“La Ferrari e lo sceicco” Luigi Zingales, L`Espresso 3 July 2008
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“La Ferrari e lo sceicco” Luigi Zingales, L`Espresso 3 July 2008
“La Ferrari e lo sceicco” Luigi Zingales, L’Espresso 3 July 2008 L’AUMENTO DEL PREZZO DELL’ORO NERO SI TRADUCE IN UNA ‘TASSA’ DI 28 MILIARDI. CHE RIDUCE IL NOSTRO POTERE D’ACQUISTO DEL 2 PER CENTO Il prezzo del petrolio aumentato del 74 per cento in un anno, il prezzo dell'oro del 18, mentre quello del frumento del 32. Per chi si ricorda gli anni '70, difficile non temere un forte rialzo dell'inflazione. Se poi si uniscono le magre (talvolta negative) previsioni di crescita, il pensiero va a quella terribile combinazione di inflazione e stagnazione economica che va sotto il nome di stagflazione. Quanto fondate sono queste paure? Un rialzo, anche se molto elevato, di alcuni prezzi non significa necessariamente inflazione. L'inflazione è un aumento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi. Una variazione dei prezzi relativi (il petrolio costa di più, ma i computer costano di meno) non implica inflazione. Non per questo tale variazione è indolore, soprattutto se, come nel caso dell'Italia, ci troviamo importatori di tutti i prodotti in forte aumento. Visto che l'Italia nel 2006 ha importato petrolio e derivati per 38 miliardi di euro, un aumento del 74 per cento dell'oro nero, significa una 'tassa' pari a 28 miliardi di euro, che va a ridurre il nostro potere d'acquisto di circa il 2 per cento. Si tratta di una vera e propria redistribuzione di reddito dai consumatori ai produttori di petrolio. Per sottrarsi a questa tassa, nel lungo periodo l'unica via è lo sviluppo di energie alternative. Ma nel breve periodo ci sono tre modi per cercare di contrastare la riduzione di reddito che questa tassa comporta. Il primo è un aumento di produttività. Aumentando il prodotto per ora lavorata riusciamo a guadagnare di più, compensando il reddito perso. Il secondo metodo, il più penoso, è quello di lavorare un numero maggiore di ore. Il terzo metodo è quello di aumentare il prezzo dei nostri prodotti. Se gli sceicchi ci fanno pagare il petrolio di più, perché non far pagare loro di più le Ferrari che comprano da noi? Il primo problema con questa strategia è la competizione. Gli sceicchi non devono comprare Ferrari, possono comprare Rolls Royce e Porsche. Un aumento dei prezzi si tradurrebbe in una riduzione delle vendite e non in un aumento dei profitti. Il secondo problema è che le Ferrari non sono vendute solo agli sceicchi. Un aumento colpirebbe anche i ricchi nostrani che, già impoveriti dall'aumento dei prezzi del petrolio, comprerebbero ancora meno macchine. La terza via non è quindi percorribile, a meno che la banca centrale non decida di ridurre il costo del denaro e stampare più moneta. In questo caso, il ricco nostrano potrebbe comprare lo stesso la Ferrari a un prezzo più elevato perché il costo del denaro che prende a prestito (anche i ricchi comprano a rate) è sceso. Si tratta però di una vittoria di Pirro. Quando il produttore di Ferrari andrà a spendere il suo reddito, troverà che tutti gli altri produttori hanno fatto lo stesso ragionamento e i prezzi di tutti i prodotti sono aumentati. In altri termini, il valore del suo reddito è stato eroso dall'inflazione. Come questa storiella cerca di dimostrare, a creare un legame tra aumento dei prezzi delle materie prime e inflazione è la politica espansiva della banca centrale. Senza di essa il tentativo di evitare la tassa degli sceicchi aumentando i prezzi si tradurrebbe in una flessione delle vendite. Anticipando questo risultato i produttori si asterrebbero dall'aumentare i prezzi. Negli anni '70 l'elevata conflittualità sociale rese difficile far accettare una riduzione del potere di acquisto causata dai forti aumenti del prezzo del petrolio. In Italia una banca centrale non ancora indipendente si sentì in dovere di accomodare gli aumenti dei prezzi per evitare la possibilità di una riduzione delle vendite (e quindi una recessione). Il resto della storia lo conosciamo. Oggi la situazione è molto diversa. Abbiamo una banca centrale europea che non solo è indipendente dal potere politico, ma ha anche un chiaro mandato di salvaguardarci dall'inflazione. Anticipando questa rigidità, produttori e lavoratori europei non cercheranno di proteggere il proprio potere d'acquisto attraverso un aumento dei prezzi. Il vero rischio per l'Italia non è l'inflazione, ma la possibilità che i nostri produttori e lavoratori, ignorando i cambiamenti istituzionali, cerchino la scorciatoia offerta dalla terza via. Grazie alla Bce, questo tentativo non si tradurrebbe in un aumento generalizzato e continuato dei prezzi, ma solo in una perdita di competitività dei nostri prodotti, cui farebbe seguito una lunga recessione. La colpa non sarebbe del prezzo del petrolio: sarebbe solo nostra.