11-22 aprile 2016

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11-22 aprile 2016
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Cristiani a tre dimensioni
Venerdì, 22 aprile 2016
Il cristiano, «uomo di speranza», sa e testimonia che «Gesù è vivo» ed «è fra noi», che Gesù prega
il Padre «per ognuno di noi» e che «tornerà». Nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 22
aprile, Papa Francesco ha così sintetizzato il rapporto tra ogni credente e Gesù risorto. Prendendo
spunto dalla liturgia del giorno, il Pontefice ha fatto emergere tre parole fondamentali per la vita
cristiana: l’«annuncio», l’«intercessione» e la «speranza».
Innanzitutto l’annuncio. Come si legge anche dalla lettura che riporta un brano degli Atti degli
apostoli (13, 26-33), l’annuncio è sostanzialmente «la testimonianza che danno gli apostoli della
resurrezione di Gesù». Così Paolo in sinagoga afferma: «Dopo avere adempiuto tutto quanto era
stato scritto di lui, lo deposero dalla croce, lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha resuscitato dai
morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a
Gerusalemme, e questi ora sono testimoni di lui davanti al popolo». Quindi, ha sintetizzato il
Pontefice, «l’annuncio è: Gesù è morto ed è risorto per noi, per la nostra salvezza. Gesù è vivo!».
Ed è quanto i primi discepoli hanno tramandato «ai giudei e ai pagani del loro tempo» e hanno
«testimoniato anche con la loro vita, con il loro sangue».
Quando a Giovanni e Pietro, ha continuato il Papa, fu proibito di annunciare il nome di Gesù e di
parlare della resurrezione, «loro con tutto il coraggio, con tutta la semplicità dicevano: “Noi non
possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”». Infatti «noi cristiani per la fede abbiamo
lo Spirito Santo dentro di noi, che ci fa vedere e ascoltare la verità su Gesù, che è morto per i nostri
peccati ed è risorto». Questo, dunque, «è l’annuncio della vita cristiana: Cristo è vivo! Cristo è
risorto! Cristo è fra noi nella comunità, ci accompagna nel cammino». E nonostante la «fatica» che
a volte facciamo nel comprendere, «una delle dimensioni della vita cristiana» è proprio questa,
l’annuncio. Lo capiamo bene dal passo della Scrittura dove si legge che Giovanni affermò: «Quello
che noi abbiamo visto con i nostri occhi, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo
toccato con le nostre mani...». Come a dire: «Cristo risorto è una realtà e io dò testimonianza di
questo».
La seconda parola chiave proposta dal Pontefice è l’«intercessione». Lo spunto, questa volta viene
dal Vangelo di Giovanni (14, 1-6). Durante la cena del Giovedì santo, infatti, gli apostoli erano tristi,
e Gesù disse: «Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede. Nella casa del Padre mio vi sono molte
dimore. Vado a prepararvi un posto». Francesco si è soffermato su questo passo e ha chiesto:
«Cosa vuol dire questo? Come prepara il posto Gesù?». Immediata la risposta: «Con la sua
preghiera per ognuno di noi: Gesù prega per noi e questa è l’intercessione». È importante, infatti,
sapere che «Gesù lavora in questo momento con la sua preghiera per noi». Ha spiegato il Papa:
così come una volta Gesù, prima della passione, ha detto: «Pietro io ho pregato per te», così
«adesso Gesù è l’intercessore fra il Padre e noi».
Ma, a questo punto, viene da chiedersi: «E come prega Gesù?». Quella di Francesco è stata una
risposta del tutto «personale» — «una cosa mia», ha specificato, «non è un dogma della Chiesa»
— e coinvolgente: «Io credo che Gesù faccia vedere le piaghe al Padre, perché le piaghe se le è
portate con sé, dopo la resurrezione: fa vedere le piaghe al Padre e nomina ognuno di noi».
Secondo il Pontefice, si può immaginare così la preghiera di Gesù. E il cristiano è animato da
questa consapevolezza: «in questo momento Gesù intercede per noi».
Infine, la terza dimensione: quella della speranza. È ancora il Vangelo del giorno che la offre alla
meditazione. Gesù dice: «Vado a prepararvi un posto» e aggiunge: «Quando sarò andato e vi avrò
preparato un posto verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono Io siate anche voi».
Ecco la speranza del cristiano. Gesù dice: «Io verrò!». Ha spiegato il Papa: «Il cristiano è una
donna, è un uomo di speranza» proprio perché «spera che il Signore torni». A tale riguardo, ha
aggiunto il Pontefice, «è bello» notare «come incomincia e come finisce la Bibbia». All’inizio si
legge: «Nel principio...», cioè «quando incominciarono le cose». E l’Apocalisse termina «con la
preghiera: “Vieni Signore Gesù». Tutta la Chiesa, infatti, «è in attesa della venuta di Gesù: Gesù
tornerà». Questa, ha detto il Pontefice, «è la speranza cristiana».
