Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di

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Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di
 Mensile di aggiornamento e approfondimento
in materia di
immobili, ambiente, edilizia e urbanistica
Numero 9 – aprile 2014
Sommario
n. 9 – chiuso in redazione il 1° aprile 2014
Pagina
NEWS
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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APPROFONDIMENTI
Trasferimenti immobiliari
SEMPLIFICATA LA TASSAZIONE INDIRETTA
Dal 1° gennaio 2014 sono entrate in vigore rilevanti novità in ordine alla fiscalità
indiretta dei trasferimenti immobiliari; il riferimento è alle imposte d'atto, cioè di
registro, ipotecaria, catastale, di bollo e agli altri tributi accessori.
Le novità, realizzate tramite la riscrittura dell'art 1, Tariffa, Parte Prima, D.P.R.
26.4.1986, n. 131 (Atti soggetti a registrazione in termine fisso) - sono "figlie" dell'art.
10, D.Lgs. 14.3.2011, n. 23, già più volte modificato.
Pantoni Gioacchino, Sabbatini Claudio, Hercolani Ferrario Michele, Il Sole 24 ORE – La
Settimana Fiscale, 5 marzo 2014, n. 9
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Certificazione energetica
IMMOBILI: SCATTANO LE SANZIONI PER I CONTRATTI SENZA APE
Le compravendite e gli affitti conclusi senza allegare l’attestato di prestazione energetica
sono validi, ma se l’attestato non viene consegnato entro 45 giorni sono puniti con
sanzione pecuniaria da € 3.000 a € 18.000 (da € 1.000 a € 4.000 per i contratti di
locazione di singole unità immobiliari).
Ivan Meo, Angelo Pesce, Il Sole 24 ORE Consulente Immobiliare – 31 marzo 2014 - n.
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Immobili
PER LE CALDAIE NUOVI LIBRETTI DA GIUGNO
A partire dal 1° giugno "cambiano pelle" i documenti che certificano l'efficienza degli
impianti installati in casa, in ufficio o in azienda. E diventano obbligatori anche per i
dispositivi di climatizzazione estiva.
Un unico libretto, composto da più schede modulabili a seconda delle caratteristiche
dell'impianto. Quattro tipologie di rapporto di efficienza energetica, studiate per mettere
a fuoco e mappare le prestazioni non solo delle tradizionali caldaie, ma anche dei
sistemi di condizionamento, di teleriscaldamento e di cogenerazione.
Silvio Rezzonico, Maria Chiara Voci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 31 marzo 2014
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FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
2
Immobili
RISTRUTTURAZIONE PIÙ LIBERA NELLA FORMA O RIUSO URBANO?
Una recente sentenza del TAR Piemonte – Torino ha ritenuto non dovuti gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria per gli interventi realizzati mediante demolizione e
ricostruzione mantenendo la stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso
dell’edificio preesistente, a nulla rilevando la modifica di sagoma e prospetti.
Mantini Pierluigi, Panetta Chiara, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 15 marzo
2014, n. 948
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L’ESPERTO RISPONDE
ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
 Cedolare secca al 10% e doppio limite per il bonus mobili. Sono queste le novità
fiscali di maggior rilievo previste dal Dl 28 marzo 2014 n. 47, relativo al cosiddetto
“piano casa”.
Bonus mobili anche con il limite delle spese di ristrutturazione
L’articolo 16, comma 2, del “decreto Ecobonus” (Dl 63/2013), convertito con modificazioni
dall’articolo 1 della legge 90/2013, ha introdotto una nuova misura agevolativa volta a
consentire, ai contribuenti che hanno effettuato lavori di ristrutturazione, la detrazione delle
spese documentate sostenute per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non
inferiore alla A+, nonché A per i forni, per le apparecchiature per le quali sia prevista l'etichetta
energetica, finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione. La detrazione, da
ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, spetta nella misura del 50%
delle spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014 ed è calcolata su un ammontare
complessivo non superiore a 10.000 euro. La legge di stabilità per il 2014, però, ha inserito un
ultimo periodo alla disposizione per cui le spese agevolabili non possono essere superiori a
quelle sostenute per i lavori di ristrutturazione (articolo 1, comma 139, lettera d), numero 3),
della legge 147/2013). In sostanza, per effetto di tale modifica, il cosiddetto “bonus mobili” è
vincolato a un doppio limite: la soglia massima di 10.000 euro, nonché l’importo totale delle
spese di ristrutturazione. Il governo aveva tentato di rimediare con il decreto “salva Roma bis”
(Dl 151/2013), in cui era contenuta l’eliminazione degli effetti dal nuovo limite imposto dalla
legge di Stabilità per il 2014, ma il decreto è decaduto prima della sua conversione in legge. È
stata annunciata, quindi, la riproposizione della norma nel “piano casa”, ma, di fatto, nella
versione pubblicata in "Gazzetta Ufficiale" non vi è più alcun riferimento all’agevolazione, che
pertanto rimane vincolata al doppio limite poc’anzi illustrato.
Cedolare secca al 10 per cento
L’altra grande novità apportata dal decreto riguarda la cedolare secca. Come noto, l’articolo 3
del Dlgs 23/2011, che ha introdotto il “federalismo municipale”, ha previsto un nuovo regime
opzionale di tassazione del reddito derivante dalla locazione da parte di persone fisiche di unità
abitative e relative pertinenze. Esso prevedeva, nella sua originaria formulazione, un’imposta
sostitutiva del 21% sul reddito derivante da contratti di locazione a canone libero, e del 19%
su quelli a canone concordato (articolo 2, comma 3, articolo 5, comma 2, e articolo 8 della
legge 431/1998), con esclusione dell’assoggettamento di tali redditi a Irpef, imposta di registro
e di bollo (relativa al contratto di locazione) per tutta la durata dell’opzione. Con l’articolo 4 del
cosiddetto “decreto Imu” (Dl 102/2013), il Legislatore ha ridotto, per gli immobili locati a
canone “concordato”, l’aliquota della cedolare secca al 15%, in luogo di quella previgente pari
al 19%, già a decorrere dall’anno di imposta 2013. Con l’articolo 9, comma 1, del decreto
odierno, il governo è nuovamente intervenuto sulla misura della tassazione, stabilendo una
nuova riduzione, sempre per tali contratti, dell’aliquota applicabile, ora prevista nella misura
del 10%, anziché del 15%, limitatamente al quadriennio 2014-2017. Peraltro, il secondo
comma del predetto articolo 9 ha aggiunto un comma 6-bis all’articolo 3 del Dlgs 23/2011, così
da estendere l’applicabilità del regime della cedolare secca anche ai contratti di locazione di
unità abitative stipulati con cooperative o enti senza scopo di lucro, purché sublocate a
studenti universitari, con rinuncia all’aggiornamento Istat del canone.
Locazione di alloggi sociali con imposizione ridotta e detrazione
Con il decreto odierno, particolare attenzione è stata rivolta anche agli alloggi sociali. L’articolo
6, infatti, prevede l’esenzione da tassazione ai fini delle imposte sul reddito e dell’Irap del 40%
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dei ricavi derivanti per l’impresa da canoni di locazione di alloggi sociali, fino all’eventuale
riscatto dell’unità immobiliare e comunque per un periodo non superiore a dieci anni dal
termine dei lavori di costruzione del nuovo immobile o di ristrutturazione di quello esistente.
Tale misura, tuttavia, prima di diventare operativa deve ottenere la prevista autorizzazione da
parte della Commissione Ue. Per quanto riguarda gli inquilini che affittano tali alloggi sociali,
invece, l’articolo 7 del decreto prevede una detrazione Irpef di 900 o 450 euro, a seconda che
il loro reddito sia non superiore a 15.493,71 euro ovvero sia superiore a tale importo ma non a
30.987,41 euro.
(Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 Ore - Guida Normativa, aprile 2014, n. 66)
 Riqualificazione energetica: tutti i numeri degli sconti
La legge di stabilità per il 2014 ha previsto l’estensione fino al 2015 dell’agevolazione fiscale a
sostegno delle politiche di miglioramento delle prestazioni energetiche nell’edilizia. In
particolare il Legislatore, con il comma 139 dell’articolo 1 della legge 147/2013, ha provveduto
a novellare l’articolo 14 del Dl 63/2013 convertito con modificazioni dalla legge 90/2013. Si
vedano di seguito le modifiche apportate
“Nuovo” e “vecchio” testo a confronto dell’articolo 14 del Dl 63/2013
1. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 1. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma
48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e 48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e
successive modificazioni, si applicano nella successive modificazioni, si applicano nella
misura del:
misura del 65 per cento anche alle spese
a)65 per cento, anche alle spese sostenute sostenute dalla data di entrata in vigore del
dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014;
presente decreto al 31 dicembre 2013.
b) 50 per cento, alle spese sostenute dal 1° 2. La detrazione spettante ai sensi del
gennaio 2015 al 31 dicembre 2015.
comma 1 si applica nella misura del 65 per
2. Le detrazioni di cui al comma 1 si cento alle spese sostenute dalla data di
applicano anche alle spese sostenute per entrata in vigore del presente decreto al 30
interventi relativi a parti comuni degli edifici giugno 2014 per interventi relativi a parti
condominiali di cui agli articoli 1117 e 1117- comuni degli edifici condominiali di cui agli
bis del codice civile o che interessino tutte le articoli 1117 e 1117-bis del codice civile o
unità immobiliari di cui si compone il singolo che interessino tutte le unità immobiliari di
condominio nella misura del:
cui si compone il singolo condominio.
a)65 per cento, per le spese sostenute dal 3. La detrazione spettante ai sensi del
6 giugno 2013 al 30 giugno 2015;
presente articolo è ripartita in dieci quote
b)50 per cento, per le spese sostenute dal annuali di pari importo. Si applicano, in
1º luglio 2015 al 30 giugno 2016.
quanto compatibili, le disposizioni di cui
3. La detrazione spettante ai sensi del all’articolo 1, comma 24, della legge 24
presente articolo è ripartita in dieci quote dicembre 2007, n. 244, e successive
annuali di pari importo. Si applicano, in modificazioni, e all’articolo 29, comma 6, del
quanto compatibili, le disposizioni di cui decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185,
all’articolo 1, comma 24, della legge 24 convertito, con modificazioni, dalla legge 28
dicembre 2007, n. 244, e successive gennaio 2009, n. 2.
modificazioni, e all’articolo 29, comma 6, del 3-bis. Al fine di effettuare il monitoraggio e
decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, la valutazione del risparmio energetico
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 conseguito a seguito della realizzazione degli
gennaio 2009, n. 2.
interventi di cui ai commi 1 e 2, l’Agenzia
3-bis. Al fine di effettuare il monitoraggio e nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e
la valutazione del risparmio energetico lo sviluppo economico sostenibile (ENEA)
conseguito a seguito della realizzazione degli elabora le informazioni contenute nelle
interventi di cui ai commi 1 e 2, l’Agenzia richieste di detrazione pervenute per via
nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e telematica e trasmette una relazione sui
lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) risultati degli interventi al Ministero dello
elabora le informazioni contenute nelle sviluppo
economico,
al
Ministero
richieste di detrazione pervenute per via dell’economia e delle finanze, alle regioni e
telematica e trasmette una relazione sui alle province autonome di Trento e Bolzano,
risultati degli interventi al Ministero dello nell’ambito delle rispettive competenze
sviluppo
economico,
al
Ministero territoriali. Nell’ambito di tale attività, l’ENEA
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dell’economia e delle finanze, alle regioni e
alle province autonome di Trento e Bolzano,
nell’ambito delle rispettive competenze
territoriali. Nell’ambito di tale attività, l’ENEA
predispone il costante aggiornamento del
sistema di reportistica multi-anno delle
dichiarazioni ai fini della detrazione fiscale di
cui all’articolo 1, comma 349, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, già attivo e assicura,
su richiesta, il necessario supporto tecnico
alle regioni e alle province autonome di
Trento e Bolzano.
predispone il costante aggiornamento del
sistema di reportistica multi-anno delle
dichiarazioni ai fini della detrazione fiscale di
cui all’articolo 1, comma 349, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, già attivo e assicura,
su richiesta, il necessario supporto tecnico
alle regioni e alle province autonome di
Trento e Bolzano.
Detrazione per interventi di efficienza energetica su singole unità
Con la modifica di cui al comma 1 dell’articolo 14, pertanto, è prorogata la detrazione fiscale
concessa su interventi che aumentano il livello di efficienza energetica delle singole unità
immobiliari esistenti. In particolare, la detrazione fiscale rimane al 65% per tutto il 2014, per
poi diminuire, nell’anno seguente, al 50% e attestarsi, dal 1° gennaio 2016, al 36%, per effetto
della sostituzione dell’agevolazione in questione con la detrazione fiscale prevista per le spese
di recupero del patrimonio edilizio.
Misure di detrazione per interventi di efficienza energetica su singole unità
PERIODO DI SOSTENIMENTO
DETRAZIONE IN PERCENTUALE
Fino al 5 giugno 2013
55%
Dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014
65%
Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2015
50%
Dal 1° gennaio 2016
36%
Per completezza si ricorda che, ai sensi del Dm 19 febbraio 2007, successivamente modificato
dal decreto 7 aprile 2008, tra gli interventi ammessi all’agevolazione fiscale rientrano:
– la riqualificazione energetica di edifici esistenti: qualsiasi intervento, o insieme sistematico di
interventi, che incida sulla prestazione energetica dell’edificio, realizzando la maggior efficienza
energetica richiesta;
– gli interventi sugli involucri degli edifici: strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti),
verticali (pareti generalmente esterne), finestre comprensive di infissi, delimitanti il volume
riscaldato, verso l’esterno o verso vani riscaldati, che rispettano i requisiti di trasmittanza;
– l’installazione dei pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o
industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di
ricovero e cura, istituti scolastici e Università;
- la sostituzione, integrale o parziale, di impianti di climatizzazione invernale.
A riguardo si evidenzia che l’agevolazione può essere richiesta per le spese sostenute nei limiti
di importo di seguito riportati.
Detrazione massima per interventi di efficienza energetica
TIPO DI INTERVENTO
DETRAZIONE MASSIMA
Riqualificazione energetica di edifici esistenti
100.000 euro
Rifacimento o sostituzione involucro di edifici (pareti, 60.000 euro
finestre...)
Installazione di pannelli solari
60.000 euro
Sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale
30.000 euro
Detrazione per interventi di efficienza energetica sulle parti comuni degli edifici
condominiali
Ai sensi del comma 2 dell’articolo 16, risultano prorogati anche i termini per fruire della
detrazione fiscale concessa su interventi che aumentano il livello di efficienza energetica delle
parti comuni degli edifici condominiali e per quelli che riguardano tutte le unità di cui si
compone il singolo condominio.
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In particolare, la detrazione fiscale rimane al 65% fino al 30 giugno 2015, per poi diminuire al
50%, dal 1° luglio 2015 al 30 giugno 2016, e successivamente attestarsi al 36%, per effetto
della sostituzione dell’agevolazione in questione con la detrazione fiscale prevista per le spese
di recupero del patrimonio edilizio.
Misure di detrazione per interventi di efficienza energetica su parti
comuni condominiali o su tutte le unità di cui si compone il condominio
PERIODO DI SOSTENIMENTO
DETRAZIONE IN PERCENTUALE
Fino al 5 giugno 2013
55%
Dal 6 giugno 2013 al 30 giugno 2015
65%
Dal 1 luglio 2015 al 30 giugno 2016
50%
Dal 1° luglio 2016
36%
A riguardo si evidenzia che l’agevolazione può essere richiesta per le spese sostenute nell’anno,
in base al criterio di cassa, nei limiti di importo riportati in precedenza e riferiti a ciascuna delle
unità immobiliari facenti parte dell’edificio. Nell’ipotesi in cui si tratti di un intervento di
riqualificazione energetica effettuato sull’intero condominio, l’importo massimo costituisce il
limite complessivo di detrazione da ripartire tra i soggetti che hanno diritto al beneficio.
Adempimenti richiesti
Al fine di beneficiare dell’agevolazione in esame, in contribuente, sia esso una persona fisica,
una società, un’associazione o un ente, deve acquisire i seguenti documenti:
– l’asseverazione del tecnico abilitato, o la dichiarazione resa dal direttore dei lavori ai sensi del
Dm 6 agosto 2009, ovvero l’attestato di partecipazione a un apposito corso di formazione,
nell’ipotesi di autocostruzione dei pannelli solari;
– l’attestato di prestazione energetica dell’edificio asseverato da un tecnico abilitato;
– la scheda informativa relativa agli interventi realizzati, rilasciata da un tecnico abilitato,
contenente: i dati identificativi del soggetto che ha sostenuto le spese e dell’edificio, la tipologia
di intervento eseguito e il risparmio energetico conseguito, il costo sostenuto per le spese
professionali e quello utilizzato per il calcolo della detrazione.
Il secondo e il terzo documento devono essere trasmessi telematicamente all’Enea (Agenzia
nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), entro 90
giorni dalla fine dei lavori.
Per gli interventi i cui lavori proseguono oltre il periodo d’imposta occorre inviare, in via
telematica, all’Agenzia delle entrate una comunicazione, entro 90 giorni dal termine del periodo
d’imposta nel quale i lavori hanno avuto inizio e si è provveduto ai relativi pagamenti, al fine di
usufruire della detrazione fiscale dei costi sopportati da utilizzare ai fini Irpef e Ires.
Documenti da conservare
Il contribuente deve conservare ed esibire all’amministrazione finanziaria la documentazione
relativa agli interventi realizzati. In particolare:
– il certificato di asseverazione redatto da un tecnico abilitato;
– la ricevuta di invio dei documenti all’Enea;
– le fatture o le ricevute fiscali comprovanti le spese sostenute per la realizzazione
dell’intervento;
– la ricevuta del bonifico di pagamento delle spese (solo per i non titolari di reddito d’impresa);
– la copia della delibera assembleare (per gli interventi effettuati su parti comuni di edifici);
– la copia della tabella millesimale di ripartizione delle spese (per gli interventi effettuati su
parti comuni di edifici).
(Laura Mazzola, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 13 marzo 2014)
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 Immobili
 Certificazione energetica, anche il Piemonte si adegua alla normativa nazionale -
Con la D.G.R. 17-7073 del 4 febbraio 2014 (pubblicata sul B.U. 7 del 13 febbraio), la regione
Piemonte ha aggiornato la disciplina sulla certificazione energetica in materia di attestati,
modificando la denominazione dell’Attestato di certificazione energetica in Attestato di
prestazione energetica, e ha recepito i criteri del D.P.R. 75/2013 sull’accreditamento dei
certificatori. Con la stessa delibera, la Giunta ha dato anche mandato alla Direzione
Innovazione Ricerca Università e Sviluppo Energetico Sostenibile di adottare gli atti necessari,
affinché il sistema informativo certificazione energetica degli edifici (SICEE) sia adeguato nel
più breve tempo possibile.
(Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 31 marzo 2014, n. 949)
 Distacco dal riscaldamento centrale, in Piemonte di fatto è vietato
La legge 220 dell'11 dicembre 2012, recante modifiche alla disciplina del condominio negli
edifici ha previsto all'articolo 1118 comma IV del Codice civile che, sussistendone le condizioni,
la possibilità per ciascun condomino di distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento,
pur mantenendo la proprietà dello stesso.
La disposizione richiamata testualmente prevede quanto segue: "Il condomino può rinunciare
all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo
distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri
condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese
per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma".
La possibilità di distacco è subordinata a due condizioni che devono congiuntamente esistere:
1.non derivino notevoli squilibri di funzionamento
2.non derivino aggravi di spesa per gli altri condomini.
Sussistendo tali requisiti, il condomino non abbisogna di alcuna autorizzazione assembleare e
può procedere con il distacco.
Si profila, però, un contrasto con le disposizioni della Regione Piemonte.
Infatti la legge della Regione Piemonte 28 maggio 2007, n. 13 , recante "Disposizioni in
materia di rendimento energetico nell'edilizia", prevede, al Capo V sotto la rubrica "integrazioni
edilizie", all'articolo 19 (Predisposizione a servizi energetici centralizzati) comma 1 che "Gli
edifici nuovi e quelli soggetti agli interventi di cui all'articolo 2, comma 2, lettere d) (nuova
installazione di impianti termici in edifici esistenti n.d.r.) ed e) (ristrutturazione di impianti
termici n.d.r.), composti da più di quattro unità abitative, sono dotati di impianto centralizzato
di produzione di acqua calda sanitaria e di riscaldamento, nonché di sistemi automatizzati di
termoregolazione e contabilizzazione individuale del calore".
Ai sensi dell'Allegato A:
•quale "nuova installazione di impianti termici in edifici esistenti" deve intendersi: "impianto
termico installato in un edificio di nuova costruzione o in un edificio o porzione di edificio
antecedentemente privo di impianto termico";
•quale "ristrutturazione di impianti termici" deve intendersi: "insieme di opere che comportano
la modifica sostanziale sia dei sistemi di produzione che di distribuzione del calore; rientrano in
questa categoria anche la trasformazione di un impianto termico centralizzato in impianti
termici individuali nonché la risistemazione impiantistica nelle singole unità immobiliari o parti
di edificio in caso di installazione di un impianto termico individuale previo distacco
dall'impianto termico centralizzato".
Ai sensi dell'articolo 3 lettera h) della medesima Legge,
•quale "impianto termico" deve intendersi "impianto tecnologico destinato alla climatizzazione
invernale degli ambienti con o senza produzione di acqua calda per usi igienici e sanitari o alla
sola produzione centralizzata di acqua calda per gli stessi usi, comprendente sistemi di
produzione, distribuzione e utilizzazione del calore, nonché gli organi di regolazione e di
controllo; sono compresi negli impianti termici gli impianti individuali di riscaldamento, mentre
non sono considerati impianti termici apparecchi quali stufe, caminetti, radiatori individuali,
scaldacqua unifamiliari"
Ai fini della legislazione regionale, pertanto, il distacco effettuato ai sensi del (nuovo) articolo
1118 comma iV del Codice Civile, seguito dalla risistemazione impiantistica volta
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all'installazione di altro impianto termico individuale ai sensi dell'articolo 3 lettera h) della
citata Legge Regionale, viene ad essere definito ristrutturazione che, quindi, rientra nel
combinato disposto della Legge 13/2007 articolo 19 comma 1 e articolo 2 comma 2 con
conseguente obbligo di impianto centralizzato di riscaldamento.
Al fine di chiarire ogni dubbio, Anaci Regione Piemonte e Valle d'Aosta, Fiopa (Federazione
Interregionale degli Ordini degli Ingegneri del Piemonte e della Valle d'Aosta) e Anta
(Associazione Nazionale Termotecnici ed Aerotecnici), hanno rivolto un quesito alla Regione
Piemonte al fine di sapere se:
1) La Legge regionale vieta il distacco e la successiva installazione di impianto termico diverso
da quello centralizzato;
2) La Legge Regionale prevale sulla Legge Nazionale;
3) quale sia la sanzione a carico di colui che si distacca.
La Regione Piemonte ha rilascato il seguente parere dal quale, sostanzialmente, emerge che:
1) è vietato il distacco con conseguente installazione di impianto autonomo
2) la Legge Regionale, attesa la competenza ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, ha
potere legislativo in materia
3) per colui che si distacca trova applicazione la sanzione amministrativa da € 5.000 a €
15.000.
(Edoardo Riccio, Il Sole 24 ORE, 21 marzo 2014)

