Yuja Wang - Società del Quartetto di Milano
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Yuja Wang - Società del Quartetto di Milano
Stagione 2010-11 Martedì 30 novembre 2010, ore 20.30 pianoforte Sala Verdi del Conservatorio Yuja Wang Rachmaninov Variazioni sopra un tema di Corelli op. 42 Schubert Sonata per pianoforte in do minore D 958 Beethoven Sonata per pianoforte in do minore op. 111 Il concerto è registrato da Rai Radio3 4 Consiglieri di turno Franca Cella Lodovico Barassi Direttore Artistico Paolo Arcà Sponsor istituzionali Ringraziamo per il loro contributo volontario, oltre ai vari Soci che hanno scelto l’anonimato o la dedica in memoriam (a Silvia Medugno Ansbacher Bonomi, a Rita Legnini, a Sergio Dragoni), i Soci A.F., S.F. e E.A., Ornella e Giuseppe Lorini, con la speranza che il loro esempio trovi seguito. Sponsor Pianisti al Quartetto Giulio Confalonieri, poeta, scrittore, compositore, eminente protagonista della vita musicale a Milano lungo gran parte del ‘900, scrisse i programmi di sala del Quartetto dal 1953 al 1963. Un ampio estratto fu pubblicato in un nostro piccolo libro, “Il minuto prima di ascoltare”, curato da Lorenzo Arruga. Quest’anno i commenti ai nostri concerti saranno spesso “a due voci”: la voce di Giulio Confalonieri, là dove saranno in programma musiche già da Lui commentate per nostri concerti, e la voce di Oreste Bossini. Due voci che risentono di diverse formazioni musicali e di tempi diversissimi. È anche un modo di valorizzare il patrimonio di cultura del Quartetto e di rispettare i nostri tradizionali criteri di sana gestione economica. Il programma è pubblicato sul nostro sito web dal venerdì precedente il concerto. È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione. Si raccomanda di: • spegnere i telefoni e ogni apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista. Con il contributo di Soggetto di rilevanza regionale Con il patrocinio di Sergej Rachmaninov (Oneg, Novgorod 1873 - Beverly Hills, California 1943) Variazioni sopra un tema di Corelli op. 42 (ca. 20’) Anno di composizione: 1931 Prima esecuzione: Montreal, 12 ottobre1932 La produzione di Rachmaninov viaggia a due velocità. Fino al 1917, i lavori nascono con una certa continuità, malgrado le crisi e le incertezze. Dopo aver lasciato la Russia invece, all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, Rachmaninov scrive con il contagoccie. Nel periodo americano, dal 1917 al 1943, il suo catalogo presenta, a parte le trascrizioni pianistiche o le revisioni, soltanto sei titoli. Tra questi figurano le Variazioni su un tema di Corelli op. 42, l’unico lavoro per pianoforte solo del musicista russo scritto negli anni dell’esilio. Lo spunto per le Variazioni è l’antico tema della Follia, usato da Corelli nell’ultima Sonata per violino e basso continuo dell’op.V. Rachmaninov aveva conosciuto la celebre pagina di Corelli grazie a Fritz Kreisler, con il quale aveva registrato nel 1928 diverse Sonate di repertorio. Il sodalizio artistico si era trasformato in sincera amicizia personale, sebbene i loro temperamenti fossero totalmente opposti. La testimonianza di questo affetto consiste curiosamente in questo lavoro per pianoforte solo, scritto in Francia nell’estate del 1931 e dedicato al brillante violinista viennese. Rachmaninov interpretò molte volte le proprie Variazioni, ma sempre con un certo spirito autocritico. Una lettera del 21 dicembre 1931 all’amico e collega Nicholas Medtner recita: «Ho suonato le Variazioni qui circa 15 volte, ma di queste 15 esecuzioni soltanto una era buona. Le altre erano fiacche. Non riesco a suonare i miei lavori! Ed è così noioso! Non le ho suonate tutte di fila nemmeno una volta. Mi sono fatto guidare dalla tosse del pubblico. Se i colpi di tosse aumentavano, saltavo la variazione successiva. Se non c’erano colpi di tosse, seguivo l’ordine giusto. In un concerto, non ricordo dove in qualche piccola città, la tosse era così violenta che ho suonato solo dieci variazioni (su venti). Il record è stato stabilito a New York, dove ho suonato diciotto variazioni». La forma della variazione aveva sempre interessato