Perciò, ha concluso il Papa sintetizzando la sua meditazione, ognuno può domandarsi: «Com’è
l’annuncio nella mia vita? Com’è il mio rapporto con Gesù che intercede per me? E com’è la mia
speranza? Ci credo davvero che il Signore è risorto? Credo che prega il Padre per me?»; e infine:
«Credo davvero che il Signore tornerà». In altre parole: «credo nell’annuncio? Credo
nell’intercessione? Sono un uomo o una donna di speranza?».
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Cammino e memoria
Giovedì, 21 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.092, 22/04/2016)
Lungo la strada della vita gli uomini non camminano mai soli, e saper fare memoria della presenza
di Dio accanto a loro li aiuta capire che la salvezza non è l’evento di un momento, ma una storia
che si dipana giorno per giorno, tra cose buone ed errori, fino all’incontro finale. Il parallelo tra la
storia del popolo d’Israele e quella personale di ogni cristiano ha guidato la meditazione di Papa
Francesco nella messa celebrata a Santa Marta giovedì 21 aprile: una storia da valorizzare perché,
ha detto il Pontefice, «la memoria ci avvicina a Dio».
Non a caso, ha sottolineato il Papa richiamando il brano degli Atti degli apostoli proposto dalla
liturgia del giorno (13, 13-25), la prima predicazione, quella «degli apostoli di Gesù», era «storica».
Nella predicazione del Vangelo, questi «arrivavano a Gesù, ma raccontando tutta la storia del
Popolo di Israele», partendo dal «padre Abramo», passando per «Mosè, la liberazione dall’Egitto,
la Terra Promessa» finché, citando il re Davide, concludevano: «Dalla discendenza di Lui, secondo
la promessa, Dio inviò come Salvatore per Israele Gesù». Così davano conto di un «cammino
storico», il cammino che Dio «ha fatto con il suo popolo».
Tutto ciò, ha detto Francesco, «ci fa pensare che l’annuncio di Cristo, la salvezza di Cristo, questo
dono che Dio ci ha dato, non è una cosa di un momento e niente di più: è un cammino!». Il
cammino «che Dio ha voluto fare con il suo popolo» e che non si deve dimenticare. Tant’è che
nella Scrittura sono continue le raccomandazioni in questo senso. Per esempio nel libro del
Deuteronomio, che è proprio «il libro della memoria di Israele», si legge: «Ricordatevi, ricordatevi!
Fate memoria di questo». Occorre cioè, ha spiegato il Pontefice, «tornare indietro per vedere
come Dio ci ha salvato, percorrere — con il cuore e con la mente — la strada con la memoria e così
arrivare a Gesù».
Lo stesso Gesù ha sottolineato l’importanza di fare memoria e «nel momento più grande della sua
vita», ci ha dato il suo corpo e il suo sangue «e ha detto: “Fate questo in memoria di me”».
Dobbiamo, quindi, «avere memoria di come Dio ci ha salvato».
È questo un invito che la Chiesa raccoglie ogni giorno nella liturgia eucaristica. A tale riguardo il
Papa ha fatto notare come nella preghiera all’inizio della messa che stava celebrando ci fosse stata
l’invocazione a «Dio che ha redento l’uomo e lo ha innalzato oltre l’antico splendore». E ha
aggiunto: «Il popolo deve avere memoria» che tutto questo Dio lo ha fatto «in cammino» con il
suo popolo.
In ogni eucaristia si celebra «la memoria di questa salvezza; il memoriale di Gesù che si fa presente
sull’altare per darci la vita», ma, ha aggiunto Francesco, «anche noi, nella nostra propria vita
personale, dobbiamo fare lo stesso: fare memoria del nostro cammino», perché «ognuno di noi ha
fatto una strada, accompagnato da Dio, vicino a Dio, vicino al Signore» a volte anche
«allontanandosi dal Signore». In ogni caso, ha raccomandato il Pontefice, «fa bene al cuore» di
ogni cristiano fare memoria «della propria strada» e chiarirsi come Dio lo ha «condotto fino a qui»,
come lo «ha portato per mano».
In questo recupero del cammino percorso ci si può anche accorgere che a volte abbiamo detto al
Signore: «No! Allontanati! Non voglio!» — e «il Signore», ha sottolineato il Papa, «è rispettoso»
anche di questo — ma è comunque importante fare memoria «della propria vita e del proprio
cammino».
