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L’ultima alba 1 Il cielo sopra la prateria aveva l’aspetto di un telo da pittore. Nel freddo del mattino Miguel lo contemplò, un sorriso sul volto e la tazza del caffè stretta fra le mani: d’un rosa pallido, aranciato e indefinito verso l’orizzonte, dove Os Anjos scaturivano come macchie allungate dal punto in cui si sarebbe levato il sole, digradava in tonalità d’azzurro sempre più scuro mano a mano che gli veniva incontro, conservando, sopra la sua testa, il blu della notte e le tracce pallide delle ultime stelle. Il giovane alzò la ciotola, bevve e spostò lo sguardo sulle spalle chine di Tuco il soprastante, sentendosi felice senza nessuna ragione particolare. “Perché te la ridi?”. La voce dell’uomo, più anziano d’una ventina ab‐
bondante di primavere, era ruvida e allegra. “O céu chefe, guarda che colori”. Tuco mandò una risata catarrosa ver‐
sando fagioli nella padella ingrassata. Fra le coperte i due vaqueiros si agita‐
rono sulla scorta del profumo. “Quando avrò il tempo di guardare o céu, vorrà dire che sarò morto. O che non avrò più bisogno di lavorare. O le due insieme, meu Deus!”. Miguel annuì ai borbotti del superiore e prese un altro sorso, proprio mentre il sole stava iniziando a mostrarsi oltre la foschia; pochi secondi ancora e le nuvole si accesero di riflessi d’oro che scivolarono veloci sul mare d’erba alta. Il branco di cavalli, trentasette capi in tutto, pascolava tranquillo nel raggio di un quarto di ruota. L’uomo aggiunse aglio, pancetta, pomodori e pimenta al suo intruglio e l’odore che venne, mescolandosi a quello che spirava dalla cuccuma, era quasi appetitoso. Lo stomaco del ragazzo borbottò. 1 “Ti vedi sempre con Isabela?”. “Claro, vogliamo sposarci in autunno se lo sai!”. La risata si ripeté più convinta e uno dei vaccari a terra reagì tirando verso il basso la tesa del cappello. Miguel rabboccò con un’occhiataccia a cui seguì il laconico strin‐
gersi nelle spalle dell’altro. “Isabela è una bailarina, va con gli uomini che la pagano meglio, sentimi bene”. “Lei è diversa! Mi ama ha detto…”. Tuco scosse la testa pescando col cucchiaio e masticando in punta di lingua. “Ama o dinheiro quella lì, vuole solo un pollo da spennare, credi a chi ne ha viste e scopate più di te! Pensi davvero che voglia stare con un arrieiro?”. Miguel non replicò accontentandosi di porgere il piatto con una smorfia; l’uomo riempì il primo e commentò la seconda con un nuovo raglio liquido, subito interrotto dal fruscio di zoccoli al passo. “Tudo bem Angela?” indagò senza girarsi; Miguel dal canto suo non si mosse mentre dalla foschia emergeva un cavallo montato da due persone, nessuna delle quali sembrava la giovane stagionale che aveva fatto l’ultimo turno della notte. Dietro quel primo ne spuntarono altri due, ugualmente sconosciuti, ugualmente cavalcati a coppie, e il ragazzo inghiottì. Improvvisamente non aveva più fame. Successe tutto in una manciata di secondi. L’uomo in sella sfoderò una pistola come non ne aveva mai viste, subito dopo una saetta di luce azzurra trapassò la schiena del soprastante. Tuco cadde sopra la sua stessa colazio‐
ne e nell’ombra di un cappello a tesa larga Miguel colse il dettaglio di una faccia mostruosa, dove la parte inferiore del volto luccicava come acciaio, prima che la seconda figura si sporgesse brandendo un revolver a canna lunga. La testa del lavorante più vicino scoppiò come una zucca matura, l’altro sollevò il cappello e il giovane vide i suoi occhi allargarsi – e la sua mano correre alla fondina – prima che una nuova scarica gli facesse esplo‐
dere la faccia. L’uomo ricadde e l’ultima cosa che Miguel sentì fu l’odore della sua carne arrostita, prima che il revolver tuonasse di nuovo. Un dolore seguì, acuto e bruciante all’altezza della tempia sinistra. Un ultimo scampo‐
2 lo di quel cielo denim slavato che ruotava a velocità poco rassicurante. Poi soltanto oscurità. 2 Quando riaprì gli occhi la sera era in dirittura d’arrivo, era disteso, e c’era qualcuno sopra di lui. Un’ombra confusa che dopo qualche istante prese i contorni di un uomo. Miguel si divincolò e arretrò, acqua bollente sembrò invadergli il cranio trasformandosi in una successione di violente martellate. Urlò a squarciagola, per tutta risposta qualcosa lo colpì al centro del petto facendolo ricadere giù. “Cállate ahora!”. Il giovane chiuse gli occhi e sentì il corpo che iniziava a tremare. “Por favor… não me mata…não…”. “Shhh”. Qualcos’altro si posò sulla guancia strappandogli un sussulto e innescando una nuova esplosione di dolore. Una mano, riconobbe in ritardo, piccola e fredda. “Non vogliamo farti del male. Però dobbiamo sistemarti”. Miguel non comprese quelle parole: capì soltanto che venivano dalla voce di una donna, prima che un nuovo tocco, per nulla delicato questa volta, interrompesse ogni trasmissione in una terza e più forte sferzata di sofferenza. Quando si svegliò di nuovo il fuoco era acceso e la pampa immersa nella luce falsa dell’alba. Due figure erano sedute al bivacco. Disorientato, e con‐
scio soltanto di essere coricato sotto una coperta, si guardò attorno. Nessun cavallo fermo a pascolare. La testa pulsò trasmettendogli un senso di verti‐
gine mentre ricordava che cos’era successo. Sollevò una mano all’altezza della tempia rilevando una bendatura umidiccia, e contemporaneamente infilò l’altra sotto l’orlo della coperta. Quando arrivò all’altezza delle reni, là dove sapeva esserci il calcio della sua cinque‐colpi, trovò solo aria. Merda. Come se lo avesse udito una delle due sagome si girò. Lunghi capelli ricad‐
dero su spalle sottili mentre anche la seconda, più robusta, si volgeva e fa‐
3 ceva per alzarsi. Prima che potesse farlo tuttavia, la figura esile sollevò un braccio e la fermò; fu lei a venirgli incontro e Miguel la guardò con gli occhi sgranati, paralizzato dal terrore…almeno fintantoché quella non offrì una tazza fumante, una mano e parole vagamente comprensibili, non certo pronunciate nel tono di qualcuno che sta per farti la pelle. “Gran siesta tuvieras. Como estás?” 4 3 Chase guardò Dawn, Dawn guardò il giovane, il giovane guardò entrambi e il pistolero pensò che di gatte da pelare ne avevano già a sufficienza. “Tu capisci quello che dice?”. “Non ho in memoria la sua lingua…e non rilevo nessun satellite funzio‐
nante per un download di aggiornamento”. Chase scosse la testa confuso come sempre dal parlare incomprensibile della ragazza. “Ma non è troppo diversa dallo spagnolo. Ordinamento Imperiale stan‐
dard” puntualizzò. “Non fare parole strane, sai che non le capisco”. Dawn si sporse e baciò a stampo le labbra dell’uomo. “Meus…meus amigos? Onde estão meus amigos?”. “Están muertos”. “Amore hai la delicatezza di uno stupratore seriale”. “Se ho inteso bene, ha chiesto dove sono i suoi amigos e io gliel’ho det‐
to. Dimmi adesso dove sta il problema!”. La ragazza scosse la testa, poi al‐
lungò una mano e Miguel la guardò sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. “Como te llamas? El nombre?”. “Nom…nombre? Nome? Meu nome?”. “Tu nombre, sí, digame yo quiero..”. “Miguel” sussurrò. “Tuco…Angela, os outros...”. Dawn gli sfiorò la spalla e quando fece per sottrarsi toccò la sua mente, trasmettendo per immagini ciò che non voleva dire a parole. Lacrime iniziarono a scendere in silenzio. Il pistolero rovesciò il caffè rimasto nel fuoco. “Vediamo di muoverci però, ne abbiamo già perso abbastanza di tempo”. 4 <da che parte sono andati?> “Você fala...em minha cabeça...”. <si, e tu fai lo stesso. Parla nella mia ma io prego, fallo in fretta. Il mio uomo è in caccia e la pazienza non è sua>. Miguel fissò gli occhi di lei, con‐
fuso oltre ogni limite, la testa invasa dal battito sordo della ferita che lo 5 aveva quasi ucciso. La ragazza gli fece una carezza e il dolore scemò. Chi erano? <uomini cattivi, bandidos, guerrilleros. Noi dobbiamo prenderli> Aveva la…la boca de ferro… <lui è il peggiore di tutti. Serrano si chiama, el señor General Serrano, as‐
so nel mazzo del Magnifico, nonché ladro, stupratore, torturatore, cacciato‐
re di scalpi, trafficante di armi e assassino. Adesso che la guerra è finita si fa chiamare El Carnicero, e nel nostro paese ha un conto molto lungo con la legge>. Miguel si girò verso Chase intento a radunare il bivacco. La stella sul co‐
no del cappello mandava bagliori leggeri al sole del mattino, tenui come quelli che si alzavano dai bossoli nei passanti del cinturone e delle bandolie‐
re incrociate sul petto. Lui è uno xerife…sul serio? La ragazza annuì. <hai ben visto la sua stella. E ti prego di scusarlo, non è un hombre malo, ha solo poca pazienza perché sta inseguendo gli scagnozzi del Magnifico da troppi anni>. Tu dici cose che non capisco, chi…chi è il Magnifico? <il Magnifico era un bandido come non ne hai mai visti. Voleva cancella‐
re la legge dalla faccia del mondo, per anni ha messo a ferro e fuoco i terri‐
tori sopra il Mar Fosco…ed è una fortuna che sia stato fermato prima che portasse la guerra anche da voi>. Dawn sorrise, un gesto sottile davanti al quale Miguel rabbrividì. <lo avresti conosciuto senz’altro, in quel caso, e non ti sarebbe stato per nulla gradito. Hai visto da che parte sono andati?> No io…hanno ammazzato Tuco, Angela, Joao e Porfirio… <e gran parte della popolazione di un borgo, Menina, settanta ruote da qui. Hanno rapinato la banca, assassinato lo sceriffo e i deputies, e stermi‐