«Mini-caldaie» a ostacoli
Il passaggio dal centralizzato è possibile solo se si dimostrano i vantaggi
Per chi abita in condominio la tentazione di passare al riscaldamento autonomo, anche se è
dimostrato che – eccetto rarissimi casi – si tratta di uno spreco energetico, rimane sempre
forte. Sono in molti a voler regolare da soli la temperatura i casa ma a rifiutare i
contabilizzatori di calore e a "pretendere" la caldaietta. Le norme, però, rendono
estremamente difficoltosa questa scelta. Vediamo come procedere.
Il Codice civile
L'impianto di riscaldamento, se esistente dalla costruzione del condominio e salvo che il titolo
non disponga diversamente, è di proprietà comune, ai sensi dell'articolo 1117 del Codice civile.
Quindi la soppressione è di per sé vietata, se non con il consenso di tutti i condomini, come
conseguenza dell'articolo 1120, ultimo comma, dello stesso Codice, che vieta le innovazioni
che rendano alcune parti comuni inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Una delibera di soppressione, infatti, non comporta una semplice modifica, ma una radicale
trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica,
pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate all'impianto centralizzato.
Le leggi successive
Sul Codice civile è intervenuta in seguito la legge 10/91, il cui articolo 26, comma 2, prevedeva
una maggioranza speciale per favorire gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al
contenimento dei consumi energetici. La formulazione originaria della norma stabiliva una
maggioranza agevolata per gli interventi su parti comuni di edifici diretti al contenimento del
consumo energetico, e quelli indicati all'articolo 8 della stessa norma. Tra questi ultimi era
espressamente prevista proprio la «trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in
impianti unifamiliari a gas». In pratica, la legge 10/91 autorizzava gli interventi che l'articolo
1120 vietava.
Nel 2006 (con il Dlgs 311), però, l'articolo 26 della legge 10/1991 veniva cambiato e perdeva il
riferimento alla trasformazionne da centralizzato in autonomo. Non solo: gli interventi sugli
edifici e sugli impianti, per godere della maggioranza agevolata (cioè quella degli intervenuti
che rappresenti almeno 1/3 dei millesimi), devono essere individuati attraverso un attestato di
prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato. Quindi, ora,
ci si chiede se sia o meno ancora possibile sopprimere il riscaldamento centralizzato e
prevedere l'installazione di impianti autonomi.
La situazione attuale
Lo stesso legislatore del 2006, che ha modificato il richiamo all'articolo 8 della legge 10/91,
non ha infatti modificato le definizioni contenute nel Dlgs 192/2005. Qui, all'allegato A, numero
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43, viene considerato «ristrutturazione di un impianto termico» l'insieme di opere che
comportano la modifica sostanziale sia dei sistemi di produzione sia di quelli di distribuzione ed
emissione del calore, precisando che rientrano in questa categoria anche la trasformazione di
un impianto termico centralizzato in impianti termici individuali.
Si consideri però che il Dlgs 115/2008, all'allegato II, punto 4, comma 2, nel dettare
disposizioni in materia di contratto di servizio energia, vieta espressamente (ma solo in questo
caso) la trasformazione di un impianto di climatizzazione centralizzato in impianti di
climatizzazione individuali. Sembrerebbe, quindi, che vietando espressamente questa
possibilità nel caso del contratto energia sia da ritenersi non vietata la trasformazione
dell'impianto centralizzato in impianti autonomi negli altri casi.
La stessa trasformazione, però, va supportata da una diagnosi energetica o da un attestato di
prestazione energetica (articolo 26, comma 2 della legge 10/1991). Nel caso in cui questa
diagnosi o attestazione dovesse dimostrare che l'intervento vada a contenere i consumi
energetici (il che è molto difficile, a meno che si tratti di un vecchissima ed energivora), il
passaggio dal centralizzato all'autonomo potrà essere validamente deliberato dall'assemblea
con la maggioranza prevista dalla riforma del condominio (legge 220/2012), cioè la
maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 1/3 del valore dell'edificio. In questo
senso si è pronunciato anche il Tribunale Palermo, sezione II con sentenza del 29 marzo 2012.
Naturalmente, bisogna tenere conto delle norme regionali (si veda l'articolo nella pagina), che
a volte rendono di fatto impossibile in ogni caso la delibera.
(Edoardo Riccio, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 marzo 2014)

Da alcune Regioni arriva lo stop alla modifica
La soppressione dell'impianto centralizzato è teoricamente possibile (se si dimostra che si
realizza un risparmio energetico attestato da diagnosi o attestazione) ma a livello locale le cose
sono più complicate.
Le leggi regionali del Piemonte e dell'Emilia Romagna, per esempio, vietano di dotare i palazzi
composti da oltre 4 unità immobiliari (indipendentemente dal numero dei condomini) di
riscaldamento diverso dal centralizzato.
Inoltre, il Dpr del 2 aprile 2009, all'articolo 4, comma 9, prevede che «In tutti gli edifici
esistenti con un numero di unità abitative superiore a 4, e in ogni caso per potenze nominali
del generatore di calore dell'impianto centralizzato maggiore o uguale a 100 kW, appartenenti
alle categorie E1 ed E2, così come classificati in base alla destinazione d'uso all'articolo 3, del
decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, è preferibile il mantenimento
di impianti termici centralizzati laddove esistenti; le cause tecniche o di forza maggiore per
ricorrere a eventuali interventi finalizzati alla trasformazione degli impianti termici centralizzati
ad impianti con generazione di calore separata per singola unità abitativa devono essere
dichiarate nella relazione di cui al comma 25».
Non vi è insomma, nel Dpr del 2009, un divieto assoluto di trasformazione, ma la possibilità
viene subordinata alla produzione di una perizia tecnica che ne attesti l'impossibilità della
conservazione. Ma questo articolo 4 sarà abrogato dall'entrata in vigore dei decreti attuativi
conseguenti all'approvazione della legge 90/2013.
Va poi ricordato che il Dpr 59/2009, attuativo del Dlgs 192/2005 e che regola la prestazione
energetica degli edifici, non trova applicazione nelle Regioni (tra le quali la Lombardia) che
abbiano autonomamente provveduto a recepire la Direttiva europea 2002/91/CE. E sul punto
nulla dice la nuova delibera di Giunta della Regione Lombardia, n. X 1118/2013 pubblicata a
fine dicembre 2013.
Ne consegue che, nei limiti previsti dalle eventuali legislazioni regionali (come in Piemonte ed
Emilia Romagna) il riscaldamento in impianti autonomi sarebbe possibile, con la maggioranza
degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno 1/3 dei millesimi, se supportata da
diagnosi energetica o da Attestato di Prestazione energetica.
Questi documenti dovrebbero di fatto dimostrare che il miglior impianto centralizzato
progettato per consentire al massimo, in base allo stato della scienza e della tecnica, il
contenimento dei consumi energetici, consumerebbe maggior energia dell'insieme degli
impianti autonomi a parità di funzionamento.
(Edoardo Riccio, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 marzo 2014)
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
Con gli estimi va in pensione il «vecchio» classamento
Le dimensioni degli immobili vengono calcolate a metro quadrato e non più a vani
L'accertamento degli estimi per le singole unità immobiliari urbane, denominato "classamento"
perché faceva riferimento all'attribuzione di una "classe" di redditività nella categoria catastale
di appartenenza, cambia totalmente i connotati e conseguentemente denominazione.
Si potrà parlare più propriamente di "accertamento degli estimi", in luogo di classamento, e
l'operazione sarà caratterizzata da rilevanti novità rispetto al passato, di cui si riassumono le
principali:
denominazione della categoria catastale secondo un nuovo quadro di qualificazione;
- introduzione del metro quadrato di superficie come parametro di misura della consistenza
immobiliare delle unità a destinazione ordinaria;
- determinazione sia della rendita che del valore patrimoniale.
- algoritmo di stima dei nuovi estimi costituito da una espressione matematica.
La categoria
Circa il primo punto, a riforma completata, le nostre unità immobiliari assumeranno una nuova
categoria catastale denominata "destinazione d'uso funzionale". Tanto per capirci, nel gruppo
delle abitazioni anziché le categorie A/1, A/2, A/3, A/4, A/5, A/6 vedremo l'introduzione di
un'unica categoria catastale denominata R/1 "Abitazioni in fabbricati residenziali e promiscui"
(unità in un condominio) e per le categorie A/7 e A/8 l'unica categoria R/2 "Abitazioni in villino
e in villa", mentre la categoria A/11 "Abitazioni tipiche dei luoghi", molto marginale per unità
presenti, cambierà solo codifica in R/3, conservando la originaria denominazione.
Per il secondo aspetto il parametro di misura della dimensione fisica delle unità immobiliari a
destinazione ordinaria, definito "consistenza", diventerà univocamente il m2 di superficie. Le
unità immobiliari a destinazione ordinaria sono quelle dei gruppi di categorie R, T e P. Salvo
lievi modifiche, da aggiornamento con i decreti legislativi attuativi della delega, i criteri per il
calcolo della superficie dovrebbero essere quelli stabiliti con il Dpr n. 138/98, sulla base di una
superficie lorda convenzionale. È rilevante il miglioramento della qualità dei dati che ne
deriverà soprattutto per le categorie prima parametrate con il vano catastale (abitazioni e uffici
privati).
Gli estimi
La determinazione degli estimi mostrerà gli effetti sostanziali della riforma. Quando si andrà ad
eseguire una visura degli atti catastali, nel sistema riformato, a margine dei confermati
identificativi immobiliari, troveremo dei nuovi dati costituiti da:
- microzona di appartenenza;
- nuova categoria catastale;
- dati numeri di superficie e degli altri parametri utilizzati per la stima;
- rendita;
- valore patrimoniale.
I nuovi dati di estimo (rendita e valore patrimoniale) sono determinati ciascuno attraverso una
espressione matematica che elaborando i valori specifici della superficie e degli altri parametri
tecnici dell'unità immobiliare (presenti nella funzione di stima), restituisce il valore della
rendita o quello patrimoniale. Le risultanze catastali dovranno indicare anche la funzione di
stima applicata (si presume attraverso un codice che colleghi la funzione al set di funzioni che
saranno pubblicate in Gazzetta ufficiale).
Il calcolo della rendita
Queste informazioni consentiranno al contribuente di verificare oltre alla categoria, i valori
attribuiti a ciascun parametro di stima e relativo calcolo della rendita e del valore patrimoniale.
Per i conteggi sarà necessario disporre di una calcolatrice che esegua le operazioni primarie
(somma e prodotto), anche nei casi in cui la forma della funzione potrebbe essere complessa.
Di fatto i calcoli più complessi (quali l'elevazione a potenza) possono essere bypassati
attraverso tabelle di comparazione che forniscano a fronte del valore del parametro il dato già
elaborato.
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Tutela anticipata per il contribuente
In tema di competenze, le Commissioni censuarie dovranno validare anche le previste funzioni
statistiche (che vanno a sostituire gli attuali quadri tariffari). Come fatto innovativo rispetto al
passato prossimo, ma che richiama il passato remoto (formazione del catasto edilizio urbano)
sono state introdotte procedure deflattive del contenzioso catastale. Tra i membri delle
commissioni è prevista la presenza di:
rappresentanti dell'agenzia delle Entrate (nelle Commissioni provinciali ora non ci sono);
rappresentanti degli enti locali, i cui criteri di nomina sono fissati d'intesa con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali (novità per entrambe le commissioni);
- professionisti, tecnici e docenti qualificati in materia di economia e di estimo urbano e rurale;
- esperti di statistica e di econometria anche indicati dalle associazioni di categoria del settore
immobiliare (ora non ci sono);
- magistrati appartenenti alla giurisdizione ordinaria e amministrativa (ora non ci sono);
- per le Commissioni censuarie provinciali di Trento e Bolzano, rappresentanti delle Province
autonome di Trento e di Bolzano.
È auspicabile che i decreti attuativi disciplinino sapientemente il nuovo istituto di tutela
anticipata del contribuente con diritto ad una risposta entro 60 giorni disponendo almeno che il
termine (ordinario ma sarebbe opportuno allungarlo) per la preposizione del ricorso tributario
decorra solo dal ricevimento del diniego all'istanza di autotutela. Diversamente tale nuovo
istituto non porterà alcun beneficio pratico, al pari dell'autotutela, che non interrompe il
termine del ricorso.
Aliquote modificate ma gettito invariato
La legge delega impone l'invarianza del gettito delle singole imposte immobiliari ante e post
riforma, con la modifica delle relative aliquote impositive, delle eventuali deduzioni, detrazioni
o franchigie, finalizzate ad evitare un aggravio del carico fiscale, con particolare riferimento alle
imposte sui trasferimenti e all'imposta municipale propria (Imu).La delega prevede come
espletare tali controlli e cioè con un meccanismo di monitoraggio, con una relazione del
Governo al Parlamento da produrre entro sei mesi dall'attribuzione dei nuovi valori catastali e
attraverso successive relazioni, per verificare l'invarianza di gettito e la necessaria gradualità,
anche mediante successivi interventi correttivi.
Sulla questione sono riposte molte aspettative indebite come se ci si trovasse di fronte ad un
incommensurabile quanto inesistente tesoro. L'esperienza sui comuni per i quali è stata
eseguita la revisione parziale del classamento ai sensi del comma 335 dell'articolo 1 della legge
311/04 ha evidenziato che la revisione porta un innalzamento medio delle rendite del 25% per
riequilibrio tra chi oggi paga troppo e chi poco. Lo spirito della norma è di non innalzare la
pressione fiscale nel settore immobiliare. Quindi, nemmeno questo 25% o quello che potrà
essere può entrare nella ridistribuzione. Per cui l'invarianza, senza il gioco delle tre carte, si
realizza attraverso una fotografia delle varie entrate tributarie immobiliari e relative aliquote a
consuntivo ante riforma e ipotesi di entrate e di nuove aliquote con i valori d'estimo post
riforma ed imponendone l'uguaglianza (cioè tante semplici equazioni di primo grado).
Le novità
La categoria
Le unità immobiliari assumeranno una nuova categoria catastale
denominata "destinazione d'uso funzionale". Nel gruppo delle
abitazioni anziché le categorie A/1, A/2, A/3, A/4, A/5, A/6 vedremo
l'introduzione di un'unica categoria denominata R/1 "Abitazioni in
fabbricati residenziali promiscui" e per le categorie A/7 e A/8 l'unica
categoria R/2 "Abitazioni in villino o in villa" mentre l'A/11 "Abitazioni
tipiche dei luoghi" cambierà codifica in R/3
Il parametro
Sarà introdotto il metro quadrato di superficie come parametro di
misura della consistenza immobiliare delle unità a destinazione
ordinaria
Valore
Gli effetti sostanziali della riforma si mostreranno nella determinazione
patrimoniale
degli estimi. Nella visura catastale post riforma ci saranno nuovi dati:
la microzona di appartenenza, la categoria catastale, la rendita e il
valore patrimoniale
Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – Focus La riforma del Fisco, 12 marzo 2014
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 Locazioni immobiliari
 Per la cedolare al 10% vecchi contratti da rifare
Sono numerose le novità, a favore del settore, nel decreto casa, il Dl 47/2014, pubblicato sulla
«Gazzetta Ufficiale» n. 73 del 28 marzo 2014. La principale è la riduzione, al 10%, della
cedolare secca sugli affitti abitativi. Visto che questo regime di tassazione diventa più
conveniente, è importante capire come deve fare per entrarvi chi finora ha pagato l'Irpef
ordinaria. La questione riguarda molti: gran parte dei proprietari finora ha optato per il canone
di mercato.
Per passare alla cedolare secca, il proprietario e l'inquilino dovranno, di comune accordo,
risolvere l'originario rapporto contrattuale di locazione, assoggettato all'imposta del 21%. A
quel punto, ne potranno sottoscrivere uno nuovo sulla base delle disposizioni sui contratti
concordati, esclusa l'applicazione dell'Istat. E godere così dell'aliquota più ridotta.
La cedolare secca è una forma alternativa di fiscalità, che sottopone le rendite da locazione
abitativa tra persone fisiche ad un prelievo tout court in sostituzione alla ordinaria tassazione
Irpef.
In sostanza, l'articolo 9 del Dl 47 riduce la percentuale dell'imposta al 10%, anche se solo per i
contratti a canone concordato. Ma il vero cambiamento interessa anche chi ha un contratto a
canone di mercato, perché potrebbe essere invogliato a passare a quello concordato. Infatti, la
differenza tra i due regimi di cedolare è ormai molto forte: tra il 21% e il 10 % la differenza è
dell'11% e in parecchie città la linea che separa il canone concordato (un tempo assai più
basso) da quello di mercato (che negli ultimi anni ha subìto un crollo generale) è minima.
La riduzione si innesta sul quadro precedente. Sinora era previsto:
 per i contratti a regime ordinario o di mercato (4 anni+4,) l'aliquota del 21%, tuttora
vigente e applicabile sull'intero territorio nazionale;
 per i contratti concordati, quelli che applicano i canoni previsti dagli accordi territoriali,
prima il 19%, poi ridotto al 15% e ora, dopo la pubblicazione del decreto casa, al 10%.
Ma quest'ultima aliquota è applicabile solo nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal
Comitato interministeriale per la programmazione economica.
Le aliquote colpiscono l'intero importo del canone e i contribuenti non godono, quindi, delle
detrazioni previste nel caso di assoggettamento di quegli imponibili all'Irpef.
La scelta tra le due diverse forme di tassazione (Irpef o cedolare) è a discrezione del locatore.
L'opzione può essere contenuta nel contratto o formulata in corso di rapporto. In tal caso, la
scelta deve essere preceduta, obbligatoriamente, dalla comunicazione al conduttore della
rinuncia all'aggiornamento Istat annuale del canone.
Ma quali scelte può fare oggi il proprietario? L'opzione per la cedolare, se già contenuta nel
contratto originario, non determina altri adempimenti, risultando già nel mod. 69 dell'agenzia
delle Entrate, modulo con il quale si provvede alla normale registrazione del contratto:
l'aliquota ridotta scatta automaticamente.
Se invece la scelta viene operata in corso di rapporto, nel senso che il proprietario aveva
originariamente optato per l'Irpef, questi deve effettuare due adempimenti: dopo la
comunicazione all'inquilino della rinuncia all'adeguamento Istat, l'opzione per la cedolare va
comunicata all'agenzia delle Entrate, sempre attraverso il mod. 69, da presentare all'ufficio.
La cedolare secca assorbe ed esclude ogni altra imposta che riguardi il rapporto di locazione.
Pertanto non si dovranno più corrispondere l'imposta di registro annuale - neanche per
eventuali modifiche del contratto (anticipata risoluzione, modifica del canone), bollo - e, come
detto, l'Irpef. Attenzione perché, nel caso di erroneo pagamento, gli importi non sono
restituibili.Gli adempimenti per l'imposta sostitutiva – scadenze e modalità (acconto e saldo) –
sono gli stessi dell'Irpef (le istruzioni sono sul sito dell'agenzia delle Entrate).
(Ladislao Kowalski, Michele Gianessi, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 30 marzo 2014)

