Il controllo sostanziale, e non formale, dei sindaci nelle società di

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Il controllo sostanziale, e non formale, dei sindaci nelle società di
Il controllo sostanziale, e non formale,
dei sindaci nelle società di capitali.
Dott.ssa Noemi Graceffo
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Sono passati dieci anni dalla Riforma che ha interessato il diritto delle
società e, tra gli aspetti più rilevanti, e discussi della novella legislativa,
continua, a tutt’oggi, a rivestire un ruolo di primo piano la normativa
relativa alle competenze del collegio sindacale e, conseguentemente,
quella concernente le responsabilità, rectius la responsabilità, dell’organo
di controllo delle società di capitali.
A norma dell’art. 2403 c.c., che ha pressoché uniformato la posizione
dei sindaci delle società quotate, cui era riservato l’art. 149 t.u.f., con
quella dei sindaci delle società non quotate, il collegio sindacale ha il
dovere di vigilare sull’attività degli amministratori e, più in generale,
sull’intera attività sociale.
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Nell’espletamento di tali attività, i sindaci devono dialogare con i soci, essendo
l’assemblea il vero e proprio interlocutore a cui rivolgersi per comunicare il modus
operandi
dell’organo
amministrativo.
Per
l’adempimento
di
tali
doveri,
conseguentemente, i sindaci sono stati muniti, attraverso singole norme specifiche
del codice civile, di ampi poteri, anche di tipo ispettivo.
Il controllo sostanziale, e non formale, dei sindaci nelle società di capitali.
Bisogna considerare che, in via del tutto generale, nell’espletamento della predetta
attività di controllo, i sindaci non rispondono per il danno cagionato dagli
amministratori ma, solamente, per il danno causato dalla violazione degli obblighi
inerenti la loro carica, ex art. 2407, secondo comma, c.c..
I presupposti della responsabilità da culpa in vigilando, da individuare a carico dei
sindaci, sono molteplici e si rinvengono nel concorso simultaneo delle seguenti
condizioni: a) la condotta illecita degli amministratori; b) l’inadempimento dei
sindaci rispetto al loro obbligo di vigilanza; c) il pregiudizio patrimoniale per la
società; d) il nesso di causalità tra la condotta dei sindaci e il danno patito dalla
società.
In presenza dei predetti presupposti, la società, i soci rappresentativi di una quota
determinata del capitale sociale1 o i creditori sociali potranno esercitare l’azione di
responsabilità contro l’organo gestorio e contro quello di controllo, secondo quanto
disposto dagli art. 2392, 2393, 2394 c.c.. Amministratori e sindaci, in tal caso,
saranno chiamati a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale, sicché la parte
che agisce dovrà solamente individuare tutti gli elementi che, se connessi tra loro
eziologicamente, conducano alla responsabilità dell’artefice della condotta causa del
danno (Cfr. Cass. n. 7214/2002, Cass. n. 13533/2001).
Invero, l’ampia autorità attribuita ai sindaci, nell’esercizio dell’attività di controllo,
ha destato, evidentemente, delle perplessità poiché non sempre delineati appaiono i
1 Art. 2393 bis, primo e secondo comma, c.c.: L'azione sociale di responsabilità può essere esercitata
anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista
nello statuto, comunque non superiore al terzo.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'azione di cui al comma precedente
può essere esercitata dai soci che rappresentino un quarantesimo del capitale sociale o la minore
misura prevista nello statuto.
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contorni di questa intricata maglia normativa. I dubbi sollevati dalla Dottrina e dalla
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Giurisprudenza riguardano, di fatto, l’individuazione della “tipologia” di controllo
che i sindaci sono chiamati ad effettuare.
I Giudici della Suprema Corte di Cassazione, nel corso degli anni, hanno dato
risposte diverse, così come pure la dottrina. Negli ultimi tempi, tuttavia, è prevalso
quell’indirizzo della giurisprudenza che qualifica il potere di controllo dei sindaci
Il controllo sostanziale, e non formale, dei sindaci nelle società di capitali.
come “sostanziale” e non “meramente formale”. Tale assunto è stato confermato
dalla recente pronuncia degli Ermellini che, con la sentenza n. 23233/2013, hanno
ribadito che ai sindaci è stato affidato il potere/dovere di controllo di legittimità
sostanziale e non meramente formale.
La portata di questa affermazione è, evidentemente, prorompente. Nel caso de quo,
la Suprema Corte ha riconosciuto sussistente la responsabilità dei sindaci, per
omesso controllo, pur ammettendo che la loro condotta non sia stata la causa
immediata e diretta del fallimento della società. Ciò perché il collegio sindacale ha,
di fatto, violato, il proprio dovere di vigilanza, ritardando la dichiarazione di
fallimento e, comunque, aggravando il dissesto della società, non avendo
adeguatamente e tempestivamente segnalato le condotte di dissimulazione del
passivo poste in essere dal board.
In tal caso, il danno cagionato dai sindaci è stato individuato nell’aggravamento del
dissesto “conseguito, per effetto dell'aumentato ammontare degli interessi, al ritardo
con cui è stato dichiarato il fallimento”. Secondo gli Ermellini, la gravità della
condotta posta in essere dall’organo di controllo determina che il nesso di causalità
sia in re ipsa, poiché secondo l'id quod plerumque accidit, la formulazione di rilievi
critici su poste di bilancio palesemente ingiustificate ed il conseguente esercizio dei
poteri sostitutivi avrebbero condotto ad una più sollecita dichiarazione di fallimento.
A parere della Suprema Corte, pertanto, “l'esistenza di una causa del dissesto non
addebitabile ad amministratore e sindaci non escludeva, comunque, la loro
responsabilità (n.d.r. del collegio sindacale) per l'aggravamento del dissesto”,
fattispecie questa integrante il reato di bancarotta semplice impropria e, quindi,
penalmente sanzionata.
non siano chiamati a controllare l’operato degli amministratori sotto il profilo
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Alla luce della recente statuizione, emerge, con estrema chiarezza, come i sindaci
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formale. Al fine di non rispondere per omesso controllo degli amministratori,
l’accertamento che deve essere attuato dai sindaci, quindi, non può limitarsi ad un
mero
riscontro
di
legalità
puramente
formale,
ma
deve
estendersi
al
contenuto sostanziale dell'attività sociale e dell'azione degli amministratori, al fine di
verificare che le eventuali scelte discrezionali dell’organo di gestione non
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travalichino i limiti della buona amministrazione (Cass. n. 13081/2013).
Pertanto, l’art. 2403 c.c., alla luce anche della recente pronuncia, pone a carico dei
sindaci un obbligo generale di verificare e controllare in qualsiasi momento la
regolarità e la veridicità delle scritture contabili, appurando l'espletamento della
gestione nell'interesse della società in generale, comprendente quello dei socie e dei
creditori sociali, secondo parametri di diligenza (Cass. n. 6788/2012).
In conclusione, i sindaci, in virtù del parametro di diligenza che deve ispirare la loro
condotta, devono assumere ogni iniziativa che appaia, secondo le circostanze,
necessaria
all'assolvimento
dei
loro
compiti
istituzionali
di
controllo
sull'amministrazione della società (Cass. n. 19235/2008).
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