1 I decreti conciliari Optatam totius, Christus Dominus e

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1 I decreti conciliari Optatam totius, Christus Dominus e
I decreti conciliari Optatam totius, Christus Dominus e Presbyterorum ordinis
Piccola Casa della Divina Provvidenza, 29/01/2013 – RELATORE: Don Antonio Nora, S.S.C.
Optatam totius
L’Optatam totius è il decreto del Concilio Vaticano II sulla formazione sacerdotale. Venne approvato con 2.318 voti favorevoli e 3 contrari dai vescovi riuniti in Concilio e fu promulgato dal papa
Paolo VI il 28 ottobre 1965. Il titolo Optatam totius (Ecclesiae renovationem) significa dal latino: il
desiderato (rinnovamento) di tutta (la Chiesa) e deriva dalle prime parole del decreto stesso. Il decreto Optatam totius parla della formazione dei presbiteri all'interno della Chiesa cattolica. Questo
lo schema:
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Proemio
I - Regolamento di formazione sacerdotale da farsi in ogni nazione
II - Necessità di favorire più vigorosamente le vocazioni sacerdotali
III - Ordinamento dei seminari maggiori
IV - Approfondimento della formazione spirituale
V - Revisione degli studi ecclesiastici
VI - Norme per la formazione propriamente pastorale
VII - Perfezionamento della formazione dopo il periodo degli studi
Conclusione
Non c’è formazione sacerdotale senza coloro che dovrebbero essere formati. Proprio per questo il
decreto del Concilio sulla formazione sacerdotale comincia con l’affermazione che «il dovere di
promuovere le vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana» (n. 2). Il Concilio sottolinea anche: «A tale riguardo il massimo contributo viene offerto […] dalle famiglie, le quali, […]
costituiscono come il primo seminario» (n. 2). Le vocazioni sacerdotali nascono dunque, nelle comunità (parrocchie) dove c’è una fede viva. Non si dimentica però l’esempio dei sacerdoti: «Tutti i
sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni e con la loro vita umile, operosa, vissuta con interiore gioia, come pure con l'esempio della loro scambievole carità
sacerdotale e della loro fraterna collaborazione attirino verso il sacerdozio l'animo degli adolescenti» (n. 2). Posta la comune cooperazione in riferimento all’opera delle vocazioni, il Concilio ne richiama i mezzi tradizionali, cioè «la fervente preghiera, la penitenza cristiana, nonché una istruzione sempre più profonda dei fedeli da impartirsi con la predicazione e la catechesi, sia anche coi vari
mezzi della comunicazione sociale; istruzione che deve tendere a mettere in luce la necessità, la natura e il valore della vocazione sacerdotale» (n. 2).
Il Concilio indica cinque dimensioni della formazione sacerdotale: dimensione spirituale, quella intellettuale, pastorale e disciplinare, e infine dimensione umana. Questi aspetti della formazione sono
unificati e indirizzati dal fine pastorale (cfr n. 4). I seminari minori sono «eretti allo scopo di coltivare i germi della vocazione» (n. 3), mentre i seminari maggiori devono «formare veri pastori
d’anime, sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore» (n. 4). La scelta
dei superiori e del corpo docente si dice doversi fare «fra gli uomini migliori» (n. 5); per loro si prevedono anche delle forme di preparazione (istituti, corsi, etc.). «Tutti i sacerdoti considerino il seminario come il cuore della diocesi e ad esso volentieri diano il proprio aiuto» (n. 5).
La formazione spirituale è quella che necessita di maggiore impegno ed è finalizzata «a vivere intimamente uniti a Cristo» (n. 8). I mezzi sono la meditazione della parola di Dio, la partecipazione ai
misteri della Chiesa (eucaristia ed ufficio divino in particolare), il riconoscere Cristo «nel vescovo
che li manda e negli uomini ai quali sono inviati (poveri, infermi, etc.)» (n. 8), la venerazione di
Maria, gli esercizi di pietà. Ciò che sta più a cuore è che «gli alunni imparino […] a vivere secondo
l'ideale del vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carità, in modo che attraverso l'esercizio di queste virtù possano acquistare lo spirito di preghiera, ottengano forza e difesa per la lo-
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ro vocazione, rinvigoriscano le altre virtù e crescano nello zelo di guadagnare tutti gli uomini a Cristo» (n. 8). Si tratta di educare al senso della Chiesa e all’obbedienza (n. 9), alla castità (n. 10) e al
dominio di sé (n. 11): «Con particolare sollecitudine vengano educati all'obbedienza sacerdotale, a
un tenore di vita povera, allo spirito di abnegazione di sé, in modo da abituarsi a rinunziare prontamente anche alle cose per sé lecite ma non convenienti e a vivere in conformità con Cristo crocifisso» (n. 9). Gli alunni «imparino a stimare quelle virtù che sono tenute in gran conto fra gli uomini e
rendono accetto il ministro di Cristo, quali sono la sincerità d'animo, il rispetto costante della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare» (n.
11). La disciplina dei seminari non può essere soltanto esterna, ma deve contribuire a formare negli
alunni un'attitudine ad accogliere l'autorità dei superiori per ragioni di coscienza (cfr n. 11). Si prevede la possibilità di tirocini spirituali e pastorali (cfr n. 12).
