La mia dolce attesa non è una malattia e vi spiego

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La mia dolce attesa non è una malattia e vi spiego
IL CAFFÈ
27 aprile 2014
19
parentesi
tra
La società
La testimonianza
Uomini
ORE (media settimanale) DEDICATE A COMPITI DOMESTICI, PER TIPO DI COMPITO, IN TICINO NEL 2010
0
La mia dolce attesa
non è una malattia
e vi spiego perchè
Donne
0,1
0,6
1,1
2,0
4,3
1,9
0,4
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1,1 1,9
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0
1
2
3
4
5
6
7
Fonte: Rifod, Ust, Neuchâtel
0,5
1,2
CAROLINA CENNI
L
a gravidanza non è una malattia. Potrei riassumere così le
mie prime 37 settimane di attesa. Non appena scopri di aspettare
un bambino, t’immagini già scenari
catastrofici fatti di privazioni alimentari, motorie, sociali e quant’altro. Ricordo bene la frase del mio ginecologo, quando ha accertato la mia gravidanza, incalzato dalle mie prime domande paranoiche: “Per me può anche scalare montagne e mangiare
patatine fritte per nove mesi, è incinta non malata. Si ricordi però che la
gravidanza è tutta una questione di
equilibrio”. Aveva ragione e non poteva darmi consiglio migliore. Ho fatto tesoro di quella parola: equilibrio.
E così ho continuato a fare la vita
che avevo sempre fatto fino a quel
momento. L’ho fatto perché volevo,
non me l’ha ordinato nessuno ma
nemmeno impedito. In questo era
ovviamente compreso il mio lavoro.
Faccio la giornalista non sollevo
blocchi di marmo sia chiaro, ma ho
continuato a lavorare al 100% fino alla fine. Entro nella 38esima settimana e sono ancora seduta alla mia
scrivania. La sera ho i piedi e le caviglie gonfi, ma probabilmente ce li ha
anche chi non aspetta un bebé per
maggio. So bene di essere stata molto
fortunata. Ho avuto una bella gravidanza che mi ha permesso di condurre una vita normale. A volte, però,
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Pari opportunità sì,
ma per favore
non restate incinta!
Nella parità fra uomini e donne
resta lo scoglio della gravidanza
PATRIZIA GUENZI
È
L’antefatto
CLETO FERRARI DISQUISISCE
SUL TEMPO DI VALENTINA ITEM
Ferrari, collaboratore personale
del ministro del Territorio Claudio
Zali, sulla nomina di Valentina
Item ha commentato che come
procuratore pubblico sarebbe
stata limitata nel tempo da
dedicare alla sua attività di
magistrato, poiché è già
mamma di due bambini
la polemica
“Un magistrato deve essere
al di sopra d’ogni sospetto”
MAZZETTA A PAGINA 12
probabile che per un
uomo immaginare di
dedicarsi alla famiglia e
di mantenere, comunque, un’attività professionale sia proprio un pensiero
inconciliabile. Lo dimostra il recente (infelice) commento di Sergio Savoia sulla collega parlamentare Greta Gysin, in dolce attesa. Il coordinatore dei Verdi s’è
chiesto come potrà essere presente sulla lista
per il Consiglio
di Stato nel 2015,
conciliandol’impegno elettorale col suo
ruolo di mamma. Altro (pessimo) esempio di
quanto gli uomini siano “impediti” nel concepire le (femminili) capacità
multi-tasking,
l’ha dato Cleto Ferrari. Secondo il
collaboratore personale del direttore del dipartimento del Territorio, Claudio Zali, la neo eletta procuratrice pubblica Valentina Item
sarebbe limitata nel tempo da dedicare alla sua professione visto
che è già mamma di due bimbi. A
confermare quanto le parole di
Savoia e Ferrari riflettono una certa realtà, ecco le ultime cifre pubblicate dall’Ufficio cantonale di
statistica.