Locazioni di immobili vincolati e di cat. A/1, A/8, A/9.
Non tutti i contratti di locazione ad uso abitativo ricadono nella disciplina della legge n.
431/1998. Infatti, per determinate fattispecie contrattuali, non sussistono dubbi circa la
loro non soggezione alla normativa della legge 431/1998, essendo la stessa legge ad
escluderle. Per talune di esse, l'art. 1 precisa espressamente anche la disciplina cui le stesse
fattispecie sono soggette, mentre per altre si limita a indicare quali disposizioni della legge
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siano ad esse inapplicabili. In particolare, ai sensi dell’art. 1, n. 2 lettera a), della legge n. 431
del 1998, gli artt. 2, 3, 4, 7, 8 e 13 della legge stessa e quindi, di fatto, tutte le disposizioni
afferenti il corrispettivo, la durata, la rinnovazione del rapporto e le agevolazioni
fiscali, non si applicano agli immobili vincolati ai sensi della legge n. 1089/ 1939, né agli
immobili inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. La norma in esame prescrive
che ai contratti relativi a queste categorie di immobili si applichino le disposizioni di cui agli
artt. 1571 ss. cod. civ. “.. qualora non siano stipulati, secondo le modalità di cui al 3° co.
dell'art. 2 della legge…” Ciò equivale a dire che tali immobili possono anche essere concessi in
locazione in base ai contratti a canone concordato e quindi usufruire delle agevolazioni
fiscali previste per tale opzione, ma, in caso contrario, il relativo rapporto sarà regolato, fatta
salva la prescrizione del requisito della forma scritta, dalla normativa del codice civile. Le
due ipotesi di esclusione sono inequivocabilmente enunciate dal legislatore in via
alternativa: è sufficiente perciò l'accertamento della sussistenza di una sola di esse per
riconoscere la riconducibilità del rapporto locativo alla disciplina codicistica generale.
 IMMOBILI VINCOLATI COME BENI CULTURALI
 IMMOBILI INCLUSI NELLE CATEGORIE CATASTALI A1, A8, A9
Sono esclusi dalla applicazione della legge n. 431/1998 salva la prescrizione del
requisito della forma scritta
Per le locazioni di tali immobili si applica la disciplina del Codice Civile (art. 1571 ss.
cod. civ.) salvo che le parti decidano di avvalersi dello schema contrattuale che prevede il
canone concordato e le agevolazioni fiscali
L’espressa esenzione dalla normativa vincolistica di tutela del conduttore, che, nell'uno e
nell'altro caso, risponde a diverse ragioni di politica legislativa, poggia su due parametri
oggettivi:
 Immobili vincolati quali immobili facenti parti della categoria dei beni culturali
 Immobili legati ai dati di classamento catastale
Per quanto riguarda gli immobili vincolati, è sufficiente in questa sede limitarci a ricordare
che sono definiti beni culturali, ai sensi del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.
137), le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici
territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private
senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano
interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Sono, altresì, beni
culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale, anche le cose
immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico “particolarmente importante”, appartenenti a soggetti diversi da
quelli indicati in precedenza (Enti non riconosciuti, società, persone fisiche). Il Codice dei beni
culturali disciplina il procedimento amministrativo di accertamento che culmina nella
dichiarazione dell'interesse culturale adottata dal Ministero per i beni e le attività culturali.
Quest’ultima è notificata al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della
cosa che ne forma oggetto, tramite messo comunale o a mezzo posta raccomandata con
avviso di ricevimento. Ove poi si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare o mobiliare,
il provvedimento di dichiarazione è trascritto, su richiesta del soprintendente, nei relativi
registri ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o
detentore a qualsiasi titolo. Dei beni dichiarati il Ministero per i beni e le attività culturali
forma e conserva un apposito elenco, anche su supporto informatico. Gli atti che
trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni
mobili, la detenzione di beni culturali sono denunciati al predetto Ministero.
Per quanto riguarda
premettere che le
L’esclusione prevista
A/1 - Abitazioni di
invece gli immobili legati ai dati di classamento catastale, occorre
unità immobiliari urbane sono classificate in gruppi/categorie catastali.
dalla legge n. 431/1998 opera in riferimento alle seguenti categorie:
tipo signorile.
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Unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche
costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo
residenziale.
A/8 - Abitazioni in ville.
Per ville devono intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di
parco e/o giardino, edificate in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio
con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all'ordinario.
A/9 - Castelli, palazzi eminenti
Rientrano in questa categoria i castelli ed i palazzi eminenti che per la loro struttura, la
ripartizione degli spazi interni e dei volumi edificati non sono comparabili con le Unità tipo delle
altre categorie; costituiscono ordinariamente una sola unità immobiliare. E' compatibile con
l'attribuzione della categoria A/9 la presenza di altre unità, funzionalmente indipendenti,
censibili nelle altre categorie.
(Federico Ciaccafava, Tecnici24)
 Affitti, boom di adesioni alla cedolare secca nell'ultimo anno: la sceglie (quasi) un
proprietario su due
Quello che non sappiamo, è se pesi di più la convenienza fiscale o l'emersione degli affitti in
nero. Di certo, però, i dati delle Finanze sulle ultime dichiarazioni fiscali dimostrano che
l'appeal della cedolare secca sugli affitti è cresciuto parecchio. Sono quasi 800mila i proprietari
di case che hanno scelto la "tassa piatta" nel 2012, con un aumento del 58% rispetto all'anno
precedente. Per l'esattezza, 764.474 contribuenti. Se si considera che in base alle ultime stime
ci sono circa 2 milioni di persone fisiche proprietarie di un'abitazione affittata, è facile rendersi
conto del grande successo della nuova imposta, introdotta ad aprile del 2011.
La convenienza per i privati
La possibilità di chiudere i conti con il Fisco pagando il 21% di imposta sostitutiva (19% sui
canoni concordati) si è rivelata un vantaggio quasi imperdibile, anche perché la cedolare secca
è uno degli ultimi "regali" in un panorama di imposte crescenti sugli immobili, dall'Imu alla
Tasi, passando per il taglio delle deduzioni forfettarie Irpef riservate a chi applica la tassazione
ordinaria, scattato dal 2013. È vero che la cedolare secca impone al proprietario di rinunciare
all'aggiornamento Istat, ma l'inflazione annua a febbraio viaggia allo 0,5% e chi opta per la
tassa piatta evita di pagare, oltre all'Irpef, anche le addizionali, l'imposta di registro e il bollo.
L'emersione del nero
La cedolare è stata introdotta anche per contrastare gli affitti in nero, e non a caso nello stesso
decreto che prevedeva la tassa piatta (Dlgs 23/2011, articolo 3) c'era anche la possibilità per
gli inquilini di denunciare alle Entrate i proprietari, ottenendo in cambio un canone superscontato. Ora questa chance è stata cancellata dalla Corte costituzionale, ma è difficile dire
quanto del successo registrato dalla cedolare secca nel 2012 dipenda dalla registrazione di
nuovi affitti - che prima erano in nero - e quanto dipenda invece dall'applicazione dell'imposta
sostitutiva ad affitti che in precedenza pagavano la tassazione ordinaria. Ci sono due indizi che
fanno pensare a una discreta emersione di affitti irregolari: da un lato, il numero dei nuovi
contratti registrati è aumentato (quasi 100mila in più tra il 2012 e il 2011); dall'altro, se si
escludono le modifiche normative del 2012, si vede che i redditi di fabbricati sono comunque
cresciuti di oltre un miliardo.
I conti per lo Stato
L'aumento dei redditi di fabbricati dichiarati nel 2012 fa pensare che la crescita della cedolare
secca non sia avvenuta a danno delle locazioni soggette a tassazione ordinaria (non del tutto,
per lo meno). Questo è un punto importante anche per lo Stato, perché potrebbe voler dire che
l'operazione - contrariamente a ciò che pensano in molti - non è stata interamente in perdita
per le casse pubbliche. Nel 2012 la cedolare secca ha fruttato 1,2 miliardi: è chiaro che lo
Stato ci avrebbe guadagnato di più se avesse applicato la tassazione ordinaria ai 5,9 miliardi di
canoni soggetti alla cedolare, ma una parte più o meno grande di questa base imponibile
potrebbe essere stata tassata per la prima volta proprio grazie al nuovo regime fiscale. Resta
l'incognita - a questo punto - di ciò che potrà accadere adesso che il canone super-scontato
per l'inquilino è stato eliminato.
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
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Canone libero e concordato
La cedolare secca è applicata quasi interamente sui canoni liberi. Basti pensare che l'imposta
sui canoni concordati frutta meno di 150 milioni su 1,2 miliardi. Il decreto casa del Governo,
però, riduce dal 2014 al 10% l'aliquota della cedolare sugli affitti convenzionati, che era stata
già portata al 15% nel 2013. L'effetto di questo sgravio fiscale potrà essere misurato solo tra
qualche tempo, ma si tratta di una variabile in più di cui devono tenere conto i proprietari di
immobili. Quanto meno, quelli che scelgono di avere le carte in regola nei confronti del Fisco.
(Cristiano Dell’Oste, Il Sole 24 ORE – 28 marzo 2014)
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Legge e prassi

(G.U. 31 marzo 2014, n. 75)
 Immobili
PROVVEDIMENTO DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE 4 marzo 2014
Attivazione del servizio di consultazione telematica delle banche dati ipotecaria e catastale
relativo a beni immobili dei quali il soggetto richiedente risulta titolare, anche in parte, del
diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento
 NOTA
Consultabili gratis on line i dati ipotecari e catastali
A decorrere dal 31 marzo 2014, le persone fisiche registrate ai servizi telematici Fisconline ed
Entratel potranno consultare online, gratuitamente e in esenzione da tributi, le banche dati
ipotecaria e catastale relative ai beni immobili dei quali risultano titolari, anche in parte, del
diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento. Relativamente alla banca dati catastale,
dalla medesima data del 31 marzo 2014, l’accesso gratuito è esteso alle consultazioni richieste
presso gli sportelli catastali decentrati (circolare 28 settembre 2012 n. 4/T).
Lo ha stabilito il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate (n. prot. 2014/31224)
del 4 marzo 2014, che disciplina le modalità e i tempi di accesso alla procedura telematica di
consultazione delle predette banche dati, secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 5quinquies, del Dl 2 marzo 2012 n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012
n. 44.
La fattispecie. La banca dati catastale rappresenta l’archivio dei dati che elencano e
descrivono i beni immobili registrati presso l’ex Agenzia del territorio (accorpata, a decorrere
dal 1° dicembre 2012, all’Agenzia delle entrate, in virtù dell’articolo 23-quater, comma 1, del
Dl 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 135/2012).
La banca dati ipotecaria (o dei registri immobiliari) costituisce l’anagrafe dei beni immobiliari
esistenti sul territorio nazionale. Essa, in estrema sintesi, consente di realizzare la cosiddetta
“pubblicità immobiliare”, al fine di rendere pubblica la storia dell’immobile (trascrizioni,
iscrizioni, annotazioni, disposizioni giudiziali, successioni e altri eventi che comportano modifica
del diritto di proprietà e degli altri diritti reali di godimento a favore o contro determinati
soggetti).
Il quadro normativo. Il Dl 16/2012 ha introdotto novità riguardanti il trattamento tributario
per l’accesso alle predette banche dati e la presentazione degli atti di aggiornamento del
catastato edilizio urbano. Particolare rilievo assume il disposto di cui ai commi 5-quater e 5quinquies dell’articolo 6, che introducono la gratuità delle visure catastali e delle ispezioni
ipotecarie qualora il soggetto richiedente risulti titolare, anche in parte, del diritto di proprietà
o di altri diritti reali di godimento sugli immobili oggetto di consultazione (“visure personali”).
Mentre la gratuità delle ispezioni ipotecarie, alle predette condizioni, è divenuta esecutiva già
dall’entrata in vigore della legge di conversione del citato Dl (29 aprile 2012), per le visure
catastali si è dovuto attendere il 1° ottobre 2012, data in cui ha acquisito efficacia la nuova
tabella dei tributi speciali catastali (comma 5-septies dello stesso articolo 6).
Per quanto concerne le visure catastali, il requisito soggettivo che dà diritto alla gratuità della
visura è correlato alla circostanza che il richiedente il servizio sia iscritto negli atti del catasto e
che risulti, dunque, “intestatario catastale” degli immobili oggetto di consultazione.
Per le ispezioni ipotecarie la titolarità, anche se non esclusiva, deve risultare da apposita
dichiarazione del soggetto interessato, salvo che essa non risulti già dalla visura catastale.
Non rientrano nella nozione di titolarità, quale specificamente prevista ai fini dell’agevolazione:
– la titolarità di diritti reali di garanzia;
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– la situazione giuridica del soggetto richiedente connessa a formalità, eseguite a favore dello
stesso, concernenti atti che non abbiano effetti di natura traslativa o dichiarativa (circolare n.
4/T, citata).
Il provvedimento direttoriale. In attuazione del comma 5-quinquies dell’articolo 6 del citato
Dl 16/2012, il provvedimento direttoriale in esame stabilisce le modalità e i tempi di accesso al
servizio di consultazione “personale” delle sopra indicate banche dati.
In particolare, il provvedimento precisa che l’accesso al servizio di consultazione telematica
delle banche dati è consentito, in questa prima fase, soltanto alle persone fisiche registrate ai
servizi telematici Entratel e Fisconline. Detti soggetti, mediante l’esibizione del proprio codice
fiscale, potranno consultare, relativamente agli atti catastali, gli immobili di cui risultano
intestatari e, relativamente ai registri immobiliari, sia le formalità informatizzate in cui essi
siano presenti, sia gli immobili di cui i medesimi risultano intestatari negli atti catastali.
È gratuito ed esente da tributi anche l’accesso al servizio di consultazione telematica della
banca dati catastale effettuato presso gli sportelli catastali decentrati, previa esibizione di un
valido documento di identità o di riconoscimento.
Per i soggetti diversi dalle persone fisiche, la richiesta deve essere effettuata dal legale
rappresentante dell’ente, il quale dovrà:
– esibire un valido documento di identità o di riconoscimento;
– comprovare la propria qualità di rappresentante, anche mediante apposita dichiarazione
sostitutiva.
La documentazione esibita dai richiedenti è conservata presso gli sportelli catastali decentrati
per consentire all’Agenzia di effettuare le opportune verifiche, anche a campione, sulla
spettanza dell’esenzione.
(Daniela Amendola, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 11 marzo 2014)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 5 febbraio 2014
Costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare cui conferire o trasferire immobili di
proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali e diritti reali immobiliari, nonche'
conferire o trasferire anche l'intero patrimonio immobiliare da reddito dell'Istituto nazionale
della previdenza sociale.
(G.U. 19 marzo 2014, n. 65)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 5 febbraio 2014
Costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare, cui conferire o trasferire immobili di
proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali nonché diritti reali immobiliari,
nonché conferire o trasferire anche beni del patrimonio immobiliare non strumentale
dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
(G.U. 19 marzo 2014, n. 65)
DECRETO-LEGGE 28 marzo 2014, n. 47
Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015
(G.U. 28 marzo 2014, n. 73)
 NOTA
Affitti concordati: cedolare al 10%
Piano per il recupero di alloggi Iacp e vendita agli inquilini delle abitazioni popolari
In vigore da oggi lo sconto fiscale della cosiddetta cedolare secca - che scende dal 15 al 10% per i proprietari che affittano un alloggio a canone concordato. È questa la novità di impatto
più immediato del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, su «Misure urgenti per l'emergenza
abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015».
Il provvedimento era stato licenziato dal Consiglio dei ministri il 12 marzo scorso. Giorni spesi
per verifiche di costituzionalità (da parte del Quirinale) e di copertura (da parte dell'Economia).
A farne le spese, come anticipato sul Sole 24 Ore del 21 marzo scorso, è stato il bonus fiscale
sull'acquisto di mobili (si veda anche l'articolo in pagina). L'ulteriore sconto della cedolare
secca si tradurrà in un vantaggio aggiuntivo per il proprietario che - come ha calcolato
Confedilizia - indicativamente è pari a 720 euro per un reddito di 14.400 euro. Peraltro, lo
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sgravio si applica sull'anno di imposta 2014 e, dunque, vale dall'1 gennaio.
A questo effetto immediato si aggiungono altre misure che spingono la produzione di alloggi in
affitto, che richiedono però provvedimenti attuativi.
Per incentivare le trasformazioni urbane il Dl prevede una maxi-deduzione dai redditi di
impresa pari al 40% dei ricavi da canone di locazione per le aziende che costruiscono o
recuperano alloggi da destinare a edilizia sociale. Gli sconti fiscali sono previsti per nuove
costruzioni, manutenzioni straordinarie o recupero di alloggi esistenti. Lo sconto vale solo per
le imprese (di costruzione o immobiliari) e non per i privati, e vale il 40% di deduzione fiscale
su Ires e Irap. Lo sconto si applica - in mancanza di specifici limiti temporali indicati nel Dl anche agli investimenti già realizzati, operazioni che sono già in fase di incasso dei canoni di
locazione. Possibili anche varianti iper-semplificate per riconvertire all'edilizia sociale piani
urbanistici (o singoli titoli abilitativi) già rilasciati al 31 dicembre 2013. Sono necessarie misure
attuative da parte delle Regioni (60 giorni) e del Comune interessato (90 giorni).
Il Dl ripropone anche il tema dell'alienazione degli alloggi Iacp, che contribuirà a finanziare un
programma di recupero degli alloggi inagibili sempre degli ex Iacp, per quale il decreto stanzia
468 milioni. Di queste risorse, solo 68 milioni sono già in bilancio: andranno a finanziare alloggi
per famiglie con sfratto esecutivo. Gli altri 400 milioni arriveranno dal definanziamento (con
decreti Mit-Mef) di opere pubbliche incagliate. Ci vorranno però sei mesi per definire e soprattutto - approvare questa lista di immobili da recuperare con decreto InfrastruttureEconomia-Affari regionali e l'intesa in Conferenza unificata.
Bisognerà poi definire le procedure per alienare gli alloggi Iacp, da approvare con un Dm
Infrastrutture-Economia-Affari regionali, previa intesa in conferenza unificata.
Il Dl stanzia 100 milioni aggiuntivi al fondo di sostegno per l'affitto (oltre ai 100 già stanziati) e
226 milioni in più al nuovo fondo per la morosità cosiddetta incolpevole (oltre ai 40 già
stanziati). Per la morosità incolpevole c'è una buona notizia: l'atteso regolamento, con il
riparto dei primi 20 milioni, dovrebbe ricevere l'intesa nella prossima conferenza unificata del
10 aprile.
Per gli inquilini di un alloggio sociale arriva la possibilità di riscattare la casa dopo soli sette
anni dall'assegnazione. La norma vale per i nuovi contratti e richiede una norma attuativa.
Il Comune di Milano strappa 25 milioni "nettizzati" dal patto di stabilità per l'Expo e deroghe
aggiuntive al codice appalti (su sponsorizzazioni e concessioni).
Le principali novità
INCENTIVI FISCALI
Con il canone concordato più sgravi fiscali al proprietario
Per i proprietari di abitazioni che affittano gli alloggi a canone concordato il regime della
cosiddetta cedolare secca si fa più conveniente perché l'imposizione scende dal 15 al 10%
(nulla cambia per i contratti liberi).
La misura è valida solo per il triennio 2014-2017. La possibilità viene allargata anche agli
alloggi locati da cooperative e organizzazioni senza scopo di lucro
BONUS MOBILI
Acquisto mobili, resta il tetto al bonus fiscale del 50%
Come anticipato da questo giornale (si veda «Il Sole 24 Ore» del 21 marzo scorso), è saltata la
possibilità di includere i costi per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici nel bonus fiscale del
50% sulle ristrutturazioni in modo svincolato dal costo della ristrutturazione. Resta quindi in
vigore il limite introdotto dalla legge di stabilità: il costo dei mobili non può superare quello dei
lavori edili
AFFITTO A RISCATTO
Alloggio sociale, riscatto possibile dopo sette anni
A favore dell'inquilino di un alloggio sociale (definizione ampia che include anche le residenze
private a destinazione sociale) viene introdotta la possibilità di riscattare l'alloggio sociale dopo
soli sette anni dall'assegnazione. Fin dal suo ingresso nell'abitazione, una quota del canone può
essere computata come anticipo sull'acquisto (futuro) dell'appartamento
RECUPERO CASE IACP
Fino a 468 milioni per ristrutturare case popolari
Il decreto prevede uno stanziamento fino a 468 milioni per il recupero degli alloggi pubblici
inagibili di proprietà di Iacp e aziende casa. I fondi sono subordinati a una ricognizione del
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patrimonio. Attuazione con un dm Mit-Mef d'intesa con la conferenza unificata. I primi 68
milioni (gli unici finora disponibili) serviranno a ripristinare alloggi per famiglie sotto sfratto
RECUPERO URBANO
Incentivi alle trasformazioni urbane per alloggi sociali
Il provvedimento introduce una deduzione dai redditi di impresa pari al 40% dei ricavi da
canone di locazione per le aziende che costruiscono o recuperano alloggi da destinare a edilizia
sociale. Forte semplificazione anche per approvare varianti urbanistiche per riconvertire
all'edilizia sociale piani urbanistici (o singoli titoli abilitativi) già rilasciati al 31 dicembre 2013
RISORSE ALL'EXPO
Fondi extra a Milano
in deroga al patto di stabilità
Il decreto stanzia un contributo extra di 25 milioni di euro a favore del comune di Milano
finalizzato alla realizzazione della manifestazione dell'Expo 2015. Questi fondi vengono esclusi
dal patto di stabilità.
Il comune meneghino potrà inoltre utilizzare fino alla metà degli introiti delle concessioni
edilizie per spese in conto corrente. Concesse nuove deroghe al codice appalti
(Massimo Frontera, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 29 marzo 2014)
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Giurisprudenza
 Immobili
 A Genova la Commissione tributaria «declassa» le case signorili
I giudici fiscali liguri bacchettano il catasto e danno ragione ai contribuenti. Con una serie di
sentenze la Commissione tributaria provinciale di Genova è intervenuta in materia di
classamento degli immobili, cancellando le categorie A/1 (signorili, senza diritto all'esenzione
dall'Imu) che gli uffici si rifiutavano di cambiare.
A segnalare le pronunce è l'associazione territoriale di Confedilizia. Tra i principi affermati dalla
Ctp Genova (sentenza 57/20/13 del 19.12.12) c'è, per esempio, l'incoerenza delle attuali
categorie con lo stato degli immobili per sopravvenute variazioni intervenute dall'epoca
censuaria del 1939 alla data odierna. La Ctp ha bocciato l'attribuzione della categoria A/1
perché l'immobile «non è più coerente con lo stato dell'immobile, anche per il decadimento
delle caratteristiche iniziali». Infatti aveva perso la portineria mentre l'ascensore ed il
riscaldamento erano quelli d'origine, era vicino a un'arteria intensamente trafficata con alto
inquinamento acustico ed atmosferico e al posto degli appartamenti borghesi c'erano uffici,
laboratori, esercizi pubblici e commerciali in genere. Quindi la vecchia categoria è stata
declassata in A/2, in coerenza, dice la Cpt, con quanto dice la Cassazione (sentenza
22557/2008): le caratteristiche possono cambiare nel tempo.
Un principio richiamato anche nella sentenza 51/10/13 del 24.09.12 che ha stigmatizzato la
carenza di motivazione per generici richiami di estimo, tesi a giustificare l'alta percentuale di
categorie A/1 nel genovesato senza considerare le mutate condizioni urbanistiche e di utilizzo:
l'appropriata valutazione «deve essere effettuata sulle mutate condizioni sia di contesto
urbanistico, sia di "comodità" o "signorilità" considerate in senso evolutivo con le mutate
tecnologie ed i nuovi sviluppi scientifici. Ormai ascensore, riscaldamento centrale e doppio
bagno sono caratteristiche ricorrenti anche in immobili non signorili. Così come sentenza
37/13/13 del 28.01.2013) non deve essere posta alcuna pregiudiziale alla variazione in
diminuzione del classamento dell'immobile (da A/1 ad A/2) perché nel tempo gli elementi che
lo caratterizzano possono variare tanto in più quanto in meno.
(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 21 marzo 2014)
 CORTE DI CASSAZIONE - Sezione II civile - Sentenza 3 marzo 2014 n. 4934
 NOTA
Compravendita, la volontà delle parti può desumersi dalla planimetria allegata
Nei contratti di compravendita le planimetrie allegate, a cui si faccia un esplicito riferimento,
«costituiscono un mezzo fondamentale» per interpretare la volontà delle parti. Lo ha stabilito
la Corte di cassazione, con la sentenza 4934/2014, accogliendo il ricorso del proprietario di un
immobile che rivendicava anche la proprietà di una scala soggetta ad uso comune con
l'immobile confinante.
Il giudizio di merito
In primo grado ed in appello il ricorrente si era visto dare torto sulla base della presunzione
dell'articolo 1117 del Cc sulle parti comuni dell'edificio, mancando un titolo contrario. Negli atti
di provenienza, infatti, secondo la Corte di merito, il riferimento era alla "scala comune",
mentre ai dati delle mappe catastali «era riconoscibile un mero significato sussidiario».
Per la Suprema corte però, oltre al fatto che l'uso del termine "comune" era stato utilizzato in
modo "equivoco", la Corte di appello non aveva valorizzato «il dato - in funzione
dell'interpretazione dell'effettiva intenzione delle parti contraenti - del riferimento alle
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risultanze della planimetria alla quale era stato fatto univoco richiamo e che formava parte
integrante nel negozio divisionale presupposto».
Il valore del richiamo nel testo
Infatti, prosegue la Corte, «ancorché sia esatto qualificare le mappe catastali come fonti di
valutazione semplicemente sussidiaria, la Corte di merito ha, nella fattispecie, omesso di
considerare che la planimetria allegata all'atto notarile divisionale (con l'allegazione del relativo
tipo di frazionamento) … formava propriamente parte integrante del predetto atto notarile,
ragion per cui non avrebbe potuto essere completamente obliterato in funzione della
valutazione, sul piano ermeneutico, del contenuto dell'atto medesimo».
I precedenti della Cassazione
Da qui il richiamo al precedente (n. 20131/2013) secondo cui «nell'interpretazione dei contratti
di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti
circa l'estensione dell'immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di
frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all'atto notarile trascritto, e l'indicazione
dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari valore».
Mentre in un'altra sentenza si è specificato (Cassazione n. 6764 del 2003) che «le piante
planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della
dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e
costituiscono mezzo fondamentale per l'interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di
merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell'immobile fatta in contratto e la sua
rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la "quaestio
voluntatis" della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all'intento negoziale
ricavato dall'esame complessivo del contratto».
L‘indagine sulla volontà
La Corte di secondo grado, invece, per un verso, non si è conformata ai richiamati principi e,
per l'altro, non ha valorizzato il criterio ermeneutico principale (previsto dall'articolo 1362,
comma 1, c.c.) consistente nella necessità di indagare «quale fosse stata l'effettiva intenzione
comune dei contraenti a fronte di un'espressione letterale incerta ed ambigua». Infatti, la
Corte aveva omesso di spiegare cosa sarebbe accaduto attribuendo all'espressione citata un
significato letterale «divergente rispetto all'allegata planimetria ed al frazionamento
espressamente menzionati e richiamati nel testo del rogito divisionale».
(Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 4 marzo 2014)
 Edilizia e urbanistica
 CONSIGLIO DI STATO, Sezione 6, Sentenza del 10-03-2014, n. 1084
DIRITTO URBANISTICO - EDILIZIA - Art. 23, c. 6 d.P.R. n. 380/2001 - Opere eseguite
su immobili compresi nelle zone omogenee A - Scelta tra la riduzione in pristino e la
sanzione pecuniaria - Mancata espressione del parere della Soprintendenza Irrilevanza.
L'art. 33, comma 4, d.P.R. n. 380/2201, dispone che "Qualora le opere siano state eseguite su
immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede
all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere
vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al
precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il
dirigente o il responsabile provvede autonomamente". Nel caso specifico d'immobili anche non
vincolati situati nelle zone omogenee A, oggetto di ristrutturazioni non consentite, il legislatore
ha perciò ritenuto che in ordine alla sanzione dev'essere prioritariamente ponderata la scelta
tra quella della restituzione in pristino e quella pecuniaria. Quanto alla valutazione della scelta,
la mancata espressione del parere da parte della Soprintendenza, per l'inutile decorso del
relativo termine,non muta la ratio ispiratrice della norma.
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 NOTA
L'abuso edilizio in centro non sempre va demolito
L'ente può irrogare sanzioni pecuniarie e deve comunque motivare le scelta
Abusi edilizi non sempre demoliti nei centri storici: lo afferma il Consiglio di Stato con la
sentenza n. 1084 del 10 marzo 2014 relativa a un intervento a Roma. Il problema è
particolarmente sentito in quanto fino ad oggi si è considerata la "riduzione in pristino" (cioè la
demolizione dell'abuso) come strumento normale per «riportare lo stato di fatto a quanto
previsto per lo sviluppo edilizio del territorio» (Consiglio di Stato, n. 1793 del 27 marzo 2012),
tanto più che gli interventi nei i centri storici (zone «A» dei piani urbanistici), sono soggetti al
severo parere della Soprintendenza.
Di qui l'importanza del caso deciso, che riguarda il mutamento di destinazione d'uso e
l'accorpamento di locali interrati, l'ampliamento di tre bocche di lupo, una nuova finestra e una
nuova scala di un ristorante. Questi interventi innanzi tutto sono stati qualificati come
«ristrutturazione edilizia» e non valutati come interventi singoli. Questa qualificazione rende
più grave la sanzione, perché in caso di ristrutturazione con trasformazione dell'organismo
edilizio è irrogabile la sanzione demolitoria (che invece per gli abusi singoli minori si può
evitare).
Secondo il giudice amministrativo, l'insieme delle opere descritte comporta una ristrutturazione
in quanto le opere, anche se realizzate singolarmente, sono tali da correlarsi in un palese
effetto di pur parziale trasformazione dell'organismo edilizio preesistente. L'autore dell'abuso
correrebbe quindi il rischio di una riduzione in pristino. Invece, a suo favore, il Consiglio di
Stato ipotizza una via di uscita di carattere generale: si afferma infatti che è sempre
necessario scegliere tra sanzione demolitoria e quella pecuniaria, anche se la demolizione è
usuale. Per giungere a questa conclusione, il Consiglio di Stato richiama l'articolo 33, comma
4, del testo unico sull'edilizia 380/2001, secondo cui l'ufficio richiede all'amministrazione
competente alla tutela dei beni culturali e ambientali apposito parere vincolante circa la
restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma.
Se il parere non viene reso entro 90 giorni dalla richiesta «...qualora le opere siano state
eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile provvede
autonomamente».
Esiste quindi una certa elasticità e quindi il legislatore ha ritenuto che in ordine alla sanzione
va prioritariamente effettuata una scelta tra la restituzione in pristino e il pagamento di una
sanzione pecuniaria (mantenendo i luoghi modificati dall'abuso). Anche quando la
Soprintendenza non si pronuncia, quindi, il Comune può procedere, ma l'espressione
«autonomamente», riferita alla scelta del Comune, presuppone che l'ente locale possa
effettuare una scelta simile a quella che spetta (entro 30 giorni) alla Soprintendenza. Chi
compie un abuso, quindi, ha sempre diritto a una scelta motivata, che a sua volta può
graduarsi in funzione del peso dell'abuso rispetto alla situazione da tutelare.
Si aggiunge quindi un altro tassello al rapporto tra amministrazione che gestisce il territorio
(Comune) e Soprintendenza, accentuando l'onere di motivazione quando il soggetto pubblico
decide di demolire. Ad esempio, il privato potrebbe proporre opere di mitigazione (come in
materia paesaggistica: Tar Brescia 317/208), sfuggendo così a una sanzione demolitoria, di
recente nella sua severità giunta anche all'attenzione (senza esito) della Corte di giustizia
comunitaria (6 marzo 2013 in causa C-206/13), su una demolizione che il Tar Palermo riteneva
eccessivamente punitiva.
(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 marzo 2014)

