SEI DI SESTO last (or lost?)

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SEI DI SESTO last (or lost?)
SEI DI SESTO last (or lost?)
Intervista a… due Sportivi (e con la “S” maiuscola!)
Siamo convinti che l’impegno nello sport agonistico sia un momento formativo che potenzia le possibilità di sviluppo
della personalità e non una sottrazione di tempo allo studio. "Se ce la fanno loro, possono farcela molti altri! Così
dicevamo-negli-scorsi-numeri-del-giornalino-e-così-continuiamo a sostenere!
Questa volta abbiamo come protagonisti due atleti: cominciamo col dare la parola a Federico De Maria, della classe
4CL. Federico gioca a hockey su ghiaccio da 12 anni e recentemente è entrato a far parte dell’Hockey Club Chiasso. A
voi dunque un’intervista più fresca di… una pista di pattinaggio su ghiaccio appena battuta! Buon divertimento!
Intervistatore: Come hai conosciuto lo sport che stai praticando?
Federico: Le circostanze che mi hanno portato ad avvicinarmi a questo meraviglioso sport non sono tra le più comuni.
Dovete sapere infatti che mio padre è stato, ed è tuttora, un uomo molto sportivo ed ha praticato molti sport differenti
anche a livello agonistico. Quando ero piccolo si arrabbiava molto perché non facevo nessuna attività fisica per cui mi
disse che ero obbligato a praticare uno sport. Avrei solo dovuto scegliere, e lui avrebbe fatto in modo di farmelo
praticare. Di tutta risposta io, essendo molto pigro e sperando di imbrogliarlo, dissi che avrei fatto solo hockey su
ghiaccio, avendolo visto in tv e credendo che non vi fossero squadre in zona. Purtroppo non sapevo che mio padre
conosceva molto bene l’allenatore delle giovanile dell’hockey di Varese. Così è iniziata la mia carriera sportiva.
I: Quali sono le cose della tua disciplina che ti emozionano di più?
F: Del mio sport mi piace tutto, dall’odore del ghiaccio appena lisciato fino all’odore (per molti “puzza mefitica”) dei
guantoni di cuoio bagnati di sudore. Adoro però soprattutto due caratteristiche fantastiche di questa disciplina: la sua
fisicità e la sua velocità. Non si ha infatti tanto tempo per decidere cosa fare, bisogna avere una grande visione di gioco
e rapidità di mente e soprattutto non si può essere troppo “avidi” nel tenere il disco poiché se no ci pensano gli avversari
a togliertelo in modi spesso dolorosi.
I: Quali sono i valori che la tua disciplina esalta di più, secondo te?
F: Essendo uno sport basato su scatti e su cambi di giocatori continui, tutti riescono ad entrare in campo in una partita.
Questo quindi non permette che ci siano giocatori che stiano costantemente seduti sulla panchina, l’assenza delle
riserve aumenta perciò lo spirito di squadra di tutti gli atleti. Il senso di gruppo nel mio caso è stato anche aumentato
dalla posizione logistica delle partite; avendo infatti da affrontare trasferte anche di quattro/cinque ore o persino stare
via due giorni tutti insieme, è naturale che si crei un forte legame tra i ragazzi. Molto sentito è anche il rispetto per gli
avversari: in campo ci si picchia anche violentemente, talvolta si arriva alla rissa, ma fuori dal ghiaccio si torna ad
essere tutti della stessa famiglia dell’hockey.
I: Qual è stato il momento più emozionante che hai vissuto praticando il tuo sport e che porterai per sempre nei tuoi
ricordi?
F: Scegliere un momento preciso sarebbe come cercare un ago nel pagliaio dei ricordi. Di emozioni infatti ne ho vissute
(e spero di viverne ancora) un’infinità sia di belle sia di brutte. Se devo però sceglierne uno, allora sicuramente ricordo
quando, giocando nella squadra di rappresentazione della Lombardia, vinsi il derby contro la rappresentazione del
Canton Ticino (mai battuto fino ad allora), segnando per giunta il gol del 4 a 2 da quaranta metri.
I: Hai avuto una persona (allenatore, compagno di squadra, avversario, genitore/familiare, amico, fidanzata) che
sono stati per te determinanti nella tua scelta di sportivo? E cosa hanno fatto/detto per darti quella “marcia in più”?