La formazione intellettuale dovrebbe aiutare i futuri sacerdoti a trovare «la soluzione dei problemi
umani alla luce della Rivelazione» e ad applicare le verità eterne «alle mutevoli condizioni di questo mondo» (n. 16). Prima di iniziare gli studi ecclesiastici propriamente detti, gli alunni del seminario devono acquisire una base di cultura umanistica e scientifica, conoscere il latino e le lingue della
sacra Scrittura e della tradizione (cfr n. 13). Gli studi ecclesiastici incominciano con
un’introduzione al mistero di Cristo «in modo che gli alunni possano percepire il significato degli
studi ecclesiastici, la loro struttura e il fine pastorale» (n. 14). Quindi proseguono con gli studi filosofici e teologici. Quanto ai primi si auspica che «il modo stesso di insegnare svegli negli alunni il
desiderio di cercare rigorosamente la verità, di penetrarla e di dimostrarla, insieme all'onesto riconoscimento dei limiti della umana conoscenza» (n. 15); quanto ai secondi si mette in primo piano lo
studio della sacra Scrittura, «che deve essere come l'anima di tutta la teologia» (n. 16).
Nell’insegnamento della teologia dogmatica, dopo aver esposto il modo di procedere (Scrittura, Padri, evoluzione del dogma, etc.), si fa menzione esplicita di San Tommaso da tenere come maestro
(cfr n. 16). Infine si parla di conoscenza delle chiese e comunità ecclesiali separate dalla sede apostolica romana e delle altre religioni più diffuse nel mondo (cfr n. 16).
Per quanto riguarda la formazione al lavoro pastorale, il Concilio tiene conto di due aspetti: la pastorale rivolta ai credenti (formazione alla catechesi, predicazione, culto liturgico, amministrazione
dei sacramenti, opere di carità, etc.), ma anche «l’andare incontro agli erranti e agli increduli» (cfr
n. 19). Gli alunni devono imparare «l’arte di dirigere le anime», compresi i religiosi e le religiose di
cui si fa esplicita menzione (cfr n. 19). Per adempiere bene questi compiti, il sacerdote dovrebbe essere ben istruito «circa il modo di suscitare e favorire l'azione apostolica dei laici» (n. 20). Si parla
di educazione allo spirito missionario, cioè «a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione
o rito» (n. 20), e infine di esercitazioni pratiche in attività fuori seminario per imparare «l'arte dell'apostolato non solo teoricamente ma anche praticamente» (n. 21).
Alla fine del decreto troviamo l’asserzione che la formazione sacerdotale non riguarda soltanto i
seminaristi, ma deve essere continuata anche dopo la loro ordinazione — «il giovane clero» — mediante l’aggiornamento teorico e pratico (istituti pastorali, convegni periodici, appropriate esercitazioni).
In continuità con l'insegnamento del Concilio Vaticano II e, in particolare, col decreto Optatam totius sulla formazione sacerdotale, la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato diversi documenti per promuovere un'adeguata formazione integrale dei futuri sacerdoti, offrendo orientamenti e norme precise circa suoi diversi aspetti1. Nel frattempo anche il Sinodo dei Vescovi del
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Cfr CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE C ATTOLICA, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (6 gennaio
1970; edizione nuova, 19 marzo 1985); L’insegnamento della filosofia nei Seminari (20 gennaio 1972); Orientamenti
educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974); Insegnamento del Diritto Canonico per gli aspiranti
al sacerdozio (2 aprile 1975); La formazione teologica dei futuri sacerdoti (22 febbraio 1976); Epistula circularis de
formatione vocationum adultarum (14 luglio 1976); Istruzione sulla formazione liturgica nei Seminari (3 giugno 1979);
Lettera circolare su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei Seminari (6 gennaio 1980); Orientamenti
educativi sull’amore umano – Lineamenti di educazione sessuale (1 novembre 1983); La Pastorale della mobilità umana
nella formazione dei futuri sacerdoti (25 gennaio 1986); Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli
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1990 ha riflettuto sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, con l’intento di portare a
compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla più esplicita ed incisiva nel
mondo contemporaneo. In seguito a questo Sinodo, Giovanni Paolo II pubblicò l'Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992). L’Esortazione prende in esame le diverse dimensioni della formazione, umana, spirituale, intellettuale e pastorale, come pure gli ambienti
e i soggetti responsabili di essa. Il discorso sulla formazione discende direttamente da quelli
sull’identità e sulla spiritualità. La chiave di lettura è dunque la specifica finalizzazione pastorale.
Su questo punto è molto esplicito il n. 57 dell’Esortazione: «“L’educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare veri pastori d’anime sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro,
sacerdote e pastore”2. […] In tal senso il fine pastorale assicura alla formazione umana, spirituale e
intellettuale determinati contenuti e precise caratteristiche, così come unifica e specifica l’intera
formazione dei futuri sacerdoti».
