A. Zanella - ISTITUTO COMPRENSIVO di PONTE SAN NICOLO

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A. Zanella - ISTITUTO COMPRENSIVO di PONTE SAN NICOLO
A. Zanella
Classe 3 A – Scuola Secondaria di Primo Grado “A. Doria” di Roncaglia (Istituto Comprensivo
di Ponte San Nicolò)
“Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere” (Associazione Granello di Senape progetto proposto alle classi terze della scuola secondaria di secondo grado, sede di
Roncaglia)
Pensieri
Fin da bambina ho sempre avuto un'idea del carcere che mi portava a “ritrovarmelo” di notte
nascosto in qualche incubo: un enorme edificio d'acciaio ghiacciato, il cui interno si
presentava altrettanto freddo e buio a causa delle finestrelle grossolanamente scavate nelle
pareti in cemento, sbarrate come se dovessero tener rinchiusa una belva feroce. Dalla fioca
luce che filtrava dalle finestre tanto piccole da sembrare “cicatrici” disegnate da un sisma,
venivano illuminati dei volti, uno diverso dall'altro, ma tutti sicuramente troppo spaventosi per
una bambina di sei anni qual ero all'epoca.
Non so di preciso di cosa avessi paura, forse di ciò che si celava dietro a quegli occhietti
piccoli e pentiti, forse delle rughe del viso, le quali si moltiplicavano come le pieghe su un
vecchio tappeto. Quelle rughe testimoniavano il tempo trascorso in quella cella senza colori,
una cella in bianco e nero, in grado di spegnere anche il più grande sorriso con la sua
oscurità. Cercavo un perché, una motivazione valida che potesse aver spinto qualcuno a
violare la legge. Poi pensavo alla loro famiglia, smembrata dalla giustizia e ovviamente
inserivo in un contesto simile anche la mia famiglia. Mi svegliavo con il cuore a mille e non
chiudevo più occhio fino al sorgere del sole.
Sono passati gli anni. Oggi mi sono liberata della “tenera miopia” che distingue un bambino
da un ragazzo. Il bambino cresce e, crescendo e osservando il mondo da diverse prospettive,
diventa sempre più lungimirante e impara a capire.
Ora so che un detenuto non dev'essere per forza di cose il serial-killer schizofrenico dei film o
il volto spaventoso dei miei sogni.
Spesso i detenuti sono ragazzi e adulti che sono inciampati in qualche reato. Magari per
venire accettati da un gruppo. Purtroppo, soprattutto durante l’adolescenza, quando essere
inseriti in un gruppo è necessario quasi più che respirare, si convive con lo stereotipo
secondo il quale se non “ti sei fatto” almeno una canna sei uno “sfigato”, se sei educato e non
appiccichi ovunque il tuo il chewing-gum impregnato di saliva sei “sfigato”, e così se non bevi,
se non corri, se non esageri, se studi. Un classico dell'adolescenza è anche il bullismo, sia
fisico che verbale. Chi compie atti di bullismo fisico è, in genere, un gran pezzo di
energumeno testa calda, tanto vigliacco da sfogare le sue prepotenze sui più deboli.
L'ingrediente immancabile e più subdolo del bullismo è la lingua tagliente che solitamente
caratterizza il bullismo al femminile. Questi atteggiamenti, se non “raddrizzati”, possono
rappresentare l'anticamera per accedere alla criminalità vera e propria.
L’adolescenza è un periodo in cui si è fragili, si è alla ricerca di sè e di certezze. Si sa ciò che
è sbagliato, ma non si ha la forza di scegliere ciò che è giusto. La superficialità e il desiderio
di trasgredire prevalgono.
Per gli adulti che, invece, dovrebbe essere più maturi e consapevoli, la cosa assume
sfumature diverse: l’adulto non solo sa quello che fa, sa anche perchè lo fa e quali saranno le
conseguenze di quanto sta per fare.
Tutti i mezzi di informazione non fanno che bombardarci di notizie terribili. Non mi riferisco
solo ai delitti di mafia, alla corruzione, allo spaccio, agli omicidi. Penso anche agli adulti che
sfruttano le “baby-squillo”, ai sacerdoti pedofili che tradiscono il loro patto con Dio e con gli
uomini, a coloro che mettono se stessi e il loro orgoglio al di sopra di tutto. Ecco, gli adulti
avrebbero innanzitutto bisogno di un pizzico di umiltà in più, giusto quello che basta per
contrastare l'orgoglio che spesso li schiaccia.