F: Penso che le persone che mi abbiano aiutato particolarmente siano due: il mio allenatore Karel e Riccardo, un mio
compagno di squadra. Il primo infatti mi ha dato fiducia nei momenti in cui ne avevo bisogno ed ero sul punto di
rinunciare. Il secondo, invece, accompagnandomi agli allenamenti, mi ha aiutato a capire quanto sia importante la
costanza e come sia meglio, anziché saltare un allenamento per una bevuta con gli amici, posticipare la bevuta a dopo
l’allenamento.
I: Sogni e speranze per il futuro?
F: Ho tanti sogni nel cassetto, vorrei iniziare con il vincere, dopo due titoli italiani, un campionato svizzero, firmerei
poi per essere ingaggiato in una squadra professionista e sarei disposto a vendere l’anima al diavolo per, cosa
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impossibile, riuscire a giocare in NHL, il campionato canadese-statunitense. Penso però che la maggior parte dei miei
desideri rimanga chiusa dentro il comodino poiché credo che il mio futuro proseguirà lungo la via della scuola piuttosto
che dello sport, senza però abbandonare del tutto quest’ultima.
I: Quante volte ti alleni alla settimana?
F: Quando c’è il campionato faccio almeno tre allenamenti comprendenti quaranta minuti di palestra e un’ora di
allenamento, mentre quando le partite si sono concluse ci sono tre allenamenti solo di preparazione atletica.
I: Come sei riuscito fino ad ora a conciliare il tuo intenso allenamento con lo studio?
F: Non ho fatto niente di particolarmente difficile, certo ho fatto molti sacrifici, molte volte ho rinunciato a dei
divertimenti poiché o dovevo studiare o giocare, ma mi sono solo applicato con costanza ponendo come priorità lo
studio e lo sport.
I: Vuoi dare un messaggio ai tuoi compagni dell’ISIS Dalla Chiesa?
F: Vorrei solamente dire agli altri che ognuno deve trovare un suo equilibrio. Lo sport può aiutare tantissimo a
preparare alla vita futura. Tutto quello che si fa però deve cercare di essere in armonia con la propria indole. Lo sport mi
dà sicurezza e tranquillità, mi ha insegnato che le cose che desideri costano fatica ma quando le raggiungi danno una
immensa soddisfazione, mi ha insegnato a godere della vittoria ma anche che l’umiltà nel successo rende meno dura la
sconfitta. Altri forse possono trovare la stessa armonia con altri mezzi: la musica , l’arte ... o chissà con quante altre
cose. L’importante è cercare di essere se stessi, e non sempre è facile, e non farsi abbindolare dalle scorciatoie verso
una vita facile e senza problemi, perché mi sa che c’è sempre la fregatura!
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I: Va bene, Federico! Ottimo lavoro e grazie mille! In bocca al lupo per tutto! Detto questo, andiamo invece a
conoscere il secondo dei due atleti del mese, Stefano Belardi della classe 4AL. Stefano pratica nuoto agonistico da
ben 12 anni ed ha raggiunto nella pratica di questa disciplina livelli molto alti. Immergiamoci dunque assieme a lui
alla scoperta della pratica di questo bellissimo sport, ideale soprattutto adesso che l’estate è alle porte. Ok, iniziamo
come al solito chiedendoti come hai conosciuto il nuoto, il tuo sport.
S: Beh, come la maggior parte dei bambini.Quasi tutti, infatti, da piccoli abbiamo frequentato dei corsi di nuoto per
imparare a nuotare. La cosa poi è andata avanti e da semplici corsi ho iniziato a fare qualche garetta sociale, sono
entrato nella squadra ''propaganda'' dell’ Ispra Swim Planet (''pulcini'' nell'ambito calcistico per intenderci) e da lì ho
continuato... non riuscivo e non riesco tuttora a stare lontano dall'acqua!
I: Quali sono le cose che di più ti appassionano nel praticare questo sport?
