e dell’azienda
sono alla base di questa percezione.
Una strada per risolvere questa questione strategica è la costruzione organica di nuovi
brand globali. E i cinesi hanno deciso di percorrerla. Lo stesso presidente Hu Jintao nel
suo recentissimo discorso al 17° Congresso del Partito Comunista Cinese a Pechino, ha
detto che la Cina dovrà creare uno o due nuovi brand globali entro i prossimi cinque anni.
I Giochi Olimpici di Pechino 2008 rappresentano un appuntamento chiave in questo
senso: la Cina li intende utilizzare anche come "leva strategica" per dare alle aziende
cinesi grande visibilità in tutto il mondo e accelerare la loro cammino di costruzione di
brand "globali". Tra i selezionati sponsor dei Giochi, al fianco di marchi ben noti ai
consumatori di tutto il mondo, come Adidas, Budweiser, Johnson & Johnson o
Volkswagen, figurano brand cinesi come Tsingtao e Yanijing (produttori di birra), Yili (tra i
10 maggiori produttori di alimenti freschi al mondo), China Mobile o Haier. Proprio Haier
dichiara di aver lanciato la sua “quarta fase di sviluppo strategico”: quella del “global
brand”, che segue a quelle di “brand”, “multi-dimensionalità” e “internazionalizzazione”.
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Ma, partendo dalla situazione attuale, la creazione di brand globali cinesi, specialmente
nel medio-alto di gamma, richiede tempo e investimenti. L’alternativa è l’acquisto del
posizionamento, e qui entra in gioco il “Made in Italy”.
La ricerca del posizionamento “alto di gamma” avviene sia direttamente, acquisendo brand
italiani, sia indirettamente, come nell’accostamento dei propri prodotti e brand a prodotti e
brand italiani.
Tra i casi di acquisizione di brand “made-in-Italy”, i principali sono certamente Sergio
Tacchini e Benelli, mentre il co-branding con Pininfarina delle piastrelle Guangdong
DongPeng ceramics è il caso più evidente di tentativo di “accreditamento”. In chiave di
posizionamento è leggibile anche l’acquisizione di Elios (portalampade e decorazioni
luminose da interno e esterno).
L’altro motivo alla base della ricerca del Made-in-Italy da parte dei cinesi è l’accesso a
competenze d’eccellenza reputate uniche. Haier ha scelto l’Italia per aprire la sua prima
filiale commerciale europea per gli elettrodomestici: all’attrattività del mercato, l’Italia
aggiunge in questo settore la sua sofisticatezza e la sua storia, che la rendono un banco di
prova per il successo internazionale di ogni player con ambizioni. Allo stesso modo, Haier
ha in Italia l’unico stabilimento europeo di frigoriferi.
Centri Stile e Centri Design sono stati aperti in Italia nell’automotive:
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Il primo caso è quello di Changan e JAC, che si sono stabilite a Torino per “importare”
il know-how italiano e migliorare i loro prodotti da vendere sul mercato domestico, oggi
per loro ben più attraente dei maturi e complessi mercati europei. Così, Changan ha
scelto Torino per la sua unità internazionale di design (così come ha scelto la
Germania per quella dei motori), e JAC ha fatto lo stesso, preferendo Torino a Detroit,
Coventry e Tokyo – le altre opzioni considerate – anche alla luce della possibile
collaborazione col Politecnico di Torino nell’attività di progettazione. Il Design Center di
JAC, in particolare, è considerato il primo centro estero R&D di un produttore
automobilistico cinese, su cui finora sono stati investiti circa 2 mil €. Il Centro Design di
Changan di Torino ha già realizzato il design e il progetto di tre veicoli con target
famiglia, e di un concept car “molto fashion” che ha un target più giovane.
Anche il terzo investimento nell’automotive, l’acquisizione di Benelli da parte di
Qianjiang, ha una forte valenza di “competenze tecniche”: l’azienda cinese infatti è
stata l’unico bidder a volere non solo il brand del player pesarese, ma anche il suo
stabilimento e il suo centro design. A seguito dell’acquisizione, il direttore tecnico di
Benelli è divenuto direttore tecnico per tutto il gruppo Qianjiang – terzo produttore
cinese di scooter con 1,2 milioni di veicoli prodotti l’anno – la consociata italiana è
considerata il “centro europeo di R&D” del Gruppo. Come per JAC e Changan, anche
per Qianjiang il mercato domestico è la priorità, e le competenze automotive italiane le
sono preziose per migliorare i propri prodotti destinati al mercato interno.
Alla luce dei motivi alla base della ricerca del “Made-in-Italy” a parte dei player cinesi, non
stupisce che nella quasi totalità dei casi queste aziende stabiliscano o mantengano la
produzione in Italia, e non pensino a trasferirla nei loro stabilimenti in Cina: rispetto alla
“delocalizzazione” di molte aziende italiane, si può in questo caso parlare di
“localizzazione” da parte delle aziende cinesi.
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Due fasi storiche
Possiamo distinguere due fasi di investimenti diretti dalla Cina in Italia.