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ - 11 marzo 2014, n. 417
DIRITTO URBANISTICO – Distanza tra pareti finestrate – Nozione di costruzione –
Scale, Terrazze e Corpi avanzati aggettanti - Sporgenze con funzione ornamentale –
Estraneità - Mensole, lesene, cornicioni e grondaie.
Ai fini dell’applicazione della distanza minima tra pareti finestrate prescritta dall’art. 9 del D.M.
n. 1444 del 1968, rientrano nel concetto civilistico di costruzioni le parti dell’edificio, quali
scale, terrazze e corpi avanzati aggettanti che, seppure non corrispondano a volumi abitativi
coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato; e che, al
contrario, non sono computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione
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meramente ornamentale, di finitura od accessoria di limitata entità, come le mensole, le
lesene, i cornicioni, le grondaie e simili (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005 n. 3539).
(Massima a cura della rivista giuridica Ambiente e Diritto)

TAR PIEMONTE, Sez. 1^ - 20 marzo 2014, n.481
DIRITTO URBANSITICO – EDILIZIA – Distanze previste dall’art. 873 c.c. –
Ristrutturazione con mutamento di sagoma – Nozione di costruzione agli effetti delle
distanze – Rientra.
Un’opera che determina un aumento di volumetria incidente sulla sagoma preesistente della
copertura del tetto, che, quindi, rientra nella tipologia della ristrutturazione "con mutamento di
sagoma", subordinata a permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera "c" del
D.P.R. n. 380/2001, è da considerarsi "costruzione" agli effetti delle distanze previste dall'art.
873 del Codice Civile e dalle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica, come
tale dovendosi intendere, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, qualsiasi opera non
completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al
suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica
contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione (Cass. civ. sez. II, 03
gennaio 2013, n. 72; id., sez. II, 22 febbraio 2011, n. 4277; id., sez. II, 4 ottobre 2005 , n.
19350).
(Massima a cura della rivista giuridica Ambiente e Diritto)
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Antincendio
Trasferimenti immobiliari