Fra i documenti promulgati dalla CEI ricordiamo: La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari, citata anche come Ratio Studiorum o semplicemente
Ratio, è il documento della Conferenza Episcopale Italiana che regola la vita dei seminari e la formazione dei presbiteri in Italia. La prima edizione della Ratio aveva più precisamente il titolo La
preparazione al sacerdozio ministeriale. Orientamenti e norme (22 luglio 1972); fu pubblicata dopo
il Concilio Vaticano II sulla base della Ratio fundamentalis della Congregazione per l'Educazione
Cattolica, pubblicata il 6 gennaio 1970. La seconda edizione della Ratio, dal titolo La formazione
dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari, risale al 15 maggio 1980,
e fu seguita da un documento a parte, la Ratio Studiorum, del 1984, per regolare i piani di studi delle facoltà teologiche: anni di studio, materie, ore di insegnamento, ecc. La terza edizione della
Ratio, dallo stesso titolo della precedente, fu pubblicata il 4 novembre 2006. È attualmente vigente.
Include una nuova Ratio Studiorum che sostituisce quella del 1984.
Ricordiamo anche: Il primo piano pastorale per le vocazioni in Italia (1973); Il piano pastorale per
le vocazioni nella Chiesa italiana (1985); Decreto generale circa l’ammissione in seminario di candidati provenienti da altri seminari o famiglie religiose (27 marzo 1999); Linee comuni per la vita
dei nostri seminari (25 aprile 1999).
Christus Dominus
Il decreto sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa, dal titolo latino Christus Dominus, fu
votato nel Concilio Vaticano II a pochi giorni dalla sua conclusione — precisamente il 28 ottobre
1965 — praticamente all'unanimità, poiché ottenne 2.319 voti a favore, appena 2 contrari e 1 nullo,
strumenti della comunicazione sociale (19 marzo 1986); Lettera circolare riguardante gli studi sulle Chiese Orientali (6
gennaio 1987); La Vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale (25 marzo 1988); Orientamenti per lo studio
e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale (30 dicembre 1988); Istruzione sullo
studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale (10 novembre 1989); Direttive sulla preparazione degli educatori nei Seminari (4 novembre 1993); Direttive sulla formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio ed alla famiglia (19 marzo 1995); Istruzione alle Conferenze Episcopali circa l'ammissione in Seminario dei candidati provenienti da altri Seminari o Famiglie religiose (9 ottobre 1986 e 8 marzo 1996); Il periodo propedeutico (1 maggio 1998); Lettere circolari circa le norme canoniche relative alle irregolarità e agli impedimenti sia ad Ordines
recipiendos, sia ad Ordines exercendos (27 luglio 1992 e 2 febbraio 1999); Istruzione circa i criteri di discernimento
vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini
sacri (4 novembre 2005); Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione
dei candidati al sacerdozio (28 giugno 2008); Decreto di Riforma degli studi ecclesiastici di Filosofia (28 gennaio
2011); Orientamenti pastorali per la promozione delle vocazioni al ministero sacerdotale (25 marzo 2012). Ricordiamo
inoltre il recente volume La cultura della qualità. Guida per le facoltà ecclesiastiche, Città del Vaticano 2011, dove la
Congregazione per l’Educazione Cattolica — oltre a riassumere i punti essenziali delle norme che regolano il sistema
degli studi accademici ecclesiastici — ha ritenuto opportuno soffermarsi sull'importanza di promuovere una cultura della qualità, suggerendo a tal scopo una serie di orientamenti volti a delineare le attività che tutte le istituzioni accademiche religiose dovrebbero intraprendere o solo rafforzare per promuovere tale cultura.
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OT 4.
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e fu quindi ratificato e promulgato da Paolo VI. È chiamato "decreto" poiché si presenta con un
marcato carattere pastorale: si richiama alla dottrina sull'episcopato già presentata dalla costituzione
dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (in particolare LG 21) e offre le linee guida per lo svolgimento della missione dei vescovi. Il decreto è diviso in tre capitoli:
1. Nel primo tratta della posizione dei vescovi nei confronti della Chiesa universale 3 (il collegio
episcopale, il sinodo dei vescovi, la sollecitudine per la Chiesa universale 4) e nei confronti della
Santa Sede (il potere dei vescovi nelle loro diocesi5, la curia romana).
2. Nel secondo capitolo si parla dei vescovi e le Chiese particolari6,
• con la presentazione dei tre ministeri: insegnare [annunziare il Vangelo di Cristo: cfr CD
127], santificare [sono i principali dispensatori dei misteri di Dio, i regolatori, i promotori e
i custodi di tutta la vita liturgica, nella chiesa loro affidata: cfr CD 158], governare da pastori d'anime [CD 169].
• In una seconda parte di questo capitolo centrale si affronta la questione della revisione dei
confini delle diocesi.
• In una terza parte si tratta dei cooperatori del vescovo: vescovi coadiutori e ausiliari, curia e
consigli diocesani (si parla del capitolo cattedrale, il collegio dei consultori, il consiglio pastorale: cfr CD 27), clero diocesano.
• Infine, nella quarta parte si parla dei religiosi10.
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CD 2: «In questa chiesa di Cristo, il romano pontefice, come successore di Pietro, a cui Cristo affidò, perché li pascesse, le sue pecore e i suoi agnelli, è per divina istituzione rivestito di un potere supremo, pieno, immediato e universale, per il bene delle anime. Egli perciò, essendo stato costituito pastore di tutti i fedeli per promuovere sia il bene comune della chiesa universale sia il bene delle singole chiese, detiene il supremo potere ordinario su tutte le chiese».
