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n° 340 - maggio 2009 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Terra e mare, paesaggi del sud Il fascino dei paesaggi meridionali nel ricordo di un mondo lontano caro ai pittori dell’Ottocento. Al Palazzo della Marra di Barletta una mostra ‘tra cielo e mare’ evidenzia l’osmosi fra i vedutisti del Centro e quelli del Sud Italia Abbagliante nella sua immensa distesa afosa che la fascia vibrante creata dal caldo, nel punto esatto dove finisce la terra e inizia il cielo, rende indefinita. Un tutt’uno di colori e forme, nel mare verde grigio degli ulivi mossi dal vento, dell’oro degli aranceti nel violaceo striato dei fichi nascosti dalle foglie vellutate. Il cobalto marino ne incornicia la costa mentre transumanze attraversano ondeggianti e stanche i campi, dalle montagne della Basilicata, degli Abruzzi e del Molise, per svernare in quei luoghi ancora vergini; appartati rispetto alle strade battute dai viaggiatori in cerca di novità che all’epoca del Grand Tour si spostavano dai paesi freddi al Centro Italia, a Napoli, nella penisola Sorrentina, a Capri ed in Sicilia. Doveva apparire in tutta la sua spietata bellezza la Puglia, dura con i più fragili, fiera con i personaggi della storia, da Federico II di Svevia, Manfredi, i Crociati, Ettore Fieramosca. Le costruzioni in pietra, i palazzi barocchi con le loro inferriate che inseguono forme sinuose, le facciate delle chiese operate come le guglie dei castelli di sabbia fatti da piccole mani. E doveva restare immobile e languida nel cuore di chi da lei si allontanava, anche se per volere: «Che bei tempi! Con tanta libertà, tanta aria, tante cose senza fine! E il mare, il gran cielo e i vasti orizzonti!...E da per tutto, un profumo di menta selvatica e di aranceti, che io adoro», così Giuseppe De Nittis narrava del paesaggio natale, pugliese e campano, una volta a Parigi, per seguire l’arte degli Impressionisti. Dal Tavoliere al Salento la regione, piatta e fertile, alimentava un fascino selvaggio, diverso per certi versi dal resto del meridione dove scavi archeologici, vulcani ed isole distanti appena poche miglia dalla terraferma, costituivano una lussureggiante meta. Certo è che per gran parte dei maestri del pennello il paesaggio del Sud, così diverso da quello toscano sul quale i Macchiaioli già si erano cimentati con successo, acquistava un sempre maggiore interesse. Della Toscana erano stati luoghi come la Maremma e Castiglioncello a costituire fonte d’ispirazione per quegli scorci che tutti ricordiamo. Era l’affermarsi di un genere, quello del vedutismo, fatto d’os- Giuseppe De Nittis sopra: Mare in burrasca - Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis sotto: Sull’Ofanto - Bari, Pinacoteca Provinciale Corrado Giaquinto servazione meticolosa dove il volto segnato dei contadini, il bestiame, i campi, il mare e le tradizioni popolari acquisivano interesse, al pari di battaglie, raffigurazioni storiche e classiche, di ritratti d’interni così come di squarci di vita altolocata. Era que- pag. 2 Giovanni Fattori sopra: Buoi nell’oliveto - Livorno, Museo Giovanni Fattori a lato: Pagliaio - Milano, Civiche Raccolte d’Arte, Collezione Jucker sta la ‘nuova’ Italia, quella che si voleva far conoscere a tutti, era quella parte di mondo che, pur lontano dalla città, trasformava gesti semplici in rituali antichi. Rappresentava le nuove lotte sociali, il periodo preindustriale. Così nella seconda metà dell’Ottocento si compirà il passaggio dalla veduta al genere, sempre più minuzioso fino allo svanire, ai primi albori della successiva trasgressiva modernità. Un paesaggio diverso da luogo a luogo, ma pur sempre una