Semplificata la tassazione indiretta
Pantoni Gioacchino, Sabbatini Claudio, Hercolani Ferrario Michele, Il Sole 24 ORE – La
Settimana Fiscale, 5 marzo 2014, n. 9
QUADRO NORMATIVO
L'art. 10, D.Lgs. 14.3.2011, n. 23 (decreto sul "Federalismo fiscale"), ha previsto, per i
trasferimenti immobiliari, una revisione delle imposte d'atto, raggruppando le diverse
aliquote dell'imposta di registro in vigore fino al 2013 nella misura generale del 9%. Al 2%
è invece ridotta l'aliquota per i trasferimenti "prima casa". Vengono meno le esenzioni
ed agevolazioni.
L'art. 1, co. 608-609, L. 27.12.2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), ha innalzato al 12%
l'aliquota dell'imposta di registro per i trasferimenti di terreni agricoli. Inoltre, ripristina
le agevolazioni per la piccola proprietà contadina.
L'art. 26, D.L. 12.9.2013, n. 104, conv. con modif. dalla L. 8.11.2013, n. 128, ha previsto
che, in caso di imposte di registro proporzionali, le imposte ipocatastali siano dovute
nella misura fissa di euro 50 cadauna.
I primi commenti sono stati diffusi dal Consiglio nazionale del Notariato (Studio tributario
13.12.2013, n. 1011-2013/T) e dall'Assonime (Circ. 20.1.2014, n. 1).
L'Assonime illustra anche il legame fra la nuova tassazione dei trasferimenti immobiliari e
la nuova disciplina degli atti di cessione di contratti di locazione aventi ad oggetto
immobili strumentali (art. 1, co. 164, L. 147/2013).
TRASFERIMENTI IMMOBILIARI - NUOVA TASSAZIONE INDIRETTA: dall'1.1.2014 sono
entrate in vigore rilevanti novità in ordine alla fiscalità indiretta dei trasferimenti
immobiliari; il riferimento è alle imposte d'atto, cioè di registro, ipotecaria, catastale, di
bollo e agli altri tributi accessori.
Le novità, realizzate tramite la riscrittura dell'art 1, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. 26.4.1986, n.
131 (Atti soggetti a registrazione in termine fisso) - sono "figlie" dell'art. 10, D.Lgs. 14.3.2011,
n. 23, già più volte modificato.
In sintesi, a seguito degli ultimi interventi normativi, per gli atti di trasferimento immobiliare
sono previste solo 3 aliquote (del 2%, 9% e 12%) ai fini dell'imposta di registro, oltre
all'applicazione delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di e 50 l'una (art. 26,
co. 1, D.L. 12.9.2013, n. 104, conv. con modif. dalla L. 8.11.2013, n. 128 ).
L'imposta fissa passa da euro 168 ad euro 200 (art. 26, co. 2, D.L. 104/2013).
Inoltre, se l'imposta di registro è dovuta nelle misure proporzionali sopra viste, l'imposta è
dovuta nella misura minima di euro 1.000 (questa soglia penalizzerà i trasferimenti di beni
di minor valore) e non sono dovuti l'imposta di bollo, i tributi speciali catastali e le tasse
ipotecarie (questi ultimi applicati nella misura, rispettivamente, di euro 230, euro 35 e euro
65).
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
25
RATIO: l'Assonime, con la Circ. 20.1.2014, n. 1 ben illustra l'obiettivo principale di questa
riforma, che è essenzialmente quello di semplificare la tassazione dei trasferimenti
immobiliari, la cui disciplina era caratterizzata da una pluralità di prelievi e, nell'ambito di
ciascun prelievo, da un'ampia variabilità di aliquote e regimi agevolativi.
La semplificazione consiste sia nelle misure delle imposte d'atto applicabili alle diverse
tipologie di trasferimenti sia nel numero di tributi applicabili.
TRASFERIMENTI IMMOBILIARI - TASSAZIONE INDIRETTA - NOVITA'
Fino
al Dall'1.1.2014
31.12.2013
Aliquote
Trasferimenti a titolo oneroso dei fabbricati Aliquota 2%
proporzionali
abitativi, non di lusso, per i soggetti che possono
dall'1% al 15%
fruire del beneficio "prima casa" (si veda infra la
nuova definizione dei requisiti oggettivi)
Atti traslativi a titolo oneroso di tutti gli altri Aliquota 9%
immobili
Trasferimenti di terreni agricoli acquistati da Aliquota 12%
soggetti
diversi
daicoltivatori
diretti
e
imprenditori agricoli professionali iscritti nella
gestione previdenziale (art. 1, co. 609, L. 147/2013)
A tale scopo, l'imposta di registro è stata concepita alla stregua di un'imposta sostitutiva
idonea ad assorbire gli altri tributi che gravano il trasferimento, quali, in particolare, le
imposte ipotecaria e catastale, come pure l'imposta di bollo, i tributi speciali catastali e le tasse
ipotecarie. La linearità di questa impostazione è stata però incrinata con l'introduzione, ad
opera del D.L. 104/2013, delle imposte ipocatastali nella misura fissa di euro 50 ciascuna,
per mero motivo di gettito.
IMPORTO MINIMO: la disposizione dell'art. 10, co. 2, D.Lgs. 23/2011, laddove fa riferimento
all'imposta non inferiore ad euro 1.000, non può essere intesa come facente riferimento
all'imposta da corrispondere, bensì all'imposta normativamente dovuta, lasciando così
impregiudicata l'applicazione di meccanismi di scomputo quali, ad esempio, il credito
d'imposta per l'acquisto della "prima casa".
In altri termini, l'intero importo di euro 1.000, cui si giunge per l'applicazione della regola del
citato co. 2 dell'art. 10, D.Lgs. 23/2011, può essere corrisposto mediante utilizzo del credito
di imposta. Del resto la stessa Agenzia delle Entrate nella C.M. 1.3.2001, n.19/E, e nella C.M.
29.5.2013, n. 18/E, ha evidenziato come con riferimento al credito d'imposta "è opportuno
precisare che non si rende applicabile alla fattispecie in esame il disposto dell'art. 41, comma
2, del TUR laddove prescrive "l'ammontare dell'imposta principale non può essere in nessun
caso inferiore alla misura fissa indicata nella tariffa"", con la conseguenza cioè che l'importo
da versare poteva essere inferiore ad e 168 o pari a zero a seguito dell'intera compensazione
del credito con l'imposta di registro da pagare.
Conseguentemente, se l'importo dovuto per l'acquisto con le cd. agevolazioni "prima casa" è
inferiore ad euro 1.000 e al credito d'imposta per il precedente acquisto agevolato, lo
scomputo del predetto credito opererà - come da disposizione di legge - "sull'imposta
dovuta" ovverosia avuto riguardo all'imposta nella misura minima di euro 1.000 (e non
già alla minor somma precedentemente corrisposta).
SOPPRESSIONE di ESENZIONI ed AGEVOLAZIONI: la norma dispone la soppressione di
tutte le esenzioni e agevolazioni tributarie, ancorché previste da leggi speciali (art. 10, co.
4, D.Lgs. 23/2011), ad eccezione di quella per la "prima casa" e, forse, per gli immobili
all'estero (si veda oltre).
Tra le agevolazioni previste da leggi speciali possiamo annoverare quelle per i terreni
montani, per i Piani di recupero, per i Piani di edilizia residenziale pubblica e per il compendio
unico, il che sta a significare che la generica abrogazione di regimi di favore comporterà un
aggravio nei settori che erano ritenuti meritevoli di tutela.
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
26
Resta salva l'agevolazione in materia di trasferimenti immobiliari a favore della piccola
proprietà contadina (Ppc), fatta salva proprio dalla L. 147/2013.
Perdono l'agevolazione anche altre fattispecie contemplate dalla norma in vigore per tutto il
2013, come i trasferimenti immobiliari a favore di Onlus (imposta di registro in misura fissa se
viene posto in essere il trasferimento a titolo oneroso della proprietà di immobili, a condizione
che la Onlus dichiari nell'atto di acquisto l'intenzione di utilizzare direttamente i beni per lo
svolgimento della propria attività e che realizzi l'effettivo utilizzo diretto entro 2 anni
dall'acquisto, e imposte ipocatastali rispettivamente del 2% e dell'1%; si veda l'art. 22, co. 1,
D.Lgs. 460/1997), dello Stato o di enti pubblici territoriali (precedentemente tassati con
l'applicazione dell'imposta nella misura fissa di euro 168) e quelli relativi agli immobili
compresi in Piani urbani particolareggiati (soggetti ad imposta proporzionale dell' 1%).
La cancellazione della Nota 1 dell'art. 1, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. 131/1986, comporta anche
il venir meno della possibilità di applicare l'aliquota ridotta dell'imposta di registro nella
misura dell'8% (anziché del 15%) per gli atti riguardanti il trasferimento di terreni agricoli a
favore di imprenditori agricoli a titolo principale, anche se questi, in virtù
dell'assimilazione ai coltivatori diretti (art. 2, D.Lgs. 29.3.2004, n. 99), potevano acquistare i
terreni con l'aliquota dell'1% (oltre alle imposte ipocatastali in misura fissa). (1)
Unica deroga alla soppressione generalizzata dei regimi di favore è stata disposta con una
modifica del co. 4 dell'art. 10, D.Lgs. 23/2011 citato, introdotta dalla L. 147/2013, per cui la
revisione opera "ad eccezione delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 4-bis, del decretolegge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n.
25", ossia delle agevolazioni per la proprietà contadina. (2)
Avuto invece riguardo ai trasferimenti di altri terreni agricoli e delle relative pertinenze
(che non rientrino nell'ambito della disciplina di favore esplicitamente fatta salva), troverà
applicazione il terzo periodo del co. 1 dell'art. 1, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. 131/1986, così
come modificato dalla L. 147/2013, per cui "se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli
e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli
imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed
assistenziale: 12 per cento".
ESEMPIO n. 1 - TRASFERIMENTO di IMMOBILI
SOPPRESSIONE di ESENZIONI ed AGEVOLAZIONI
Dal 2014, il trasferimento di un immobile "vincolato" (immobile storico-artistico disciplinato dal
D.Lgs. 490/1999), che fino al 31.12.2013 scontava l'imposta di registro del 3% (salvo che si
trattasse di "prima casa"), oltre al 3% di imposta ipocatastale, sarà soggetto ad imposta del
9%, oltre ad euro 50 per l'ipotecaria e ad euro 50 per la catastale.
Lo stesso trattamento varrà per i fabbricati abitativi delle società di trading immobiliare che si
impegnano a trasferire l'immobile entro 3 anni, le quali perdono l'aliquota dell'1%.
I trasferimenti di terreni agricoli a soggetti diversi dagli agricoltori, che prima scontavano
l'imposta nella misura del 15%, invece, godranno di una imposizione più attenuata (12%)
rispetto a quella in vigore fino al 31.12.2013.
IMMOBILI SITUATI all'ESTERO: fino al 31.12.2013 era stabilito in maniera inequivocabile
che se il trasferimento aveva per oggetto immobili situati all'estero o diritti reali di
godimentosi applicava l'imposta in misura fissa di euro 168. La previsione della misura
fissa poteva essere ricondotta ad esigenze di sistema sia sul piano sostanziale, quanto alla
territorialità, sia sul piano applicativo, quanto alla determinazione della base imponibile.
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
27
CESSIONE di IMMOBILI ABITATIVI (1) dal 2014
Cedente/oggetto
Cessionario Iva
Norma/tipologia Registro
di fabbricato
Fabbricati realizzati
dalle
imprese
costruttrici o che
hanno
eseguito
interventi
di
recupero
(termine
della costruzione o
lavori ultimati non
oltre 5 anni dalla
cessione)
Fabbricati realizzati
dalle
imprese
costruttrici o che
hanno
eseguito
interventi
di
recupero
(termine
della costruzione o
lavori ultimati oltre
5
anni
dalla
cessione), fatti salvi
gli alloggi sociali di
cui al successivo
punto
Fabbricati destinati
ad alloggi sociali,
come definiti dal
Decreto del Min.
delle Infrastrutture
22.4.2008 (5)
Chiunque
Imponibile per obbligo Art. 10, co.
633/1972
4%
Prima casa (3)
euro 200
10%
Altre abitazioni
22%
Immobili di lusso
Ipotecaria
+
catastale
8-bis, D.P.R.
euro 200 +
200
Chiunque
Esente ovvero Imponibile su opzione (4) Art. 10, co. 8bis, D.P.R. 633/1972
Esente
Misura
e 50 + 50
proporzionale
(2%
se
"prima casa"
o
9%
per
altre
abitazioni)
4%
Prima casa (3)
euro 200
euro 200 +
200
10%
Altre abitazioni
22%
Immobili di lusso
Chiunque
Esente ovvero Imponibile su opzione (4) Art. 10,
bis, D.P.R. 633/1972
Esente
Misura
euro
proporzionale 50
(2%
se
"prima casa"
o
9%
per
altre
abitazioni)
4%
Prima casa (3)
200 euro
euro
200
10%
Altre abitazioni
Esente Art. 10, co. 8-bis, 2% se "prima euro
D.P.R. 633/1972
casa"
50
9% per altre euro
abitazioni
50
co. 850 +
200 +
Soggetti diversi dai Chiunque
50 +
pre-cedenti
(immobiliari
di
50 +
compravendita,
di
gestione,
altre
imprese
e
altri
soggetti Iva)
Privato
(società Chiunque
Fuori
Art.
1,
D.P.R. 2% se "prima euro 50 +
semplici di gestione (2)
campo 633/1972
casa"
50
immobiliare,
enti
9% per altre euro 50 +
non commerciali che
abitazioni
50
non
effettuino
l'operazione
in
regime d'impresa)
(1) Fabbricati abitativi classificati nelle categorie catastali "A" con esclusione della categoria
"A/10".
(2) Se l'acquirente è un privato le imposte di registro ed ipocatastali si applicano secondo il
criterio "prezzo-valore", ossia sono applicate sul valore catastale rivalutato del bene immobile.
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
28
(3) In caso di mancato trasferimento della residenza entro 18 mesi dall'acquisto, l'acquirente
decade dall'agevolazione (aliquota ridotta). Però, nessuna sanzione è dovuta da chi acquista
un immobile invocando i benefici previsti per la "prima casa" e, nel termine di 18 mesi, non
trasferisce la residenza nel Comune ove è situato l'immobile. Il contribuente, prima della
scadenza del suddetto termine, è tenuto a presentare un'apposita istanza all'ufficio presso il
quale l'atto è stato registrato, con la quale richiede la riliquidazione dell'imposta assolta in sede
di registrazione (R.M. 31.10.2011, n. 105/E)
(4) A condizione che nell'atto sia esercitata l'opzione per l'imponibilità. L'imposta si può
applicare anche in sede di acconti e in questo caso l'opzione deve essere già manifestata nel
preliminare di vendita, se redatto (C.M. 11.7.1996, n. 182).
(5) La disposizione che prevede l'imponibilità degli alloggi sociali è stata introdotta in sede di
conversione del D.L. 83/2012 con la L. 7.8.2012, n. 134 (pubblicata in G.U. 11.8.2012, n. 187)
e, quindi, è entrata in vigore a decorrere dal 12.8.2012.
Cedente
CESSIONE di IMMOBILI STRUMENTALI dal 2014
Cessionario Iva
Norma/aliquota Registro
Ipotecaria
+ catastale
(1)
3% + 1%
Fabbricati realizzati Chiunque
Imponibile 22% (2) Art. 10, euro 200
dalle
imprese
co. 8-ter, D.P.R.
(termine
della
633/1972
costruzione
non
oltre 5 anni dalla
cessione)
Fabbricati su cui Chiunque
Imponibile 10% (3)
sono stati eseguiti
interventi
di
recupero
(lavori
ultimati non oltre 5
anni dalla cessione)
Soggetti diversi dai Chiunque
Esente
Esente 10% (3)
pre-cedenti
ovvero
22%
(immobiliari
di
imponibile
compravendita, di
su
ge-stione,
altre
opzione
imprese
e
altri
(4)
soggetti Iva, incluse
le
imprese
costruttrici
o
di
ristrutturazione che
hanno ultimato i
lavori da oltre 5
anni)
Privato
(società Chiunque
Fuori
Art. 1, D.P.R. 9%
e 50 + 50
semplici di gestione
campo
633/1972
immobiliare,
enti
non
commerciali
che non effettuino
l'operazione
in
regime d'impresa)
(1) Le volture catastali e le trascrizioni relative alle cessioni di cui sono parte fondi immobiliari
fruiscono delle percentuali ridotte alla metà (1,5% + 0,5%).
(2) L'aliquota è del 10% (n. 127-undecies), Tabella A, Parte Terza, D.P.R. 633/1972) nel caso
di cessione di fabbricati strumentali facenti parte di edifici "Tupini" (L. 408/1949, che prevede il
rispetto di determinate proporzione fra immobili abitativi e immobili commerciali). Per il
mantenimento dell'aliquota ridotta occorre far riferimento alla situazione al momento della
vendita, non essendo sufficiente il mero rispetto dei requisiti in origine (Cass., 11.2.2003, n.
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
29
2004). L'aliquota del 10% si applica anche (n. 127-quinquies), Tabella A, Parte Terza, D.P.R.
633/1972) per le cessioni di fabbricati idonei ad ospitare una collettività (scuole, caserme,
ospedali, case di cura, ricoveri, collegi, colonie climatiche, asili, orfanotrofi, edifici utilizzati per
il perseguimento delle finalità di istruzione, cura, assistenza, beneficenza; vedi R.M.
12.10.2007, n. 291/E).
(3) Per le imprese di ripristino si veda il n. 127-quinquiesdecies), Tabella A, Parte Terza, D.P.R.
633/1972, purché l'intervento sia stato completato (C.M. 13.3.2009, n. 8/E).
(4) A condizione che nell'atto sia esercitata l'opzione per l'imponibilità. L'imposta si può
applicare anche in sede di acconti e in questo caso l'opzione deve essere già manifestata nel
preliminare di vendita, se redatto (C.M. 11.7.1996, n. 182).
Ad una prima lettura il nuovo art. 1, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. 131/1986, sembrerebbe
condurre anche per questa ipotesi all'imposizione proporzionale, ma - come osserva lo
Studio 13.12.2013, n. 1011/2013/T del Consiglio Nazionale del Notariato - "tale effetto sembra
abnorme dal punto di vista sistematico, anche in considerazione della circostanza che - allo
stato - non sarebbe neanche prospettabile in via interpretativa un'armonizzazione
dell'applicazione della nuova aliquota con regimi fiscali previsti per la tassazione dei beni in
Italia, quali ad esempio il cd. prezzo-valore, o l'aliquota ridotta per l'acquisto della cd. prima
casa; regimi che sulla base della normativa vigente non sembrerebbero applicabili agli
acquisti di immobili situati all'estero".
Se fosse corretta l'ipotesi della tassazione proporzionale per il trasferimento a titolo oneroso
dei suddetti immobili, l'imposta proporzionale di registro dovrebbe ritenersi dovuta in
misura non inferiore ad euro 1.000, mentre per quanto riguarda l''assorbimento degli altri
tributi indiretti, di cui al co. 3 del medesimo articolo, lo stesso avrebbe effetti limitatamente
all'imposta di bollo.
Se, invece, fosse corretta - come si ritiene - l'ipotesi della tassazione in misura fissa,
l'imposta si applica nella misura di euro 200 (oltre all'imposta di bollo).
"PRIMA CASA": l'aliquota del 2% sarà riservata alle sole case di abitazione, ad eccezione
di quelle di categoria A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli,
palazzi di eminente pregio artistico o storico), laddove esistano le condizioni oggettive e
soggettive di cui alla Nota II-bis, ossia aventi i requisiti "prima casa".
La medesima disposizione, infatti, ha eliminato le altre Note dell'art. 1 della citata Tariffa,
salvo, come detto, quella relativa alle agevolazioni "prima casa". (3)
A seguito di tale intervento normativo, la tassazione dei trasferimenti relativi all'abitazione
avente i requisiti "prima casa" si riduce dal 3% al 2%, con una diminuzione del carico fiscale
sul trasferimento.
Si noti che, per l'individuazione dei fabbricati di lusso, fino al 2013 si faceva riferimento - ai
fini oggettivi e fermi restando i requisiti soggettivi dell'acquirente - al D.M. 2.8.1969; dal 2014
sono invece considerati di lusso i fabbricati appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9
(come avviene ai fini Imu).
Il testo normativo risulta, però, non coordinato con le regole Iva, le quali, per la
classificazione dei fabbricati di lusso - ai fini dell'applicazione sia dell'aliquota 4% per gli
immobili "prima casa" (n. 21), Tabella A, Parte Seconda, D.P.R. 26.10.1972, n. 633), sia
dell'aliquota 10% per le altre abitazioni non di lusso (ad esempio, fabbricati Tupini; n. 127undecies), Tabella A, Parte Terza, D.P.R. 633/1972) - fa ancora riferimento al D.M. del 1969 e
non alla categoria catastale. (4)
Inoltre, la riduzione dell'aliquota proporzionale per gli immobili "prima casa" vale ai fini del
registro, mentre non è stata prevista un'analoga riduzione nell'ambito Iva (aliquota al
4%), ampliando ulteriormente il divario impositivo tra acquisto immobiliare presso un privato
(assoggettato al registro nella misura del 2%) rispetto ad un acquisto effettuato presso
un'impresa (che potrebbe essere assoggettato ad Iva con aliquota del 4%).
Se ne deduce che le novità in analisi saranno di stimolo ai trasferimenti di abitazioni "non
nuove", ossia diverse da quelle cedute dal costruttore o dall'impresa che vi ha eseguito
interventi di ristrutturazione.
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
30
ALTRI EFFETTI delle NOVITA': l'Assonime commenta altri aspetti legati alle novità appena
considerate.
Ad esempio, viene osservato che il principio di alternatività Iva-registro (art. 40, D.P.R.
131/1986), che opera correttamente per gli immobili abitativi, ha già subito una deroga dal
2006per quelli strumentali (quando furono introdotte le imposte ipocatastali del 3%+1% per
questi ultimi).
Così, se fino al 2013 le imposte ipocatastali erano dovute a prescindere dal trattamento
dell'operazione ai fini Iva (imponibile o esente), dal 2014 esse sono dovute solo se
l'operazione èsoggetta ad Iva. Ciò, secondo l'Assonime, appare paradossale, poiché tali
imposte - che in base alla regola generale dell'alternatività dovrebbero essere applicate in
misura proporzionalesolo se l'operazione non è soggetta ad Iva - sono ora applicate solo
nell'ipotesi inversa.
La fissazione della misura del 9% per tutti i trasferimenti immobiliari riverbera i propri effetti
anche su alcune operazioni societarie, come la cessione di un'azienda o di un ramo di essa.
Mentre fino al 2013 l'atto richiedeva il versamento di un'imposta di registro proporzionale,
differenziata sulla base delle componenti dell'azienda stessa, calcolata sul valore di
cessione alnetto delle passività (0,5% sui crediti, 7% sui fabbricati, 8% sui terreni
edificabili, 15% sui terreni agricoli e 3% sugli altri asset incluso l'avviamento) e di imposte
ipocatastali(rispettivamente del 2% e dell'1%) sul valore degli immobili trasferiti, dal 2014
la misura è stabilita al 9% per la componente immobiliare presente nel trasferimento, oltre
alle imposte ipotecaria e catastale dovute, per ciascuna di esse, nella misura fissa di euro
50.
Infine, l'Assonime ricorda che l'art. 1, co. 164, L. 147/2013, ha previsto che gli atti di
cessione posti in essere dagli utilizzatori di contratti di locazione finanziaria aventi ad
oggetto immobili strumentali scontano l'imposta proporzionale di registro (art. 40, co.
1-bis, D.P.R. 131/1986). La L. 220/2010 (Legge di stabilità 2011) aveva previsto che le
imposte di registro,ipotecaria e catastale fossero applicate nella misura ordinaria in
occasione dell'acquisto dell'immobile da concedere in leasing e in misura fissa al
momento dell'esercizio dell'opzione di riscatto del bene da parte dell'utilizzatore.
In assenza di una tassazione del trasferimento del contratto, l'utilizzatore potrebbe trasferire
il bene, per il tramite del contratto, senza tassazione. Con la novella legislativa si
tassanodetti trasferimenti, che sottendono la dismissione di un immobile, con l'imposta di
registro al 4%. La modifica interessa i soli immobili strumentali, anche da costruire, quelli
cioè i cui trasferimenti sono normalmente assoggettati alle imposte ipocatastali nella
misura complessiva del 4%. Poiché questi tributi non possono essere applicati in sede di
cessione del contratto di leasing, in quanto l'operazione non comporta la trascrizione della
voltura catastale, la scelta del Legislatore si è orientata nel senso di applicare un'imposta di
registro di importo corrispondente a quello delle suddette imposte ipocatastali. Anche in
questo caso, è stata derogata la regola dell'alternatività Iva-registro.
_____
(1) Restano evidentemente in vigore tutte le agevolazioni tributarie e le esenzioni riferite ad atti non riconducibili
all'ambito applicativo dell'art. 10, co. 1, D.Lgs. 23/2011, citato, ovvero non riconducibili ad atti traslativi a titolo
oneroso della proprietà di immobili, compresi la rinuncia, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i
trasferimenti coattivi. Seguendo la stessa ratio si potrebbe sostenere che tale soppressione riguardi solo le disposizioni
di favore che - al pari di quelle contenute nella precedente formulazione dell'art. 1 della Tariffa, abrogate dall'1.1.2014
- stabiliscano una misura ridotta dell'imposta di registro per i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso, in deroga
all'art. 1 citato (come ricordato il co. 4, art. 10, D.Lgs. 23/2011 testualmente si esprime "in relazione agli atti di cui ai
commi 1 e 2", cioè atti di cui all'art. 1 della Tariffa). La soppressione non dovrebbe riguardare, allora, le disposizioni
aventi un ambito più ampio, funzionali a particolari "istituti" o al perseguimento di determinati fini o interessi rispetto
ai quali il trasferimento di beni non costituisce l'oggetto dei regimi di favore e che potrebbero trovare applicazione
anche (ma non solo) rispetto ai trasferimenti immobiliari, a prescindere dalla loro natura onerosa o gratuita. Ad
esempio l'esenzione per gli accordi che trovano causa nella separazione o nel divorzio di cui all'art. 19, L. 74/1987, e
quella per gli accordi di mediazione di cui all'art. 17, D.Lgs. 28/2010 (e conciliazione giudiziale, conciliazione in fase
pre-dibattimentale).
(2) Si tratta di terreni agricoli venduti a coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (Iap), iscritti alla gestione
previdenziale (art. 2, co. 4-bis, D.L. 30.12.2009, n. 194, conv. con modif. dalla L. 26.2.2010, n. 25; si veda l'art. 1,
co. 419, L. 147/2013), che scontano le imposte fisse di registro e ipotecaria (nella loro nuova misura di euro 200
ciascuna) oltre all'1% di imposta catastale (unico prelievo sostanziale applicabile a questa tipologia di trasferimenti).
FIAIP News24, Numero 9 - aprile 2014
31
Immobili