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CD 3: «I vescovi [successori degli apostoli], partecipi della sollecitudine per tutte le chiese, esercitano la loro carica episcopale, ricevuta per mezzo della loro consacrazione episcopale, in comunione e sotto l'autorità del sommo pontefice, in tutto ciò che riguarda il magistero e il governo pastorale: uniti tutti in un collegio o corpo, per ciò che concerne
tutta la chiesa di Dio»; LG 22 citato in CD 4: «L'ordine dei vescovi, che succede al collegio degli apostoli nel magistero
e nel governo pastorale e nel quale anzi si perpetua il corpo apostolico, insieme col romano pontefice, suo capo, e mai
senza questo capo, è anche il soggetto di un supremo e pieno potere sulla chiesa universale: potere, tuttavia, che non si
può esercitare senza il consenso del romano pontefice».
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CD 8a: «Ai vescovi, come a successori degli apostoli, nelle diocesi loro affidate, per sé spetta tutto il potere ordinario, proprio e immediato, che è necessario per l'esercizio del loro dovere pastorale, fermo sempre restando in ogni
campo il potere del romano pontefice, in forza della sua carica, di riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità».
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CD 11: «La diocesi è una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal
suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui unita per mezzo del vangelo e della eucaristia nello Spirito
santo, costituisca una chiesa particolare, nella quale è veramente presente e agisce la chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica». Ricordiamo l’in quibus et ex quibus di LG 23.
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CD 12: «Insegnino pertanto quale sia, secondo la dottrina della chiesa, il valore della persona umana, della sua libertà e della stessa vita fisica; il valore della famiglia, della sua unità e stabilità, e della procreazione ed educazione della prole; il valore della convivenza civile, con le sue leggi e con le varie professioni in essa esistenti; il valore della povertà e dell'abbondanza dei beni materiali. E da ultimo espongano come debbano essere risolti i gravissimi problemi riguardanti il possesso dei beni materiali, il loro sviluppo e la loro giusta distribuzione, la pace e la guerra e la fraterna
convivenza di tutti i popoli».
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CD 15: «Infatti i vescovi hanno la pienezza del sacramento dell'ordine; e da loro dipendono, nell'esercizio del loro
potere, sia i presbiteri, che sono stati anch'essi consacrati veri sacerdoti del nuovo testamento perché siano provvidenziali cooperatori dell'ordine episcopale, sia i diaconi che, ordinati per il ministero, in comunione col vescovo e col suo
presbiterio, sono al servizio del popolo di Dio».
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CD 16: «Nell'esercizio del loro dovere di padri e di pastori, i vescovi in mezzo ai loro fedeli si comportino come
coloro che prestano servizio; come buoni pastori che conoscono le loro pecore e sono da esse conosciuti; come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti e alla cui autorità, ricevuta invero da Dio, tutti con animo grato si sottomettono. […] Trattino sempre con particolare carità i sacerdoti, come coloro che per la parte loro si assumono i doveri e le preoccupazioni e li attuano nella vita quotidiana con tanta premura. Li considerino come figli e amici, e perciò siano disposti ad ascoltarli e a trattarli con fiducia e benevolenza; e si applichino a promuovere l'intera
attività pastorale in tutta la diocesi».
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CD 33: «A tutti i religiosi […] secondo la particolare vocazione di ciascun istituto, incombe l'obbligo di lavorare
con ogni impegno e diligenza per l'edificazione e l'incremento di tutto il corpo mistico di Cristo e per l'edificazione delle chiese particolari. E tale scopo essi sono tenuti a promuovere soprattutto con la preghiera, con le opere di penitenza e
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3. Nel capitolo terzo si presentano orientamenti e indicazioni riguardo ai sinodi e concili particolari, alle conferenze episcopali, alle province e regioni ecclesiastiche.
Nel decreto merita di essere evidenziata la visione sacramentale dell'episcopato. Il n. 4 afferma: «I
vescovi, in virtù della loro sacramentale consacrazione e in gerarchica comunione11 con il capo e
con i membri del collegio, sono costituiti membri del corpo episcopale». Si ripropone la dottrina già
esposta nella Lumen gentium: «Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa,
secondo la testimonianza della tradizione tiene il primo posto l'ufficio di quelli che, costituiti nell'episcopato, per successione che decorre ininterrotta dall'origine, possiedono il tralcio del seme apostolico» (n. 20).
Veniva così chiusa una questione che datava da tempi remoti. San Girolamo, per esempio, nel quarto secolo, sosteneva che dal punto di vista del sacramento, del carisma ministeriale, non esiste una
differenza tra il vescovo e i preti. Egli non nega la legittimità del ministero del vescovo, ma sostiene
che si tratta puramente di una distribuzione funzionale di compiti, necessaria di fatto per l'unità della Chiesa.