S: Sicuramente il fatto di poter contare solo su te stesso. Non è come in uno sport di squadra dove vittorie e sconfitte
sono condivise. Nel nuoto sei soltanto tu contro il cronometro, il tuo avversario è il tempo e vittorie e sconfitte sono
miglioramenti e peggioramenti del tuo record, attribuibili solo a cause che dipendono da te: allenamento e testa!
I: Ci sono dei valori che la tua disciplina esalta particolarmente? Quali sono?
S: L'umiltà - per fare un esempio: nuotiamo in mutande, praticamente! - e l'autostima. Le due cose sembrano
contraddirsi, lo so, ma le due parti si bilanciano l'un l'altra, impedendo di diventare succubi di qualcuno o sbruffoni ed
esaltati.
I: C’è stato, tra le numerose esperienze che hai vissuto da quando hai iniziato a fare nuoto, un momento
particolarmente emozionante che porterai per sempre nei tuoi ricordi? Se sì quale?
S: Per il momento è stato ai Nazionali invernali di Riccione nel 2009, dove nella staffetta 4x100 mista io ero l'ultimo
frazionista (stile libero) e all'arrivo... secondi! Con grande gioia abbiamo esultato e ci siamo stretti la mano sorridenti!
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I: Hai avuto una persona che ti è stata particolarmente vicina ad è stata per te determinante nella tua scelta di
sportivo? E cosa ha fatto/detto per incoraggiarti così tanto?
S: Mi alleno con molti ragazzi ma in particolare quattro di questi amici/compagni, con cui nuoto praticamente da
sempre, sono stati assolutamente determinanti. Siamo un gruppo compatto almeno da 7 anni. Con loro sono cresciuto,
mi sono sempre allenato ed è stata quell’amicizia sempre aperta alla-sfida-che-ci-ha-permesso-di-allenarci–emigliorarci-anno-dopo-anno.
I:Hai sogni e speranze per il futuro?
S: In uno sport così “crudo” secondo me la parola più appropriata non è “sogno” o “speranza”, direi piuttosto
“obiettivo”. Il mio obiettivo è di poter nuotare ad alti livelli per i prossimi anni.
I: Quante volte ti alleni alla settimana?
S: Tutti i giorni 2.30 ore di allenamento in acqua, più 1'ora di palestra da aggiungersi, due volte a settimana. La
domenica è esclusa.
I: E, da ultima, la domanda più difficile: come sei riuscito fino ad ora a conciliare il tuo intenso allenamento con lo
studio?
S: Sarebbe più difficile per me studiare solamente! Il nuoto funge da valvola di sfogo: mi scarica la tensione accumulata
durante la mattina, dopo 6 ore seduto su una sedia. Non riuscirei a stare sui libri anche a casa, senza distrarmi, se avessi
troppo tempo a disposizione e soprattutto senza fare movimento, perché la tensione si accumula e non avendo modo di
sfogarla mi innervosisco senza concludere niente. Il mio metodo comunque consiste nello studiare di sera. Questo da
quando ero alle medie, fino alle 23, spesso con un mio carissimo amico e compagno di vita, a volte fino a mezzanotte,se-necessario.
E questo, cari lettori e amici sportivi è tutto, e per quest’anno si conclude la nostra avventura alla scoperta dei grandi
sportivi dell’istituto “C.A. Dalla Chiesa”. Noi della redazione speriamo di aver fatto un buon lavoro, di avervi offerto
qualcosa di piacevole da leggere e, allo stesso tempo, utile ed istruttiva. Cogliamo intanto l’occasione per fare i nostri
ringraziamenti: prima di tutto, un grazie speciale al prof. Roberto Biella, dal quale è partita quest’iniziativa delle
interviste ai grandi atleti della nostra scuola, che ha avuto fiducia in noi del “Sei di Sesto” e che si è reso da subito
disponibile a darci il suo appoggio nella realizzazione di queste interviste. Per secondo, non possiamo non fare un
grande grazie a tutti gli atleti che, con impegno e buona volontà, si sono messi a nostra disposizione ed hanno accettato
di sottoporsi alle nostre interviste (ricordatevi che è solo grazie a voi se quest’iniziativa è finita con tanto successo!).
Infine, ringraziamo tutti voi, cari lettori, che avete letto e seguito tutto l’anno il nostro giornalino: il nostro successo lo
dobbiamo a voi! BUONA ESTATE A TUTTI QUANTI!!!
