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pianissimo
La poltrona occidentale orientale
ALESSANDRO DAL PONT
22 settembre – 03 novembre 2007
Inaugurazione: 21 settembre 2007 h. 19.00
I (La Sposa)
II (Vernita Green)
III (O-Ren Ishii)
IV (Gogo Yubari)
V (Pai Mei)
VI (Jigen Daisuke)
VII (Goemon Ishikawa)
Per la sua seconda mostra personale presso la galleria Pianissimo, Alessandro Dal Pont presenta un’unica e complessa installazione
costituita da sette sculture raffiguranti le teste di altrettanti Samurai (2007). Dopo le ventidue sculture della monumentale Mickey Mouse
Club March (2005) e i quattro gruppi scultorei di Interior Design (2006), l’artista prosegue la sua originale esplorazione di grandi topoi
contemporanei, questa volta immergendosi nell’antico Hagakure - il venerabile codice dei samurai - per riemergere nelle acque del più
attuale oceano manga. Come sempre in Dal Pont, anche in questo nuovo ciclo “pop” dalla notevole ricercatezza formale fanno da contrappunto una complessità semantica e una sofisticazione linguistica tali da investire il soggetto “samurai” di problematiche altre, prima
fra tutte quella di una sua rilettura metaforicamente e letteralmente poliedrica, e non ultima quella di una simbolica messa in crisi della
scultura attraverso i suoi stessi elementi costitutivi. Ognuna delle sette teste, infatti, è ottenuta dalla compenetrazione di due cubi diversamente orientati. Le molteplici sfaccettature dei volti, rintracciabili nei piani generati dall’incastro dei cubi, coincidono con l’assemblaggio
di altrettanti solidi di marmo, legno e plastica. Materiali classici della scultura i primi due, più “superflat”, per contrasto, l’ultima. Posti di
fronte alle sette teste, sette grovigli di neon (altro materiale topico della scultura) delineano uno scintillante sciabolare di spade, quasi
che i samurai ferissero e insieme perissero sotto i colpi di invisibili fendenti, autori impersonali delle loro incerte fisionomie. Attraverso
questi tagli chirurgici le venature tipiche di marmi, legni e plastiche varie svelano una materia palpitante sotto la pelle, ma anche le rughe
di una fronte aggrottata e le trame di barba e capelli.
Monumento funebre ironicamente vitale, questi cavalieri decapitati testimoniano il simultaneo attuarsi di creazione e disfacimento, e
abbozzano con le loro maschere mortuarie una sorta di sceneggiatura eroica dell’esistenza; ancora, sette totem che cesellano il freeze-
Via Ventura 5 20134 Milano Tel +39.022154514 www.pianissimo.it
[email protected] Mar – Sab: 15.00 – 19.00 Tue – Sat: 3 – 7 pm
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frame di un film esistenziale, di cui un epitaffio critico, infine, potrebbe sintetizzare: “Un calembour sulla scultura che ha per tema se
stessa e il suo infausto destino. Una farsa chiamata Arte in cui il duello tra costruzione e decostruzione si riflette nella dialettica di
tradizione e innovazione, intrecciando una trama che ne procrastini la fine”. Del resto, per la nostra vita reale timorosa del finale di
partita – e che il samurai, immolandosi ad un codice impersonale, s’illudeva di fronteggiare – l’arte e l’industria dello spettacolo nel suo
complesso, attraverso i generi più violenti, approntano continui finali salvifici, o consolatori o illusori ma sempre efficaci nell’esorcizzare la
(mala)sorte attraverso la sua (magica)rappresentazione: di qui il proliferare di feticci, fantocci e simulacri vari, mai reali ancorché realistici, che agitano film, fumetti, e cartoni animati, e anche molta arte contemporanea. Più che gli improbabili zombie, i vivi morenti e i morti
stecchiti. Non è un caso che molti dei personaggi effigiati in questi sette “capi solitari” sono presi in prestito da quel capolavoro del cinema
dell’usato che è Kill Bill, canovaccio truculento di vecchie trame e nuove ispirazioni quali il tema della vendetta implacabile e gli odierni
videogiochi. Curiosamente, sia in Kill Bill che nei samurai di Dal Pont - come del resto in tutti i prodotti del genere - il contrassegno autentico della morte non sta tanto nei macabri soggetti rappresentati, innocui perchè ineluttabilmente finti, quanto sembra rientrare in sordina
nella pratica “post” dei linguaggi contemporanei, che si scontrano con l’ineludibilità di deposito e riciclaggio in quanto ceneri marcescenti
dalle quali attingere per poter rinascere. Per Dal Pont vale quello che è stato detto di Tarantino, cioè di uno cresciuto masticando rifiuti
come fossero il pane della Bibbia, e sui quali ha costruito un magistero di nefandezze. Ma in Dal Pont un eclettismo dei temi, il piglio
critico europeo e una vigile attitudine metalinguistica lo allontanano dal cannibalismo spensierato del regista americano, per avvicinarlo
piuttosto al lucido distacco di un Kubrick, sia pure sotto l’egida di Hollywood. I suoi samurai si nutrono certamente di una buona dose di
cultura fumettistica, immaginario trash e citazione, come del resto molti altri suoi lavori, ma il linguaggio è quello sapiente della scultura
e c’è riflessione, che si avvale anche in questo caso della contaminazione felice tra cultura high e cultura low per l’investigazione sagace
di temi importanti, come è stato per la potenza americana (2005), per la pornografia (2006) e, ora, per la formulazione di un’originale
“poltrona” occidentale-orientale.
A distanza di quasi due secoli dal celebre “divano” di Goethe, le idealizzazioni esotiche da salotto hanno ceduto i fasti alla postazione
solitaria davanti allo schermo mentre - fuori – oriente e occidente sono parecchio cambiati. L’attuale fenomeno di una loro osmosi di
tipo estetico - quasi unicamente in riferimento ad immaginari bellicosi continuamente plasmati dai reciproci contraccolpi “colonialistici”
- è prodotto a tavolino e sembra prefigurare un pubblico contemporaneo affamato di saghe cavalleresche. Col risultato che un universo
fantastico mitologico ibrido palleggiato da entrambe le parti sembra suggerire la richiesta, su scala planetaria, di un antidoto per ansie di
tipo adolescenziale, se non proprio paranoidi. In sintonia col sincretismo medievaleggiante tratteggiato, questa ricognizione in scultura
fa il suo punto della situazione da un divano aggiornato.
Buona visione.
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