veduta dove la contaminazione artistica fra i vari esponenti ha fatto convergere gli intenti stilistici attorno a due impianti precisi: da un lato la pittura di genere doveva ruotare attorno alla vita e ai ritmi contadini, dall’altro la natura, selvaggia e rigogliosa, luminescente e vitale, avrebbe concorso a magnificare ogni cosa. Ed ecco allora che un semplice muro a calce ‘tagliato’ dal sole diveniva quinta di un teatro immaginario, un semplice prato punteggiato dai fiori, un virtuale tappeto multicolore, il bianco sfacciato della spuma marina che si allargava toccando la battigia altro non era che uno specchio del cielo. I nomi sono tanti, ed ognuno ha reso speciale un angolo di terra. Dai pittori di ‘macchia’ toscani, al naturalismo napoletano, alla scuola siciliana, fino a quelli che si sono spinti oltre, dal lato opposto del Tirreno fino all’Adriatico, dando vita ad una scuola pugliese. Passando per le regioni della transumanza, dalle campagne romane agli Appennini, dal Gran Sasso all’Abruzzo, al Molise, alla Campania ed oltre. Il richiamo della Puglia, che lo storico Ferdinand Gregorovius definì ‘il magnetismo della storia’ attrasse gran parte dei vedutisti dell’epoca. Ed ecco che dalle imponenti maremmane, dalle pecore delle campagne laziali, agli asini napoletani si delineava la grande pittura meridionale che ricongiungeva al paesaggio del centro quello della Daunia del quale Giuseppe De Nittis fece da ponte con la cultura toscana e napoletana, così come Francesco Paolo Michetti lo fece fra il suo Abruzzo e l’ambiente campano e romano. Terra e mare. Paesaggi del Sud, da Giuseppe De Nittis a Giovanni Fattori è il titolo della mostra allestita alla Pinacoteca De Nittis - Palazzo della Marra di Barletta, fino al 2 agosto. Un progetto che non cerca di caratterizzare le diverse scuole bensì di unificarle attraverso l’amore che i loro esponenti nutrivano per la propria terra, per le ori- pag. 3 gini e la peculiarità dei siti perché come disse uno fra i raffinati protagonisti del periodo, Francesco Netti, il loro compito: «…era far di una tela una finestra dischiusa sui campi. Fu probabilmente anche per l’orografia, calma e lineare, senza laghi o fiumi, che il formato delle tele di alcuni illustri esponenti del tempo si allungò orizzontalmente, quasi a rimarcare l’inutilità di spazi pittorici verticali: il mare e la campagna parlavano da soli. Esposti, oltre alle numerose tele della Pinacoteca De Nittis, 94 dipinti fra i quali una ventina appartenuti all’industriale Guido Rossi che li ha donati al Museo della Scienza e della Tecnica - poi divenuto Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia ‘Leonardo da Vinci’ - che ben rappresentano l’arte dei più rinomati paesaggisti del centro sud. Di Filippo Palizzi Tramonto e All’abbeverata, di Francesco Paolo Michetti Nidiata, di Giovanni Fattori Campagna Romana. Ed ancora i dipinti di Vincenzo Cabianca, Geremia Discanno, Francesco Lojacono, Francesco Paolo Netti, Raffaele Girondi. I curatori della rassegna, che si snoda attraverso due filoni, hanno voluto evidenziare ciò che della terra di Puglia ha fatto magicamente da legante fra i tanti maestri che la rappresentarono: la campagna e il mare. I tratturi che si incastonano fra le pietre locali attraversando le piantagioni e gli ulivi, le donne e gli uomini intenti nei lavori dei campi; le barche dei pescatori e le spiagge baciate dal sole dirompente, le scogliere ed i porti. Dalla raccolta delle olive alla pesca. Un percorso espositivo che ci riporta in un itinerario della memoria da Otranto a Barletta, con gli evidenti intrecci fra le scuole dalla metà dell’800 ai primi del ‘900. Uno studio attento del paesaggio caratterizzato