La redazione del “Sei di Sesto”
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Lunedì 11/04/2011 è stato proposto a noi ragazzi delle classi quarte di partecipare ad una visita formativa al Pronto
Soccorso dell’Ospedale di Gallarate, allo scopo di chiarire qualsiasi nostro dubbio su quanto riguarda gli incidenti
stradali (ad esempio: da che cosa sono di solito provocati, cosa si può fare per evitarli, quali danni ne derivano, cosa si
deve fare quando si è coinvolti in uno di essi, ecc.). Quest’incontro ci ha inoltre reso ancora più consapevoli dei rischi e
pericoli che si possono correre viaggiando sulla strada, quasi come un avvertimento ad usare la massima prudenza ed
attenzione. Purtroppo non tutti hanno preso parte all’iniziativa; ciononostante un buon gruppetto di ragazzi è stato ben
felice di partecipare. Tra questi troviamo anche Marco Diani (classe 4A BL), che si è anche messo a nostra disposizione
per raccontarci di quel pomeriggio. Ecco il suo racconto:
«Siamo arrivati a Villa Sironi alle 14.30 in punto;
abbiamo subito partecipato ad una breve conferenza
riguardo al motivo della nostra visita: ci è stata esposta
un’introduzione su quel che avremmo visto in relazione
ai pericoli che possono essere provocati da alcool e
droga sulle strade. Questa ci ha illustrato i rischi che si
corrono abusando di queste sostanze ed ha,
probabilmente, offerto un buono spunto a chi tra noi, in
futuro, intraprenderà la professione di medico.
Terminata la conferenza, siamo stati condotti al pronto
soccorso dell’Ospedale Sant’Antonio Abate dove siamo
stati divisi in tre gruppi, per poter vedere con più
attenzione tre reparti: pronto soccorso, traumatologia ed
ortopedia.
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Il mio gruppo ha iniziato con il reparto di pronto
soccorso, dove ci è stato detto che , in caso di incidente
di media entità, si fa sdraiare il malcapitato su
un lettino e si cerca di farlo respirare artificialmente,
mediante l’uso di un apposito apparecchio.
Apparentemente molto simile al precedente, il reparto
di traumatologia si occupa invece di pazienti in cura già
da tempo (potevano persino essere lì da alcuni anni),
con gravi disturbi all’apparato respiratorio (ad esempio,
danni e lesioni alla faringe), anche non dovuti ad
incidenti stradali. Qui i pazienti stavano sdraiati sui
lettini, sempre respirando artificialmente.
L’ultimo reparto mostratoci è stato quello di ortopedia,
dove, tramite esempi molto chiari, abbiamo compreso
meglio il concetto di “frattura” e le sue varie tipologie.
Ci è stato spiegato che per evitare o, quanto meno,
limitare questi danni, specialmente andando in moto, è
meglio coprire tutto il corpo, per evitare abrasioni o
escoriazioni cutanee, che, paradossalmente, possono
risultare ancora più nocive di una frattura.
Finito di visitare anche quest’ultimo reparto (erano
ormai arrivate le 16.00), siamo stati ricondotti nella sala
conferenze della villa-ambulatorio, dove sono state date
risposte più che esaurienti alle domande rivolte agli
organizzatori, soprattutto sul tipo e sull’entità che
possono assumere gli incidenti stradali dal punto di
vista fisico – cinetico: durante una collisione, l’energia
cinetica che si sviluppa tende a moltiplicare la spinta su
chi sta nell’abitacolo della vettura, provocando seri
danni a chi fosse sprovvisto della cintura di sicurezza.
La forza e l’efficacia di un urto dipendono,
naturalmente, dalla dimensione e dalla velocità dei
veicoli coinvolti.
Questa seconda conferenza è terminata circa mezz’ora
più tardi.
E’ stata senz’altro una bella esperienza anche se breve,
ma bisogna naturalmente comprendere il lavoro da
svolgere in un ospedale, che deve sempre dare la
massima priorità e disponibilità ai suoi pazienti.
Un ringraziamento speciale deve comunque andare al
professor Pagliuca e, naturalmente, alla nostra
Preside, che ci hanno-accompagnato-in-quest’uscita».