Le questioni intorno all'episcopato lungo i secoli derivano soprattutto dal progressivo accentuarsi
delle sue funzioni giurisdizionali a scapito del ministero della parola e dei compiti sacerdotali e pastorali. E proprio nel campo giurisdizionale, per il progressivo movimento di centralizzazione papale, la figura del vescovo non trova un posto preciso: per molti, se il papa ha un'autorità su tutta la
Chiesa universale, i vescovi non possono averla sulle Chiese particolari, se non derivata dal papa
stesso. Ogni concezione che vedesse nell'episcopato un'istituzione divina, un sacramento voluto da
Cristo, sembrava porsi inevitabilmente in conflitto con il primato romano.
Quando il Concilio Vaticano I definì in maniera solenne il primato del papa, molti pensarono che la
questione dell'episcopato fosse chiusa per sempre e addirittura fosse finita per la Chiesa l'epoca dei
concili. Di fatto sul piano dottrinale la questione rimase aperta e finalmente con il Concilio Vaticano II si è pervenuti a sostenere che l'episcopato è un vero e proprio sacramento istituito da Gesù
Cristo. Pertanto, per il Concilio i vescovi «reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e
delegati di Cristo» e «non devono esser considerati vicari dei romani pontefici» (LG 27).
Il recupero del valore sacramentale dell'episcopato si accompagna da vicino con il recupero del significato della Chiesa particolare. Questa non può essere ridotta a una suddivisione burocratica di
quella universale, né a una semplice entità amministrativa.
Riscoprendo il ruolo della collegialità dei vescovi, la Chiesa locale, l'importanza dei laici e degli organismi di partecipazione, come i consigli presbiterali e pastorali, il Concilio ha sostituito alla logica della rappresentanza la spiritualità di comunione e la logica della partecipazione diretta, tipiche
della Chiesa dei primi secoli.
con l'esempio della loro vita: e questo sacrosanto sinodo li esorta vivamente ad accrescere sempre più in loro stessi la
stima e l'applicazione per tali elementi spirituali. Ma nello stesso tempo essi devono partecipare sempre più alacremente
anche alle opere esterne di apostolato, tenuta presente la caratteristica propria di ogni istituto».
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Padre Ghirlanda vede nella “comunione gerarchica” (LG 22; cfr CD 4) la possibilità di conciliare i due aspetti di
unità sacramentale tra il romano pontefice e i vescovi e di reale subordinazione gerarchica dei secondi nei confronti
del primo. Spiega Pié-Ninot: «Orbene, questa innovativa espressione di “comunione gerarchica” si presenta come una
formula di compromesso che vuole articolare la prospettiva di comunione propria di tutto il collegio episcopale — espressione della ecclesiologia di comunione del primo millennio — con il primato universale del papa definito dal Vaticano I — testimonianza della ecclesiologia universalistica del secondo millennio. A ragione, W. Kasper commenta: “Il
concetto di comunione gerarchica è una tipica formula di compromesso che sta ad indicare una giustapposizione tra
l'ecclesiologia sacramentale della communio e l'ecclesiologia giuridica dell'unità. Per cui si è parlato anche di due ecclesiologie presenti nei testi del Vaticano II. Il compromesso è servito ad ottenere l'assenso della minoranza, ma non soddisfa del tutto, perché il problema che esso cela è profondo. Il principio cattolico della tradizione viva non consente di eliminare semplicemente la tradizione del secondo millennio: la continuità della tradizione esige piuttosto una sintesi
creativa fra le tradizioni del primo e del secondo millennio. E questa sintesi l'ultimo concilio non è riuscito a compiere.
Il che non significa che sarebbe poi compito dei concili sviluppare sintesi teologiche. Un concilio stabilisce dei ‘dati di
fondo’, mentre spetta alla successiva teologia operare le sintesi richieste” (W. K ASPER, Chiesa come comunione del
1986). Ed è qui che affondano la loro radice le questioni più decisive della ricezione postconciliare fino ad oggi» (S.
PIÉ-NINOT, Ecclesiologia, 92).
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In continuità con l'insegnamento del Concilio Vaticano II e, in particolare, col decreto Christus
Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi, la Congregazione per i Vescovi ha pubblicato tra gli altri documenti il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, dal titolo “Apostolorum Successores” (22 febbraio 2004). La X Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2001, sul
"Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo", aveva suggerito che
fosse aggiornato il Direttorio per i Vescovi emanato il 22 febbraio 1973, dal titolo "Ecclesiae imago". Da tale assemblea era frattanto scaturita l’esortazione apostolica post-sinodale “Pastores gregis” (16 ottobre 2003), ultima delle esortazioni apostoliche di Giovanni Paolo II.