Immobili: scattano le sanzioni per i contratti senza APE
Le compravendite e gli affitti conclusi senza allegare l’attestato di prestazione energetica sono
validi, ma se l’attestato non viene consegnato entro 45 giorni sono puniti con sanzione
pecuniaria da € 3.000 a € 18.000 (da € 1.000 a € 4.000 per i contratti di locazione di singole
unità immobiliari).
Ivan Meo, Angelo Pesce, Il Sole 24 ORE Consulente Immobiliare – 31 marzo 2014 - n. 949
La recente approvazione della legge 9/2014, nota come piano “Destinazione Italia” e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 43 del 21 febbraio 2014, ha rivisto (all’art. 1, commi 7 e 8)
anche le regole in materia di certificazione energetica degli edifici, modificando le nuove norme
introdotte con il D.L. 63/2013 sulla necessità di allegare l’attestato di prestazione energetica
(APE) agli atti di trasferimento di immobili.
Nel dettaglio, il comma 7 è relativo alle condizioni vincolanti per l’allegazione o meno dell’APE
ai contratti e alle sanzioni previsto per il mancato rispetto dell’obbligo, mentre il comma 8 si
occupa delle norme di tutela per i contratti ( tabella 1 ).
Analizziamo il comma 7, che sostituisce i commi 3 e 3- bis dell’art. 6 del D.Lgs. 192/2005 (
Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia ).
Ricordiamo che nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di
immobili a titolo oneroso e nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità
immobiliari soggetti a registrazione, è inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il
conduttore, dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva
dell’attestato, in ordine all’attestazione della prestazione energetica dell’immobile (copia
dell’APE deve essere altresì allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole
unità immobiliari).
Relativamente al comma 8, invece, la legge ha previsto per i contratti di vendita, per gli atti di
trasferimento di immobili a titolo gratuito e per i nuovi contratti di locazione assoggettabili a
nullità per la mancata allegazione dell’APE (quindi per tutti quegli atti a cui è già stata
applicata la precedente normativa), una norma a tutela: una sanzione amministrativa in luogo
della nullità (purché questa non sia già effettiva con sentenza passata in giudicato) su richiesta
di almeno una delle parti o di un suo avente causa.
Nella tabella 2 riportiamo i casi esclusi dall’obbligo di allegazione APE.
TABELLA 1
Art.1, comma 7, legge 9/2014
Cosa prevede
- Per gli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito, non vi sarà più la
necessità di valutare la prestazione energetica degli edifici.
– Anche per i nuovi contratti di locazione per singole unità immobiliari, non
vi sarà più l’obbligo di allegazione dell’APE.
- La precedente nullità del contratto, prevista in caso di mancata allegazione
dell’APE all’atto di locazione/compravendita, viene sostituita con una
sanzione pecuniaria amministrativa.
Sanzione
– In caso di omessa dichiarazione o allegazione dell’APE, le parti sono
soggette in solido e in egual misura alla sanzione pecuniaria amministrativa
(da € 3.000 a € 18.000).
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– Per i contratti di locazione delle singole
unità abitative (soggette al solo obbligo
di dichiarazione):
– la sanzione prevista è da €
1.000 a € 4.000;
– la sanzione è ridotta della
metà se la durata della locazione
ha una durata massima di 3
anni.
– Dopo le ultime modifiche emendative, l’omessa dichiarazione o
allegazione dell’APE comporta il pagamento della sanzione amministrativa,
ma implica comunque l’obbligo di presentare la stessa dichiarazione o copia
dell’APE entro i 45 giorni successivi.
Art. 1, comma 8, legge 9/2014
Cosa prevede
– Su richiesta di almeno una delle parti, una sanzione amministrativa in
luogo della nullità contrattuale (ove non già applicata) per tutti quegli atti
che diverrebbero tali per la mancata allegazione dell’APE.
comma 8-bis
comma
quater
– Dopo emendamento alla Camera si è stabilito che, ai fini del rilascio
dell’APE per gli immobili, dovrà tenersi conto del raffrescamento riveniente
dalle schermature solari mobili;
– dette schermature dovranno garantire una prestazione energetica di
classe 2, così come stabilito dalla norma europea EN 14501:2006, o
superiore.
8-
– dopo emendamento alla Camera si è stabilito che tutti gli annunci di
locazione a uso turistico, sono esentati dalla certificazione della prestazione
energetica dell’immobile, né tanto meno di quella dell’involucro o della sola
unità immobiliare, e neanche di indicare la classe energetica di
appartenenza: unica condizione vincolante è che il periodo di locazione
dovrà limitarsi a 4 mesi all’anno.
TABELLA 2 - APE: i casi di “esclusione oggettiva”. (1)
L’obbligo di allegazione, di consegna e di informativa, è escluso nei seguenti casi: (2)
– Atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito
– Nuovi contratti di locazione per singole unità immobiliari
– Tutti gli annunci di locazione a uso turistico, della sola unità immobiliare, purché il periodo di
locazione non superi i 4 mesi all’anno
– Fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 metri quadrati
– Fabbricati industriali e artigianali quando sono riscaldati dallo stesso processo produttivo o
utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili
– Fabbricati agricoli non residenziali, sprovvisti di impianti di climatizzazione
– Edifici in cui non è necessario garantire un confort abitativo (parcheggi, depositi)
– Edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose
– Ruderi (3)
– Fabbricati allo “stato grezzo”(3) (immobili venduti nello stato di “scheletro strutturale”, privi
di tutte le pareti verticali esterne o di elementi dell’involucro edilizio)
– Immobili venduti “al rustico”, privi delle rifiniture e degli impianti tecnologici
– Edifici “marginali” che non comportano un consumo energetico in relazione alle loro
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caratteristiche tipologiche e/o funzionali
– Edifici inagibili
– Edifici non utilizzabili
– Manufatti non riconducibili alla definizione di “edificio” dettata dall’art. 2 lett. a) del D.Lgs.
192/2005
(1) Per una disamina approfondita dei casi di esclusione oggettiva alla luce delle modifiche
apportate ai commi 3 e 3-bis dell’art. 6 del D.Lgs. 192/2005 dal D.L. 145/2013 (cosiddetto
“Destinazione Italia”) si rinvia a: “La certificazione energetica (dall’attestato di certificazione
energetica all’attestato di prestazione energetica)” studio n. 657-2013/C approvato dall’Area
Scientifica – studi pubblicistici 19.9.2013 (estensore G. Rizzi), par. 5. Il decreto “Destinazione
Italia”: le novità in materia di certificazione energetica. Lo studio è consultabile sul sito
www.notariato.it.
(2) Ai sensi delle attuali previsioni di legge e/o delle Linee guida nazionali per la certificazione
energetica.
(3) Così come dichiarato espressamente nell’atto notarile.
Breve cronistoria
l D.L. 63 del 4 giugno 2013 (in G.U. 130 del 5 giugno 2013), di recepimento definitivo della
dir. n. 2010/31/UE sulla prestazione energetica degli edifici, rivedeva la normativa sulla
certificazione energetica. Sulla base di questo decreto, la procedura relativa all’attestazione di
prestazione energetica da allegare agli atti di compravendita o locazione, veniva rivisitata. Nel
dettaglio, nei casi di vendita o di nuova locazione di un immobile (o di una singola unità
immobiliare), il proprietario doveva presentare l’attestato di prestazione energetica (APE)
all’acquirente o locatario sin dall’inizio delle trattative di vendita/locazione e rilasciarlo a
procedura ultimata; inoltre, per gli edifici sottoposti a ristrutturazioni pesanti o in fase di
costruzione, l’APE avrebbe dovuto riportare la prestazione energetica futura dell’immobile, che
sarebbe poi divenuta definitiva alla conclusione dei lavori.
Anche per le sanzioni, il decreto aveva previsto multe da € 3.000 a € 18.000 in caso di
vendita e da € 300 a € 1.800 in caso di locazione, per il mancato rilascio dell’attestato. Le
sanzioni erano previste anche nel caso di omessa indicazione dei parametri energetici
nell’annuncio di compravendita o locazione (da € 500 a € 3.000), e nel caso di false o con
conformi dichiarazioni da parte dei tecnici abilitati al rilascio dell’attestato (da € 700 a €
4.200).
Il D.L. 63/2013 veniva convertito, con modificazioni, nella legge 90/2013: quest’ultima, infatti,
prevedeva la nullità dei contratti di vendita degli immobili e dei nuovi contratti di locazione
laddove fossero privi di APE; in particolare, l’art. 6 citava testualmente: «L’attestato di
prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di
immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti».
Con l’approvazione del Consiglio dei Ministri, il 23 dicembre 2013, del cosiddetto decreto
“Destinazione Italia”, si introduceva una variante al D.L. 63/2013 (quindi alla legge 90/2013):
la variante prevedeva una sanzione amministrativa in luogo della nullità contrattuale per la
mancanza di APE in allegato. Secondo quanto previsto, all’atto di acquisto o affitto di un
immobile, il soggetto interessato avrebbe dovuto dichiarare di aver ricevuto informazioni e
documentazione circa l’APE con una clausola ad hoc che veniva inserita nei contratti di
compravendita o di locazione. Lo stesso APE doveva essere allegato al rogito e in qualsiasi atto
di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile, così come ai contratti di affitto (escluse le
locazioni di singole unità immobiliari).
Il decreto legge inoltre, prevedeva anche una sorta di sanatoria per le compravendite e le
locazioni già effettuate, per le quali fosse stata già accertata e sanzionata la violazione degli
obblighi APE con la definizione della nullità dell’atto. Se la nullità non fosse già passata in
giudicato, dietro richiesta di almeno una delle due parti poteva essere sostituita dalle nuove
sanzioni che avrebbero di fatto cancellato l’ipotesi di nullità dell’atto.
Infine, con il D.L. 151 del 30 dicembre 2013 (cosiddetto “Milleproroghe”) si era nuovamente
intervenuti sull’APE: in particolare, al comma 5 dell’art. 2, si affermava che nelle operazioni
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immobiliari l’attestato di prestazione energetica poteva essere acquisito successivamente agli
atti di trasferimento e non si applicava quanto disposto dal comma 3- bis dell’art. 6 del D.Lgs.
192/2005 (poi modificato dal D.L. 63/2013).
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Immobili
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Per le caldaie nuovi libretti da giugno
Silvio Rezzonico, Maria Chiara Voci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 31 marzo 2014
Un unico libretto, composto da più schede modulabili a seconda delle caratteristiche
dell'impianto. Quattro tipologie di rapporto di efficienza energetica, studiate per mettere a
fuoco e mappare le prestazioni non solo delle tradizionali caldaie, ma anche dei sistemi di
condizionamento, di teleriscaldamento e di cogenerazione.
A partire dal 1° giugno "cambiano pelle" i documenti che certificano l'efficienza degli impianti
installati in casa, in ufficio o in azienda. E diventano obbligatori anche per i dispositivi di
climatizzazione estiva.
Il libretto di impianto deve essere presente per tutti gli apparecchi mentre il rapporto è
obbligatorio solo per i sistemi soggetti a verifiche periodiche, cioè di riscaldamento con potenza
maggiore di 10 kw e di condizionamento di potenza maggiore di 12 kw. A loro volta, le
verifiche scattano, ogni qual volta s'intervenga sull'impianto modificandone l'efficienza o per
disposizione di legge, con una tempistica diversa a seconda della tipologia e potenza
dell'impianto (Dpr 74/2013). Ad esempio, per le caldaie a gas o metano normalmente
installate in una singola unità immobiliare s'interviene ogni quattro anni, mentre si scende a
due per gli impianti condominiali, se superiori ai 100 kWw Salvo diverse indicazioni regionali.
I nuovi modelli di libretto e di rapporto sono introdotti dal decreto del 10 febbraio 2014 e sono
il risultato di un approfondimento di un gruppo di lavoro coordinato dal Cti, il Comitato
termotecnico italiano. In particolare, nel definire i documenti si è tenuto conto dei progressi
tecnologici e della presenza sempre più diffusa, accanto alle caldaie e ai condizionatori
"tradizionali", di nuovi sistemi, come le pompe di calore geotermiche, i cogeneratori, il
teleriscaldamento o i dispositivi alimentati da fonte rinnovabile (solare, biomasse, etc).
Rispetto all'edizione precedente, il nuovo libretto non si fonda più su due modelli (uno riferito
alle centrali e l'altro al singolo impianto), ma su di un modello unico, personalizzabile,
costituito da tante schede, usate e assemblate in funzione degli apparecchi e delle componenti
dell'impianto.
I modelli di rapporto di controllo di efficienza energetica sono, invece, quattro: il principale è
per gli impianti di riscaldamento con generatore a fiamma e combustione; poi per il
condizionament, il teleriscaldamento e gli impianti di co-trigenerazione.
Il libretto (che è la carta d'identità dell'apparato) viene compilato per la prima volta
dall'installatore, all'atto della messa in funzione e aggiornato dal responsabile dell'impianto o
dal manutentore. Con l'entrata in vigore, dal 1° giugno, del nuovo libretto, il responsabile (che
nei piccoli impianti è l'utente stesso mentre in condominio può essere l'amministratore o la
ditta abilitata da questi delegata) dovrà scaricare il nuovo modello di libretto dai modelli già
disponibili sul sito del ministero Sviluppo economico e trascrivere sulla prima pagina di questo i
dati identificativi dell'impianto così da consegnarlo, all'atto del controllo, al manutentore per
l'aggiornamento.
Il rapporto di efficienza, invece, viene compilato direttamente dal manutentore, che ha anche il
compito di trasmetterlo, preferibilmente in via telematica, all'ente locale che tiene aggiornato il
catasto.
Nel documento è indicato il risultato dei controlli, che devono essere conformi a quanto
previsto dalle norme Uni o ai limiti indicati dal Dpr 74/2013. In caso contrario, il rapporto
risulterà negativo e l'impianto sarà da sostituire.
Incaricati dei controlli sono gli enti locali che ricevono il report delle verifiche e che, da parte
loro, organizzano campagne ispettive a campione.
Le sanzioni dipendono dal Dlgs 192/2005 o da eventuali disposizioni delle Regioni. Si va da
500 ai 3mila euro a carico di proprietario, conduttore, amministratore di condominio o terzo
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responsabile. Da mille ai 6mila euro per l'operatore incaricato che non provvede a redigere e
sottoscrivere il rapporto di controllo tecnico.
Le tappe
L'OBBLIGO
Il libretto d'impianto e i rapporti di controllo per l'efficienza energetica cambiano pelle e
diventano documenti obbligatori per tutte le tipologie d'impianto, compresi i condizionatori fino
ad oggi esonerati per una mancanza, da parte dell'Italia, nel recepimento delle direttive
europee sull'efficienza dell'edilizia
LE SCADENZE
L'obbligo di utilizzare i nuovi modelli scatta dal 1° giugno prossimo. Per gli impianti già dotati
di vecchio libretto, questo dovrà essere rinnovato dal 1° giugno, trasferendo i dati del vecchio
libretto sul nuovo modello. I rapporti saranno compilati secondo i nuovi modelli via via che
scatteranno i termini di legge per le manutenzioni periodiche
I MODELLI
Il libretto diventa unico (non più distinto in centrale ed impianto), personalizzabile, costituito
da tante schede assemblate in funzione delle componenti del sistema a cui si riferisce. I
rapporti sono, invece, quattro, relativi a: caldaie con o senza produzione di acqua calda
sanitaria, condizionamento, teleriscaldamento e cogenerazione
I SOGGETTI
Il libretto dovrà essere sostituito con il nuovo modello a cura di chi ha la responsabilità
dell'impianto (l'utente, in caso di apparati per singole unità immobiliari; l'amministratore o
terzo responsabile per gli altri impianti). Il rapporto di controllo sarà invece compilato dal
manutentore o da chi effettua interventi
I SISTEMI
Il libretto è obbligatorio per tutti gli impianti e va compilato per la prima volta all'atto
dell'installazione.
Il rapporto deve invece essere redatto solo per i sistemi soggetti a verifiche periodiche, cioè
quelli di riscaldamento con potenza maggiore di 10 kw e di condizionamento di potenza
maggiore di 12 kw
LE SANZIONI
I nuovi documenti potranno essere scaricati dal sito del Ministero sviluppo economico e lo sono
già da quello della «Gazzetta». La multa va da 500 ai 3mila euro per il proprietario,
conduttore, amministratore di condominio o terzo responsabile che non ottemperino ai propri
obblighi. Da mille ai 6mila euro per l'operatore che non redige il rapporto di controllo
Obblighi e controlli estesi anche ai condizionatori
Con l'arrivo dei nuovi modelli di libretto e di rapporto, scattano dal 1° giugno obblighi (prima
assenti) per chi ha in casa o in ufficio un sistema di condizionamento.
Esattamente come per le caldaie, anche per i condizionatori è necessario compilare il libretto
dell'impianto e – laddove la potenza sia maggiore di 12 kW – diventa obbligatorio anche
sottoporre l'apparato agli opportuni controlli. Accertandosi che, nel tempo, i consumi non siano
cresciuti troppo rispetto all'iniziale rendimento. È questa la grande novità introdotta con il
decreto del 10 febbraio 2014 e, prima ancora, con l'atto da cui il decreto discende, cioè il Dpr
74/2013, in vigore dal 12 giugno dello scorso anno.
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Gli obblighi Ue
Ora si può affermare che l'Italia si è messa al passo con i tempi in materia di verifiche per
l'efficienza energetica degli impianti e ha sanato la sua posizione di irregolarità. Il nostro
Paese, infatti, era incorso in una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea proprio
perché, fino a ieri, il Dlgs 192/2005, il testo che regola le prescrizioni per abbattere i consumi
degli edifici, nonostante l'enorme bagaglio di rettifiche e integrazioni degli ultimi dieci anni, non
aveva mai contemplato norme relative alle ispezioni sugli impianti di raffrescamento, al fine di
contenerne i consumi. Una situazione che era in aperta contraddizione rispetto a quanto
prescritto dalla direttiva europea 2002/31/Ue, nel frattempo, a sua volta, già rinnovata nei
contenuti e sostituita dalla direttiva 2010/31/Ue.
Il Dpr 74/2013, in realtà, non basta – da solo – a chiudere il capitolo dell'allineamento fra la
legislazione italiana e quella europea. Tuttavia, l'atto sostituisce il vecchio Dpr 412/93 e
riordina la materia delle verifiche sugli impianti termici, mettendoci in regola nei confronti della
direttiva 2002/31/Ue e introducendo elementi di novità che ci consentiranno di recuperare il
tempo perduto nel momento in cui, il nostro Paese, con la completa riscrittura del Dlgs
192/2005, recepirà formalmente la direttiva 2010/31/Ue.
Gli adempimenti
Gli adempimenti introdotti per gli impianti di climatizzazione estiva ricalcano quelli per il
riscaldamento. Innanzitutto sarà necessario produrre un libretto, che mappa la vita
dall'apparato dalla fase di installazione in poi e dovrà contenere i successivi rapporti di
efficienza, ogni volta che sarà sottoposto a un controllo. Come previsto dall'allegato A del Dpr
72/2013, per gli impianti con apparati standard e una potenza fra i 12 kW e i 100 kW, l'obbligo
di ispezione scatta ogni quattro anni. Tenendo ben presente che non è possibile imboccare
scorciatoie: anche nel caso di un unico sistema per il caldo e il freddo, con generatori diversi,
le ispezioni dovranno essere effettuate in momenti distinti.
Se i valori dei parametri che caratterizzano l'efficienza energetica risultano inferiori fino al 15%
rispetto a quelli misurati in fase di collaudo o primo avviamento (riportati sul libretto di
impianto), i sistemi devono essere riportate alla situazione iniziale, con una tolleranza del 5%
(articolo 8, comma 9 Dpr 74/2013).
È bene infine ricordare che la normativa dei controlli per l'aria condizionata s'incrocia con
quella del cosiddetto "patentino per i frigoristi" e con la verifica dei gas impiegati per il
raffreddamento.
LA PAROLA CHIAVE
Libretto d'impianto
Il libretto è la "cartella clinica" dell'impianto, lo segue dalla prima accensione a fine servizio e
successiva demolizione, registra tutte le modifiche, sostituzioni di apparecchi e componenti,
interventi di manutenzione e di controllo, valori di rendimento nel corso della sua vita utile,
cambi di proprietà. Il rapporto di efficienza energetica è il verbale dei controlli che, con la
periodicità prevista dal Dpr 74/2013 in funzione della potenza e tipologia dell'impianto, l'utente
deve far effettuare a proprie spese da un manutentore abilitato a termini di legge (un pò come
la revisione periodica dell'auto).
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Immobili
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Ristrutturazione più libera nella forma o riuso urbano?
Una recente sentenza del TAR Piemonte – Torino ha ritenuto non dovuti gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria per gli interventi realizzati mediante demolizione e
ricostruzione mantenendo la stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso dell’edificio
preesistente, a nulla rilevando la modifica di sagoma e prospetti.
Mantini Pierluigi, Panetta Chiara, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, 15 marzo 2014, n.
948
Con sent. n. 1346 del 13 dicembre 2013, il TAR Piemonte ha dichiarato illegittimo e, per
l’effetto, annullato il provvedimento con cui il comune ha determinato il contributo di
costruzione, nella parte relativa agli oneri di urbanizzazione, relativamente a un intervento di
ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, senza alcuna modifica dei parametri e
del carico urbanistico.
I giudici torinesi, aderendo all’orientamento prevalente, rilevano che il contributo per oneri di
urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ossia un contributo speciale che ha la
propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’Amministrazione pubblica deve accollarsi in
dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del
bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
La pronuncia, peraltro di una chiarezza dirompente, dichiara la non esigibilità di oneri di
urbanizzazione nel caso di un intervento di ristrutturazione edilizia che modifichi la sagoma e i
prospetti, ritenendo tali parametri “inconferenti” ai fini del carico urbanistico.
Tale conclusione si fonda sul principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui, in caso di
ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui
l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (si veda in tal senso, da
ultimo, lo stesso TAR Piemonte, Sez. II, sent. n. 1009, del 16 settembre 2013).
La questione, dunque, ruota chiaramente intorno alle problematiche della corretta
individuazione della nozione e dei parametri che incidono sul carico urbanistico provocandone
un incremento.
Secondo una definizione formulata dai giudici di legittimità e accolta dalla giurisdizione
amministrativa, l’incremento del carico urbanistico «…e` l’effetto che viene prodotto
dall’insediamento primario come domanda di strutture e opere collettive, in dipendenza del
numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non
definito dalla vigente legislazione, ma che e` in concreto preso in considerazione in vari istituti
del diritto urbanistico, tra i quali: a. gli standard urbanistici di cui al D.M. 1444 del 2 aprile
1968, che richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni
minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b. la sottoposizione a
concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle
superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre
nuovo insediamento; c. il parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano
nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione».
(Cass., Sez. Unite, sent. n. 12878, del 20 marzo 2003).
Si tratta, pertanto, di una nozione che va valutata con riferimento all’aspetto strutturale e
funzionale dell’opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell’originaria
consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o
all’effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell’insieme delle esigenze
urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati
dal D.M. 1444 del 2 aprile 1968.
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Fatte, dunque, le opportune, seppur minime, precisazioni, si ritiene che nel caso di specie il
TAR adito correttamente ritenga, con riferimento a un intervento di ristrutturazione edilizia con
variazione di sagoma e prospetti, non esigibili gli oneri d’urbanizzazione, qualora l’intervento
non comporti variazioni della volumetria e della destinazione d’uso.
In effetti, se così non fosse, dovrebbe ritenersi che ogni intervento edilizio che riqualifica un
immobile vetusto, cambiandone la “forma” ovvero realizzando nuove finestre, sia soggetto al
pagamento di oneri di urbanizzazione che, a questo punto, dovrebbero essere qualificati come
un’imposta e non come un contributo dovuto in ragione dei costi sostenuti dall’amministrazione
per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie.
Si tratta soltanto di un primo passo verso la riduzione del consumo di suolo e il rafforzamento
delle politiche di riuso e recupero dell’esistente dismesso o sottoutilizzato.
Invero da più parti, complice la preoccupazione generata dalla crisi economica oltre che la
necessità di contenere il consumo del suolo, si invoca l’abbattimento dei freni e degli oneri
ingiustificati per il riuso urbano che genera valore e sviluppa l’economia e il lavoro. (1)
L’inscindibile legame tra oneri di urbanizzazione e consumo di suolo
Occorre rilevare che, nel decennio scorso, numerosi interventi legislativi hanno rafforzato le
interdipendenze tra oneri di urbanizzazione, o più in generale governo del territorio, e finanza
dei comuni.
Infatti, gli oneri di urbanizzazione, concepiti come contributo alla realizzazione di infrastrutture
e di servizi, connessi al carico insediativo, sono stati destituiti della loro originaria funzione.
Al fine di meglio comprendere la questione sottesa, giova ricordare che la legge 10/1977,
all’art. 12, stabiliva la destinazione dei proventi derivanti dal contributo di costruzione alla
realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonché in attrezzature collettive
al servizio del funzionamento. L’eliminazione di tale vincolo, a seguito dell’emanazione del
D.P.R. 380/2001, ha fornito la base giuridica alla previsione, introdotta per la prima volta nella
Finanziaria 2005, che permette di utilizzare le entrate derivanti dalle concessioni per la
copertura delle spese di natura corrente quali rimborso di quota capitale finanziamento mutui e
prestiti, rimborso di prestiti obbligazionari, rimborso di quota capitale di debiti pluriennali.
D’altronde un maggiore grado di libertà nell’utilizzo degli oneri di urbanizzazione unitamente
alla riduzione dei trasferimenti finanziari statali e di altre forme di entrata ha alterato il bilancio
degli enti locali, rendendo appetibile la risorsa oneri per il riequilibrio di bilancio.
In particolare, la relazione tra destinazione d’uso dei suoli e finanza dei comuni è stata resa più
incisiva anche a causa dell’abolizione dell’ICI e della riduzione del gettito IRPEF.
Per tale via la scelta operata da molti comuni di utilizzare l’edilizia per sostenere le finanze
locali ha rappresentato una delle concause più evidenti del consumo di suolo negli ultimi anni.
La promozione di interventi per la rigenerazione urbana
Il dibattito si sta spostando progressivamente dalla semplice denuncia del fenomeno verso la
valutazione di approcci e di politiche capaci di affrontare efficacemente il processo di
urbanizzazione dei suoli agricoli e naturali.
La riduzione del consumo di suolo e il rafforzamento delle politiche di riuso e recupero
dell’esistente dismesso o sottoutilizzato, peraltro alla base di tutte le proposte legislative che si
sono succedute nel tempo, può essere perseguita solo se si riducono le spinte della rendita
urbana.
Come dimostrano le esperienze degli altri Paesi, in primis la Germania, nonché la recente
approvazione del disegno di legge, la possibilità di invertire la prassi dissipativa della risorsa
territoriale è subordinata alla messa in campo di una strategia, sia in ambito nazionale che in
ambito regionale, che preveda strumenti fiscali, regolativi e incentivanti e sanzionatori
modulabili in relazione alla quantità di suolo urbanizzato, al fine di rendere meno conveniente il
consumo di suoli liberi.
Occorre, infatti, in parallelo, cambiare le forme di intervento urbanistico ed edilizio in modo da
spostare vantaggi e obiettivi verso la rigenerazione urbana e ridurre l’espansione edilizia.
Occorre favorire gli interventi di trasformazione delle aree degradate dentro la città, ossia le
situazioni di edifici e aree in parte dismesse e in parte con complessi edilizi da ripensare,
demolire e ricostruire, densificare, per creare dei quartieri finalmente degni di questo nome
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con spazi pubblici ospitali, ricchi di attività e identità e per questo sicuri. Si tratta di una
strategia d’azione combinata, il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana,
praticata con successo in molte nazioni europee.
Questo tipo di interventi è oggi difficilissimo da realizzare in Italia per la complessità delle
procedure, la proprietà frammentata, e i costi degli interventi. Come affermato, il
contenimento del consumo del suolo, non può che passare per politiche attive atte a
incentivare il riuso e il recupero di edificazioni esistenti (ristrutturazione urbanistica e
sostituzione edilizia); la differenza dei costi reali tra nuova costruzione e interventi di
sostituzione edilizia in contesti già urbanizzati è estremamente rilevante, atteso che i contesti
industriali sono per lo più soggetti a necessari interventi di messa in sicurezza e bonifica,
spesso insostenibili senza politiche di incentivazione e sostegno.
Tuttavia, i governi locali possono cercare di modificare la domanda di suoli edificabili, oltre che
attraverso una più attenta valutazione delle politiche di sviluppo locale e dei loro impatti
edificatori, agendo sulla leva fiscale, per ottenere la modificazione delle preferenze insediative
degli investitori.
La stessa recente rivisitazione in aumento degli oneri operata da gran parte dei comuni
mantiene una scarsa incidenza degli stessi rispetto al costo finale degli immobili: se, per il
bene casa, si confronta per esempio l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, versati nella
prima edificazione e negli interventi di ristrutturazione, in rapporto al peso delle mediazioni
immobiliari che accompagnano i passaggi di proprietà nella vita dell’immobile e delle spese
effettive di infrastrutturazione e di manutenzione sostenute nel tempo.
Nel recente disegno di legge, al fine di favorire un migliore uso del suolo, uno dei punti cruciali
è quello di ristabilire l’originaria funzione degli oneri di urbanizzazione, che negli ultimi anni
potevano essere utilizzati fino al 75% per le spese correnti dei comuni, prevedendo che siano
vincolati alla esclusiva realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria,
eliminando l’esigenza di un cambiamento del ciclo edilizio che sposti l’attenzione sulla
rigenerazione dei tessuti urbani, sulla riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio
edilizio esistente.
Invero, la riforma della fiscalità locale costituisce il nodo strategico del sopracitato disegno di
legge: si tassano gli interventi che consumano suolo, incrementando gli oneri di costruzione di
costruzione, costituiti dagli oneri di urbanizzazione e contributo sul costo di costruzione, in
modo significativo e vincolando le risorse rese disponibili per finanziare gli interventi di riuso e
riqualificazione dell’esistente, compresi i costi delle bonifiche, o all’acquisizione di aree
destinate al verde.
La proposta
Oggi è fondamentale che la normativa nazionale definisca chiaramente gli obiettivi di qualità e
sostenibilità urbanistica in termini di prestazioni energetiche, di uso e consumo delle risorse
naturali, di accessibilità sul trasporto pubblico, pedonale e ciclabile.
Al fine di raggiungere tali obiettivi, appare necessaria una politica fiscale indirizzata non
soltanto ad avviare politiche di utilizzazione e rinaturalizzazione ecologica ma anche per
sostenere strategie politiche di riqualificazione e recupero delle aree dismesse sottoutilizzate.
Per tale via occorre prevedere, quali interventi a sostegno dei processi di rigenerazione urbana,
vantaggi fiscali (per esempio, riduzione aliquota IMU, riduzione costo di costruzione e imposte
di registro) e di procedure di attuazione semplificate nonché condizioni più favorevoli di
accesso al credito nonché, laddove sostenibili, incentivi di natura volumetrica.
Attualmente molti comuni, applicano ingenti oneri di urbanizzazione per interventi di cambio di
destinazione d’uso, senza alcuna motivazione determinata dalla realizzazione di opere a carico
pubblico.
Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, si tratta di un prelievo che dovrebbe avere
natura fiscale (secondo il canone della progressività ex art. 53 Cost.), a cui non corrisponde
un’adeguata controprestazione e che ha invece l’effetto di frenare moltissimo il riuso,
aumentandone in modo ingiustificato i costi e le complessità burocratiche.
Dunque la prima misura necessaria per una concreta politica di semplificazione e di
rigenerazione urbana, consiste nell’abbattimento dei freni e degli oneri ingiustificati per il riuso
urbano che, di per sé, genera valore e sviluppa l’economia e il lavoro.
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Tra le dieci proposte le proposte che il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori,
paesaggisti e conservatori ha consegnato al Ministro delle infrastrutture, in tema di
semplificazione, riuso del patrimonio edilizio esistente e per promuovere lo snellimento
amministrativo in materia di urbanistica, edilizia e ambiente, vi è quella di aggiungere all’art.
17 del D.P.R. 380 del 6 giugno 2001, il seguente capoverso: «Non sono dovuti il costo di
costruzione né gli oneri di urbanizzazione, al fine di favorire il riuso e la semplificazione
amministrativa per gli interventi di mutamento di destinazione d’uso senza opere o con opere
interne, anche se determinano aumento di superficie senza modifica della sagoma e dei
volumi, a condizione che non sia dimostrato dal comune, entro 30 giorni, un rilevante
aggravamento dell’impatto urbanistico.
Gli interventi di riuso e di ristrutturazione edilizia non comportano adeguamento degli standard
urbanistici.
Per favorire il riuso gli interventi di edilizia sostitutiva corrispondono costo di costruzione e
oneri di urbanizzazione, se dovuti, ridotti della metà».
Si tratta di una svolta necessaria per limitare i danni derivanti dal consumo di suolo e per far
ripartire l’edilizia.
----(1) Si veda in tal senso la relazione al XXVIII Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica
del prof. Pierluigi Mantini dal titolo “Rigenerazione urbana, resilienza, re/evolution. Profili
giuridici”, in .
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Immobili

