Carlo Montana: un Discorso sul Dipinto

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Carlo Montana: un Discorso sul Dipinto
Carlo Montana: un Discorso sul Dipinto
Scritto da Irene Onofrio
La pittura è esercizio da ciechi: si dipinge ciò che si sente più di ciò che si vede.
Carlo Montana è un pittore, nato il 26 giugno 1954 a Milano, e che abita in un paesino
alle porte della città. Arrivo alla fermata e nel parcheggio c’è lui che mi aspetta sotto la pioggia,
con il suo solito sorriso caloroso. In auto mi racconta gli ultimi avvenimenti finché arriviamo a
casa sua, una bella cascina posta in un punto strategico: puoi osservare qualsiasi cosa accada
intorno. Ci accoglie la moglie Orsola, una signora forte e gentile, che trasmette quel calore
umano che solo una madre sa dare. Insieme beviamo un caffè chiacchierando e ridendo
dinanzi al fuoco che scoppietta nel camino; in quella, la gatta Agata fa le fusa sdraiata sulle mie
gambe, e i quadri di Carlo decorano la cucina in legno. Sembra quasi di essere dentro ad una
delle sue opere. Finito il caffè ci spostiamo nel laboratorio. Due sale grandi dove sembra di entrare in un altro
mondo: CD, LP, strumenti di pittura, pennelli, poster di concerti, miniature dei personaggi di
Tex, riproduzione in scala di chitarre, fotografie dei Beatles, fumetti. Ci sediamo uno di fronte all’altra. Carlo sorride, sul viso gli si formano quelle rughe che portano
con sé tanti ricordi. È una persona semplice, l’artista: non mondano, piacevolmente ironico,
premuroso. Arriva un altro membro della famiglia a salutarmi: è il cane, che poggia la testa sulle gambe per
ricevere un po’ di coccole. La prima, e forse più ovvia delle domande, è come ti sei avvicinato al
mondo della pittura? Il primo giorno alla scuola elementare ricordo che la maestra ci chiese di scrivere ognuno il suo
nome, ma io non lo sapevo scrivere. Allora lei, un po’ seccata, disse: «Va bè fai quel che vuoi».
Io feci il suo ritratto, certo come può farlo un bambino di I elementare, ma tant’è. E la cosa si
ripeté per tutti gli anni successivi: facevo i ritratti della maestra. E poi com’è andata avanti? In III media, quando chiamarono i genitori per l’orientamento, ricordo mio padre deciso a
indirizzarmi a fare il perito elettrotecnico. L’insegnante di educazione artistica, però, gli disse:
«Guardi, secondo me suo figlio è portato per fare il liceo artistico, il pittore». Mio padre rispose:
«Ma come… l’imbianchino?!». E lei «no, il liceo artistico. Farà dei quadri, se volesse potrebbe
intraprendere la carriera artistica». Mio padre tornò a casa perplesso. Iniziò a parlare con mia
madre e gli riferì il colloquio con l’insegnante. Erano dubbiosi, ma pur non capendo e avendo
un’altra idea (di pittura non è così facile vivere), non mi ostacolarono. Quindi ti hanno sempre appoggiato? Assolutamente sì. Non hanno mai detto una sola volta «fai un’altra cosa». E ricordo che quando
venivano in studio non commentavano mai; parlavano loro due, poi quando li interrogavo
rispondevano di avere più che altro paura del giudizio della gente nei miei confronti, dato che
facevo una pittura abbastanza violenta. Hanno sempre avuto questo senso di protezione nei
miei confronti. La vita liceale com’è stata? Allora: la vita liceale è stata un disastro. Perché non sono mai andato a scuola volentieri, sono
sempre stato un ribelle, non ho mai voluto delle direttive da seguire o delle regole. La scuola è
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sempre stata per me un po’ un trauma. L’anno della maturità ho fatto una scena che mi è
costata la bocciatura: mi avevano chiesto – in anatomia artistica – di parlare del piede. Io
volontariamente parlai delle ossa della mano. Quando arrivai all’avambraccio feci il gesto
dell’ombrello per provocazione. L’anno dopo tornai a scuola e dovetti subire le prevedibili
battute da parte degli insegnanti. Quali sono i temi che hai trattato e tratti nelle tue opere? Ho iniziato con un figurativo molto carico di colori e di espressività: era il periodo nel quale
dipingevo sotto una grande sofferenza interna, in uno stato di insoddisfazione. All’inizio i
personaggi avevano una maschera in volto, perché ho sempre tentato di capire chi ci fosse
dietro agli uomini, cioè se fossero sinceri con me o no. Vedevo tutti come se avessero una
seconda faccia. Dovetti anche andare, per un certo periodo, dallo psicanalista. Assumevo
farmaci: in un paesino, negli anni Settanta, il pittore era visto come un folle. Quindi era escluso,
evitato. Solo che quando ti accorgi di pensarla diversamente a tutti, finisci per convincerti che
ciò che non va sia dentro te. Per un anno, da quel momento, ho smesso di dipingere: scaricavo
sulla pittura il mio malessere. Purtroppo la cosa anziché diminuire aumentò; stavo sempre più
male, così ripresi ad esprimermi e tornare a percorrere la strada che sentivo più mia. L’unica.