Dai dati emerge la chiara difficoltà delle donne nel conciliare lavoro e famiglia; la maggior parte
sceglie, difatti, un impegno professionale a tempo parziale, guadagnando meno e con minori
chance di carriera.Insomma, pari
opportunità sì, ma per favore non
restate incinta! Nella parità fra uomini e donne resta sempre lo scoglio della gravidanza.
Se poi la donna, oltre ad avere dei
figli e un lavoro, è pure impegnata
politicamente apriti cielo. Da qui
lo sfogo della Gysin, che in un
post su Facebook ha risposto a Savoia: “Oggi ho imparato che se fai
politica è meglio 1. non lavorare
da impiegato nel settore privato,
dove durante il lavoro non puoi
occuparti di politica: verrà interpretato come ‘mancanza di impegno’; 2. non diventare mamma,
perché è ovvio che non avrai più
tempo di fare politica (w l'emancipazione!); 3. se hai la sfortuna di
perdere il posto di lavoro, evita di
fare di tutto per trovarne uno (anche a costo di passare 3 giorni la
settimana a Zurigo), meglio an-
dare in disoccupazione, perché
tutto il resto verrà usato contro di
te”.
Certo, un po’ di pazienza forse è
necessaria. Un cambio di mentalità è ancora in corso, come spiega
l’imprenditrice Bosia (vedi articolo in basso). Dopo tutto in Svizzera la condizione femminile si è
evoluta più lentamente rispetto
LE
ALTRE
MAM
ME
Savoia si è chiesto se
la Gysin potrà correre
per il Consiglio di
Stato e conciliare
il ruolo di mamma
ad altri Paesi occidentali e la parità tra uomini e donne è una conquista tutto sommato recente
(sancita dalla Costituzione solo
nel 1981).
Inoltre, le elvetiche sono state
le ultime in Europa (ad eccezione
del Liechtenstein) ad ottenere il
diritto di voto, nel 1971, nonostante la Svizzera sia una delle più
Le imprenditrici L’esperienza sul campo di Marie Bosia per 10 anni presidente del gruppo Pmi
“Dobbiamo avere grinta,
non è impossibile essere
madre, moglie e manager”
“C
I pregiudizi
Si deve cambiare
mentalità, se non si
riesce la colpa è anche
un po’ la nostra
La politica
Se fissassero le riunioni
alle 4, invece che alle 21
la rappresentanza
femminile aumenterebbe
i sono problemi oggettivi, questo è vero. Come è vero che deve
cambiare la mentalità. Ma io
credo che la donna se vuole raggiungere i
propri obiettivi deve tirare fuori la grinta,
la determinazione”. Marie-Jeanne Bosia è
stata per oltre dieci anni presidente del
gruppo Donne piccole e medie imprese
(Pmi) Ticino, oltre che al vertice mondiale
del Soroptimist. Imprenditrice, mamma
di quattro figli e ora nonna di sette nipoti
che spesso sono da lei a pranzo per assaggiare le sue cotolette alla milanese. “Conciliare lavoro e famiglia - spiega Bosia non è mai stato semplice. Ci sono problemi che affondano le radici nella storia del
nostro Paese, ci sono pregiudizi che vanno
grattati via. Io da giovane ho studiato, ma
mia madre mi ripeteva sempre che dovevo guardare oltre la ringhiera, cioè pensare a sposarmi. Sono stata moglie e madre e
nel frattempo ho portato avanti la mia attività insieme a mio marito. Non è stato impossibile”.