Presbyterorum ordinis
La Presbyterorum ordinis è un decreto del Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale. Approvato con 2.390 voti favorevoli e 4 contrari dai vescovi riuniti in Concilio fu promulgato
dal papa Paolo VI il 7 dicembre 1965. Il titolo Presbyterorum ordinis significa dal latino: ordine dei
sacerdoti e deriva dalle prime parole del decreto stesso. Il decreto Presbyterorum ordinis tratta della
vita e dei compiti dei presbiteri all'interno della Chiesa cattolica. Questo lo schema:
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Proemio
Capitolo I - Il presbitero nella missione della Chiesa
Capitolo II - Il ministero dei presbiteri
Capitolo III - Vita dei presbiteri
Conclusione ed esortazione
L’icona di Abramo — citata nella Conclusione del Decreto conciliare — è per tutti un invito a filtrare la figura del presbitero alla luce «del fedele Abramo, il quale per fede “obbedì all’ordine di dirigersi verso il luogo che avrebbe avuto in eredità, e partì senza sapere dove sarebbe andato a finire”
(Eb 11,8)» (n. 22). Con tale icona il Concilio sembra voler riassumere l’identità presbiterale, che è
delineata nel Decreto attraverso tocchi molteplici: egli è ‘cooperatore dell’ordine episcopale’ (2),
uomo che ‘vive da fratello in mezzo a fratelli’, ‘testimone e dispensatore di una vita diversa da quella terrena, e tuttavia non estraneo alla vita e all’ambiente degli uomini’, persona corredata anzitutto
di virtù umane (3) elevata però a ‘strumento di Cristo’ (12) ed ‘educatore nella fede’ (13). In definitiva egli — sulla scia di Abramo — è uomo che vive in balia di Dio, circondato di fragilità ma attraversato dalla grazia.
Il decreto va letto alla luce di tutta la Lumen gentium, in particolare il n. 28 dove si parla dei presbiteri: «… Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da
quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi. I presbiteri, pur non possedendo l'apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia
a loro congiunti nella dignità sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote (cfr Eb 5,1-10; 7,24; 9,11-28), sono consacrati per predicare il Vangelo, essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento.
Partecipi, nel loro grado di ministero, dell'ufficio dell'unico mediatore [Muneris unici Mediatoris
Christi participes], che è il Cristo (cfr 1Tm 2,5) annunziano a tutti la parola di Dio. Esercitano il loro sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo e
proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano fino alla venuta del Signore (cfr 1Cor 11,26), l'unico
sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al
Padre quale vittima immacolata (cfr Eb 9,11-28). Esercitano inoltre il ministero della riconciliazione e del conforto a favore dei fedeli penitenti o ammalati e portano a Dio Padre le necessità e le
preghiere dei fedeli (cfr Eb 5,1-4). Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo,
pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, per
mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre e in mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità (cfr Gv 4,24). Si affaticano inoltre nella predicazione e nell'insegnamento (cfr 1Tm 5,17), cre-
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dendo ciò che hanno letto e meditato nella legge del Signore, insegnando ciò che credono, vivendo
ciò che insegnano. I sacerdoti, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suo aiuto e strumento,
chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono col loro vescovo un solo presbiterio sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono in certo modo presente il vescovo, cui sono uniti con cuore confidente e generoso, ne assumono secondo il loro grado, gli uffici
e la sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana. Essi, sotto l'autorità del vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile la
Chiesa universale e portano un grande contributo all'edificazione di tutto il corpo mistico di Cristo
(cfr Ef 4,12). Sempre intenti al bene dei figli di Dio, devono mettere il loro zelo nel contribuire al
lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi di tutta la Chiesa. In ragione di questa loro partecipazione
nel sacerdozio e nel lavoro apostolico del vescovo, i sacerdoti riconoscano in lui il loro padre e gli
obbediscano con rispettoso amore. Il vescovo, poi, consideri i sacerdoti, i suoi cooperatori, come figli e amici così come il Cristo chiama i suoi discepoli non servi, ma amici (cfr Gv 15,15) …
In virtù della comunità di ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un'intima
fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale,
pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità …
Si ricordino che devono, con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine, presentare ai
fedeli e infedeli, cattolici e non cattolici, l'immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale, e rendere a tutti la testimonianza della verità e della vita; e come buoni pastori ricercare anche
quelli (cfr Lc 15,4-7) che, sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica
dei sacramenti o persino la fede».
Il punto di partenza è il sacerdozio comune: «Tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di colui che li ha
chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa» (n. 2), quindi, con
un’avversativa «Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però
"non tutte le membra hanno la stessa funzione" (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come ministri,
in modo che nel seno della società dei fedeli avessero il sacro potere dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati, e che in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la
funzione sacerdotale» (n. 2). Pur essenzialmente distinti (cfr LG 10), i due sacerdozi non sono separati. È anzi congeniale alle due diverse realtà la mutua collaborazione e l’agire in sinergia. Sono infatti ordinati e funzionali l’uno all’altro (cfr LG 10); più precisamente il sacerdozio ministeriale, «esiste unicamente in vista dell’esercizio del sacerdozio comune»12. Spiega PO 2: «Attraverso il ministero dei presbiteri il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché viene unito al
sacrificio di Cristo, unico Mediatore; questo sacrificio, infatti per mano dei presbiteri e in nome di
tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della
venuta del Signore». Sempre in PO 2 si afferma esplicitamente per il presbiterato la dottrina del carattere: «i presbiteri, in virtù della unzione dello Spirito santo, sono segnati da uno speciale carattere
che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo».
Il fine cui tendono con il loro ministero e la loro vita è “la gloria di Dio Padre in Cristo” (cfr n. 2),
che “si faccia un solo ovile e un solo pastore” (n. 3; cfr Gv 10,14-16). «Per raggiungere questo scopo, di grande utilità risultano quelle virtù che giustamente sono molto apprezzate nella società umana, come ad esempio la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la
giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù» (n. 3).