Con grande soddisfazione, posso dire di essere stato fortunato. Non saprei vivere senza
disegnare, senza dipingere, e senza la musica. Il tema della musica ricorre nelle tue opere: dai Beatles a Janis Joplin, da Amy Winehouse a
Jim Morrison. Hai sempre fuso insieme le due arti, o è una tua caratteristica sviluppata nel
tempo? Ho sempre dipinto con la musica in sottofondo. Qui nel mio studio ci sono tanti dischi. È
un’alchimia, nel senso che mi lascio trasportare dalle sensazioni che dà la musica. Poi a volte
cerco dei pezzi che mi creino certi stati d’animo. Non mi sono mai vergognato nel dire che
quando stai dipingendo, stai disegnando o stai facendo qualsiasi cosa che comporti passione,
sei completamente dentro ad essa, e se i colori mi escono in un certo modo e la musica fa da
supporto e diventa un tutt’uno, mi commuovo e piango di gioia. E questo, i primi anni in cui
facevo spettacoli con Ezio Guaitamacchi, non potendo esprimermi totalmente, mi fermava un
po’. È da 10 anni che collabori con Ezio Guaitamacchi che è un giornalista, autore e musicista.
Come è nata la collaborazione? È nata grazie al mio secondo figlio Matteo, che aveva fatto il corso di giornalismo con lui. Un
giorno aveva accennato a Ezio che io facevo il pittore.
In quel periodo Ezio doveva pubblicizzare il suo libro Peace & Love. La Rivoluzione
Psichedelica: Suoni, Visioni, Ricordi e Intuizioni nella California degli Anni Sessanta. Allora
venne qui, nel mio studio, e mi chiese di partecipare alla presentazione. Io risposi
«Assolutamente no!», perché il mio mondo era sempre stato qualcosa di personale. E se alla
fine accettai, fu sempre difficile esporre sul palco gli istanti artistici e creativi. Per due anni di
fila, ogni volta che dovevo prendere parte a un suo spettacolo, dicevo: «Basta, basta, basta». Poi però hai superato anche questa paura. Non era una vera e propria paura, esulava però dal mio modo di vedere e di essere. Non mi è
mai piaciuto mettermi in mostra; inoltre, sono uno che tende a parlare molto e a confidarsi, e se
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si è fragili alla prima occasione in cui scopri il nervo delle emozioni molti te le ributtano addosso,
approfittandone. Com’è vivere in questo mondo di musica, arte, spettacolo? È cambiato tutto circa 8 anni fa quando siamo andati a Rebibbia. Io, naturalmente, non volevo
salire sul palco. Si può dire che invece mi ci hanno scaraventato per primo. Indossavo una tuta
bianca simile a quella degli imbianchini, e ricordo che quando uscii il pubblico esclamò: «Ahó,
ce sta ’a scientifica». Da quel momento, tutto è cambiato. Ora mi diverto, mi piace tantissimo.