È utile ripetere spesso questa pratica e ricordarsi: «In quel tempo Dio mi ha dato questa grazia e io
ho risposto così...», dirsi: «Ho fatto questo, quello, quello» e rendersi conto di come Dio ci abbia
sempre «accompagnato». In questa maniera, ha detto il Papa, «arriviamo a un nuovo incontro»,
quello che si potrebbe definire l’«incontro della gratitudine», nel quale si potrebbe pregare così:
«Grazie Signore per questa compagnia che Tu mi hai dato, per questo cammino che hai fatto con
me!» e anche chiedere perdono per i peccati e gli sbagli di cui ci si può rendere conto, nella
consapevolezza che Dio «cammina con noi e non si spaventa delle nostre cattiverie», sta «sempre
lì!».
A tale riguardo il Pontefice ha aggiunto: «Quante volte gli abbiamo chiuso la porta in faccia;
quante volte abbiamo fatto finta di non vederlo, di non credere che Lui fosse con noi; quante volte
abbiamo rinnegato la sua salvezza... Ma Lui era lì!». Ed è importante «fare memoria di tutto
questo», così come lo è riguardo anche alle «nostre cose buone». Quante volte, per esempio,
«abbiamo aiutato un altro, curato un ammalato».
Da qui l’invito a «fare memoria di tutto il cammino» perché «la memoria ci avvicina a Dio». È, ha
spiegato Francesco, una sorta di «ri-creazione», di «ri-generazione, che ci porta oltre l’antico
splendore che aveva Adamo nella prima creazione».
Fino al termine della sua omelia il Papa ha ripetuto più volte questo consiglio semplice: «Fate
memoria!». Che sia riguardo l’intero arco della vita e o solo della giornata odierna o dell’ultimo
anno, è sempre bene chiedersi: «Come sono stati i miei rapporti col Signore?», e fare memoria, ha
concluso il Pontefice, «delle cose belle, grandi che il Signore ha fatto nella vita di ciascuno di noi».
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Orfani o discepoli
Martedì, 19 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.090, 20/04/2016)
Con la preghiera del Padre Nostro Gesù consegna a ciascuno l’atto di paternità: nessuno è orfano
ma c’è il rischio di diventarlo chiudendo il cuore e non lasciandoci attrarre dall’amore di Dio. Lo ha
ricordato Francesco nella messa celebrata martedì mattina, 19 aprile, a Santa Marta. E il Papa ha
anche suggerito di ricorrere a una preghiera umile, con lo spirito del figlio: «Padre, attirami verso
Gesù; Padre, portami a conoscere Gesù». Proprio per non avere l’atteggiamento di quei dottori
della legge che persino davanti ai miracoli di Gesù e alla sua risurrezione facevano di tutto pur di
negare l’evidenza.
Per la sua meditazione, Francesco ha preso le mosse dal passo di Giovanni (10, 22-30), proposto
dalla liturgia. «Gesù si confronta un’altra volta con i sacerdoti, i dottori della legge» ha fatto subito
notare. E «loro gli fanno la domanda: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo,
dillo a noi apertamente”». Del resto quei dottori «tornavano sempre sullo stesso argomento: tu
chi sei? Con che autorità fai questo?”». Il Vangelo ci dice che «Gesù rispose loro: “Ve l’ho detto e
non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.
Ma voi non credete”».
Non credono, eppure «hanno visto tante cose, tanti miracoli». E così che «quando Gesù guarì quel
cieco dalla nascita — nel nono capitolo del Vangelo di Giovanni — fecero tutte le ricerche possibili
e immaginabili: hanno chiamato i genitori; hanno chiamato quelli che lo conoscevano; hanno
chiamato lui; poi, un’altra volta...». Insomma «era chiaro che era un cieco dalla nascita, ma non
credettero». Proprio allora «Gesù dice due parole sulla cecità spirituale: questi, che credevano di
vedere, gli illustri che sapevano tutto — tutta la legge — non vedevano perché erano loro i ciechi, i
ciechi dalla nascita».
«Ma voi non credete» dice dunque Gesù ai dottori della legge. E spiega perché: qui sta anche «la
novità di questo passo del Vangelo» ha affermato il Papa. «Voi non credete perché non fate parte
delle mie pecore» dice il Signore. In sostanza, ha proseguito Francesco, qualcuno potrebbe
pensare che «per credere devo dire “credo” ed entro nelle pecore di Gesù». Invece no, «è al
rovescio: soltanto quelli che fanno parte delle pecore di Gesù possono credere».