Marie-Jeanne Bosia ha girato il mondo
per parlare di donne e lavoro. Nella sua attività è intervenuta in convegni e conferenze a New York come a Pechino. “E devo
dire che le conclusioni dello studio dell’Ufficio cantonale di statistica non sono
poi molto diverse da quelle di altri Paesi. I
problemi sono comuni, in Ticino come in
Italia, come in America”. Oggi le quattro fi-
glie lavorano tutte. “Vedevano me lavorare
tanto nel Centro di bellezza che gestivo. E
io credo, lo dico un po’ anche per esperienza, che per entrare nel mondo del lavoro bisogna avere determinazione. Se
non si riesce, al di là dei problemi oggettivi
che pure esistono, è un po’ anche colpa
della donna che deve farsi avanti, senza
pregiudizi o paure. E questo perché la potenzialità c’è. Altrimenti non si capirebbe
come mai più donne che uomini si laureano. Io trovo che le donne siano altrettanto
brave degli uomini, se non di più. E questo
aspetto che un tempo non era riconosciuto oggi invece viene ammesso. Lo vedo da
mio marito che riconosce il mio lavoro di
mamma, moglie e imprenditrice. La mentalità dell’uomo è cambiata, forse non è
cambiata la mentalità della donna”.
Quasi una provocazione, quella di Marie-Jeanne Bosia. Però, e lo dicono i numeri, tanta strada resta da fare. Anche in campo politico. “Le donne non fanno politica?
Se fissassero le riunioni alle 4, invece che
alle 9 di sera la rappresentanza femminile
nelle istituzioni crescerebbe. Noi abbiamo
la famiglia, ed è bellissimo, ma come donna si trasforma spesso in handicap. La società non è organizzata per venirci incontro. Poi, certo, c’è pure chi riesce a far carriera o a sfondare in politica. Ma c’è anche
chi semplicemente è costretta a lavorare
per la famiglia”.
m.sp.
MARIE-JEANNE
BOSIA
Imprenditrice
e per oltre
dieci anni
presidente Pmi
Ticino donne
antiche democrazie al mondo.
Addirittura, in alcune regioni
dell’Appenzeller alle donne non
era consentito prendere parte alle
elezioni comunali fino al 1990. E il
diritto al congedo retribuito per le
lavoratrici è stato legalmente riconosciuto solo dieci anni fa (in Ticino dal 1° luglio 2005, almeno 14
settimane consecutive).
Negli ultimi decenni il tasso di
attività professionale femminile è
aumentato a ritmo costante (poco meno della metà delle donne
ticinesi lavorano a
tempo
pieno),
seppur
ancora
nettamente inferiore a quello degli
uomini. E se in
passato l’arrivo dei
figli, tra i 25 e i 40
anni, significava
spesso un’uscita
(almeno temporanea) dal mercato
del lavoro, oggi le
donne tornano
più numerose e
più alla svelta a lavorare. Ma, rispetto ai maschi, fanno più fatica
a fare carriera.
Insomma, ancora tutta in salita la strada per una totale affermazione professionale delle donne che, giustamente, non vogliono farlo a scapito della famiglia.
Ma conciliare i due ruoli è arduo e
faticoso. Ecco perché fondamentali sono gli aiuti dati dalle strutture di accoglienza per la prima infanzia, come asili nido, famiglie
diurne, scuole dell’infanzia e offerte extra-scolastiche, tra cui
mense e doposcuola. E l’offerta
attuale ancora non è sufficiente
per rispondere alla domanda da
parte delle famiglie, lo dimostra il
fatto che buona parte degli asili
ha delle liste di attesa.
Un ruolo importante lo possono svolgere i datori di lavoro,
permettendo ad esempio il tempo parziale o una certa flessibilità
degli orari. Tutto ciò per restare
attive fuori casa e dentro casa.
Dove, ancora, purtroppo è proprio la donna a sobbarcarsi la
maggior parte delle mansioni domestiche.
[email protected]
Q@PatriziaGuenzi
Margherita
Maffeis
Lorenza
Pedrazzini
49 ANNI, UN FIGLIO
IMPRENDITRICE
E DIRIGENTE BPW
36 ANNI, 2 FIGLIE
AVVOCATO
E CONSIGLIERE
COMUNALE
“L’errore è lasciare completamente il lavoro.