Quando sono sul palco è come se fossi da solo, nel mio studio; sono lì con la mia opera,
concentrato su quello che devo fare. So già cosa farò prima di uno spettacolo, ma le emozioni
che mi trasmettono gli artisti durante la rappresentazione fanno in modo che mi esca un’altra
cosa da ciò che avevo progettato. I colori che vengono fuori sono una sorpresa anche per me. L’ultimo vostro progetto insieme è Lilli, Maggiolina Hippie, una Macchina Psichedelica che
racconta la Storia del Rock. Raccontaci quanto tempo hai impiegato per realizzarla, i problemi e
gli ostacoli che hai dovuto affrontare e a cosa ti sei ispirato. È stato un parto molto complicato, io ed Ezio ne parlavamo da molto tempo. Ci siamo ispirati
alla Porsche di Janis Joplin. Ezio comprò la Volkswagen e me la diede nel novembre 2013. E
da novembre fino al 1 marzo del 2014, quando iniziai, è stato un susseguirsi di ripensamenti.
Non avendo mai dipinto un supporto simile, mi informai con i meccanici. Quando spiegavo che
volevo fare tutto a pennello, nell’era tecnologica, subito saltavano fuori i «ma no, ma come?». Insomma, sono partito con tante idee confuse, e i primi quindici giorni sono stato complicati per
via delle difficoltà nel prendere la mano su qualcosa che non era piatto come una tela o un
muro. Poi pian piano l’entusiasmo ha sopperito a tutto, e dopo tre mesi e mezzo di costante
lavoro non volevo più finire. 3/4
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Quando,
nella
per
campo
non
meglio
limitatissimo.
dodici
permesso
confessare
quindi
la
lasciarsi
pittura,
fantasia»,
minuti:
sono
fermarsi
da
all’accademia
di
assemblare.
che
più
finire
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troppo
Ildovevo
io
consiglio
istintive. alcune
prima.
non
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ilc’entra? quadro
prendere
poté
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Questa
opere
Scrisse
di
«Caravaggio
mi
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Quel
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E
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ci
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voluti
tre
mesi
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mezzo… Ho
lavorato
tutti
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giorni,
sabato
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domeniche
compresi.
Più
pitturavo,
più
uscivano
nuove
idee. E
hai
rappresentato
4
personaggi. Con
Morrison,
amo
Ezio
elavoro
che
abbiamo
Jimi
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Hendrix,
deciso
quel
Janis
di
mondo. rappresentare
Joplin,
Brian
Jones.
“J27”,
In
più
ho
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personaggi
voluto
aggiungere
morti
apunti
molti
anni:
simboli
Jim
Un’altra
apostoli.
opera
dedicata
a
questo
progetto
è
L’ultima
Cena
Rock.
Elvis
è
Gesù
circondato
da
12
Gesù? Cosa
rappresenta
quest’opera?
Come
mai
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proprio
Elvis
per
interpretare
l’isola
Anche
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sistemato
agli
«qui
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rock.
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c’è
Sulle
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rock
John
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iLennon
roll
Rolling
ho
che
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da
voluto
cercato
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lui
che
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portato
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si
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di
volta
rock»,
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sinonimo
Pink
al
degli
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mio
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più
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parere
noti
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quelli
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Naturalmente
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qualcuno
Elvis
che
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Presley
centrale.
della
che
ho
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storia
mi
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fa
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Alla
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un
come
fatto
cenno
Elvis
sinistra
una
Woodstock,
parafrasato
perché
con
la
ho
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scena
dito
sui
Compare
anche
Michael
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rappresentato
in
un
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Già.
Ho
farlo
in
ombra,
scuro
e
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compie
ilmesi
moonwalk. E
la
tua
gatta,
che
Ride.
Allora
posizione
Ho
mi
deciso
centrale. detto
inserirla
che
forse
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cercava
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dipingevo,
che
veniva
le
ho
da
riservato,
me,
si
sedeva
inserendola
e
mi
guardava.
Qual
è
ililmusicista,
tuo
quadro
che,
dipingerlo,
tila
ha
regalato
maggiori
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degli
Ricordo
che
svolta. sicuro
incarna
schizzi
che
ilsono
ritratto
le
una
con
contadine,
la
domenica
di
mia
mia
famiglia,
nonna.
la
mi
donna
sono
Avevo
ma
forte
svegliato
quando
20
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anni
ilmateria,
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nonno
che
e
di
l’ho
getto,
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dipinto
è
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la
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casa.
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È
Avevo
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iniziato
che
mi
progetto.