I presbiteri sono ministri della parola di Dio: «nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno
anzitutto il dovere di annunciare a tutti il vangelo di Dio […]; il loro compito non è di insegnare una
propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità» (n. 4); tale parola non possono limitarsi ad esporla in termini generali e astratti,
ma devono applicarla alle circostanze concrete della vita (cfr n. 4).
12
CTI (8 ottobre 1985), Temi scelti di ecclesiologia, 7.3.
7
I presbiteri sono ministri dei sacramenti: «Essi infatti, con il battesimo, introducono gli uomini nel
popolo di Dio; con il sacramento della penitenza, riconciliano i peccatori con Dio e con la chiesa;
con l'olio degli infermi sollevano gli ammalati; e soprattutto con la celebrazione della messa offrono
sacramentalmente il sacrificio di Cristo» (n. 5). A proposito di questo si aggiunge: «l'eucaristia si
presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione, cosicché i catecumeni sono introdotti a
poco a poco alla partecipazione dell'eucaristia, e i fedeli, già segnati dal sacro battesimo e dalla confermazione, sono pienamente inseriti nel corpo di Cristo per mezzo dell'eucaristia».
Sul piano operativo il presbitero con l’ordinazione diventa segno di Cristo-Pastore a servizio della
Chiesa. Perciò, come Gesù è stato “il grande profeta, sorto in mezzo al popolo” (Lc 7,16) per annunciare a tutti la parola che salva, così il presbitero nella Chiesa è chiamato a diventare esegeta vivente della Parola, “mai a servizio di un’ideologia, ma araldo del Vangelo” (n. 6). «Spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che
ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo il vangelo, a praticare una carità sincera e operosa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo
ci ha liberati» (n. 6). Un’attenzione particolare è riservata ai poveri, quali primi destinatari della
Buona Notizia: «Ma, anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbiteri sono affidati in modo speciale
i poveri e i più deboli, ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito, e la cui evangelizzazione è mostrata come segno dell'opera messianica» (n. 6). Ancora, il presbitero è chiamato a presiedere la famiglia dei credenti nello spirito del Buon Pastore, che “fa crescere opportunamente il respiro comunitario” (6), “promuove la dignità dei laici” (9) associandoli responsabilmente alle varie collaborazioni; e, grazie anche al suo legame con il presbiterio diocesano, è guida
spirituale della famiglia di Dio a lui affidata.
Quanto al rapporto con il vescovo PO 7 dice: «i vescovi abbiano dunque i presbiteri come fratelli e
amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale. È ai vescovi, infatti, che incombe in primo luogo la grave responsabilità della santificazione dei
loro sacerdoti: devono pertanto prendersi cura con la massima serietà della continua formazione del
proprio presbiterio. Siano pronti ad ascoltarlo, anzi, siano essi stessi a consultarlo e a esaminare assieme i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi. […] I presbiteri, dal canto loro, avendo presente la pienezza del sacramento dell'ordine di cui godono i vescovi,
venerino [revereantur] in essi l'autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro vescovo con sincera carità e obbedienza». PO 8 parla di unione e cooperazione fraterna dei presbiteri tra
loro: «I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante l'ordinazione, sono tutti tra loro
uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio [unum Presbyterium] nella diocesi al cui servizio sono assegnati sotto il proprio vescovo. […] Pertanto, ciascuno è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica,
di ministero e di fraternità: [si richiama il gesto dell’imposizione delle mani da parte dei presbiteri
presenti alle ordinazioni] […]. Per tali motivi, i più anziani devono veramente trattare come fratelli i
più giovani aiutandoli nelle prime attività e responsabilità del ministero, sforzandosi anche di comprendere la loro mentalità, per quanto possa essere diversa, e guardando con simpatia le loro iniziative. I giovani, a loro volta, abbiano rispetto per l'età e l'esperienza degli anziani, sappiano studiare
assieme ad essi i problemi riguardanti la cura d'anime, e collaborino con loro». Infine il n. 9 parla
dei rapporti dei presbiteri con i laici: verso di loro i presbiteri sono “padri e maestri” ma con loro
sono “fratelli tra fratelli” perché membra dello stesso e unico corpo di Cristo. Per cui, «siano pronti
ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi
della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell'attività umana, in modo da poter assieme
a loro riconoscere i segni dei tempi. […] I fedeli, dal canto loro, abbiano coscienza del debito che
hanno nei confronti dei presbiteri, e li trattino perciò con amore filiale, come loro pastori e padri; e
inoltre, condividendo le loro preoccupazioni, si sforzino, per quanto è possibile, di esser di aiuto ai
loro presbiteri con la preghiera e con l'azione, in modo che essi possano superare più agevolmente
le eventuali difficoltà e assolvere con maggior efficacia i propri compiti». Il capitolo II si conclude
con il n. 11 sulla cura per le vocazioni sacerdotali. A proposito della vocazione si precisa che «que-
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sta voce del Signore che chiama non va affatto attesa come se dovesse giungere all'orecchio del futuro presbitero in un qualche modo straordinario. Essa va piuttosto riconosciuta ed esaminata attraverso quei segni di cui si serve ogni giorno il Signore per far capire la sua volontà ai cristiani prudenti; e ai presbiteri spetta di studiare attentamente questi segni».