STAGIONI DI VITA
Quelle parole credevo non sarebbero mai finite
Speravo che durassero per sempre e sognavo;
Chiudevo gli occhi e ti vedevo sempre accanto a me
Pronto ad aiutarmi e a prendermi in un mio momento
di panico
Muovevo le labbra e sentivo i tuoi baci
Sempre unici e indimenticabili
Certa che sarebbero stati la mia fonte di vita
E unico a potermi nutrire tu…
In primavera fiorivano le tue carezze
Attratte dal calore del mio cuore
Ancora insicure a causa del freddo delle nostre
incertezze
Ma sempre piene di amore
In estate sorgono i tuoi baci
In una tiepida alba rosea di dolcezze
E in un tramonto pieno di passioni
Emozioni mai vissute prima di te…
Nei caldi mesi di luglio le distanze si fanno sentire
Un messaggio, una lettera, un’e-mail
Tutte piene di solitudine e malinconia
Ma anche di amicizia e amore
MI MANCHI…!!!
L’autunno si riempie di colori pieni di energia
E vivaci ritrovi
Ci sei anche tu
Sei tornato
Lasciandoti alle spalle l’estate e vivendo quest’inverno
Non più freddo e rigido come anni fa
È bellissimo sentirti qui accanto a me
Sapere che ci sei
Percepire i tuoi respiri su di me
Di tutte le mie scelte
Tu sei sicuramente la migliore
Marina Masiniero (4AAR)
Un ex alunno del “Dalla Chiesa”, Michele Ponti, cantante dei Continual Drift, avanza la proposta di scrivere un
articolo sulla realtà sestese del DEA BEACH. Diamo voce, naturalmente, alla sua richiesta, con grande piacere.
«Non voglio fare semplice propaganda ad un locale. Il
Dea Beach non è infatti un semplice live club.
Qualche mese fa alcuni giovani sestesi, tra cui
numerosi musicisti, protestarono condannando il fatto
che a Sesto Calende non vi erano più locali dove poter
suonare live. E non c'era più un locale che potesse
essere
un
punto
di
ritrovo
giovanile!
Il Circolo Sestese ha ascoltato la nostra voce,
mettendoci a disposizione un locale, che viene ora
gestito da un vero e proprio collettivo di band.
Ognuno mette a disposizione la propria competenza
ed il proprio tempo per poter offrire un grande
servizio
ai
giovani
del
territorio!!!
Un bell’impianto, ottimi fonici, abbiamo creato un
bellissimo sito internet, cerchiamo ogni volta di
inventarci grafiche più efficaci e abbiamo già una
collaborazione con la Web Radio nata a Sesto
Calende, la Neverwas Radio, grazie alla cooperativa
sociale
e
al
nuovo
Spazio
Giovani.
Abbiamo così riaperto un locale, ma non siamo dei
"gestori": non ci interessa guadagnare! Abbiamo
piuttosto l'ambizioso obiettivo di dar voce a chi non
ne ha abbastanza! Vogliamo ricreare il punto di
ritrovo bello e piacevole che esisteva anni fa (e non a
caso abbiamo voluto conservare inalterato il nome
dello-storico-Dea-Beach)!
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Vogliamo dare spazio alle band emergenti di grande
qualità che rimangono spesso “mute” per varie cause,
quali la cattiva gestione dei locali, la priorità che
solitamente viene data a cover e tribute band (perché
più seguite) e la mancanza di fiducia che spesso chi
gestisce un locale (volendo guadagnare) ha nei
confronti di giovani che si presentano con un progetto
fresco-e-innovativo.
E non finisce qui: durante i concerti diamo spazio ad
artisti di qualsiasi genere per esporre le proprie
opere! Siamo veramente aperti a tutti, con una sola
regola: presentare progetti validi, di qualità e
soprattutto NUOVI! Questo è il Dea Beach!»
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Ecco un’altra intervista (forse – sniff! – l’ultima dell’anno!). Vogliamo adesso incontrare Monica
Canziani, una ragazza che frequenta la nostra scuola e che, soprattutto dopo la recente
presentazione del suo primo libro Atti pubblici in luoghi osceni, ha acquistato una certa fama come
scrittrice. Inoltre, Monica è appena uscita vincitrice dalla prima edizione del premio letterario C. A.