La giustificazione più “gettonata”, quando si viene scoperti, prescinde dall'età dell'imputato:
quante volte coloro che hanno commesso un reato, qualsiai età abbiano, si difendono con
affermazioni del tipo: <<Non ci avevo pensato prima...>> o <<Non volevo finisse così...>>?
Troppe.
A volte è vero, soprattutto quando si commettono reati per necessità, per povertà, per
disperazione. In questi casi, se si facesse presente il proprio bisogno di aiuto, forse certe
situazioni davvero gravi non diverrebbero così esasperanti.
Quando si sentono certe affermazioni, viene spontaneo domandarsi se chi le ha pronunciate
faccia parte di quegli esseri pensanti, animati dalla sacrosanta ragione, che il Creatore ha
fornito di un cervello funzionante. La risposta è sì, certo che hanno la ragione. Ma allora…
perchè quelli che veramente non avrebbero voluto… non si sono fermati? Perchè può
accadere che anche le persone più “controllate” ed equilibrate per un attimo abbiano
abbassato la guardia, e di conseguenza si sia abbassata vertiginosamente la loro percezione
del rischio, tanto da portarle a bussare alla porta del carcere. Si sono fatte prendere dalla
rabbia, dalla paura, dall’odio, dalla gelosia, dal cieco orgoglio e hanno agito senza pensare.
Basta questo a trascinarli all’interno di un carcere: come quando una calamita ne sfiora
un’altra di carica opposta e quest’ultima non ha modo di sfuggirle.
A volte, invece, non è vero.
L'illegalità è come un grosso polipo i cui tentacoli appiccicosi rapiscono chiunque: grandi e
piccoli, senza alcuno scrupolo.
Cattura e, a volte, ammalia con l’illusione del guadagno, del prestigio, del divertimento fine a
se stesso. Certe volte si sceglie di farsi catturare, altre volte ci si finisce invischiati.
Le statistiche ci rivelano l’ aumento dei reati compiuti da minori come me: si tratta di spaccio,
aggressioni, violenza sessuale, psicologica, verbale e fisica, di furti; diffusissimo è il
vandalismo, che pianta le sue radici sull'ignoranza del rispetto. Anche la prostituzione minorile
è in continuo incremento.
In un’ epoca globalizzata com'è quella in cui viviamo, noi nativi digitali dobbiamo imparare a
difenderci da uno strumento, il computer, che spesso spinge, consapevolmente o
inconsapevolmente, a fare o a farsi del male. Dai social network in cui ormai ci si scontra solo
con profili falsi, ai siti porno, al gioco d'azzardo online, che nove volte su dieci causa
dipendenza, siamo tutti sempre più connessi. E al di là di tutti i rischi che corriamo, ci
sentiamo sempre più soli. Grandi e piccoli.
Riassumendo, non c'è reato che non si fondi su un uso sbagliato della libertà. Solo i bambini
non sanno, perchè non sempre è stato spiegato loro perchè una cosa è giusta e un’altra è
sbagliata. Chi commette un reato scatena delle conseguenze che vanno a riversarsi non solo
sugli altri, ma anche su sé stesso. Spesso si tratta di soggetti altamente autoreferenziali e
mentalmente miopi, o individui che fremono per oltrepassare il limite soltanto per il gusto di
trionfare tra i più trasgressivi.
Non c'è pena che possa essere definita tale se in essa non si distingue un percorso che miri
alla rieducazione del detenuto. Ciò significa che in carcere bisogna offrire ai detenuti
occasioni di crescita, attività che li impegnino. Ma anche che le carceri stesse siano luoghi
vivibili e dignitosi. Però continuo a chiedermi: dopo anni di detenzione, durante i quali un
carcerato ha scontato il suo debito con la giustizia, quando esce dal carcere, quell’uomo è
migliore di quando è entrato?
Per quanto mi riguarda, la Legge Gozzini riveste un ruolo importante poiché stimola al
massimo il detenuto a tenere un comportamento lodevole, la “buona condotta”, per ottenere i
“permessi-premio”, l’affidamento ai servizi sociali, gli arresti domiciliari, la “riduzioni della
pena”, la tanto agognata “liberazione anticipata”.
Se la Legge Gozzini viene applicata con rigore e l’impegno del detenuto nel mantenere la
buona condotta è convinto e sincero, allora, all’uscita dal carcere, sarà sicuramente un uomo
migliore.
Roncaglia di Ponte San Nicolò, 6 maggio 2014