Rachmaninov, come si ravvisa nell’altro grande ciclo di variazioni per pianoforte solo, composto agli inizi del secolo, sul tema di un Preludio di Chopin. Nel corso degli anni Venti il suo stile era diventato più asciutto e tendeva a una maggior chiarezza di stampo neoclassico. La tecnica della variazione rispondeva meglio a questo bisogno di eliminare il superfluo dalla scrittura pianistica, pur mantenendo intatta la forza espressiva e l’eroismo virtuosistico. Le venti variazioni sono ordinate con una logica narrativa in diversi gruppi, che formano una sorta di percorso drammaturgico. Al centro campeggia il dolcissimo lirismo della variazione XV, mentre l’esplorazione delle risorse ritmiche e ornamentali della musica barocca raggiunge il culmine nella penultima variazione, lasciando alla coda il compito di chiudere la muta commedia con un melanconico gesto d’addio. (o. bos.) Franz Schubert (Lichtenthal, Vienna 1797 - Vienna 1828) Sonata per pianoforte in do minore D 958 (ca. 33’) Allegro - Adagio - Menuetto - Allegro Anno di composizione: 1828 Anno di pubblicazione: 1839 Schubert non era di mestiere un virtuoso, a differenza della maggior parte degli autori per pianoforte del suo tempo. La sua produzione per la tastiera risente dell’incerto andamento della carriera, intrapresa con inflessibile volontà ma senza una solida preparazione professionale. Grazie forse proprio all’insolito percorso nella vita musicale viennese, Schubert è stato da un lato l’ultimo rappresentante dello stile classico e dall’altro il primo autore significativo di pezzi pianistici di carattere, il genere di musica in procinto di dominare l’Ottocento. Le due dimensioni convivono nella sua personalità, creando dei contrasti a volte sorprendenti. Nel corso dell’ultimo anno di vita, 1828, Schubert scrisse per il pianoforte nel giro di pochi mesi sia pagine di pura impressione sonora, come gli Impromptus e i Moments musicaux, sia la poderosa serie delle tre ultime Sonate. Microcosmo e macrocosmo costituiscono le due facce di un medesimo fenomeno, rivelando in forme diverse la visione di Schubert del tempo musicale. Gli abbozzi, per fortuna conservati, lasciano intuire che le Sonate erano state concepite come un ciclo collegato, che l’autore immaginava di dedicare a Hummel. Il manoscritto contenente i tre lavori reca la data del 29 settembre, ma i primi schizzi risalgono alla primavera precedente. La forma delle Sonate è identica e segue l’articolazione canonica in quattro movimenti. In quest’ultimo scorcio della sua vita Schubert sembra deciso a confrontarsi con l’eredità di Beethoven, che era scomparso da pochi mesi. L’impronta del grande predecessore è stampata in maniera indelebile sulla Sonata in do minore ancor prima dell’inizio, per così dire, grazie alla scelta della tonalità beethoveniana per antonomasia. Con questi lavori Schubert intendeva forse riflettere su quello che aveva significato nella sua musica l’esempio delle Sonate di Beethoven. Per il pannello iniziale del suo ciclo sceglie come modello la Grande Sonate pathétique, uno dei lavori più significativi della prima fase della produzione di Beethoven. I riferimenti a quel primo monumento della tonalità di do minore sono molteplici e distribuiti nell’arco dell’intera Sonata, a cominciare dal tema principale del primo movimento, che fonde il profilo della Patetica con quello di un altro lavoro in do minore, inspiegabilmente rinnegato, del grande di Bonn, le 32 Variazioni in do minore WoO 80. La scelta di mescolare i due incipit esprime forse il nuovo spirito con il quale Schubert interpreta la forma sonata, come risulta chiaro non appena si esaurisce il carattere eroico del tema iniziale. Gli episodi successivi infatti manifestano subito l’inclinazione dell’autore per il principio della variazione, fiorendo in forme sempre nuove a ogni ripresa. Lo spirito narrativo spinge Schubert a toccare i confini del pensiero tonale, con armonie vaganti e vuoti cromatismi che nella parte centrale creano una sorta di sospensione del tempo, come in una sorta di allucinazione. L’Adagio cantabile della Patetica è il palinsesto dell’Adagio, unico movimento indicato