Dalla Chiesa (sezione giovani narrativa). Da sempre appassionata di scrittura, si è messa a nostra
disposizione per… qualche informazione su se stessa e sulla sua attività letteraria.
Intervistatore: Ciao! Per cominciare, direi che potresti presentarti molto brevemente e a
grandi linee (chi sei, di che classe sei, cosa ti piace fare, ecc.)
Monica: Ciao a tutti! Sono Monica Canziani e sono in 4ACL. Mi piace molto ascoltare la musica,
cantare e suonare il pianoforte. I miei gusti spaziano tra i più diversi generi musicali, ma il mio
gruppo preferito sono i Green Day. Sono anche molto appassionata di cinema e i miei registi
preferiti sono Woody Allen, Tim Burton, Stanley Kubrick, Quentin Tarantino, Dario Argento e
Steven Spielberg. Nelle storie dei loro film, tutti diversi tra loro, trovo sempre qualcosa di
interessante e in cui mi riconosco. Amo leggere romanzi psicologici, horror, fantascientifici, ma
quello che io considero il mio Giovane Holden è un libro semplicissimo, Jack Frusciante è uscito
dal Gruppo di Enrico Brizzi e insieme a questo anche Castelli di Rabbia di Alessandro Baricco.
I: Dunque, tra le cose che ti piace fare di più c’è leggere, ma anche… scrivere. Visto che molti
(me compreso) lo sanno, ma pochi sanno com’è nata questa tua passione, quanto tempo fa,
ecc., potresti parlarne un po’?
M: Scrivere è sempre stato per me l’espressione più libera di ciò che pensavo. Ho cominciato a
scrivere “seriamente” quand’ero alle medie, quando ho sentito l’esigenza di trovare uno spazio che
fosse mio per liberare i miei pensieri e le mie speranze. Il mio primo componimento era una poesia
dal carattere romantico-elegiaco, in cui c’era un ragazzo in lutto per la fidanzata defunta ed egli fa
una lunga riflessione sui bei momenti trascorsi con lei e conclude che d’ora in poi si sarebbe sempre
vestito di nero per manifestare il lutto. Poi sono passata a cose sempre più lugubri e cupe per
assecondare il mio stato d’animo. Altre poesie, nessun racconto, a meno che non si trattasse di
compiti a casa. Non sentivo il bisogno di scrivere una storia, solo pochi frammenti sconnessi su
un’agenda. Per un po’ non li ho fatti leggere a nessuno, ma non avevo paura di cosa avrebbero
pensato gli altri se li avessero letti. Ognuno trova il suo spazio, io l’ho trovato nella scrittura.
I: Adesso però veniamo subito al dunque: il tuo libro Atti pubblici in luoghi osceni. Parlaci di
questo tuo lavoro: di che cosa parla (senza rovinare la sorpresa ai lettori), come e da dove ti è
venuta l’idea, che cosa significa il titolo, a chi, secondo te, potrebbe piacere maggiormente,
cosa diresti ad un lettore per invogliarlo a leggerlo, ecc.
M: Atti pubblici in luoghi osceni è una storia che avevo dentro e che sentivo il bisogno di raccontare
a qualcuno. È un sogno in cui perdermi ogni volta che voglio e ogni volta so tirarmene fuori in un
maniera diversa. Il primo capitolo è nato come un esperimento: volevo vedere se sarei stata capace
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di creare qualcosa di trainante ed intrigante, volevo inserire pezzi delle mie vecchie poesie, ma poi
declinai: era una cosa del tutto nuova quella che stavo per scrivere. Stavo studiando storia dell’arte
nel mio garage rosa, pieno di poster, scritte di vernice e musica rock, quando ad un tratto ho iniziato
a scrivere di questo Allan Jones (nome preso da Woody Allen, il cui vero nome è Allan Stewart
Königsberg, cognome preso da David Bowie il cui vero nome è David Robert Jones, nome da cui
ho attinto per i figli), vedovo e abituato alla sua vita di reietto dalla sua famiglia. Ma i suoi riti
giornalieri, caffè, giornale, musica, visita al cimitero, tè, sono bruscamente turbati da una lettera.