nato gli uomini che hanno provato a mettergli il sale sulla coda>. Miguel al‐
largò gli occhi e Dawn percepì il terrore che invase all’istante la mente del giovane. Si spinse più a fondo. <Era la tua città? Lo siento, ne hanno fatta saltare mezza per coprirsi la fuga. Esplosivi ad alto potenziale e armi radianti. Il saloon era sulla loro strada. Non è rimasta un’asse in piedi, quando siamo arrivati, due giorni fa, 6 abbiamo trovato soltanto corpi. Mi dispiace per lei…Isabela giusto?> ”Meu deus no!”. Miguel sentì le gambe che si afflosciavano, le assecon‐
dò e si coprì il volto con le mani. “Ne hai ancora per molto?”. ”Fintantoché non avrò finito amore. E se tu la smettessi di fare lo stron‐
zo, mi sarebbe gradito non sai quanto”. Chase borbottò qualcosa, terminò di legare i bagagli e poi si arrotolò una sigaretta. Dawn si accovacciò, sfiorò i capelli del giovane e cullò la sua mente inibendo i centri del dolore e indu‐
cendo il cervello ad aumentare la produzione di serotonina. Gli diede qual‐
che momento prima di parlare di nuovo. <abbiamo trovato dei cavalli mentre venivamo, li avevano dispersi, noi li abbiamo radunati vicino a un guadal mezza ruota a Sud. Qualcuno l’avranno preso, l’alcalde ha detto che erano in sei e sono riusciti ad appiedarne un paio con dei tiri fortunati, ma la maggior parte dovrebbe esserci ancora. Noi non possiamo fermarci, abbiamo già perso un giorno per rimetterti in sesto, ma ti possiamo lasciare del cibo e dell’acqua…e quando ti sentirai in forze potrai tornare indietro e riprendere i tuoi affari. Ci scusiamo per qualsiasi danno ti abbia arrecato El Carnicero e ti assicuriamo che verrà presto preso e assicurato alla giustizia>. Dawn tacque. Miguel rialzò gli occhi, dopo un momento la ragazza per‐
cepì rabbia giungere rapida a prendere il posto dello sconforto. Mi stai prendendo per il culo? <nay, mai nella vita Miguel, ti sto solo prospettando la soluzione più ra‐
zionale. È la mia programmazione…>. “Fodete!”. Chase sussultò e la sigaretta sparse cenere. Il pistolero acco‐
stò la mano al calcio mentre il giovane indietreggiava carponi. Dawn si tese verso di lui. <sento il tuo dolore, se lo desideri posso cancellare questi ultimi ricordi dalla tua mente. Anche quello della tua ragazza. Vuoi?> Vaffanculo a te e alle tue stronzate. Dove avete messo la mia pistola? <Ragazzo non credo che sia una buona idea...>. “Onde está minha pistola!”. Dawn si girò verso Chase, dopo un momento l’uomo capì e lei lo percepì allo stesso modo. 7 “No amore, non è una buona idea...”. Il pistolero raccolse il cinturone che avevano tolto al più anziano dei tre, glielo lanciò e Miguel lo prese al volo regalandogli uno sguardo affranto e rabbioso. Nella fondina c’era un revolver Wallenstrass a sette colpi, dall’aria logora ma ancora minacciosa, di cui entrambi avevano le specifiche in memoria. <questa non è una buona idea. Bastiamo noi> “Donna gli hanno fatto fuori i pard e per poco non lo spediscono alla radura. Per conto mio se vuole può venire, la legge glielo permette. Basta che la smettiamo di perdere tempo”. Dawn sospirò tornando su Miguel. Il ragazzo aveva appena finito di al‐
lacciarsi il cinturone, troppo in alto perché potesse essere più che d’impiccio in una sparatoria. Glielo aggiustò in modo che la fondina penzo‐
lasse bassa sulla coscia, nel farlo notò che era mancino e il particolare le strappò un sorriso. <vuoi venire a vendicare i tuoi compagni?>. Il ragazzo tirò su col naso e annuì una volta sola. E Isabela, lei è…è davvero… <il saloon non c’era più quando siamo venuti, l’hanno spazzato via, c’erano molti morti ma non possiamo sapere se la tua ragazza era in mezzo. Quelli non scherzano, sei sicuro che…>.Miguel, di nuovo, mosse la testa dall’alto in basso e Dawn si arrese. “Ricordami di non avere mai dei figli” mormorò montando in sella. “Avremmo divergenze d’opinione troppo marcate per ciò che concerne la loro educazione”. Chase sogghignò concedendole di buon grado l’ultima pa‐
rola. 8 5 Il piedidolci salì dietro di lei e Chase li guardò mentre si allontanavano per tornare al luogo dove avevano lasciato i cavalli; solo che fu rimasto pre‐
se la direzione opposta, allontanandosi lungo le tracce che avevano rilevato già il pomeriggio precedente, e che gli uomini del Carnicero non si erano neppure dati tutta quella pena di nascondere. E mentre le seguiva a testa bassa pensò a quanto Paul Serrano avesse di che rendere conto: vecchi tru‐
cidati, bambine violentate, villaggi dati alle fiamme, razzie, torture…c’era molto per cui valesse la pena di prenderlo e fargliele scontare tutte, ma non era solo per la sua lunga e onorata carriera che gli stavano alle costole da due anni. El Carnicero si era preso lo scalpo di Kenai, e alla fine dei conti soltanto questo contava. Il pistolero sospirò lasciando che la matrice positronica si stabilizzasse sulla collera fredda e razionale che quel pensiero non mancava mai di tra‐
smettergli. Aveva abbandonato la cerca il suo fratello di Ka, era riuscito a sfuggire al canto della Torre e mai per questo aveva pensato di portargli rancore, sentimento che invece sapeva essere, in certa misura, nel cuore di lei che pure lo aveva amato allo stesso suo modo. Kenai aveva abbandonato la cerca e aveva chiuso le orecchie alla voce dei fiori, desiderando soltanto vivere in pace. Dopo la disfatta del Magnifico si erano separati e lui era tornato a Camp Valla per parlare ai sopravvissuti del capataz. Era venuto con orgoglio a chiedere loro di tornare a vivere co‐
me uomini veri e la maggior parte non l’aveva ascoltato, compreso il capo medico, che per quanto ne sapeva viveva ancora rintanato sotto la Città dell’Elefante; coi pochi che avevano scelto di seguirlo il suo fratello di Ka aveva fondato una città nelle terre di nessuno a Nord del Desierto: inse‐
guendo un sogno di libertà si erano nascosti, tanto all’autorità dei neonati Stati Uniti quanto ai propri simili, fra montagne coperte di boschi dove ave‐
vano vissuto in solitudine, fino a quando Paul Serrano non era passato di lì con una banda di cani sciolti. E giacché ai cani sciolti non servono pretesti per fare bottino… 9 Chase serrò la mascella inspirando in un sibilo prolungato. Era stata lei a dirgli che era in pericolo, lo aveva percepito alla distanza di quasi una nazione, ma nel tempo che impiegarono a raggiungere la valle nascosta, i corpi dei morti avevano già iniziato a marcire. Fino all’ultimo giorno di quell’interminabile viaggio aveva sperato di poterlo ritrovare vivo, perché alcuni potevano bene essersi salvati, nascosti in attesa di seppellire i loro cari e ricostruire, quando i razziatori fossero andati via. Invece ad attenderli non erano rimasti che crani scalpati, tepees dati alle fiamme e campi rivoltati dal passaggio dei masnadieri di Serrano. Naturalmente non aveva pensato subito a lui, ma il dovere di portare la legge a chi si era macchiato di quell’infamia andava persino oltre la sua programmazione, trascendendo in quell’emozione squisitamente umana che si chiama ‘vendetta’ e che soltanto uno shabut può non provare. Avevano scoperto l’identità del responsabile un passo alla volta, sporcandosi le mani quando c’era da farlo e mettendole alla borsa quando il piombo o il coltello non bastavano. L’avevano braccato insieme e insieme avevano decimato i suoi sottopancia, senza perdere tempo con giurie e processi, ma El Carnicero l’aveva sempre scampata. Fino ad ora. “Ti prenderò Paul” disse come davanti a un fatto ovvio, mettendo da parte la rabbia in favore della determinazione pura e semplice. Il rumore di cavalli al trotto lo fece girare, secondi dopo Dawn lo affiancò. “Puntano a Sud”. “La Città del Cavallo?”. “Non so dove altro. Ma li prenderemo prima, in pegno la parola”. “Così potrai fargliela pagare come credi”. Una pausa. “E poi?”. “Poi porteremo la legge a Rosie e a quelli della sua ghenga, se tu sei con me”. La ragazza si sporse di sella e appoggiò le labbra alle sue in un contatto più appassionato del bacio a stampo di qualche ora prima. Passi più indietro Miguel rivolse al cielo un volto improvvisamente in fiamme. “Lo sei shai’Ka?”. “Tre di uno pistolero, dove va uno lì vanno tutti. Così è per noi”. “Credo di amarti dolcezza. Lo sai?”. 10 “Io no invece”. Una pausa, durante la quale Dawn lo fissò con l’intensità di un serpente. “Io sono sicura di amare te. Ma non scordare ciò che c’è di più importante amore mio”. Chase ripensò a Kenai, al suo desiderio di essere libero, al suo unico so‐
gno di vivere in pace, e schermò quel pensiero meglio che poté. “Abbiamo il tempo di mille vite dalla nostra. Andremo a Lei quando la legge non avrà più nulla da chiedere”. Dawn annuì stemperando l’espressione in un sorriso che, se non avesse saputo essere finto, gli avreb‐
be sciolto il cuore. Tese il braccio, la ragazza si aggrappò e scivolò in sella dietro lui. Il cavallo senza cavaliere continuò a tenere dietro mentre il sole saliva e poi scendeva lento nel cielo. 6 Nei cinque giorni successivi la prateria si trasformò in una steppa fredda, brulla e grigiastra, venata di ruscelli e punteggiata da massi enormi in anti‐