Il capitolo III sulla vita dei presbiteri comprende testi sull’obbligo di tendere alla perfezione (12:
«infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare l'opera della salvezza anche attraverso ministri
indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito santo, possono dire con l'apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e alla santità di vita: "Ormai non sono più io che
vivo, bensì è Cristo che vive in me"[Gal 2,20]»), sulla santità favorita dall’esercizio della triplice
funzione sacerdotale (13: «sono pertanto invitati a imitare ciò che trattano, nel senso che, celebrando il mistero della morte del Signore, devono cercare di mortificare le proprie membra dai vizi e
dalle concupiscenze»), sulla carità pastorale che unifica e armonizza la vita dei presbiteri (cioè permette di fare «unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero», PDV 23):
«Così, operando in rappresentanza del buon pastore, troveranno nell’esercizio stesso della carità pastorale il vincolo di perfezione sacerdotale che ridurrà a unità la loro vita e azione. La carità pastorale scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico» (n. 14). Spiega PDV 23: «Il contenuto essenziale
della carità pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé alla chiesa, a immagine e in condivisione
con il dono di Cristo. “La carità pastorale è quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua
donazione di sé e nel suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi che
mostra l’amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e
di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi ...” 13.
[…] Solo se ama e serve Cristo capo e sposo, la carità diventa fonte, criterio, misura, impulso
dell’amore e del servizio del sacerdote alla chiesa, corpo e sposa di Cristo». L’espressione "carità
pastorale" è stata consacrata da una vasta e autorevole letteratura: da Agostino, a Giovanni Crisostomo, a Gregorio Magno. La spiritualità che vi è sottesa è quella che nasce da un grande amore per
Cristo e per la Chiesa, che si attua nella dedizione al ministero.
Al n. 15 si parla di umiltà e obbedienza, al n. 16 del celibato come grazia (si espongono le ragioni
della sua molteplice convenienza con il sacerdozio), al n. 17 della povertà volontaria e atteggiamento verso le cose materiali: «Mossi perciò dallo Spirito del Signore, che unse il Salvatore e lo mandò
ad evangelizzare i poveri, i presbiteri come pure i vescovi, cerchino di evitare tutto ciò che possa in
qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e più ancora degli altri discepoli del Signore eliminino nelle proprie cose ogni ombra di vanità. Sistemino la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di condizione molto umile, aver timore di frequentarla [nella traduzione di EnchVat 1 si legge “e nessuno … nell’accedervi si trovi a disagio”]».
Tra i mezzi per favorire la vita spirituale si annoverano «la fruttuosa ricezione dei sacramenti, specialmente la frequenza al sacramento della penitenza» (n. 18), la visita e il culto personale alla santissima eucaristia, il ritiro e la direzione spirituale. Si parla infine della necessaria cultura teologica
(n. 19), del giusto compenso (n. 20) tale da «consentire anche un tempo sufficiente di ferie ogni anno», della previdenza sociale (n. 21). Si conclude, come abbiamo già detto, con l’icona di Abramo
(n. 22).
In molte occasioni il magistero della chiesa ha continuato a testimoniare la sua sollecitudine per la
vita e per il ministero dei sacerdoti. «Si può dire che negli anni del postconcilio non ci sia stato intervento magisteriale che in qualche misura non abbia riguardato, in modo esplicito o implicito, il
senso della presenza dei sacerdoti nella comunità, il loro ruolo e la loro necessità per la chiesa e per
la vita del mondo» (PDV 3). Ricordiamo in particolare l’VIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi (ottobre 1990), dedicata a “La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali”,
«con l’intento, a distanza di venticinque anni dalla fine del concilio, di portare a compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla più attuale e incisiva nelle circostanze odierne»
13
Qui si cita l’Omelia di Giovanni Paolo II durante l’adorazione eucaristica a Seoul (7 ottobre 1989).
9
(PDV 2). Ne è scaturita l’esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992)
e, in seguito, ad opera della Congregazione per il Clero il Direttorio per il ministero e la vita dei
presbiteri (31 marzo 1994). Ricordiamo le lettere ai sacerdoti inviate dai papi ogni anno in occasione del Giovedì Santo, per mettere in luce, a vantaggio della loro vita e del loro ministero sacerdotale, l'uno o l'altro aspetto del mistero eucaristico. Nel 2003 Giovanni Paolo II, ricorrendo il 25º del
suo ministero petrino, ha voluto «coinvolgere più pienamente l'intera Chiesa nella riflessione eucaristica», additandole con nuova forza la centralità dell'Eucaristia (cfr EdE 7). Questo è il motivo della pubblicazione della sua 14a ed ultima enciclica, la Ecclesia de Eucharistia (La Chiesa vive dell'Eucaristia), che ha firmato il Giovedì Santo, 17 aprile 2003. Ricordiamo poi l’indizione dell’anno
sacerdotale (19 giugno 2009-11 giugno 2010) da parte del papa Benedetto XVI e le sue catechesi
durante quell’anno. Fra i documenti della CEI mi limito a citare solo la Lettera ai sacerdoti italiani,
datata 19 maggio 2006, inviata a conclusione della 56a Assemblea Generale.
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