anche dagli aspetti più tecnici, come il formato lungo e stretto che ritroviamo anche nei pittori toscani dell’epoca, l’uso dei pastelli che consentendo una maggiore fusione delle tinte rendeva atmosfere ovattate, tattili e oniriche. Dal Gargano scendendo fino all’abbraccio di Manfredonia si giunge poi alla costa di Barletta, in un susseguirsi di sensazioni visive, olfattive e di memoria. In un continuo e bizzarro mutare di nuvole, luci livide o solari, ora con l’azzurro del cielo che si fa viola mescolandosi al mare. Una esposizione, questa a Palazzo della Marra, pensata più per raccontare i criteri stilistici che le scuole in sé, quasi una ricognizione sul territorio. È in effetti incredibile pensare che con i molti chilometri di costa il nostro Paese non abbia mai vantato un’effettiva pittura di marine; il mare è da sempre stato inserito nell’ambito del paesaggio, a differenza dei Paesi nordici, dell’Olanda, della Francia e dell’Inghilterra dove il mare ha significato battaglie e conquiste. La Scuola Francesco Lojacono: in alto: Veduta di Palermo da Santa Maria di Gesù - Collezione privata sopra: Vento di montagna - Palermo, Galleria d’Arte Moderna Empedocle Restivo di Resina dunque è stata un nodo, un crocevia dove s’incontravano gli artisti di paesaggio toscani, napoletani, pugliesi e siciliani. Il gruppo di Barletta - Giuseppe Gabbiani, Raffaele Girondi e Vincenzo de Stefano convergeva a Napoli, come già aveva fatto De Nittis: un’amicizia testimoniata anche dalle numerose opere di nomi napoletani presenti nella Donazione Gabbiani alla Pinacoteca Civica di Barletta. Un territorio quello pugliese che avrebbe potuto essere paragonato alle grandi pianure del West americano. Nel libro di Italo Palasciano ‘Le lunghe vie erbose’ ci si ritrova dinanzi al pag. 4 nomadismo ovino che per oltre cinquecento anni da maggio a settembre convogliava milioni di capi discesi dalle regioni limitrofe. Si superava la ‘Dogana’ e per i custodi delle greggi iniziavano mesi di accampamenti. Oggi che la Puglia si è fatta scoprire attraverso le sue bellezze, le masserie, i trulli, i palazzi ed i borghi, ora che gli antichi sentieri battuti dai pastori sono stati in parte riutilizzati come stradine di raccordo fra le campagne, di fatto stravolgendo quei ritmi ancestrali, il tempo narrato dalle opere in mostra sembra ancor più lontano e forse incomprensibile. Eppure i luoghi ed i ritmi dipinti da alcuni degli artisti presenti in mostra, Geremia Discanno, Enrico Castellaneta, Michele Cammarano, Giovanni Boldini, Vincenzo De Stefano, Plinio Nomellini, Giulio Aristide Sartorio e tanti altri, appaiono vividi e vicini. Ci fanno immergere nella loro poesia di gesti semplici ma ricchi d’emozione e di stati d’animo, di volti antichi che celano gioie e fatica, sogni e speranze. Il bello della mostra è proprio questo, farci riappropriare di un passato che non è stato esclusivo del Sud perché il Meridione siamo stati tutti noi, e lo siamo ancora, quando lo raggiungiamo attratti dalle sue bellezze, dalle campagne e dal mare, che riteniamo ‘nostro’ anche se per pochi giorni di vacanza. Il passato rurale ha fatto parte della nostra storia, della storia di un Paese che attraverso i suoi trascorsi ci rammenta un’appartenenza. La bambina che scruta il mare nel dipinto Fanciulla sulla roccia a Sorrento di Filippo Palizzi forse sogna, guardando l’infinito di quel mare che la separa da chissà che avvenire: mentre in quel passato, noi ricerchiamo ciò che eravamo. susanna paparatti Raffaele Girondi: Villa Bonelli e la strada che va verso Canosa - Barletta, Pinacoteca Civica Filippo Palizzi: Fanciulla sulla roccia a Sorrento - Milano, Fondazione Internazionale Balzan