cipazione delle alture all’orizzonte, che diventavano ogni ruota più grandi. Continuando a seguire tracce che non sparivano mai del tutto, una settima‐
na dopo attaccarono le pendici di montagne molto diverse dalle mesas del Desierto Blanco: non più cilindri rossastri di arenaria dalla punta piatta, ma denti aguzzi di calcare e granito grigio ammantati di boschi secolari e ricchi di vita dove la strada si snodava fra precipizi, torrenti e cascate. Per l’ottavo giorno di marcia gli unici segni della presenza del Carnicero erano i fili di fumo dei bivacchi serali, visibili nel cielo al tramonto come an‐
che i loro dovevano esserlo, ogni sera un po’ più prossimi. Me lo vuoi dire che stiamo facendo? Dawn masticò e sorrise intercettan‐
do il pensiero di Miguel. Dall’altra parte del fuoco Chase spinse il tamburo della Colt Anaconda al suo posto. Il pezzo, ben lubrificato, si incastrò senza sforzo. “Dice qualcosa il piedidolci?”. “Vuole sapere che stiamo facendo”. Il pistolero sghignazzò; l’attimo successivo richiuse la pistola con uno scatto del polso e la appoggiò accanto al Wallenstrass, alla Comor e allo sparasvel‐
11 to che negli ultimi due giorni si era spostato dalla fonda della sella alla sua schiena. Come quel guanto di maglia colorata, un trucchetto dei trascorsi passati che non gli piaceva proprio, perché aveva il sapore della magia, ma che adesso gli avvolgeva la mancina in un abbraccio confortevole e croc‐
chiante. Anche un vantaggio sfortunato è bene accetto quando si ha a che fare con un branco di coyotes della peggiore specie. Il pistolero squadrò il giovane, che non aveva praticamente aperto bocca fino a quel momento, e scosse la testa. L’attimo successivo accostò la ga‐
vetta e la riempì con quanto rimaneva nella padella. Il tuo uomo ce l’ha con me? “Nay che non ce l’ha con te il mio uomo. Lui è soltanto un brutto orso, è fatto così e che il diavolo se lo porti”. Miguel ridacchiò e Chase si strinse nelle spalle inforcando una cucchiaiata dopo l’altra. <ora sono a un giorno da noi. Tempo di aspettarci qualche tiro>. Ci sarà da… <hai mai sparato a un uomo?>. Il giovane abbassò gli occhi, momenti dopo Dawn gli sfiorò la guancia. <il primo colpo è sempre il più difficile. Passato quello, tutti gli altri ver‐
ranno da soli> Io ho buona mira ma…não, non ho mai ammazzato nessuno. Soltanto conigli e cães de pradaria. Però voglio fare la mia parte. La ragazza accennò un sorriso. <dovrai sparare dritto se vuoi portarti a casa la pelle. Mira con l’occhio, spara con la mente e uccidi col cuore>. Che cosa vuol dire? <è il credo dei pistoleri. Noi siamo giudici erranti, guardiani del Bianco, esecutori delle nostre sentenze, e dobbiamo essere giusti sempre e in ogni luogo. Noi non usiamo soltanto le nostre mani e la nostra pistola, perché questi strumenti possono trarci in inganno e renderci troppo vicini alla leg‐
ge. Possono farla diventare una cosa personale. Possono tenerci lontani dal‐
le cose veramente importanti> concluse, e il giovane colse la sfumatura di tristezza mentre la ragazza si girava verso Chase. Il pistolero non sollevò neppure la testa dal piatto. <il mio uomo vuole prendere Paul Serrano e fargli sputare l’anima un 12 pezzo alla volta, per quello che gli ha fatto. La legge per lui è questo e io lo capisco, e lo seguo, perché El Carnicero si merita più di chiunque altro di crepare. Ma dopo lui altri verranno perché la legge non smette mai di pre‐
tendere. E noi non saremo mai liberi>. Io non capisco... <è meglio così>. Dawn appoggiò la mano sulla spalla del giovane, valu‐
tando e scartando l’idea di permettere alla malattia che condivideva col pi‐
stolero di infettarlo. Potrebbe essere utile le suggerì qualcosa. Tre è il vostro numero, il numero perfetto per una cerca perfetta. Scosse la testa. <è meglio così> ribadì e Miguel non poté fare altro che rabbrividire da‐
vanti a quel volto bello e perfetto che ora lo stava guardando con un sorriso sofferente. La mano ricadde un attimo dopo, quando la ragazza si alzò e raccolse i piatti per andare a pulirli nell’erba del sottobosco. Chase le allun‐
gò il suo e il ragazzo colse l’occhiata che i due si scambiarono, e che innescò un nuovo brivido come una secchiata d’acqua gelida lungo il filo della schiena. E l’idea di aver fatto, forse, il passo più lungo della gamba lo sfiorò e de‐
cise di rimanergli attaccata al fondo dei pantaloni. 13 7 Il vecchio era steso in mezzo alla radura e chiamava aiuto stringendosi una gamba ridotta a brandelli. La carcassa azzoppata del suo mulo era poco distante. Una coppia di pobrecitos che si erano trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il tiro che stavano aspettando. Dal suo nascondiglio nella boscaglia, sotto una coltre di ombre dorate, Chase commutò alla termica e naturalmente non vide nessuno. Si era allontanato dal bivacco quando il sole era appena spuntato, da so‐
lo, anche se sapeva che lei se n’era accorta. Non c’era ragione di rischiare in due…o peggio ancora in tre. E lui era grato che finalmente quei bastardos avessero fatto la loro mossa. Ignorando le urla passò all’infrarosso e all’ultravioletto ottenendo un ri‐
sultato identico. Per ultimo allargò la visuale e la ferita sulla gamba del vec‐
chio gli recitò le sue generalità: calibro pesante, uranio impoverito, fucile gaussiano anti‐materiale. Qualcosa che ha bisogno di distanza e altezza. Dove sei rimuginò ingrandendo ancora fino a che le foglie gli mostrarono le nervature. Trattenne il respiro e perlustrò rapidamente senza trovare nulla. Il vecchio continuava a lamentarsi. Era appena passato ai rami bassi quando il rumore di un cavallo al ga‐
loppo lo fece sussultare mandando assieme tutto quanto il campo visivo. Momenti dopo il giovane irruppe nella radura, smontò e si mise a correre, e Chase pensò che avrebbero fatto meglio a dargli il colpo di grazia, invece che tappargli il buco e portarselo appresso. Uscì allo scoperto e una vampa rossastra si staccò dalle frasche di un rovere. La testa del cavallo esplose in una bolla di sangue e Miguel si bloccò, pietrificato dove si trovava; un attimo più tardi rotolarono entrambi a terra. Chase strinse il pugno sinistro e lo alzò. Vieni amore ora. Il campo di forza si dispiegò appena prima che il secondo colpo vi impat‐
tasse con la forza di un treno in corsa. Chase barcollò e iniziò ad arretrare trascinando il piedidolci per il colletto della camicia. Una terza scarica disin‐
14 tegrò la testa del vecchio mentre il giovane guardava con gli occhi sgranati; sangue schizzò sulla cortina di plasma ed evaporò sfrigolando prima che la voce del suo fucile si facesse sentire in raffiche brevi e rumorose. La inqua‐
drò per un attimo dietro il tronco di un larice mentre faceva fuoco verso qualcosa che non era ancora riuscito a vedere. Il quarto colpo impattò in quella direzione e fu seguito da un grido, prima che il rumore di rami spez‐
zati da qualcosa in caduta libera segnalasse il cessato pericolo. Franarono al riparo dei cespugli. Lo scudo vacillò e si spense. Afferrò il vaccaro per il ba‐
vero e quello allargò gli occhi. “Cosa cazzo ti è saltato in testa?”. “O…o gritos…”.Il pistolero caricò il manrovescio e Miguel fini lungo di‐
steso l’attimo successivo. “Fottuto coglione” sancì prima di escluderlo dalla sua considerazione. Sfoderò la Colt e sbirciò da dietro il nascondiglio, il cuore in gola. Dolcezza dimmi che ci sei. <sono qui amore, va tutto bene, mi ha fatto il contropelo e niente più>. Il pistolero mollò un fiato tremante. La testa della ragazza fece capolino subi‐
to dopo preceduta dalla canna traforata dello sparasvelto. <credo fosse uno solo. Un Puro. Era schermato>. Una manciata di secon‐
di dopo la vide arrivare, bassa sulle ginocchia e quasi senza rumore. Si acco‐
stò al giovane, lo aiutò a tirarsi su e gli asciugò il sangue che usciva dal naso. Sorrideva. Chase si morse la lingua per non parlare. “Scusa amore, è schizzato via appena ha sentito gridare, non sono riusci‐
ta a tenerlo. Colpa mia, invoco perdono…”. “Nay colpa tua un cazzo! Colpa di questo coglione, figlio d’uno schizzo guasto!”. “Shhh, dai, non offendere. Non poteva saperlo”. Chase sospirò, le mani che tremavano. Si impose di calmarsi. Dal guanto si alzava un fumo acre e biancastro. “Per fortuna che questo affare va ancora”. “Si chiama ‘campo plasmatico polivalente di protezione personale’, amore, e tu che non ne hai mai voluto saperne di usarlo. Tutti così voi uomini, vi credete a prova di proiettile”. L’uomo lasciò cadere la conversazione scoccando un’ultima occhiataccia al vaccaro prima di tornare 15 allo scoperto. Il vecchio avrebbe potuto essere un qualsiasi trapper che quella mattina avrebbe fatto meglio a starsene chiuso nella sua capanna. Chase lo frugò senza trovare nulla che valesse la pena prendere all’infuori di qualche ma‐
gra provvista. Stava slegando dal cavallo morto la sacca del piedidolci quan‐