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La prima si svolge alla fine degli anni ’80: Air China apre i suoi uffici commerciali in
Italia nel 1986, e nello stesso anno la Nanjing Automotive Corporation (NAC) avvia
un ufficio di rappresentanza a Torino per gestire i rapporti con Iveco, con la quale
aveva stretto un accordo per la produzione in Cina di veicoli commerciali Gamma S,
poi evolutosi nel '95 in una joint venture. Nell'88 è la volta di CMEC, che insieme a
due soci italiani, da’ vita a Cemate, una piccola unità di import-export con l'obiettivo di
vendere macchine utensili cinesi in Italia.
Questi tre investimenti hanno avuto nel tempo un'evoluzione molto diversa.
Forse investimento dal taglio più opportunistico che strategico, il caso di CMEC è
certamente di successo: nel ’98 Cemate ha vinto la gara per la progettazione, il
design e la fornitura dei contatori digitali in remoto per l’ENEL, tanto che nel 2005 ha
raggiunto un fatturato di 100 ml €, con un organico sempre ristretto a 3 persone.
Il sodalizio tra NAC e Gruppo Fiat è passato attraverso tutte le fasi del ciclo di vita, e
dopo l'apice, toccato con la costituzione di joint venture in Cina con Iveco e Fiat,
sembra ora giunto al termine: l'azienda cinese è impegnata in Europa nel
consolidamento di MG e Rover, acquisite nel 2005, e nel lancio di una nuova vettura
Rover-MG destinata al mercato cinese, mentre Fiat guarda in Cina a nuovi partner
come Chery e Saic. L'ufficio italiano di NAC ha un futuro incerto, dato che i rapporti
con gli altri partner industriali italiani dell'azienda cinese, Brembo e Teksid, non sono
forse tali da giustificarne l'esistenza. La presenza in Italia di NAC potrebbe essere
mantenuta e rivitalizzata se l'azienda decidesse di commercializzare i veicoli MG in
Italia.
Air China prosegue la sua attività in Italia in modo lineare.
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E' sul finire degli anni Novanta che si apre la seconda fase di investimenti cinesi in
Italia, caratterizzata dall'ingresso dei nuovi grandi player globali: Baosteel, Cosco,
Huawei, Haier…Dal ’98 si registrano 3-4 investimenti all'anno – 4 nei primi 10 mesi
del 2007 (le acquisizioni di Elios e Tacchini, l’insediamento di Hengdian Group e la
joint venture di Guangdong DongPeng Ceramics). Questa fase è segnata dalle
acquisizioni (12 in tutto), segnale indicativo della maggiore maturità, convinzione e
aggressività di questi investitori rispetto al passato, oltre che della loro maggiore
capacità finanziaria. Nella maggior parte dei casi si tratta di acquisizioni di aziende
italiane come Benelli, Tacchini e Haier, ma in due casi l'acquisizione è invece
indiretta perché relativa alla capogruppo straniera di un'azienda italiana: i personal
computer IBM passati alla cinese Lenovo e l’unità di sourcing di KarstadtQuelle
acquisita da Li & Fung.
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E' facile prevedere che l'ondata di investimenti diretti di aziende cinesi in Italia di questi
ultimi anni sia solo la punta dell'iceberg, e che il “bello” debba ancora venire. Non passa
settimana senza che si annuncino offerte, negoziazioni o semplici "pour parler" - basti
accennare all'interesse del colosso della viscosa Baoding per la FdG-Bemberg, o al
progetto di parco tecnologico con capitali del Jiangsu apparso sulla stampa proprio pochi
giorni fa.
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Inutile ripercorrere qui i driver strutturali della globalizzazione delle aziende cinesi. Può
essere però interessante accennare a due elementi facilitanti.
Il primo è lo sviluppo di un senso di "comunità" e quindi del networking tra i player cinesi
presenti nel nostro Paese. Rispetto a indiani e russi, le aziende cinesi in Italia sono state le
prime a creare un'associazione, lo scorso anno: forse non è un caso che promotore
dell'associazione sia stata una banca commerciale, Bank of China, che ha per sua natura
facilità e interesse a interagire e a rafforzare i rapporti con tutte le aziende connazionali.
Questa associazione potrà rappresentare un punto di riferimento e di appoggio per i player
cinesi che vogliano considerare l'ingresso in Italia, e un modo per dare voce unica e più
forte alle istanze delle aziende cinesi già presenti.
Il secondo sono gli accordi presi a livello governativo e confindustriale durante le recenti
missioni di Governo e Confindustria in Cina, o la recente conversione della holding di stato
Central Huijin in una sorta di super-holding per gli investimenti cinesi all'estero, sul modello
della Temasek di Singapore - il cui primo, non piccolo investimento è stato l'acquisto del
10% di Blackstone. Ci saranno presto mega-acquisizioni cinesi anche in Italia?
Renato Ridella
Partner
A.T. Kearney, Milan office
[email protected]
www.atkearney.it
www.atkearney.com
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