Quando è nato mio figlio io ho lavorato con
un orario ridotto, poi è cresciuto e il mio
impegno è aumentato. Questo è un sistema,
ma ne esistono altri. Avere un’occupazione è
importante anche nell’equilibrio familiare”
“Conciliare lavoro e famiglia è difficile ma
non impossibile. Quando nasce un figlio la vita
si complica, bisogna avere disciplina, darsi
delle priorità e rispettarle, e sapersi
organizzare. Io sto imparando. Ora lavoro
ancora al 30% perché ho un bimbo di 6 mesi”
Nadia
Ghisolfi
Francesca
Bordoni
35 ANNI, UN FIGLIO
GRANCONSIGLIERA
E SINDACALISTA
51 ANNI, TRE FIGLI
IMPRENDITRICE E
GRANCONSIGLIERA
“L’ideale sarebbe un congedo maternità più
lungo, oltre che alla possibilità, come per i
docenti, di avere un periodo non retribuito. E
poi, come in Svezia, serve la responsabilità
condivisa con la possibilità anche per i padri
di stare accanto alle mamme”
“L’inconciliabilità è nella vita quotidiana. Se
scopri che una tata ti costa più di quanto
guadagni rinunci. Io sono diventata imprenditrice
per non dover chiedere il permesso di andare ai
colloqui scolastici per i miei figli e solo così sono
riuscita a gestire famiglia e lavoro”
Nicole
Brändli
Monica
Piffaretti
35 ANNI, UN FIGLIO,
COMMERCIANTE
EX CICLISTA “PRO”
51 ANNI, 4 FIGLI
SCRITTRICE
E GIORNALISTA
“Un figlio ti cambia la vita. E bisogna gestire
bene la situazione. Ma certo per me è stato più
difficile conciliare studio e ciclismo
professionistico perché quando ho iniziato non
c’erano le scuole sportive. E facevo fatica. Da
mamma però devo dire che non ci si annoia”
“Oggi si può far tutto. Lavorare o far solo la
mamma. È una scelta molto soggettiva che va
fatta senza farsi condizionare e decidendo in
famiglia dopo aver analizzato i pro e i contro.
Certo, molto dipende dalle situazioni
personali. Ma alla fine è una scelta di cuore”
Continuando
a lavorare
ci si mantiene
psicologicamente
e fisicamente attive
fa tanto anche il modo con cui noi
donne per prime ci poniamo nei
confronti di questi nove mesi, la nostra predisposizione mentale. Perché
il “sei incinta non malata” può sembrare un concetto elementare, ma
non lo è. C’è chi, fatto il test di gravidanza, nonostante goda di ottima salute si comporta diversamente: non
va più al lavoro, smette con le faccende domestiche, non fa più la spesa,
non guida, non fa movimento, disdice le vacanze… Ci auto-ghettizziamo
sul divano di casa. Associare la gravidanza a una malattia è un autogol
pazzesco da parte nostra. Come si fa
a lamentarsi dei datori di lavoro che
non comprendono la “situazione”,
quando siamo le prime a darci alla
macchia per mesi e mesi?
Non c’è niente nella mia attesa
che farei diversamente. Continuando a lavorare si è “costretti” a tenere
la mente impegnata e i lunghi nove
mesi passano più in fretta. Si dà meno peso a piccoli e normali fastidi
che altrimenti sembrerebbero ostacoli insormontabili. In poche parole,
ci si tiene psicologicamente e fisicamente attive. Tutte le donne dovrebbero essere messe nella condizione
di godere della propria gravidanza,
di assistere ai cambiamenti che questa comporta e di avere chiaro il concetto che le malattie sono altre. Io
l’ho potuto fare grazie all’aiuto del
mio ginecologo Giacomo Giudici, e
del suo ottimo team ospedaliero, che
mi ha seguita trasmettendomi grande serenità e sicurezza, e informandomi in modo corretto e completo.
Hanno giocato un ruolo fondamentale in questo periodo. Mi hanno fatta sentire quella che ero: una donna
normale.
Continuare a lavorare in gravidanza, come dopo aver avuto un figlio, deve essere una scelta che spetta solo a noi. Ma anche un diritto. Le
donne sono multitasking sul serio.
Ma ovviamente solo quelle che vogliono farlo ci riescono.
[email protected]
Q@simplypeperosa