con questo nome nel ciclo delle ultime Sonate. L’Adagio di Schubert, anch’esso in la bemolle maggiore, è una riscrittura assai più inquieta e sconvolgente del canto lirico di Beethoven, come se il vecchio Lied si fosse caricato di un senso di angoscia e smarrimento, espresso nella maniera più evidente dall’ambigua alternanza di accordi maggiori e minori lasciata risuonare nell’aria senza soluzione. Il Menuetto è una sorta di delicato omaggio a un mondo scomparso, recuperando una forma che Beethoven aveva profondamente trasformato. Schubert inventa per l’ennesima volta un’incantevole musica da ballo, ma la scabra scrittura del Trio centrale rivela piuttosto la perdita definitiva delle illusioni giovanili. Come accade sovente nei suoi grandi lavori strumentali, Schubert affida al movimento finale il compito di costruire una sorta di argine al pessimismo del suo pensiero. Ecco dunque affiorare nell’Allegro conclusivo un vitalismo palpitante, che prende la forma di un Rondò-Sonata di proporzioni inusitate. Lo spunto è ancora una volta il Rondò finale della “Patetica”, che viene trasfigurato e dilatato da uno sfrenato ritmo di tarantella. La vorticosa danza in do minore viene accesa da sporadici accenti e sforzati, come se quest’immagine notturna fosse illuminata da improvvisi bagliori. La tarantella finale sembra una fornace, che divora una dopo l’altra una mostruosa quantità d’idee musicali. La narrazione di Schubert prosegue in forme sempre nuove e diverse, tanto che il tema principale torna a farsi sentire solo ben oltre la metà del movimento. Le armonie fluttuano in zone lontane, sebbene in maniera meno radicale che nel primo movimento, e talvolta spuntano, come erbacce dalle rovine, degli episodi di carattere cromatico. La potenza e l’originalità di questo finale risultarono incomprensibili agli ascoltatori del tempo, persino a musicisti come Schumann, contribuendo a tener lontano per molto tempo le grandi Sonate di Schubert dalle sale da concerto. (o. bos.) Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1827) Sonata per pianoforte in do minore op. 111 (ca. 27’) Maestoso. Allegro con brio ed appassionato - Arietta. Adagio molto semplice e cantabile Anno di composizione: 1821/22 Anno di pubblicazione: 1823 La Sonata op. 111 è l’ultima delle sonate per pianoforte di Beethoven. La sua struttura in soli due «tempi» (il maestoso introduttivo fa corpo con l’allegro seguente secondo un’antica pratica di Haydn e di Mozart) lasciò sempre perplessi gli esegeti e fu motivo di interminabili discussioni. In sostanza, si trattò dello stesso problema offerto dalla Sinfonia in si min. di Schubert: l’autore non aveva compiuto il suo lavoro per una ragione o per l’al- tra, oppure, giunto alla fine del «Secondo tempo» si era convinto che quel «taglio» andava bene, che corrispondeva al taglio del suo pensiero in quel determinato momento e si era rifiutato di aggiungervi uno Scherzo e un Finale al semplice scopo di tacitare l’appello di certe norme, in fondo meccaniche. Come nel caso dell’Incompiuta di Schubert, anche nel caso dell’Op. 111, le conclusioni potevano essere interminabili e tutte, a modo loro valevoli. L’ipotesi che Beethoven per l’ultima sua Sonata avesse predisposto la strana struttura in due soli «movimenti», si trova rafforzata dal fatto che l’Arietta presenta dimensioni di vastità assolutamente insolita e, in molti movimenti, la forma variata secondo la quale è condotta, suscita animazioni ritmiche tali da far di questo pezzo un vero allegro sostenuto. Resta però sempre l’ipotesi che il Maestro, secondo la risposta data a un suo cameriere, non avesse aggiunto altri «tempi» dopo l’Arietta perché non ne aveva mal trovato il tempo. L’Op. 111, venne composta tra il 1821 e il 1822, a brevissima distanza, quindi, dalle Sonate in mi magg. e la bem. magg. e contemporaneamente alla prima parte della Messa solenne. Introdotto da un Maestoso il quale, seppure con tutt’altro accento, richiama un po’ il prologo della Patetica, l’Allegro con brio e appassionato può dirsi la costruzione monotematica, tutta sgorgata dal motivo iniziale, autoritario e violento. Il secondo movimento, con