do Dawn riapparve, trascinando per la collottola un robot dall’armatura scolorita (ma il tono cremisi originale si distingueva ancora fin troppo bene) coperta di graffi, ammaccature e fori; i più recenti formavano una tracolla che si concludeva in prossimità di un elmo allungato dagli occhi rotondi. Il destro era fracassato e dall’orbita gocciolava sangue. Il fucile a canna lunga aveva già cambiato proprietario. “O homem de ferro...”. “Si, l’hombre de fierro che ti ha piantato il cavallo, idiota! E adesso vai a piedi!” strepitò. Il giovane lo guardò con la faccia di un passero spaventato. Dawn scosse la testa senza che il suo sorriso fosse mutato di una virgola. “Non essere arrabbiato amore. Lui monterà con me, la colpa è mia”. “Nay la colpa è sua, lo dico, lo ripeto e lo scrivo! E digli pure che se ne fa un’altra il culo non glielo salvo più!”. “Amore, si, lo farò” accondiscese. Miguel guizzò con lo sguardo dall’uno all’altro prima che lei gli prendesse la mano. È molto arrabbiato il tuo uomo? <si, perché tu non devi fare queste imprudenze. Loro non sono come noi, loro giocano sporco. Oggi ci hai fatto rischiare> Io invoco perdono...non volevo...ma ho sentito gridare... <questa tattica si chiama ‘vaso di miele’: quando i masnadieri vogliono fare un’imboscata, loro prendono qualcuno, lo storpiano e lo lasciano a ur‐
lare in attesa che un piedidolci come te ci caschi mani e piedi> Io non... <hai molto da imparare bambino mio> troncò lei. <vedi di farlo presto e bene se vuoi continuare a cavalcare con noi. Non possiamo tirarci dietro i pesi morti>. Miguel non replicò; momenti dopo si sentì tirare e non oppose resistenza. 16 8 Trovarono il mecca dell’uomo di ferro poco distante, una bestia che ave‐
va perso quasi tutto il pelo e portava i segni di mille battaglie. C’erano mu‐
nizioni nelle sacche della sella – che presero – per poi abbandonarlo al suo destino proseguendo lungo il sentiero che si inoltrava verso la cima della montagna, e che appena un’ora dopo scomparve inghiottito dall’imboccatura di una grotta. Segni di zoccoli appuntiti avevano inciso il suolo senza che vi fosse spazio per alcun dubbio. Chase si sporse e sputò. “Merda del diavolo”. “Sono d’accordo”. Dawn scese di sella e si accostò all’apertura. Odore e rumore di acqua. La ragazza avvicinò la mano alla tempia e il passaggio alla visuale notturna colorò i suoi occhi di sfumature azzurrine. “Dolcezza non voglio che rischi”. Una pausa, durante la quale tornò normale e si si girò sollevando un sopracciglio. “Vado io. Da solo”. “Non mi sembra una buona idea”. “Lo è se ti evita il rischio. Posso prenderli, è una mossa che non si aspet‐
tano”. “Oh questo è poco ma sicuro! Nessuno si aspetta che il suo nemico fac‐
cia di proposito qualcosa di stupido!”. Chase smontò, Miguel fece per avvi‐
cinarsi. Lo fermò con un’occhiata. “Nemmeno lui vuoi?”. “Quel giovane idiota ha già dimostrato di essere utile quanto un culo senza buco. E tu avevi ragione. Come sempre” aggiunse accennando un sor‐
riso. Dawn continuò a fissarlo impassibile. Alla fine fu lui ad abbassare gli occhi per primo. “Senti donna, se avrò bisogno di te lo sentirai e verrai, ma io…io ti amo e non voglio che rischi se non è necessario, ci tengo troppo a te. È un lavoro che posso fare da solo, credimi se te lo dico, parola in pegno, si?”. Dawn non mutò l’espressione di una virgola. Dopo un momento la faccia dell’uomo si fece identica. “Io vado” disse, e furono le ultime parole che pronunciò prima che l’ombra della grotta lo ingoiasse. Il rumore dei suoi passi sparì in una 17 manciata di secondi. Altri passarono prima che i due si scambiassero un’occhiata. Va da solo? La ragazza sospirò e scosse la testa. < Gli uomini a volte sono così testardi ...>. 9 Chase commutò e la caverna gli apparve come una bocca spalancata pronta a mordere. La camera era vasta, di forma vagamente circolare, dis‐
seminata di massi e irta di stalagmiti che in più di un punto si trasformavano in colonne gigantesche, dietro ciascuna delle quali poteva trovarsi un nemi‐
co. L’aria era umida, acqua gocciolava da aperture invisibili su un suolo vi‐
scido raccogliendosi in una polla qualche iarda più avanti. Altra scorreva al‐
trove tradita da un lontano rumore di scroscio. Il pistolero avanzò basso sulle ginocchia; una imponente balconata di roccia affiorò, secondi più tardi, dalle ombre verdazzurre insieme all’imboccatura di un sentiero che si apriva sul fondo della sala. Le tracce andavano in quella direzione. Colse il movimento nell’istante stesso in cui udì il ronzio: si gettò a terra e la cercatrice gli passò sopra seguita dal fischio di una palla che gli portò via il cappello. La seconda gli scavò una traccia nella guancia e il pistolero urlò, un attimo prima che una vampa di luce chiarissima saturasse il suo campo visivo. Dawn sollevò le braccia mentre Miguel si riparava dietro di lei, sassi piovvero senza colpirli accompagnati da una nuvola di polvere e dal rombo della pietra che franava. Secondi dopo, quando la foschia si diradò, della grotta non era pressoché rimasta traccia. “Questo è seccante” commentò in tono calmo. “Davvero, davvero sec‐
cante”. 18 10 “Sbirro! Sei ancora vivo, vero, figlio di puttana? Dimmi di si!”. Come il suono della cercatrice anche la voce era altrettanto familiare. Chase raccol‐
se il cappello e arrancò verso un macigno: la manovra venne sottolineata da una risata acuta di adolescente e dal miagolio di altre due palle, una delle quali gli fischiò troppo vicina al cranio prima che potesse guadagnare coper‐
tura. Finalmente al riparo sbirciò oltre il ciglio, strizzò gli occhi e colse un rimescolarsi di ombre sul loggiato prima che la terza pallottola lo facesse rinculare. “Non serve nascondersi, ti veee‐dooo! Parlami invece, teniamo concilia‐
bolo e che ci sia gradito!”. “Buntline Belle” gracchiò e la risata si ripeté, stridula, sguaiata, sporca dei postumi di una sbornia. “Davvero onorata che ti ricordi di me!”. “Più una troia è velenosa e più si merita un posto speciale, en mi corazón!”. Chase si sporse dal lato opposto del riparo, la vide che faceva altrettanto, ma questa volta premette il grilletto una frazione di secondo prima. La ragazza si abbassò accompagnata dallo svolazzo di un cappello scoperchiato. Uno pari. Aprì il tamburo e sostituì il bossolo vuoto. “A che gioco giocate, Belle? C’è Paul lì con voi? Ve la state filando a Cha‐
bal Town?”. “Sicuro per tutte sbirro! Ma non lo prenderai mai il mio uomo! Creperai qui e i tuoi compari ti lasceranno a marcire!”. “Scendi tu ad ammazzarmi?”. “Mi basta tenerti inchiodato, non tanto...quanto basta per tenerti allegro! E ci posso riuscire sai?”. Un nuovo sibilo sottolineò quelle parole e Chase vide una coppia di sfere staccarsi dalla balconata: le disintegrò entrambe ben prima che potessero diventare una minaccia. Il rumore di un applauso lo schernì mentre ricarica‐
va. Dolcezza ce la fai ad aprirti la strada? <stai bene?> Tutto ok. Te la ricordi Buntline Belle? Si è imbrancata con Serrano e mi 19 sta tenendo inchiodato, penso che gli altri vogliano filarsela, questo posto deve avere un’altra uscita. <colpa tua amore. Dovevamo venire insieme. Cercherò di aprirmi la stra‐
da, nel frattempo tu...arrangiati come puoi, si?> “Donne più le conosco e più le detesto” borbottò afferrando un pensiero per la coda. Strizzò gli occhi e le stalattiti sopra la balconata ingrandirono. “Belle, lo sai? Tu non mi interessi a dirla vera, non hai sulla coscienza tutti i peccati del Carnicero! Non vuoi lasciarmi passare? Metterei una pietra so‐
pra le tue pendenze, se lo sai, è Paul che voglio!”. “E non lo avrai!”. Pallottole miagolarono alte, forse un segnale di nervo‐
sismo...o, come era più probabile, di sbruffonaggine da parte di una ragaz‐
zina che sa di sapere il fatto suo. E crede a torto di essere più furba del mondo intero. Chase scartò di lato e lo scudo gli avvolse l’avambraccio illuminando di azzurro il buio pesto della grotta. Altro piombo impattò e vaporizzò prima che facesse fuoco a sua volta svuotando il tamburo della Colt in un rapido fuoco di copertura; quando il percussore batté il suo ultimo colpo tirò indietro lo scudo, allargò la mano e la fece scattare avanti. La cupola di forza rifluì nel guanto, subito dopo dal centro del palmo schizzò una frusta blu elettrico che colpì con precisione il soffitto nel punto in cui aveva mirato. Buntline Belle urlò gettandosi fuori e il grido si fece acuto mentre mette‐
va un piede in fallo. La vide cadere a faccia in su sopra una stalagmite pro‐
prio accanto all’imbocco del passaggio. L’urlo si spense in un gorgoglio. Sorrise mentre apriva la Colt con uno scatto di polso. Mi sono arrangiato come potevo trasmise. Vado a prendere gli altri. Nessuna replica. Momenti dopo il pistolero superò il corpo inoltrandosi a sua volta nel budello. 20 11 “Adesso è ufficiale, il mio uomo è un coglione”. In piedi davanti alla fra‐
na Dawn sospirò, prima di affondare le mani sotto un macigno grosso quan‐
to lei, e rovesciarlo di lato con un grugnito. Miguel lo guardò rotolare con gli occhi spalancati. Come…come hai… <ho sfruttato il principio della leva del primo genere, è semplice, roba da istruzione primaria inferiore>. Dawn si strinse nelle spalle prima di spingere giù un altro blocco. <se hai capito il procedimento, mi sarebbe gradito che tu mi aiutassi>. Dopo un attimo Miguel rinunciò a fare domande e si accostò dalla parte opposta mettendosi al lavoro. 12 Il passaggio curvava una decina di passi più avanti; si prese appena il tempo di agitare il cappello prima di irrompere dall’altra parte con le pistole spianate. Il sentiero proseguiva come una traccia scura e tortuosa che risal‐
tava sul verde pallido delle pareti. Nessuno appostato a fargli la pelle. Dopo un’ultima occhiata alle spalle il pistolero proseguì.