Ape: la multa non esenta dall’obbligo di allegazione
Mauro Leo, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 8 marzo 2014, n. 11
La documentazione della prestazione energetica degli edifici in occasione del loro trasferimento
non ha subito variazioni a seguito della conversione in legge del Dl 23 dicembre 2013 n. 145
(“Destinazione Italia”).
Disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, per gli indirizzi
strategici dell’energia geotermica, in materia di certificazione energetica degli edifici
e di condominio, e per lo sviluppo di tecnologie di maggior tutela ambientale (Dl
145/2013, articolo 1) - La disciplina dell’allegazione dell’Attestazione di Prestazione Energetica
(Ape) agli atti traslativi, infatti, ha conservato l’assetto (ormai definitivo) che il decreto legge
145/2013 le aveva impresso dal 24 dicembre 2013 con la modifica del Dlgs 19 agosto 2005 n.
192.
Resta confermato, in particolare, che l’obbligo di allegazione di tale attestato è previsto solo
per gli atti traslativi a titolo oneroso e non invece per quelli a titolo gratuito e che la sanzione
comminabile per la violazione di tale obbligo, non è più la nullità dell’atto ma una sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 18.000.
Anche il perimetro applicativo del Dlgs 192/2005, quanto agli immobili soggetti alla disciplina,
resta indenne dal processo di conversione del decreto Destinazione Italia, così come in origine
delineato dalle Linee Guida Nazionali (Dm Mise 26 giugno 2009) e dai criteri interpretativi
successivamente consolidati.
Gli immobili non assoggettati alla disciplina - Gli immobili non assoggettati alla disciplina
continuano quindi a essere: i fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50
metri quadrati (articolo 3, comma 3, lettera d) del Dlgs 192/2005); i fabbricati industriali e
artigianali quando gli ambienti sono riscaldati per esigenze del processo produttivo o
utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili (articolo 3,
comma 3, lettera b), del Dlgs 192/2005); i fabbricati agricoli non residenziali sprovvisti di
impianti di climatizzazione (articolo 3, comma 3, lettera c) del Dlgs 192/2005); i box, le
cantine, le autorimesse, i parcheggi multipiano, i depositi, le strutture stagionali a protezione
degli impianti sportivi (articolo 3, comma 3, lettera e), del Dlgs 192/2005); gli edifici in cui non
è necessario garantire un confort abitativo (paragrafo 2 Linee Guida Nazionali per la
certificazione energetica); gli edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività
religiose (articolo 3, comma 3, lettera f) del Dlgs 192/2005); i ruderi e i fabbricati “al grezzo”
(paragrafo 2 Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica).
Va anche segnalato che la disciplina in questione è stata conservata tale e quale non solo sotto
il profilo letterale ma anche strutturale, poiché l’enunciato dell’articolo 6 del Dlgs 192/2005
risulta ora costituito dal solo comma 3.
La legge n. 9 del 2014 ha infatti inserito in sede di conversione del Dl 145/2013, il comma 7ter che ha eliminato l’ambiguo riferimento al comma 3-bis del Dlgs 192/2005 che era stato
introdotto nel Dl 63/2013, dal comma 139 dell’articolo unico della legge 27 dicembre 2013 n.
147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - c.d. Legge
di stabilità, in “Gazzetta Ufficiale” del 27 dicembre 2013 n. 302, S.O.).
L’articolo 1, comma 139, lettera a) della legge di Stabilità, infatti, non modificava direttamente
il Dlgs 192/2005 contenente la disciplina sulla certificazione energetica, ma interveniva sul
decreto legge 4 giugno 2013 n. 63 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013 n.
90) il quale, a sua volta, aveva modificato il Dlgs 192/2005 inserendovi il comma 3-bis, che
era del seguente tenore: «l’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al
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contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di
locazione, pena la nullità degli stessi contratti».
La legge di stabilità, quindi, anteponendo con le modalità sopra richiamate al comma 3bis dell’articolo 6 del Dlgs 192/2005, l’espressione «A decorrere dalla data di entrata in vigore
del decreto di adeguamento di cui al comma 12», creava non pochi problemi interpretativi con
il Dl 145/2013.
Il dubbio era sostanzialmente legato a un possibile effetto ripristinatorio del comma 3-bis da
parte della legge di stabilità che l’aveva richiamato per modificarlo, dopo che il decreto
Destinazione Italia, poche ore prima, l’aveva abrogato a far data dal 24 dicembre 2013.
L’attuale configurazione normativa - L’assetto definitivo della normativa fondamentale in
materia di prestazione energetica degli edifici, consente a questo punto di riassumere i
passaggi salienti che hanno portato all’attuale configurazione della disciplina sull’allegazione
agli atti traslativi della certificazione energetica, compreso il recente complesso intreccio
normativo sopra richiamato. Sempre tenendo presente, è il caso di aggiungere, che
ilcorpus normativo sulla prestazione energetica risulta composto oltre che dal Dlgs 192/2005,
anche dai seguenti provvedimenti: Dl 63/2013, Dlgs 29 dicembre 2006 n. 311, Dlgs 30 maggio
2008 n. 115, Dpr 2 aprile 2009 n. 59, Dm Mise 26 giugno 2009, Dlgs 3 marzo 2011 n. 28, Dm
Mise 22 novembre 2012.
1) La soppressione dell’obbligo di allegare agli atti traslativi di edifici l’attestato di
certificazione energetica - a pena di nullità - era stata introdotta dall’articolo 35, comma 2-bis,
del Dl 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133. Fino a quel
momento l’obbligo di allegazione, per i soli atti traslativi a titolo oneroso, era contenuto nel
comma 3 dell’articolo 6 del Dlgs 192/2005 che consentiva l’allegazione dell’originale o di copia
autenticata dell’Ace.
2) La legge 90/2013 di conversione del Dl 63/2013, ha reintrodotto l’obbligo di allegazione
dell’Ape (che fino a quel momento era denominato come Attestato di Certificazione
Energetica), inserendo nell’articolo 6 del Dlgs 192/2005 un comma 3-bis, in base al quale
«l’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di
trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli
stessi contratti». Il perimetro di applicazione dell’obbligo di allegazione veniva esteso quindi
anche agli atti traslativi a titolo gratuito e si ripristinava la sanzione della nullità.
3) Con il Dl Destinazione Italia 145/2013 - entrato in vigore il 24 dicembre 2013 - il legislatore
è nuovamente intervenuto (articolo 1, commi 7 e 8) sulla disciplina dell’allegazione dell’Ape,
sostituendo i commi 3 e 3-bis dell’articolo 6 del decreto legislativo 192/2005, con un unico
(nuovo) comma 3.
Viene modificato il regime sanzionatorio per la violazione dell’obbligo di allegazione - in luogo
della nullità dell’atto si introduce una sanzione amministrativa - e chiarito quali sono gli atti che
ricadono nel perimetro applicativo del nuovo comma 3 dell’articolo 6 del Dlgs 192/2005.
Oltre alla compravendita si prevede che tale attestato debba essere allegato agli «atti di
trasferimento a titolo oneroso» (es: permuta, datio in solutum, transazione, conferimento di
beni in società, assegnazione di alloggi ai soci di cooperative, vendita di eredità, cessione di
azienda).
Vengono invece sottratti dall’obbligo di allegazione gli atti a titolo gratuito, e quindi la
donazione o le liberalità donative nonché ogni altro negozio nel quale - anche senza spirito di
liberalità - vi sia trasferimento di immobile senza corrispettivo a favore dell’alienante.
Per gli atti a titolo gratuito, quindi, deve essere tenuto presente che l’obbligo di allegazione
dell’Ape è stato in vigore dal 6 giugno 2013 (quando fu introdotto dal Dl 63/2013, poi
convertito dalla legge 90/2013) fino al 23 dicembre 2013 (data di entrata in vigore del decreto
Destinazione Italia). Nel caso in cui a tali atti non sia stato allegato l’Ape, è possibile ricorrere
al meccanismo di “sanatoria” della nullità (che come detto era la sanzione prevista prima
dell’introduzione della sanzione amministrativa).
Occorre ricordare infatti che è stato confermato dalla legge di conversione del decreto
145/2013, il comma 8 dell’articolo 1 del decreto 145/2013, il quale prevede la possibilità, su
richiesta di almeno una delle parti o di un suo avente causa, di richiedere l’applicazione della
sanzione amministrativa in luogo della nullità (sanzione, questa, prevista dal 4 agosto al 23
dicembre 2013) per le violazioni all’obbligo di allegazione previsto dal previgente comma 3-bis,
purché la nullità del contratto non sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato.
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Contratti di locazione - Quanto ai contratti di locazione il legislatore, pur ribadendo che la
disciplina si applica ai soli “nuovi contratti” (restandone escluse pertanto tutte le vicende che
hanno a oggetto la cessione del contratto originario o la successione nelle posizioni
contrattuali), ha notevolmente ridotto la portata dell’obbligo di allegazione dell’Ape,
escludendolo per quelli che hanno a oggetto singole unità immobiliari e mantenendolo solo per
le locazioni di interi edifici.
Per i contratti di locazione di singole unità immobiliari resta fermo l’obbligo di inserire nel
contratto - pena l’applicazione della sanzione amministrativa - la dichiarazione del conduttore
di aver ricevuto dal locatore le informazioni circa la prestazione energetica dell’edificio e il
documento Ape.
Successivamente è entrata in vigore (il 1° gennaio 2014) la legge di Stabilità che “di riflesso”
ha cambiato l’articolo 6, comma 3-bis, del Dlgs 192/2005. Si è verificata infatti una modifica
indiretta di questo provvedimento poiché la letteraa) comma 139 della legge di Stabilità ha
modificato l’articolo 6, comma 1, del Dl 63/2013 che a sua volta modificava - richiamandolo - il
suddetto comma 3-bis al quale veniva anteposta l’espressione «A decorrere dalla data di
entrata in vigore del decreto di adeguamento di cui al comma 12».
In sostanza il richiamo del comma 3-bis (abrogato dal decreto Destinazione Italia) con
l’obiettivo di modificarlo, ha ingenerato in taluni interpreti il dubbio circa una possibile
riviviscenza della norma contenente il precetto sull’obbligo di allegazione.
Tale dubbio, peraltro, sembrava destinato a farsi sempre più concreto nel momento in cui
anche il decreto legge 30 dicembre 2013 n. 151 (“milleproroghe”) - in vigore dal 31 dicembre
2013 - richiamava (articolo 2, comma 5) il suddetto comma 3-bis in materia di dismissioni di
immobili del patrimonio pubblico, disponendo che «l’attestato di prestazione energetica di cui
all’articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, può essere acquisito
successivamente agli atti di trasferimento e non si applica la disposizione di cui al comma 3bis del medesimo articolo».
Per la verità già fin dai primi commenti a caldo della legge di stabilità veniva escluso che al
semplice richiamo della norma abrogata in un successivo provvedimento normativo, potesse
attribuirsi una portata ripristinatoria. E ciò soprattutto sulla scorta di quella giurisprudenza
costituzionale che ha sempre escluso quell’effetto «in via generale e automatica», potendosi
ammettere, se del caso, solo in modo espresso e in ipotesi tipiche e circoscritte (Corte
costituzionale, sentenza n. 13 del 24 gennaio 2012).
Il difetto di coordinamento - La legge di conversione 9/2014 non ha invece corretto il
difetto di coordinamento che si segnalava già in occasione dell’emanazione del decreto
Destinazione Italia, tra il nuovo comma 3 dell’articolo 6 del Dlgs 192/2005 che disciplina
l’obbligo di allegazione, e il comma 2 che regola invece il distinto - ma contiguo - obbligo di
dotazione dell’Ape.
A questo proposito si ricorda come dalla normativa in materia di certificazione energetica
discendono quattro distinti obblighi, di cui tener conto nel caso di trasferimento di fabbricati
energeticamente rilevanti (ossia come sopra ricordato, di fabbricati che non siano esclusi dal
campo di applicazione di detta normativa ai sensi dell’articolo 3 del Dlgs 192/2005 o del
paragrafo 2 delle Linee Guida nazionali per la Certificazione Energetica) e precisamente:




l’obbligo di dotazione (che può prescindere dal trasferimento dell’immobile, come nel
caso di edificio nuovi, di edifici soggetti a «ristrutturazioni importanti» o di edifici
pubblici);
l’obbligo di allegazione (che è stato reintrodotto dalla legge 4 agosto 2013 n. 90, in
sede di conversione del Dl 4 giugno 2013 n. 63, che ha previsto, inoltre, in caso di sua
violazione, la sanzione della nullità);
l’obbligo di consegna dell’attestato energetico (il cui adempimento va documentato con
l’inserimento in atto di apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore
dichiarano di aver ricevuto la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine
all’attestazione di prestazione energetica degli edifici);
l’obbligo di informativa (il cui adempimento va documentato con l’inserimento in atto di
apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le
informazioni in ordine all’attestazione di prestazione energetica degli edifici).
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L’obbligo di dotazione, oltre che a essere previsto per tutti gli edifici (a eccezione di quelli che
ne sono espressamente esclusi) fin dalla loro costruzione, o «ristrutturazione importante»
(articolo 6, comma 1) ovvero destinati all’apertura al pubblico da parte della pubblica
amministrazione (articolo 6 commi 6, 7 e 9), è stabilito anche per gli immobili venduti o
trasferiti a titolo gratuito, nonché per gli edifici o le unità immobiliari oggetto di nuova
locazione, anche se «l’edificio o l’unità non ne sia già dotato» (articolo 6, comma 2). In questo
caso l’obbligo di dotare il fabbricato dell’Ape riguarda gli edifici preesistenti, e cioè realizzati
prima del Dlgs 192/2005, per i quali l’allineamento ai nuovi edifici, sotto il profilo della verifica
del rendimento energetico, non avviene subito ma man mano che vengono trasferiti.
Ebbene la circostanza che la legge di conversione del decreto Destinazione Italia, abbia
modificato il solo comma 3 e non anche il comma 2 dell’articolo 6 del Dlgs 192/2005, la cui
formulazione resta pertanto quella originaria, ha comportato che mentre gli atti di
trasferimento a titolo gratuito vengono esclusi dall’obbligo di “allegazione” dell’Ape (pur
continuando a essere assoggettati all’obbligo di “dotazione), gli atti di trasferimento a titolo
oneroso ora inclusi nell’obbligo di allegazione continuano a essere non menzionati quanto
all’obbligo di dotazione.
Il difetto di coordinamento, in ogni caso, appare superabile in sede di stipulazione poiché
mentre riguardo agli atti a titolo oneroso, il mancato richiamo all’obbligo dotazione dell’Ape in
capo al venditore, viene assorbito dalla produzione dell’attestato in sede di stipulazione per
l’allegazione, per gli atti a titolo gratuito l’assolvimento dell’obbligo di dotazione da parte del
venditore - mancando un pedissequo obbligo di allegazione - può essere oggetto di apposita
previsione contrattuale finalizzata essenzialmente a informare la parte acquirente sulla
prestazione energetica dell’immobile.
Sanzione amministrativa - Quanto alla sanzione amministrativa, nel nuovo comma 3 il
legislatore non introduce sostanziali novità, a eccezione della previsione in base alla quale, il
pagamento della sanzione non esenta comunque dall’obbligo di presentare la dichiarazione
(proveniente dall’acquirente o dal conduttore relativa alla circostanza di aver ricevuto le
informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine all’attestazione della
prestazione energetica dell’edificio) o la copia dell’attestato di prestazione energetica entro
quarantacinque giorni.
Tale sanzione grava sulle parti in solido e in parti uguali e l’accertamento e la contestazione
sono svolte dalla Guardia di finanza o dall’Agenzia delle entrate al momento della registrazione
di uno dei contratti di cui allo stesso comma, con coinvolgimento del prefetto - a cui viene
inoltrato rapporto - nella parte finale del procedimento di accertamento.
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Casi pratici
 Immobili
 PAGA L'IMU IL TITOLARE DEL DIRITTO DI ABITAZIONE
D. Mi viene chiesto dal Comune il pagamento dell'Imu sulla mia quota della casa paterna, che
possiedo per successione legittima di mio padre, insieme con mia madre (coniuge superstite
con diritto di abitazione ai sensi dell'articolo 540 del Codice civile), mia sorella nubile (e
residente nella medesima abitazione), e mio fratello, che, come me, è coniugato e residente in
un'altra abitazione, con i requisiti "prima casa".Secondo me, non dovrei pagare nulla, in
quanto l'unico soggetto passivo è mia madre, titolare del diritto di abitazione; ma il Comune
sostiene che la residenza di mia sorella in quella stessa abitazione comporta il mio obbligo al
pagamento per la quota di mia proprietà come seconda casa .Chi ha ragione?
---R. L’articolo 540 del Codice civile riconosce al coniuge superstite, oltre agli eventuali diritti
successori per successione legittima o testamentaria e il suo intangibile diritto a una quota di
riserva quale legittimario, anche uno specifico diritto reale di abitazione sulla casa coniugale,
che gli viene riconosciuto automaticamente. Dal punto di vista fiscale, tale previsione ha come
conseguenza la possibilità di fruire di tutti i benefici fiscali previsti per l'abitazione principale,
dichiarandone il possesso al 100 per cento. Il legittimato passivo d’imposta - sia sul reddito
che sul patrimonio - è unicamente il titolare del diritto reale di abitazione. La richiesta del
Comune, come descritta dal lettore, è quindi da ritenere non fondata, a condizione che si siano
eseguite correttamente le formalità catastali prescritte a seguito della successione. Per
considerare infondata la richiesta del Comune, il lettore deve quindi verificare che sia stato
regolarmente trascritto in Catasto il diritto di abitazione in favore del coniuge superstite. Pur
essendo un diritto operante ex lege, esso necessita comunque di una formalizzazione, che di
norma avviene, appunto, attraverso le trascrizioni catastali effettuate in occasione della
successione.Laddove ciò non sia avvenuto, si consiglia un riallineamento delle risultanze
catastali: nel frattempo, è comunque possibile attestare la sussistenza del diritto di abitazione
(e quindi la non imponibilità a carico degli altri coeredi) attraverso la dichiarazione Imu.
(Alberto Bonino e Gianni Marchetti, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 marzo 2014)