le sue trascendentali variazioni, ci pone innanzi un Beethoven problematico e in certo senso disincarnato dalla contingenza sonora. Come ben dice Thomas Mann nel suo «Doctor Faustus» davanti ad opere come queste anche i più fedeli amici e ammiratori del Maestro «si erano trovati col cuore pieno di pena come davanti a un processo di dissoluzione, come davanti a un non plus ultra... come il tema dell’Arietta, attraverso cento destini e cento mondi ritmici in opposizione, finisce quasi con lo smarrirsi in altezze paurose ed astratte, così l’arte di Beethoven si era da se stessa trascesa. Da regioni abitabili, ove regnava ancora la tradizione, si era innalzata nel limbo della personalità pura, lasciando gli uomini quasi sgomenti; si era ridotta a un Io dolorosamente esiliato nell’assoluto, escluso, anche per causa della sordità dal mondo delle cose sensibili…». (g. conf.: Concerto del 17 febbraio 1959 di Julius Katchen) Yuja Wang pianoforte Nata a Pechino nel 1987, Yuja Wang ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di sei anni. Dopo alcuni anni di studio al Conservatorio di Pechino, si è trasferita in Canada dove ha studiato con Hung Kuan Chen e Tema Blackstone. Nel 2002, a soli 15 anni, ha vinto il Concorso dell’Aspen Music Festival e si è trasferita al Curtis Institute of Music di Philadelphia, dove si è diplomata nel 2008 sotto la guida di Gary Graffman. Nel 2006 ha ricevuto il Premio “Gilmore” per giovani artisti. Dopo il debutto nel 2005 con la National Arts Center Orchestra diretta da Pinchas Zukerman, si è esibita con le maggiori orchestre del mondo in collaborazione con direttori di primo piano quali Charles Dutoit, Lorin Maazel, Neville Marriner, Robert Spano, Michael Stern, Yuri Temirkanov, Michael Tilson-Thomas e Osmo Vänskä. Claudio Abbado l’ha diretta nel Terzo di Prokof ’ev nel concerto inaugurale del Festival di Lucerna 2009, con l’Orchestra Mozart e con la Mahler Jugendorchester. È stata inoltre protagonista di recital nelle più importanti città del Nord America, in Europa e ospite regolare di festival quali Aspen, Santa Fe, Gilmore, Schleswig-Holstein e Verbier. Ogni stagione è protagonista di nuovi e importanti debutti. Nella stagione 2009/10 ha eseguito in prima mondiale il Concerto per pianoforte di Jennifer Higdon con la National Symphony Orchestra a Washington e ha debuttato con l’Orchestra Sinfonica di Montreal, la Frankfurter Museumsorchester, l’Orchestra Filarmonica della Scala, l’Orchestra Gulbenkian; in recital, ha debuttato al Kimmel Center di Philadelphia, Hong Kong City Hall e al Mozarteum di Salisburgo. È stata inoltre protagonista negli Stati Uniti di una tournée con l’Orchestra Sinfonica di Shanghai e di sette concerti con la Russian National Orchestra. Si è esibita con l’Orchestra del Festival di Lucerna e Claudio Abbado a Pechino, con la Royal Philharmonic Orchestra in Spagna e Gran Bretagna, e con la Filarmonica di Hong Kong. Yuja Wang registra in esclusiva per Deutsche Grammophon. Il suo album di debutto, “Sonatas & Etudes” pubblicato nel 2009, contiene la Marcia Funebre di Chopin, la Sonata in si minore di Liszt, la Sonata n. 2 di Skrjabin e una selezione di Studi di Ligéti. “Tranformation”, pubblicato nell’aprile 2010, è dedicato a Stravinskij, Scarlatti, Brahms e Ravel. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimo concerto: Martedì 14 dicembre 2010, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Trio di Parma In Italia esistono eccellenti interpreti di musica da camera, malgrado lo scarso aiuto che il nostro paese riserva a questi musicisti. Il Trio di Parma è l’erede di una tradizione italiana che vanta formazioni illustri come il Trio di Trieste e il Trio di Milano. Il Trio festeggia nel 2010 i vent’anni di carriera e il Quartetto è lieto di ospitarlo di nuovo in questa occasione, dopo aver incoraggiato i primi passi della loro avventura musicale. Il programma riassume molto bene lo spirito del loro progetto, ben radicato nella tradizione classica e romantica (Haydn e Schumann), ma aperto alla musica del Novecento e del nostro tempo (Mauricio Kagel). Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]