21 13 Paul Serrano non si sentiva tranquillo, anche se i moduli di stabilizzazio‐
ne comportamentale continuavano a suggerirgli che non c’era ragione di preoccuparsi. Con le sue pistole a canna lunga Belle avrebbe tenuto in scac‐
co quel dannato mastino per il tempo che bastava a innescare gli esplosivi. Poi si sarebbe ritirata, e quando fossero stati di nuovo tutti insieme, avreb‐
bero fatto saltare la grotta seppellendo vivo il bastardo che li aveva tallonati fino a lì. Un piano semplice (nel quale tuttavia non era previsto il piacere di aprire la gola dello sbirro coi denti. Ma non si può avere tutto dalla vita). Il problema era che gli spari erano cessati. “Per la puttana, quanto ci va ancora?”. La visuale a realtà aumentata gli rimandò, evidenziate da reticoli verdi nel chiarore opaco delle torce, le sa‐
gome dei quattro uomini intenti a trafficare con le cariche di plastico. Impe‐
gnati, le armi in spalla. Vulnerabili. L’uomo mandò un sospiro che venne re‐
so come il fruscio di una statica dall’impianto che aveva rimpiazzato la ma‐
scella. Nessuno, naturalmente, si azzardò a replicare, ma li vide accelerare il ritmo e in risposta il labbro superstite si arricciò in quello che voleva essere un sorriso. Poi l’aria della caverna tremò del ruggito potente di un calibro di tutto rispetto, e il generale si voltò, appena in tempo per vedere uno dei suoi nuovi acquisti degli States che allargava le braccia e cadeva sulla carica che stava sistemando. La sagoma appena apparsa fra le rocce alzò una canna esagonale e vi soffiò sopra. “Siete in arresto ragazzi” dichiarò con una voce che conosceva fin troppo bene, per averla sentita pronunciare innumerevoli sentenze di morte. “Io prego opponete resistenza”. Un attimo più tardi si scatenò il finimondo. 22 14 Una grandine di pallottole si abbatté sollevando schegge e schizzi nel punto in cui si era trovato fino a un attimo prima. Senza perdere tempo con lo scudo – non era cosa di cui un pistolero avesse bisogno, ribadì a sé stesso – Chase fece quello che era sicuro non si aspettassero: corse a testa bassa verso una barricata di stalagmiti, gettandosi poi a terra e lasciandosi scivo‐
lare per le ultime iarde. Una scia elicoidale di fumo verdastro gli rasentò il cranio, sparò all’indietro alla cieca e subito dopo uno scoppio violento fece tremare il suolo. Pilastri di granito si rovesciarono portando con loro stalat‐
titi grosse come carri, il fragore del crollo sovrastato con facilità dalla voce metallica del generale. “Ammazzatelo! Voglio le sue palle su un piatto d’argento!”. Chase sorrise sentendo i peli delle braccia sollevarsi. Il ronzio rabbioso di quattro cercatrici riempì l’aria secondi dopo, e il pistolero uscì di nuovo allo scoperto. All’istante le sue mani furono piene di fuoco e tuono. Disintegrò le bocce come piattelli mentre puntava verso il tronco spezzato di una colonna colossale. Una granata RPG gli volò sopra mancandolo di poco e impattando contro un soffitto invisibile. Altra roccia franò seguita da raggi di luce giallastra che illuminarono una scena da incubo. Sparò contemporaneamente all’esplosione e l’uomo di ferro si accasciò col cranio scoperchiato senza avere il tempo di un secondo colpo. Pallottole tempestarono la pietra e gli fischiarono sulla testa mentre ricaricava, momenti dopo un detonatore ARC gli ricadde fra le gambe; lo afferrò e lo rispedì al mittente ridendo. Scoppiò a distanza di sicurezza preceduto dall’invocazione a una madre che non si ripeté più. “Paul gran bastardo, questa è quella che ti prendo! Sceglili meglio i tuoi scagnozzi! Questi sono morbidi!”. Come a fargli eco, secondi più tardi, il tonfo ripetuto tre volte di granate che non vide. Il pistolero si alzò e iniziò a correre. 23 15 L’ultimo masso rotolò seguito da una cascata di pietrisco rivelando un varco abbastanza largo per il passaggio. Dawn si affacciò e Miguel vide i suoi occhi accendersi di luce blu. Mise mano alla pistola, la ragazza si girò bloc‐
candolo con le dita strette intorno al calcio. <buona idea. Ma non è a me che devi tirare >. Miguel inghiottì. “Teus olhos...”. <è solo la visuale notturna>. Dawn frugò nella bisaccia, secondi dopo Miguel afferrò al volo una torcia elettrica senza sapere di che si trattasse; quando suggerì di premere il piccolo interruttore sul manico il ragazzo lo fece ritirando la mano di scatto subito dopo. Il fascio di luce bianca illuminò una cavità di ombre dense e forme strane. La raccolse dopo un secondo o due, dopo aver ricevuto la rassicurazione che non gli avrebbe fatto nulla. <non mi sembri molto tranquillo. Vuoi aspettare qui?>. Scosse la testa. L’attimo successivo Dawn si infilò all’interno e lui la seguì pistola in pugno. Il corpo infilzato li guardò con occhi vitrei dietro il visore infrarosso e il giovane sentì lo stomaco che si impennava. “Meu Deus…”. <lei è Buntline Belle, una vecchia conoscenza: tiratrice eccellente ma troppo sicura di sé. E un pericoloso debole per la bottiglia. Stava nel League of Legends Roving Circus, su negli Stati, prima di darsi alla carriera di rapi‐
natrice di banche e corriere >. La ragazza sfilò il visore dalla faccia del cada‐
vere e glielo mise in mano riprendendosi la torcia. Miguel trasalì nel buio improvviso. Gli occhi di lei, grandi e luminosi come lanterne, lo fissavano in attesa. <allora?>. Io…tu…tu che cosa sei? L’eco di una sparatoria irruppe nella camera se‐
guito dal rombo di un’esplosione ad alto potenziale. Dawn gli calcò il visore sul naso senza mutare l’espressione di una virgola. Miguel spalancò gli oc‐
chi. “Meu…” <…Deus, si, l’hai già detto un sacco di volte, anche se trovo utile sentirti 24 parlare>. Gli spolverò la camicia aggiustandogliela sulle spalle. <con l’aiuto di qualche euristica potrei ragionevolmente ricostruire il vocabolario com‐
pleto della tua lingua, anche senza frugare nella tua mente. Ma devi variare un po’ i tuoi discorsi>. Il rumore di una nuova esplosione, seguita dal fra‐
stuono spaventevole di una montagna che cadeva, li raggiunse facendola girare di scatto. Appoggiò le dita sugli occhi del cadavere e li chiuse. <adesso però dobbiamo andare>. 25 16 “A…andare, jefe?”. Paul Serrano guardò l’ultimo guerriero rimasto al suo comando e gli stabilizzatori comportamentali ebbero il buon senso di non ripetergli più il loro inutile mantra. “Paul gran bastardo, questa è quella che ti prendo! Sceglili meglio i tuoi scagnozzi! Questi sono morbidi!”. L’uomo digrignò i denti facendo sprizzare scintille. “Vai a prendere quel puerco e portami la sua testa!” stabilì, e gli occhi del giovane – venti primavere al massimo, sprecate dalla prima all’ultima secondo il suo modesto parere – si spalancarono al loro limite strutturale. Inghiottì, abbassò lo sguardo, lo rialzò. Le labbra iniziarono a tremare. “No…no puedo…no puedo jefe…”. L’uomo sospirò, sollevò la pistola e gli disintegrò la testa in uno scoppio azzurrino di capelli e materia cerebrale. Il corpo ricadde contro la roccia e scivolò di lato lasciandosi dietro una traccia grumosa. Decise, mettendo mano alla bisaccia e tirandone fuori gli ultimi grenados, che poteva pure esser giunto il tempo del gran ballo (e forse della radura) ma di certo non l’avrebbe ballato da solo. Scagliò le granate un secondo più tardi, il successivo si gettò fuori, iniziò a correre e contemporaneamente a sparare. 17 Chase venne scaraventato via come un fuscello sotto la spinta della nu‐
vola di plasma a tremila gradi. Cadde, rotolò, batté la testa e si rialzò man‐
dando altro sangue a far compagnia alla ferita alla guancia. Si girò giusto in tempo per vederlo arrivare: attivò lo scudo e le raffiche successive lo sbal‐
zarono indietro facendolo finire lungo e disteso. Sparò tutte le palle che aveva senza mancarne una, El Carnicero sbandò come un bisonte in carica senza fermarsi, senza smettere di fare fuoco. Nemmeno delle armi a energia hai mai voluto saperne amore mio gli ricordò lei mentre lo scudo, già pressoché scarico, vacillava e collassava sotto l’ultimo assalto. Niente chimica inaffidabile, niente fisica limitata. Ma non sono armi da pistoleri tu mi hai sempre detto. Un piede da elefante lo colpì rivoltandolo sulla schiena, il secondo calcio gli fece volare la Colt di mano e 26 fu seguito da uno scoppio di luce azzurra. Il dolore improvviso e lancinante seguì immediatamente dopo. Chase urlò, e sopra di lui, Paul Serrano gli offrì un ghigno spaventevole di metallo e carne. 18 Abbassò lo sguardo e vide che adesso il suo braccio destro si interrom‐