FOTOVOLTAICO, BONUS MOBILI SOLO PER CASE AUTONOME
D. A giugno 2013 ho fatto installare, a servizio dell'appartamento dove abito, un impianto
fotovoltaico. Con la prossima dichiarazione dei redditi, beneficerò della detrazione Irpef del 50
per cento. Volevo sapere, se questo intervento mi dà anche diritto al bonus mobili.
---R. L’articolo 1, comma 139, della legge 147/2013 ha prorogato al 31 dicembre 2014 la
detrazione Irpef del 50 per cento (fino a un importo massimo di spesa di 10.000 euro, da
ripartire in 10 quote annuali di pari importo) per l’acquisto dei mobili finalizzati all’arredo
dell’abitazione oggetto di ristrutturazione, e che fruisce della detrazione del 50% per gli
interventi edili (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986). La circolare 29/E/2013 conferma che
l’agevolazione è riconosciuta solo in favore di coloro che fruiscono della detrazione Irpef
"potenziata" del 50% per le ristrutturazioni edilizie (per gli interventi di manutenzione
straordinaria, restauro e ristrutturazione, mentre gli interventi di manutenzione ordinaria sono
agevolati solo per opere eseguite sulle parti comuni condominiali). Nella circolare viene poi
evidenziato che, nell’ipotesi di interventi su parti comuni condominiali, il bonus arredi compete
solo per le spese sostenute per l’arredo di tali parti comuni (per esempio, la casa del portiere)
e non anche per l’arredo delle singole unità immobiliari (per fruire del bonus arredi sull’interno
dell’appartamento, occorre eseguire interventi edili all’interno della abitazione).Tutto ciò
premesso, la detrazione per lavori edilizi si applica anche per gli impianti fotovoltaici
(risoluzione 22 aprile 2013, n. 2/E); tuttavia, tali impianti in genere insistono sulle parti
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comuni (sono esterni all’abitazione) e non consentono l’accesso ai benefici per l’acquisto dei
mobili che sono diretti ad arredare l’interno dell’abitazione. L’unico caso in cui ciò è possibile
riguarda l’ipotesi di intervento eseguito su abitazione monofamiliare. In tal caso, trattandosi di
manutenzione straordinaria su una struttura monofamiliare, l’installazione dell’impianto
fotovoltaico consente l’accesso al bonus mobili per arredare l’abitazione, ma non anche
nell’ipotesi di pannelli fotovoltaici installati nel condominio.
(Marco Zandonà, Il sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 24 marzo 2014)

ACQUISTO ENTRO IL 2014 PER LAVORI FINITI NEL 2013
D. La circolare 29/E del 18 settembre 2013 specifica che, per fruire del bonus mobili, i lavori di
manutenzione straordinaria devo essere terminati da un lasso di tempo sufficientemente
contenuto. Posso fruire del bonus mobili sull'acquisto, a febbraio 2014, di elettrodomestici in
classe A+, destinati all'immobile oggetto dell'intervento edilizio, per il quale è stata comunicata
la chiusura dei lavori in Comune in data 3 dicembre 2013?
---R. L’articolo 16, comma 2, del Dl 63/2013, convertito nella legge 90/2013, e la successiva
proroga al 31 dicembre 2014 (prevista dall’articolo 1, comma 139, della legge 147/2013)
estendono la detrazione Irpef per il recupero edilizio anche alle spese sostenute, dal 6 giugno
al 31 dicembre 2014, per l’acquisto dei mobili finalizzati all’arredo dell’abitazione oggetto di
ristrutturazione, compresi i grandi elettrodomestici dotati di etichetta energetica, di classe non
inferiore alla A+ (A per i forni), nella misura "potenziata" del 50 per cento, fino a un importo
massimo di spesa di 10.000 euro, da ripartire in 10 quote annuali di pari importo. La circolare
29/E/2013 conferma che l’agevolazione è riconosciuta solo in favore di coloro che fruiscono
della detrazione Irpef del 50% per le ristrutturazioni edilizie, applicabile per le spese sostenute
dal 26 giugno 2012 fino al 31 dicembre 2014. Per quanto riguarda, poi, il momento di inizio
degli interventi edilizi che costituiscono il presupposto per fruire anche della detrazione per i
mobili, la circolare 29/E/2013 specifica che si deve trattare di lavori le cui spese sono
sostenute dal 26 giugno 2012 e agevolate con la detrazione Irpef potenziata al 50 per cento.
Tale circostanza, a parere dell’Agenzia, è rappresentativa di «lavori in corso di esecuzione,
ovvero terminati da un lasso di tempo sufficientemente contenuto», e consente di presumere
che l’acquisto dei mobili ed elettrodomestici sia diretto al completamento dell’arredo
dell’immobile oggetto degli interventi di recupero.In sostanza, per fruire del bonus mobili, è
necessario che i lavori edili siano iniziati non prima del 26 giugno 2012, a prescindere dalla
data di ultimazione, mentre non è previsto che i mopbili debbano essere acquistati in un lasso
tremporale predeterminato. L’unico limite è che l’acquisto deve avvenire entro il 31 dicembre
2014. Pertanto, se i lavori edili sono stati ultimati a dicembre 2013, per l’acquisto dei mobili a
febbraio 2014 si ha diritto alla detrazione.
(Marco Zandonà, Il sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 24 marzo 2014)

IL LOCATORE CHE SUBENTRA PUÒ «RILEVARE» LA CEDOLARE
D. In una locazione abitativa, il locatore subentrante può optare per la cedolare secca, senza
bisogno di attivare un nuovo contratto?
---R. In linea di principio la risposta è affermativa. Infatti, con la circolare 20/E del 4 giugno
2012, l’agenzia delle Entrate ha precisato, tra l’altro, che l’opzione per la cedolare secca
esercitata dal dante causa, in caso di trasferimento (mortis causa o per atto tra vivi) di un
immobile locato, cessa di avere efficacia con il trasferimento stesso con riferimento all’Irpef,
mentre continua ad avere effetto fino al termine dell’annualità contrattuale per le imposte di
registro e di bollo (punto 5).Inoltre, questo trasferimento comporta in linea generale la
successione o il subentro nella titolarità del contratto di locazione senza soluzione dello stesso,
giacché la legge tutela la posizione del conduttore nelle locazioni ad uso abitativo. Non
sussistendo – conclude la stessa Agenzia – l’obbligo di stipulare un nuovo contratto di
locazione, il nuovo locatore potrà optare per la cedolare secca mediante presentazione del
modello RLI, entro il termine ordinario di 30 giorni, decorrente dalla data del subentro, dopo
avere spedito a ciascun conduttore la comunicazione della scelta con lettera raccomandata
(agenzia delle Entrate, circolare 26/E del 1° giugno 2011, paragrafo 2.3).
(Antonio Piccolo, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 marzo 2014
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
CERTIFICAZIONE ENERGETICA, I CONTROLLI AGLI ENTI
D. In materia di certificazione energetica degli immobili, l'articolo 15 del Dlgs 192/2005
prevede specifiche sanzioni ai soggetti coinvolti. Tuttavia, nel caso di offerte di vendita e
locazione, non indica quali autorità sono preposte alla vigilanza e all'applicazione di sanzioni ai
soggetti inadempienti. A chi spetta tale vigilanza?
---R. Secondo una interpretazione coerente dell’articolo 15 del Dlgs 192/2005 - cioè rispettosa
dell’articolo 12 delle preleggi al Codice civile - le sanzioni previste dai commi 9 e 10 (del citato
articolo 15) devono essere applicate, in assenza di una puntuale previsione legislativa, dagli
enti locali (cioè dai Comuni), dalle Regioni o dalle Province autonome, competenti anche per i
relativi controlli.A nostro giudizio, nulla autorizza – allo stato – l’applicazione in via analogica
del rinnovato articolo 6, comma 3, del Dlgs 192/2005, per il quale, «in caso di omessa
dichiarazione o allegazione, se dovuta, le parti sono soggette al pagamento, in solido e in parti
uguali, della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 18.000; la sanzione è da
euro 1.000 a euro 4.000 per i contratti di locazione di singole unità immobiliari e, se la durata
della locazione non eccede i tre anni, essa è ridotta alla metà... l'accertamento e la
contestazione della violazione sono svolti dalla Guardia di Finanza o, all'atto della registrazione
di uno dei contratti previsti dal presente comma, dall'agenzia delle Entrate, ai fini dell'ulteriore
corso del procedimento sanzionatorio ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n.
689». La disposizione è infatti speciale e tipica e si riferisce esclusivamente al comma tre
dell’articolo 6 del citato Dlgs 192/2005.
(Matteo Rezzonico, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 marzo 2014)

LA SECONDA CASA CON STUFE A LEGNA PUÒ EVITARE L'APE
D. Stanco di pagare Ici, Imu e ora anche la Tasi, ho deciso di mettere in vendita una casa di
campagna che possiedo da più di trent'anni. È un'abitazione rurale in pietra e mattoni, in
buono stato, ma senza impianto di riscaldamento propriamente detto: di fatto, l'ambiente
viene scaldato con una stufa a legna, una stufa a pellets e due camini a muro. Devo
predisporre comunque la certificazione energetica? E, se sì, devo inserirla già negli annunci di
vendita? Un amico geometra mi ha detto che in questi casi se ne può fare a meno, ma so che
la normativa è cambiata di recente.
---R. L'obbligo di dotare l'immobile dell'attestato di prestazione energetica (Ape) trova ragione
solo quando a questo dev'essere assicurato un particolare comfort abitativo, che si realizza
attraverso l'impiego di sistemi tecnici di climatizzazione, sia invernale che estiva. Ne sono
esclusi, pertanto, tutti quegli edifici che non comportano consumi energetici, o i cui consumi
sono del tutto irrilevanti in ragione delle loro caratteristiche o destinazioni d'uso.
Sulla base di tale principio generale, si può dire che l'abitazione rurale fornita di solo
riscaldamento a legna, e quindi priva di un diverso impianto, non dev'essere dotata dell'Ape,
cui, di conseguenza, non bisognerà fare riferimento in eventuali annunci di vendita e nelle
trattative venditore-acquirente.
Esclusione dall'obbligo
L'articolo 3 del Dlgs 192/2005 prevede i casi in cui viene meno l'obbligo di dotare di Ape
l'immobile. Vanno poi aggiunti i casi in cui l'esclusione deriva dalla interpretazione sistematica
della normativa vigente.
Sono in primo luogo esclusi i beni soggetti a vincolo paesaggistico o culturale che, qualora
dovessero rispettare le prescrizioni in esso contenute, andrebbero a subire un'alterazione
sostanziale dell'aspetto estetico-architettonico, con particolare riferimento ai profili storici,
artistici e paesaggistici: il giudizio spetta all'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione
(articolo 3, comma 3, lettera a).
L'esclusione è prevista, poi, per i fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50
metri quadrati (articolo 3, comma 3, lettera d), nonché per quelli industriali e artigianali con
ambienti riscaldati solo per esigenze del processo produttivo (articolo 3, comma 3, lettera b) o,
pur nel silenzio della legge, per quelli non riscaldati in conseguenza del l'uso cui sono destinati
e, quindi, privi di impianti di qualsiasi genere.
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Ci sono poi i fabbricati agricoli non residenziali (articolo 3, comma 3, lettera c), anch'essi
sforniti di impianti termici – si pensi a una stalla, a un fienile, a un deposito per attrezzi agricoli
– nonché le unità immobiliari il cui utilizzo standard non prevede neppure l'installazione e
l'impiego di sistemi tecnici di climatizzazione (articolo 3, comma 3, lettera e).
È, quest'ultima, una categoria di immobili previsti in via residuale, in quanto non ricompresi in
tipologie elencate in un'altra norma (vale a dire nell'articolo 3 del Dpr 412/1993, che invece
include abitazioni adibite a residenza con carattere continuativo, seconde case, uffici, collegi,
conventi, case di pena, caserme, alberghi, ospedali, cliniche eccetera). Di conseguenza, non
necessitano del l'Ape i box auto, i posti auto coperti, le cantine, le autorimesse, i parcheggi
multipiano, i depositi e le strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi, sempre sulla
base della loro tipica destinazione, e, in genere, gli altri immobili ad essi equiparabili, in cui
non è necessario garantire un comfort abitativo.
Seguono i cosiddetti ruderi, cioè quelle costruzioni non abitabili o agibili e, comunque, di fatto
non utilizzabili a causa di dissesti statici, di fatiscenza o inesistenza di elementi strutturali e
impiantistici, oppure delle principali finiture ordinariamente presenti nella categoria catastale in
cui l'immobile è censito o censibile.
In condominio
L'Ape va escluso, infine, per le parti comuni condominiali indicate nell'articolo 1117, n. 1, del
Codice civile, in quanto non possono essere ceduti autonomamente perché oggetto di
comunione "vincolata", caratterizzata, da un lato, da un vincolo di obbligo di destinazione a
servizio dell'intero condominio (che può essere semmai disatteso con una maggioranza più che
qualificata, ex articolo 1117-ter del Codice civile) e, dall'altro, dal vincolo di indivisibilità in
base all'articolo 1119 del Codice civile. Un'esclusione espressa non sussiste, invece, per quei
beni condominiali, quale l'alloggio del portiere, di cui è venuta meno la destinazione a servizio
del condominio, e per i quali viene decisa la vendita da parte di tutti i condomini.
In ogni caso, condizione per l'esclusione dall'obbligo dell'attestato di prestazione energetica è
che lo status del bene immobile venga espressamente dichiarato nell'atto notarile di
trasferimento della proprietà. Tale onere grava sulla parte alienante, che si assume tutte le
responsabilità connesse a tale dichiarazione: nulla le impedisce, peraltro, di avvalersi di una
relazione descrittiva redatta da un tecnico abilitato, da allegare all'atto notarile.
(Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 31 marzo 2014)
 Locazioni
 SÌ ALL'AFFITTO IN CONTANTI SOTTO I MILLE EURO
D. Sono proprietario di un appartamento affittato con contratto a canone libero 4+4.
L'inquilino era abituato a pagarmi ogni mensilità in contanti, pari a 350 euro, spese incluse.
Siccome non è mai stato particolarmente puntuale, il 21 gennaio scorso si è presentato per
pagarmi il canone di gennaio; pur sapendo della normativa che impone il pagamento con mezzi
tracciabili, ho ritenuto comunque di accettare l'importo, per non rischiare ulteriori ritardi e non
fidandomi di un assegno. Mi pare di aver capito che l'obbligo dei mezzi tracciabili è ora abolito.
Posso riscuotere in contanti l'affitto di febbraio, a oggi non ancora pagato? Rischio qualcosa per
l'incasso di gennaio?
---R. Il canone di locazione di febbraio – ma il chiarimento vale anche per quello di gennaio e per
tutti quelli successivi – potrà essere riscosso in contanti se il relativo importo è inferiore a
1.000 euro. Per le medesime ragioni, il comportamento tenuto in occasione del pagamento del
canone relativo al mese precedente è regolare.
I dubbi del lettore sono legittimi e trovano la loro origine in una disposizione contenuta nella
legge di Stabilità del 2014 (legge 147 del 2013). In particolare, l'articolo 1, comma 50, dispone
che: «In deroga a quanto stabilito dal comma 1, i pagamenti riguardanti canoni di locazione di
unità abitative, fatta eccezione per quelli di alloggi di edilizia residenziale pubblica, sono
corrisposti obbligatoriamente, quale ne sia l'importo, in forme e modalità che escludano l'uso
del contante e ne assicurino la tracciabilità ...».
La disposizione citata è stata inclusa nell'articolo 12 della cosiddetta «manovra Monti» (Dl
201/2011), che ha ridotto il limite previsto dalla disciplina dell'antiriciclaggio per effettuare il
trasferimento di denaro contante tra soggetti diversi portandolo da 2.500 a 1.000 euro. Per
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effetto della nuova disposizione, sembrava che il legislatore avesse inteso impedire l'uso del
denaro contante (indipendentemente dall'importo) in relazione ai pagamenti dei canoni di
locazione delle abitazioni. Inoltre, l'eventuale violazione (l'uso del contante) sembrava dovesse
essere sanzionata con l'applicazione di una sanzione amministrativa compresa tra l'1 e il 40
per cento, con un minimo di 3.000 euro (le medesime sanzioni previste dalla normativa in
materia di antiriciclaggio).
Questa interpretazione è stata smentita dal ministero dell'Economia e delle finanze che con la
nota protocollo DT 10492 del 5 febbraio 2014 ha precisato che è possibile ancora oggi
effettuare il pagamento dei canoni di locazione degli immobili ad uso abitativo senza utilizzare
strumenti in grado di assicurare la tracciabilità (assegno bancario non trasferibile, assegno
circolare non trasferibile, bonifico eccetera).
Il limite
L'unico vincolo è rappresentato dalle disposizioni in materia di antiriciclaggio, quindi l'uso del
contante è precluso qualora la somma di denaro trasferita sia di importo pari o superiore a
1.000 euro (articolo 49 del Dlgs 231/2007).
Resta però il problema di stabilire la portata (il significato) della nuova norma contenuta nella
legge di stabilità che può essere individuata facendo riferimento ancora una volta alla nota
ministeriale. Secondo l'interpretazione fornita dal ministero dell'Economia, la disposizione
intende assicurare la "tracciabilità" del denaro contante che viene utilizzato (solitamente) nelle
transazioni che intercorrono tra il locatore ed il conduttore. Tale esigenza può risultare
soddisfatta, secondo lo stesso Ministero, fornendo una semplice prova documentale comunque
formata, purché chiara, cioè idonea ad attestare senza equivoci l'avvenuto pagamento in
contanti del canone di locazione.
La ricevuta
Una semplice ricevuta dovrebbe essere idonea allo scopo in modo da evitare l'irrogazione delle
sanzioni previste dalla norma. In ogni caso, ha precisato il Ministero, non è comunque
applicabile la sanzione amministrativa compresa dall'1 al 40 per cento della somma trasferita
in contanti. Infatti, tale penalità è applicabile solo qualora sia violato il limite di 999,99 euro
previsto ai fini dell'antiriciclaggio. Se le parti non forniranno la prova dell'avvenuto pagamento
in contanti si perderà esclusivamente il diritto a beneficiare delle detrazioni e agevolazioni
previste dalla legge.
Le regole
IL LIMITE DI TRACCIABILITÀ
Il caso
Il contratto di locazione a uso abitativo che ho stipulato dall'inizio dell'anno prevede un canone
annuale di 6.000 euro, con il pagamento mensile di 500 euro. Solitamente effettuo il
pagamento in contanti: vorrei sapere se questo modo di operare è corretto, oppure se, sia io
come inquilino, che il proprietario dell'immobile, rischiamo qualche sanzione
La soluzione
La risposta è positiva. Il ministero dell'Economia ha chiarito che è possibile pagare il canone di
locazione in contanti. Devono essere osservate le disposizioni in tema di antiriciclaggio che
vietano i trasferimenti di denaro (in contante) per importi pari o superiori a 1.000 euro. Il
limite deve essere verificato avendo riguardo alla singola somma (il singolo canone di
locazione) e non all'importo annuale.
IL RILASCIO DELLA RICEVUTA
Il caso
Il mio inquilino paga il canone di locazione dell'abitazione affittata, pari a 300 euro mensili, in
contanti, da diversi anni. Ora, da qualche tempo, mi chiede con insistenza la ricevuta,
sostenendo che si tratta di una prova del pagamento e della tracciabilità della somma che mi
viene versata.
È legittima la richiesta?
La soluzione
La risposta è positiva. La ricevuta rappresenta un documento idoneo, per entrambe le parti, a
dimostrare che il pagamento è stato effettuato. Inoltre, il ministero dell'Economia ha chiarito
che la ricevuta assicura la tracciabilità del denaro contante obbligatoria ai sensi dell'articolo 1,
comma 50 della legge n. 147/2013
(Nicola Forte, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 10 marzo 2014)
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51
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LA LOCAZIONE CON PATTO DI FUTURA VENDITA
D. Vorrei sapere come devo registrare in bilancio una fattura che riporta in descrizione
«contratto di locazione per un immobile strumentale a riscatto».Il prezzo pattuito viene
ripartito con pagamenti mensili per 10 anni, ma la fattura del costo totale dell'immobile viene
emessa subito con il totale dell'importo.Devo imputarla a cespite anche se il rogito avverrà
scaduti i 10 anni? Effettuo l'ammortamento annuale?
---R. Dal quesito del lettore pare di capire che la fattispecie a cui si fa riferimento è quella di un
contratto di locazione con patto di futura vendita.Con il contratto di locazione con patto di
futura vendita, locatore e conduttore stabiliscono che, al termine della locazione, l’immobile
che ne costituisce l’oggetto passi di proprietà del conduttore, con il prezzo della vendita
coperto integralmente dai canoni fino allora regolarmente corrisposti o, a seconda di come le
parti si erano accordate, con il versamento di un ulteriore importo da parte del conduttore. Il
vantaggio di questo tipo di contratto, per il conduttore, è di poter fruire dell’immobile pagando
un canone non a fondo perduto, come avviene nella locazione pura e semplice, ma a sconto
del prezzo al quale il bene verrà acquistato in proprietà al termine della locazione; prezzo che
viene fissato all’inizio del rapporto, mettendo così l’acquirente al riparo da possibili rincari. La
natura giuridica della locazione con patto di futura vendita è, per la giurisprudenza (Cassazione
23 marzo 1992, n. 3587) quella di un contratto atipico, risultante dalla fusione delle cause di
due contratti tipici: la vendita e la locazione.Parte della dottrina (e in questo senso conferma la
circolare 28E/2011) ritiene che il contratto di locazione con patto di futura vendita sia in realtà
una duplicità di contratti distinti; altre posizioni classificano il contratto come una vendita con
riserva di proprietà altre ancora come locazione simulata. In ogni caso, sia ai fini Iva sia ai fini
delle imposte dirette, la cessione si considera comunque effettuata al momento della stipula
della locazione (articolo 2, Dpr 633/72 e articolo 109, Tuir, risoluzione 3382008 e circolare
28E/2011) e non in quella di successiva formazione dell’atto di trasferimento. L’interpretazione
del contratto diventa rilevante nel caso di inadempimento rispetto all’obbligo di acquisto.
Sposando la tesi, che appare preferibile, che lo vede come un duplice rapporto (di locazione e
di compravendita successiva), la conseguenza dell’inadempimento sarebbe la risoluzione
dell’impegno alla futura compravendita, lasciando in essere il contratto di locazione, quanto
meno per il periodo intercorso. In tale caso, contabilmente e fiscalmente si avrebbe una
riclassificazione degli importi pattuiti e già introitati come acconto prezzo, quali canoni di
locazione e una sopravvenienza passiva per l’eventuale differenza quale maggior importo sino
al corrispettivo pattuitoAi fini Iva si verificherà un’emissione di nota di accredito per risoluzione
di contratto ai sensi dell’articolo 26, Dpr 633/1972.Le scritture contabili relative sono le
seguenti:al momento della stipula del contratto (in base alla risoluzione 338/2008):Cliente c/
crediti vendita immobileADiversiImmobile (valore netto Fondo ammortamento)Plusvalenza.Al
momento dell’incasso dei singoli canoni di locazione:bancaaAcconti conto futura venditaAl
momento della risoluzione per inadempimento:ImmobileAClienti c/crediti (per risoluzione
futura vendita)Sopravvenienza passiva (per plusvalenza non realizzata).Acconti conto futura
venditaASopravvenienza attiva (per canoni locazione pregressa)
(Cristina Odorizzi, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 10 marzo 2014)
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