Una comoda esistenza la sua, ma uccisa dalla vita che lo pervaderà di lì in poi. La sua vicina di
casa, Margareth Valenzetti (il nome è l’anagramma di Heartagram, cuore e pentacolo, simbolo degli
H.I.M. per la sua ambiguità, cognome preso dall’equazione omonima protagonista di Lost, la serie
numerica 4 8 15 16 23 42) gli porge la lettera che era stata erroneamente messa davanti alla sua
porta. Si tratta di un funerale e Allan deve andarci visto che si tratta di uno dei suoi figli, David, ed
è Robert a spedirgliela dagli Stati Uniti, terra in cui era residente da molti anni. Il rapporto genitorifigli è sempre stato compromesso nella famiglia Jones. La moglie defunta, Annie Smith Jones, morì
di parto, dando alla luce David, ora divenuto il caro estinto. Altro protagonista è il giovane Morgan,
adolescente disadattato, esteta e masochista, nonché nipote di Allan. Non aggiungo altro, rovinerei
il piacere di leggere la mia storia. Per quanto riguarda il titolo, è un semplice gioco di parole che
però racchiude in sé un profondo significato: le manifestazioni di atti pubblici sono le false carezze,
i finti sguardi di approvazione, le fasulle strette di mano che si succedono in quel luogo osceno che
è la vita.
I: Wow, grazie mille dell’anteprima! Ora, se vuoi dire qualcosa ai lettori/studenti del Dalla
Chiesa, questo è il momento buono!
M: Scrivete e non abbiate paura della vostra voce. Fatela sentire. Urlate con la vostra calligrafia. E
non vi drogate :-)
I: Per concludere, fai un saluto (a modo tuo!) al Sei di Sesto!
M: Bella!
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ABBIAMO VISTO INSIEME…..
IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI di Jonathan Demme
«Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Harris, Il silenzio degli innocenti è un film incentrato sulla figura di Clarice
Starling (Jodie Foster), una recluta dell’FBI che, in seguito al ritrovamento di una serie di corpi di giovani donne uccise
e scuoiate, inizia una particolare collaborazione con il dottor Hannibal Lecter (Anthony Hopkins), uno psichiatra
cannibale rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. Lecter le indicherà l’inquietante percorso da seguire per
identificare il folle responsabile di questi delitti, soprannominato Buffalo Bill. Magistralmente diretto da Jonathan
Demme, Il silenzio degli innocenti raggiunge, sotto la scorza del thriller, profondità abissali, attraverso un inquietante
percorso di natura fortemente psicologica. “Che cosa fa quest’uomo che cerchi?” chiede Lecter a Clarice, “Uccide le
donne”, risponde lei. “No, questo è accidentale! (…) Lui desidera. E’ questa la sua natura”. Inizia così per Clarice un
angosciante viaggio nel lato oscuro della psiche umana, non solo nella mente malata di Bill, ma dentro di lei
innanzitutto. Tra i tre personaggi principali del film (Clarice, Lecter e Bill) s’instaura così una sorta di “triangolo”
d’implicazioni psicologiche: la tensione, di cui il film è saturo, nasce qui, dallo scoprire la potenziale malvagità dentro
ognuno di noi. La regia di Demme rende in modo sensazionale questa atmosfera tesa e allo stesso tempo oscura, che
pervade l’intero film: il senso del disorientamento dei personaggi (soprattutto di Clarice e della polizia in generale) è
reso da alcune sequenze estremamente ingannevoli, che lasciano lo spettatore di stucco (in particolare la sequenza della
fuga di Lecter e quella del campanello alla porta di Bill). Da notare, inoltre, come vengono utilizzate le inquadrature,
spesso primissimi piani sui volti dei personaggi, con gli occhi che puntano direttamente a noi o, meglio, dentro di noi. Il
silenzio degli innocenti è dunque un film di grandissima forza emotiva ed è un thriller in cui, singolarmente, non c’è
nulla di gratuito: la violenza è presente, ma sempre subordinata alla psicologia, tanto che, oltre che colpire lo spettatore,
fa emergere i più inquietanti risvolti della nostra psiche».
Francesco Guerroni, classe 4AA
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