peva appena sopra il gomito, trasformato in moncherino bruciacchiato da cui fuoriuscivano i meccanismi del motivatore articolare. “Fa male sbirro?”. Serrano si strinse nelle spalle, allineò la pistola e sparò di nuovo. Il ginocchio sinistro saltò via come un ramo secco e il nuovo grido si perse nella risata elettrica che seguì. Il pistolero strinse i denti nell’attesa del colpo che lo avrebbe liberato. Al di là del dolore si sentiva vuoto, insod‐
disfatto. Deluso. Non sarebbe dovuta finire così. Lo aveva sottovalutato. Si era comportato da stupido. E per questo non avrebbe mai visto la Torre. El Carnicero gli puntò la pistola alla testa, la mosse in tondo, la allineò…e mimò il gesto di sparare. Chase sussultò e un fiotto di orina gli invase i pan‐
taloni. La pistola si spostò qualche pollice più in basso. “Non voglio che il tuo spirito scappi sbirro, le storie le conosco pure io, giravano già ai bei vecchi tempi. La Torre che cattura gli spiriti e li fa torna‐
re, la Torre bianca al centro del mondo, stronzate per conto mio, ma non si sa mai…”. L’uomo ruotò qualcosa sul corpo dell’arma e la luce crebbe. Archi di elettricità guizzarono nell’aria, sopra l’odore del suo stesso sangue Chase sentì puzza di ozono e per la prima volta in vita sua ebbe davvero paura. “Intensità massima, per te questo e altro, ma al cuore e non alla testa. Io voglio che il tuo spirito rimanga per sempre nella sua scatola, Torre o non Torre, e che marcisca qui con te. Qualche ultima parola?”. “Sei…un figlio…di puttana…”. Serrano ammiccò, il ghigno, già ampio, si allargò ancora mostrando denti triangolari di metallo...poi la scarica lo inve‐
stì e Chase non sentì più niente. 27 19 “Che liberazione” borbottò facendo scivolare l’arma nella fondina. Un segnale giunse sopra il dolore delle palle che si era preso in corpo notifican‐
dogli che D1‐NG0 era ancora operativo e stava terminando una sommaria riparazione. L’avrebbe aiutato a levarsi il piombo, poi sarebbero ripartiti verso Chabal Town e lì avrebbe trovato altri compari, sperava, migliori dei piedidolci che si era portato dietro dagli Stati. Di tutti quanti soltanto Belle valeva qualcosa, e si concesse qualche secondo per dispiacersi della proba‐
bile fine che le era toccata, prima di sputare sulla faccia esanime del suo vecchio nemico. “Che‐fottuta‐liberazione!” ripeté. “Eri proprio un bubbone al culo sbirro bastardo, ma ade‐e‐eessooo le hai pagate tutte e…”. Un nuovo segnale, improvviso e antico, gli attraversò il cranio come una stilettata. Non aveva la firma standard dei Puri e fu per questo che lo rico‐
nobbe all’istante. La voce di lei, atona come ricordava, lo fece girare con lentezza studiata. “Paul Serrano”. A quanto pare neppure Belle valeva così tanto, se non era neppure riu‐
scita a chiuderla fuori. Ritrattò all’istante il suo cordoglio. “Per servirti bellezza”. Appoggiò la mano sul calcio e la vide, ferma a die‐
ci passi con un fucile anticarro in spalla, bersaglio facile nella luce che pio‐
veva dall’alto. Ma lui lo era allo stesso modo. E quello si, che sarebbe stato un ottimo rimpiazzo per i soldati perduti. 28 20 Dawn scivolò, cadde a terra e qualcosa di solido la colpì; il campo visivo si oscurò per una manciata di secondi, il primo segnale che precedette il ri‐
torno dell’interfaccia audio‐video fu quello di una contusione grave che avrebbe richiesto la sua attenzione. Un chiarore si mostrava al termine di una lunga discesa ripida: corse, incespicò di nuovo e trasformò la caduta in una lunga scivolata mentre la sparatoria saliva di intensità e si concludeva in una salva di esplosioni che riverberarono come lampi di temporale. Colpi di pistola momenti dopo, la voce di un’arma conosciuta a cui seguirono urla altrettanto familiari. La ragazza si rialzò e accelerò nell’ultimo tratto del passaggio, soltanto per fermarsi appena prima dello sbocco. Affiancatosi in ritardo Miguel la vide chinare il capo e stringere gli occhi. Il mezzo sorriso che gli rivolse era quanto di più triste avesse mai visto in vita sua. <alla fine il mio uomo ha fatto il passo più lungo della gamba>. Il ragazzo allargò gli occhi. Dawn annuì. <non tutto è perduto, noi possiamo essere riparati se i danni non sono troppo ingenti. Tu però adesso dovrai tirare presto e bene>. Miguel inghiottì in un risucchio. Io non capisco… <ce ne sono ancora due lì dentro, Serrano e uno dei suoi. Un sintetico, malfunzionante, non schermato, trentanove iarde sinistra e ventuno piedi d’elevazione. Un cecchino…e toccherà a te sistemarlo. Io entrerò per prima, cercherò di prendere tempo per darti modo di prendere posizione, quando gli sparerai io sparerò al Carnicero…e lui sparerà a me>. Una pausa, durante la quale la ragazza accostò l’indice all’occhio destro e mimò il gesto di asciugare una lacrima che non c’era. Il livello di carica delle batterie, che controllò subito dopo, era basso abbastanza da permetterle un colpo solo. Due se era fortunata. Se il Ka così avesse voluto. <ci spareremo e vinca il migliore. Domande?> Non so se ce la faccio senhora… <allora siamo già morti tutti e due>. Un momento più tardi Dawn attra‐
versò il passaggio e iniziò a camminare con calma. 29 21 “Me l’hai ammazzato”. “Lui ha fatto fuori tutti i miei! Compresa la pollastra che avevo piacere di ripassarmi! Che gran stronzo, come tutti gli sceriffi...”. “Ne troverai un’altra io dico. Questo, Paul, se non dovessi portarti al tuo appuntamento col capestro”. El Carnicero sghignazzò, un ronzio roco, metallico e sgradevole che la caverna rimandò amplificato, e che si spense in un accesso di tosse sanguigna. Dawn sollevò l’angolo della bocca. “È sangue quello lì? Il mio uomo ha fatto a tempo a piantartene qualcu‐
na dentro? Tutte e sei magari?”. “Ci vuole altro per fermare Paul Serrano, io sono un Puro se lo sai!”. “Si, lo so, e quel qualcosa ce l’ho proprio qui, puntato dritto contro la tua testaccia. Se non ti stendi a terra e non ti lasci ammanettare, Paul, è la volta che ci rimani. Puro o non Puro” aggiunse. Il sorriso dell’altro non vacillò mentre inviava il suo comando mentale; secondi dopo, nel punto in cui l’aveva rilevato, l’ultimo superstite della banda si alzò su gambe malferme puntando il cannone a rotaia verso il bersaglio. Il ghigno di Serrano si allargò. “L’avevo sentito prima ancora di entrare. Mi dispiace deluderti”. “Forse si, forse no, comunque adesso siamo qua. Uno stallo io direi. E di quelli belli. Posso prendere una paglia?”. Senza attendere risposta abbassò la sinistra alla bisaccia e la aprì concalma pescandone un accendino prebel‐
lico e un pacchetto di Jackass (che doveva risalire pressappoco allo stesso periodo). Ne scelse una, la pizzicò in bocca, la accese e inspirò come l’uomo più tranquillo di questo mondo. Dawn rimase immobile percependo Miguel, nascosto fra le ombre, che esitava. “Non dovresti fumare Paul. Il fumo uccide. Poi portiamo via il lavoro al boia di contea”. Un’altra risata, questa volta i colpi di tosse furono più sentiti. L’uomo barcollò. “E a proposito di uccidere, c’era bisogno di fare fuori quei vaccari nella prateria? Non potevate prendervi i cavalli e basta?”. “Mi piace unire l’utile al dilettevole pollastrella, tanto sapevo che li avre‐
30 ste trovati e dati in pasto ai vermi…perché lo avete fatto si?”. “Qualcuno doveva”. “Prevedibili come tutti gli sceriffi, comunque non mi hai risposto, che si fa ora?”. “Qualche idea?”. “Oh, io qualcuna ce l’avrei…”. 31 22 Miguel avanzò carponi, la pistola di Tuco stretta in pugno, il cuore nel gozzo e le palle ridotte a due noccioline contro il ventre. Abbassò la testa di scatto quando vide un altro uomo emergere poco sopra lui, oltre una cengia rocciosa bordata di punte e massi più piccoli. In spalla reggeva un fucile co‐
me non ne aveva mai visti, con la canna triangolare, lunghissima, illuminata dall’interno di una cupa luce verdastra, e aveva occhi luccicanti: proprio come quelli della garota che adesso stava fronteggiando un uomo grosso due volte lei, come talvolta aveva visto fare ai gaúchos nella Main di Meni‐
na. La luce che pioveva sui due scintillò sulla faccia del colosso quando que‐