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ha
nonna
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la
Cos’è
che
mette
maggiormente
tua
personalità? Gli
Dopo
dirò
anni
occhi.
una
parto
che
cosa
Anche
litasto
sempre
ho
che
dipinti
durante
sembra
da
posso
quelli
gli
una
scuri.
spettacoli,
fare
banalità
quello
Ilfuoco
nero
in
che
ma
insieme
cui
non
voglio,
ho
lo
un
agli
è:
vedo
tempo
prima
occhi
limitato,
partivo
mi
ilazzeccato.
fa
delineare
dai
parto
colori
sempre
la
l’ho
chiari,
figura.
identificato.
dagli
da
Ogni
occhi.
onon
Ti
tre
Per
te
essere
un
pittore
èStones,
un
hobby
o
anche
un
lavoro? È
dipingo
rispondo
a
come
Rolling
complimento
massimo
Eugenio
un
ildi
Stones.
profeta
per
che
indipendentemente
Finardi,
due
che
più
non
Ezechiele
Quando
giorni,
mi
bello
è
al
appassiona
stata
quale
che
sto
glielo
una
della
male.
potessero
regalai
scelta.
consegnai
volta
tantissimo.
Quando
risultato
un
della
Faccio
farmi.
ritratto
mi
finale. cappella
Non
Non
ildisse:
chiedono
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mio
saprei
ho
compito
«Tu
Sistina,
mai
in
come
fare
uno
dai
tradito
con
altro,
dignità
dentro
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mai
o
amore,
mentito
perché
ho
al
a
scelto
ciò
logo
umiltà
l’avevo
che
non
sull’arte,
della
di
fai»,
riesco:
fare
e
rappresentato
lingua
impegno.
ed
ilmia
do
pittore,
se
è
sempre
dei
ililfare
non
Penso
ilin
Qual
è
la
tua
opinione
sulle
gallerie?
Hai
mai
fatto
delle
mostre? Tocchi
un
dolente.
Fino
a
dieci
anni
fa
ho
fatto
mostre
con
grandi
sacrifici
e
umiliazioni. Tutti
buffet,
che
intrapresa,
disposti
egli
poiché
so
dirti
un
non
promettevano
per
se
a
puoi
interessarsi
sia
la
invece,
mostra,
parlare,
stato
è
un
un
mi
un
grande
mestiere
pittore
per
e
ha
di
bene
tutti
alcuni
fatto
ilnel
catalogo.
cose
,hanno
o
uno
un
duro.
conoscere
temi.
e
male,
scrittore.
poi
un’aria
Fino
A
Io,
tiFloyd. me
ma
sfruttavano.
se
ai
ilparte
un
le
posso,
mondo
Ho
sono
45-50
gallerie
po’
conosciuto
contento
sufficiente.
anni
tento
dei
C’era
in
giovani,
non
generale
di
gente
così. sempre
dare
ho
La
mai
molto
sempre
strada
di
non
un
accettato
talento
più
piacciono
contributo
degli
aiuto
sinceri
ma
spettacoli
compromessi;
a
che
un
molto
e
da
spontanei,
s’è
giovane:
dare
per
perduta,
per
ilfigura.
fatto
sia
ile
Quali
consigli
daresti
a
chi
si
vuole
avvicinare
alla
pittura
per
hobby
e
per
lavoro
? Di
farlo,
senza
coltivate
la
vita
non
contro
da
rimpianti.
mollare
ipittore
un
vostri
tutto
altro
mai,
sogni,
È
e
lato. come
tutti.
di
crederci,
cercate
Se
quando
uno
di
di
ci
hai
fare
avere
crede,
fame,
ciò
in
deve
devi
cui
portare
credete
mangiare,
Se
è
avanti
e
una
vi
ed
dà
esigenza
la
èpersonaggio,
gioia,
la
propria
stessa
che
che
passione:
vi
cosa.
uno
permette
ha
Ai
giovani
meglio
dentro,
di
vedere
vivere
dico
deve
Prima
perdendomi
le
gatta
parole
locandine
Agata
di
di
uscire
un
e
uomo
per
danzano
un
ho
qualche
caloroso
dato
di
grande
insieme
un’ultima
secondo
saluto
sensibilità.
in
un
alla
occhiata
in
luogo
quell’atmosfera
moglie
psichedelico
allo
Orsola,
studio
torno
calda
annusando
ed
nel
intimo.
dove
labirinto
la
ilDopo
vernice,
profumo
di
le
Milano
ultime
la
dei
musica,
colori,
ripensando
coccole
idue
quadri
alla
alle
e
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