sto si accese una sigaretta, rivelando il medesimo scorcio di acciaio e carne che aveva visto quella mattina al bivacco. Il giovane aggiustò la presa sulla rivoltella e sentì il tremito scemare. Mire com olho, atire com mente, mata com o coração. Miguel sentì sé stesso sorridere mentre si accostava alla rampa e iniziava a salire velocemente. L’homem de ferro non si mosse. 23 “Salta il fosso pollastra, prendi il posto di quella cogliona di Belle, tu sei meglio di un Puro, tu sei…” “Ibrida” lo completò. Serrano ghignò tirando una boccata; Dawn lo vide accostare la mano libera alla pistola laser con tutta la noncuranza di questo mondo. Mosse il dito sul grilletto e il generale si bloccò all’istante. “Perché dovrei?”. “Non ti frega di fare soldi?”. “E cosa dovrei comprarmi coi tuoi soldi? Uomini? Hai ammazzato l’unico a cui volessi bene. Cibo? Ho ancora un’autonomia di trecento anni, e quan‐
do ne hai già vissuti dieci volte tanti, la morte diventa soltanto più una libe‐
razione”. “Il potere allora, chiquita, el poder!”. L’uomo agitò la sigaretta e tossì goccioline rossastre prima di ricomporsi. Dawn percepì le emozioni di Mi‐
guel che si stabilizzavano, e sorrise nello stesso istante in cui il giovane fa‐
ceva lo stesso. 32 “Potere…per fare cosa?”. “El Magnífico aveva un sogno, renderci tutti liberi, Puri e immortali. Uni‐
re queste terre e poi marciare verso la Torre per reclamare su fuerza. Avere tutti i mondi in palmo di mano, questo voleva lui…e forse un po’ loco lo era, perché secondo me no hày ninguna Torre! Per questo io mi accontenterei di uno estadito todo para mi, dove sarei un dittatore muy savio y respectado, attento ai bisogni e ai desideri dei pueblo e...”. “Ma ti senti?”. La voce risuonò amplificata nell’ombra della grotta. Dawn si preparò con serenità a prendere l’acqua che sarebbe piovuta. Qualunque fosse stata. Testa o croce. Amore o strade. Non importava. “Tu sei solo un mostro con un Ka più lurido di una latrina e le zampe sporche del sangue di uomini, donne, vecchi e bambini. Sei una carcassa ve‐
lenosa che ha vissuto troppo e si merita solo di crepare e la tua pista finisce qui, Paul Serrano, signor generale, nel nome della legge degli Stati Uniti. Ora stenditi a terra…o giuro su tutti gli Dei eseguirò la tua sentenza qui e ora”. El Carnicero allargò gli occhi. La sigaretta cascò dall’angolo delle fauci. Inghiottì in un risucchio inebetito. “Tu” riuscì a balbettare dopo qualche se‐
condo. “Tu, troia, io ti offro la vita e tu…tu mi insulti? Questo è uno stallo se lo sai! Se tu mi ammazzi il mio compadre ammazza te, e quant’è vero Iddio, io non gli dirò mai di abbassare il suo cannone! Mai!”. Dawn prese un respiro profondo e sentì la barriera di inibizioni emozio‐
nali – compreso quel barlume di istinto di conservazione (o voglia di vedere, come è più gradito chiamarla) che le aveva impedito fino ad ora di compie‐
re da sola il grande passo – svanire come non fosse mai esistita. “Hai ammazzato il mio compagno, a che vale vivere ancora?”. “Per tutte le informazioni nella tua mente, roba di valore, le percepisco! Tu sei antica e sai molte cose, ragazza mia, e vuoi che tutto finisca così? Ne vale la pena?”. “La morte non è che una strada. Io sono in pace col mio Ka. Viene l’acqua che decide Dio, come tutti, anche i Puri, dovrebbero sapere”. Il sor‐
riso sul volto della ragazza si allargò facendosi raggiante. Sentendosi ormai perso, per contro, la faccia di Serrano si torse in una smorfia rabbiosa. “Non esiste nessuna Torre che ti accolga brutta cagna se è questo che 33 speri! Quelle sono stronzate da organici! Vuoi crepare? E crepa allora!”. La mano del Carnicero guizzò, senza un tremito, senza l’ombra di una esitazione verso la fondina, nello stesso istante in cui si lasciava scivolare di lato e inviava il comando mentale all’ultimo soldato della sua brigata. Aveva ammazzato facilmente quel ridicolo portatore di stella e sarebbe sopravvis‐
suto a lei allo stesso modo, anche a costo di rimetterci pezzi importanti. Sa‐
rebbe sopravvissuto e si sarebbe riparato anche senza la Culla Rossa. Per‐
ché lui era il generale Serrano e non sarebbe morto che quando l’avesse deciso lui stesso. Le armi dei due parlarono nel medesimo istante. 34 24 Miguel seppe di dover sparare non appena vide il movimento, e lo fece in ginocchio, dalla distanza di cinque iarde, in condizioni di luce scarsa. La sua mano fu precisa e il colpo fortunato: impattò alla nuca dell’uomo di fer‐
ro nel momento in cui premeva il grilletto e il proiettile partì verso l’alto a dodici volte la velocità del suono. Rocce piovvero mentre il robot barcolla‐
va, registrava la nuova minaccia, si voltava e allineava il fucile. Miguel sparò ancora due volte, e per la bravura di chi si era sempre tenuto in esercizio tirando a conigli e cani della prateria (o forse per la ventura del Ka) entram‐
be le palle centrarono, ciascuna, uno di quegli spaventevoli occhi accesi. Il robot cadde all’indietro col rumore di una catasta di pentole rovescia‐
te; in un balzo gli fu sopra e il colosso si girò a guardarlo, piegato in due, gli occhi sbarrati e un enorme foro sanguinolento al centro del petto. Vi fuo‐
riuscivano visceri misti a cavi e tubi gocciolanti. Sollevò lentamente quella pistola che sparava luce azzurra…ma prima che potesse fare fuoco Miguel scaricò verso di lui i quattro colpi che rimanevano nel tamburo. Tuco, Angela, Ignacio, Porfirio scandì, sottolineando ogni pressione del gril‐
letto con un colpo di palmo sul cane, come Tuco stesso gli aveva raccontato si dovesse fare. “Così è l’uso dei pistoleiros quando regolano i loro conti“ gli aveva detto una volta, lui che in gioventù lo era stato, e aveva viaggiato e ammazzato. E adesso pistoleiro lo era anche lui. 25 Paul Serrano rovinò a terra sprizzando sangue dalla gola, dal petto e dal centro della fronte, dove il foro apparso era si, più piccolo, ma non meno letale di quello più in basso. Miguel lo guardò stramazzare con l’esaltazione della battaglia che lo abbandonava rapidamente, e anche quello era come doveva essere. Le sue gambe cedettero subito dopo. Il ragazzo si accasciò, si raggomitolò e iniziò a tremare. Meu Deus l’ho ammazzato ho ammazzato un homem ora el xerife mi im‐
picca che cosa ho fatto Meu Deus che cosa ho fatto… <shhh hai fatto ciò che dovevi>. La voce, delicata e distante di lei, inter‐
35 ruppe quel flusso scoordinato di pensieri sostituendolo con una sensazione di calma fatalità. <ma non hai ancora finito. Mi rimane poco tempo, la mia autonomia si esaurirà presto e tu devi fare qualcosa per me. Per tutti quanti>. Miguel sollevò la faccia e guardò fra la gabbia delle sue dita. Poi quella sensazione, la sensazione che tutto fosse andato come doveva andare, tor‐
nò alla carica e lo avvolse come una coperta calda di conforto. Il giovane si alzò in piedi, non del tutto presente a sé stesso, su gambe per niente ferme, e la prima cosa che fece fu ricaricare: lentamente, un bossolo alla volta. Uno o due gli sfuggirono. Ma sarebbe migliorato. O morto prima. Quando ebbe completato la manovra, scese e si avvicinò alla pozza di chiarore dove il corpo lo attendeva. 26 Il volto bello e finto che aveva fissato molte volte, di nascosto e con invi‐
dia accostato a quello dell’altro, durante quella lunga cavalcata, non c’era più: soltanto carne sciolta coperta da una bava azzurrina e vischiosa, e più sotto metallo bruciacchiato e poltiglia grigiastra in cui sembravano intrap‐
polati minuscoli punti di luce blu. Non ebbe paura o disgusto di quel car‐
naio, anzi si chinò e lasciò una carezza nel punto in cui si indovinava ancora la forma di una guancia. <io prego girami>. Lo fece. I capelli strinati ricaddero come un’aureola scoprendo un piccolo alloggiamento alla base del cranio. <metti il pollice nell’incavo. Normalmente sarebbero necessarie procedu‐
re di identificazione. Pensando che potesse finire così le ho rimosse>. Miguel appoggiò il polpastrello, secondi dopo la testa della ragazza si aprì e il gio‐
vane allargò gli occhi. C’era qualcosa nel piccolo spazio appena comparso: una barretta di metallo, sembrava, lunga quanto il suo dito indice e sospesa al centro di un’isola di luce ambrata. <questa è la mia unità 5Y, il mio nucleo di personalità profonda. Tutti i miei sentimenti, i miei ricordi più belli, i miei sogni e i miei desideri. La mia persona>. La tua anima. 36 <si, ti sto parlando da lì adesso: c’è un’unità di potenza ausiliaria che mi permette di comunicare con te tramite quel che resta della mia matrice po‐
sitronica, ma non durerà a lungo. E io adesso non voglio più parlare. Ho solo voglia di riposarmi, tremila anni di esistenza non sono uno scherzo>. Mi spiace di non essere riuscito a salvarti. <è il Ka che l’ha deciso ed è bene così. Se tu potessi vedere dove sono ora...se tu potessi vedere quanto è bello qui...>. Devo prenderlo? <aye si positivo>. Miguel raccolse lo stilo di metallo: era freddo e leggermente untuoso. Sentì la pelle delle braccia accapponarsi e uno strano e improvviso gusto di piombo in bocca. Pescò velocemente dalla bisaccia la scatolina dei cigarros, la svuotò delle briciole che vi erano rimaste e ve lo appoggiò, avvolgendolo in un lembo di stoffa che si strappò dall’orlo della camicia. <dico grazie. Sai? Sei stato grandioso un momento fa. Un vero pistolero. Come il mio compagno>. Lui… <lui non è qui con me. Quel porco l’ha intrappolato nel suo stesso corpo. Dovresti disintegrare la sua matrice positronica per liberarlo, come Serrano ha fatto con me. Dovresti fargli saltare le cervella perché mi raggiunga>. Vuoi? <no. Voglio che tu lo riattivi e lo accompagni dall’uomo che saprà ripara‐
re il suo corpo>. Attimi dopo nella mente del giovane prese forma il volto di un ragazzo poco più grande di lui, un paio di occhiali sul naso e una fitta la‐
na nerastra attorno a un volto rotondo. Insieme venne il nome, e la lunga strada che avrebbe dovuto fare per raggiungerlo. <prendi il coltello e voltami. Ti guiderò in quello che dovrai fare adesso ma non mi resta molto tempo>. Miguel ubbidì senza discutere. Il cuore che tirò fuori dal corpo era grosso quanto un pugno, gocciolante quello strano liquido blu che sapeva di zucchero; tenne gli occhi chiusi sia nello squarciare la carne, rivelando le piastre lucenti del metallo, sia nell’aprire la cavità a destra del petto allo stesso modo che aveva fatto col 37 cranio. Non si guardò indietro mentre si allontanava da lei, ma prima di far‐
lo chiuse le ferite e la compose meglio che poté. Il torace dell’uomo dalla stella aveva l’aspetto di un pezzo di carne pre‐
cipitato nel fuoco: seguendo le parole via via più flebili che sentiva nella te‐
sta rimosse il cuore morto da un alloggiamento identico, soffiò via la cene‐
re, vi appoggiò quello di lei e dopo un momento i tubicini si mossero da soli incastrandosi alla meglio dove era previsto che facessero. Il cuore tremò, poi iniziò a muoversi come un motore al minimo. Fallo tornare. Buon viaggio. Sfilò il guanto dalla mano sinistra del pistolero, che appoggiò poco sotto la ferita, e appoggiò il dorso al muscolo. Una scintilla scaturì accompagnata da una breve ventata di ozono; subito dopo Chase Bowman si inarcò, spa‐
lancò gli occhi e rantolò riempiendosi il petto d’aria prima di ricadere sulla schiena. La voce non si fece sentire mai più. 38 27 Miguel attese in disparte che lo xerife accomodasse le sue cose, e quan‐
do lo vide venire, ciondolante, mutilato, più simile a un demonio sputato dall’inferno che a un uomo, fu pronto a saltare in piedi e ad accorrere. “Sia chiaro che non ne ho bisogno” borbottò mentre lo sosteneva, e con sua grande sorpresa vide che c’era un sorriso sotto quei folti baffoni a manubrio. I cinturoni ai fianchi dell’uomo, adesso, erano due, incrociati e bassi come (adesso lo sapeva. Tutto il resto avrebbe imparato) si dovevano portare. “Immagino di doverti un grazie. È stata lei a guidarti, vero?”. “Eu não entendo...”. “No entiendes?”. Scosse la testa. Il pistolero sospirò. “C’erano dei buchi nella testaccia bastarda di Serrano, glieli hai fatti tu?” Accostò le dita alla tempia. “Lo disparaste en la cabeza, Bang‐bang candy pop?”. “Eu…”. Miguel lo guardò ancora per un momento, la fronte aggrottata, poi la sua espressione si distese. Ripeté il gesto mimando però il gesto di sparare. “Eu bang‐bang!”. Chase scoppiò a ridere. “Corna del diavolo, abbiamo trovato il modo di capirci! E ritiro quello che ti ho detto, sei un grande uomo. Tu eres un gran hombre”. “Eu…eu um...grande homem? Você está brincando!”. “Qualunque cosa voglia dire”. Chase sospirò. “Che farai adesso?”. Miguel ondeggiò schiacciato dal peso di quell’uomo – molto maggiore, poteva scommetterci, di quello di un qualsiasi altro uomo in carne ed ossa. Sotto lo spolverino il cuore palpitava tranquillo al centro di quella voragine di metal‐
lo e carne abbrustolita. “Cosa farai? Tu”, e indicò verso di lui. “Qué vas hacer?”. “Eu, con...contigo…”. “Oh ragazzo mio non credo proprio…”. Miguel unì pollice e indice di en‐
trambe le mani, li appoggiò ai lati del naso e sbatté le palpebre, poi fece il gesto di lisciarsi la barba…e Chase spalancò gli occhi. “Askle? E adesso che cazzo...”. “O homem, com barba e óculos. Ela…” tentennò accennando verso il 39 corpo di Dawn. Chase spostò lo sguardo da lei, a lui, a lei di nuovo. Quando tornò sul giovane per l’ultima volta, quello gli stava tendendo qualcosa che nella penombra della grotta assomigliava a un fusibile. Gli bastò sfiorarlo per capire all’istante ogni cosa. Momenti dopo il pistolero iniziò a piangere, il pugno sinistro stretto al collo mentre Miguel lo conduceva verso l’imbocco del sentiero.
40 28 L’inverno ai margini del Desierto era più fottuto dell’estate, ma in realtà l’intero insieme era una merda: dal barbecue alla ghiacciaia senza una cazzo di mezza misura, e diciamo grazie ai climatroni guasti che non volevano sa‐
perne di guastarsi del tutto. Erano passati cinque anni da quando il Capataz era stato deposto (e quasi dieci da quando aveva lasciato le strade familiari del mondo che conosceva) e non era ancora riuscito ad abituarsi. Ventinove primavere portate peggio che male, infagottato in un lurido eskimo arancione Asklepios tirò su col naso e guardò oltre il posto di guar‐
dia, aspettandosi che succedesse qualcosa…ben sapendo che nulla sarebbe successo. Da quando la notizia della morte del Magnifico era arrivata, tutte le mat‐
tine era uscito dall’Arca, era andato al cancello e si era seduto a guardare; soste di pochi minuti all’inizio, cresciute via via nelle lunghe ore di attesa che adesso era solito passare lì, aspettando lei, trascurando la sua indeside‐
rata carica di capo della comunità in favore della speranza e dell’alcool (e non sapeva quale delle due droghe fosse la peggiore). In tutto quel tempo l’unica persona che avesse visto giungere dalla pista del parco era stato quel compagno dell’animatrone, tre anni prima, venuto in cerca di persone disposte a seguirlo per fondare una nuova città nelle terre a settentrione. L’uomo aveva parlato alla comunità, aveva preso chi era disposto ad andare con lui, ed era ripartito senza che gli importasse nulla del suo destino. “Ti prego torna” mormorò nell’intontimento del bourbon. “Ti prego, mi manchi, ti prego torna, ti prego torna, ti prego, ti prego, ti pre…”. Asklepios si bloccò, la gola improvvisamente chiusa, scorgendo per un momento due ombre che spuntavano fra il nevischio e i cumuli ai bordi del‐
la strada vecchia. Le ombre sparirono subito dopo. L’uomo balzò in piedi. “Dawn? Piccola? DAWN!”. L’urlo gli scorticò la gola innescando una salva di tosse che decorò di catarro giallastro la neve. Inghiottì, il cuore che accelerava e le gambe rimanevano ferme, una mano di taglio agli occhi e le palpebre strizzate dietro gli occhia‐
loni protettivi. Nulla uscì dalla muraglia bianca che lo avvolgeva; dopo qual‐
41 che secondo abbassò la mano e girò le spalle trangugiando l’ultimo sorso. Le ginocchia lo tradirono subito dopo, si accasciò, e vomitò fino all’ultima goccia. Non si accorse dei cavalli che si fermarono, né udì lo scricchiolio del ghiaccio sotto le suole, o il passo zoppicante di un uomo la cui caviglia sini‐
stra era stata sostituita da una spranga di ferro. Istantaneamente sobrio, e più lucido di quanto fosse mai stato desiderava una sola cosa in quel mo‐
mento. “Vaffanculo! Voglio crepare! Morte prendimi SONO QUI!” urlò nel delirio prima che un tocco pesante lo facesse trasalire. Si voltò con la Five‐seveN stretta fra entrambe le mani. L’uomo dai lunghi baffi sorrise, triste, le falde dello spolverino come vele impazzite e ciocche grigie folte sollevate intorno a un cappello a tesa larga. Uno Stetson, qualcosa suggerì, mentre spalancava la bocca e abbassava l’arma. Dita guantate di cuoio accompagnarono la manovra. Sul cono del cappello era legata una stella da sceriffo. “Ho bisogno del tuo aiuto capo medico. Lei lo vuole”. “Dada, lei dove...”. Passi più indietro un’altra figura emerse dalla foschia conducendo una coppia di cavalli Si fermò accanto a Chase mostrando un volto di meticcio mai visto e Asklepios guizzò con lo sguardo dall’uno all’altro, la pistola un inutile pezzo di metallo fra mani insensibili abbando‐
nate in grembo. “Lei ha trovato la Torre capo medico. E a me serve il tuo aiuto per poter‐
la raggiungere”. FINE 42 PR
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