Lo confermano le parole riportate da Giovanni nel Vangelo: «Le mie pecore ascoltano la mia voce,
io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e
nessuno le strapperà dalla mia mano». Ma, ha affermato il Pontefice, «queste pecore hanno
studiato per seguire Gesù e poi hanno creduto? No». La risposta definitiva la dà Gesù stesso: «Il
Padre mio che me le ha date è più grande». È proprio «il Padre che dà le pecore al pastore; è il
Padre che attira i cuori verso Gesù». È il Signore a confermarlo con chiarezza: «Nessuno viene a
me se non lo attira il Padre». E «questa gente, che sono le pecore di Gesù, sono state attirate dal
Padre, si sono lasciate attirare».
«Invece — ha notato Francesco — quei dottori della legge avevano il cuore chiuso, si sentivano
padroni di se stessi ma, in realtà, erano orfani perché non avevano un rapporto col Padre». È vero,
«parlavano dei loro padri — il nostro padre Abramo, i patriarchi — ma come figure lontane». Però
«nel loro cuore erano orfani, vivevano in una condizione di orfani e la preferivano a lasciarsi
attirare dal Padre».
Siamo davanti — ha affermato il Papa — al «dramma del cuore chiuso di questa gente: loro
credevano di essere stati creati da loro stessi perché sapevano tutto e, per questo, il loro cuore era
incapace di credere, perché non si lasciavano attirare dal Padre verso Gesù e per questo non erano
parte delle pecore di Gesù». Questo «dramma va avanti fino al Calvario». E poi «anche il giorno
della risurrezione: quando i soldati vanno a dire cosa è accaduto, loro cosa fanno? Danno un bel
consiglio: “Voi dite che vi eravate addormentati e che i discepoli hanno rubato il corpo”». Così
«mettono la mano in tasca», secondo «il principio della tangente: “Tu taci e io ti pago per
tacere”».
Perciò «neanche davanti a quella prova, a quei testimoni che avevano visto la risurrezione — ha
evidenziato Francesco — si sono lasciati attirare dal Padre verso Gesù». Per questo «non possono
credere, perché non sono delle pecore di Gesù: sono orfani», perché «hanno rinnegato il loro
Padre».
Riferendosi alla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (11, 19-26), il Papa ha evidenziato
come si possa riconoscere «l’atteggiamento opposto: i discepoli, dopo la persecuzione che era
scoppiata a Gerusalemme dopo la morte di Stefano, sono arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e
Antiochia, e proclamavano la parola ai giudei: alcuni credevano, altri no, ma la fede andava
avanti». Però «alcuni di loro incominciarono a predicare, ad annunziare Gesù Cristo anche ai
pagani, ai greci, e questo era un cambiamento molto forte: era una trasformazione della loro
concezione dell’accesso alla salvezza».
Per questo, ha proseguito il Pontefice, «i discepoli che erano rimasti a Gerusalemme ebbero un po’
di paura e mandarono Barnaba ad Antiochia». E quando Barnaba «giunse lì per la grazia di Dio, si
rallegrò ed esortava tutti a restare con cuore risoluto, fedeli al Signore. Accettò la novità, perché si
lasciò attirare dal Padre verso Gesù che voleva questo».
«Gesù ci invita a essere i suoi discepoli — ha spiegato il Papa — ma per esserlo dobbiamo lasciarci
attirare dal Padre verso di lui». E «la preghiera umile del figlio, che noi possiamo fare, è: “Padre,
attirami verso Gesù; Padre, portami a conoscere Gesù”». E «il Padre invierà lo Spirito ad aprirci i
cuori e ci porterà verso Gesù». Infatti «un cristiano che non si lascia attirare dal Padre verso Gesù
è un cristiano che vive in condizione di orfano; e noi abbiamo un Padre, non siamo orfani». In
conclusione Francesco ha suggerito di rivolgersi «al Padre come ci ha insegnato Gesù — “Padre
nostro, che sei nei cieli...” — e chiediamo la grazia di essere attirati verso Gesù».
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Direzione obbligatoria
Lunedì, 18 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.089, 19/04/2016)
Le coordinate della vita cristiana sono molto semplici, non c’è bisogno di andare a cercare mille
consigli: basta seguire una voce, così come fanno le pecore con il loro pastore. E proprio
l’immagine di Gesù buon pastore è stata al centro dell’omelia tenuta da Papa Francesco durante la
messa celebrata a casa Santa Marta lunedì 18 aprile.
La liturgia del giorno, del resto, proponeva una sorta di «eco delle letture» della iv domenica di
Pasqua, chiamata appunto «la domenica del buon pastore, in cui Gesù si presenta come il “buon
pastore”». E proprio su questo tema, nel Vangelo di Giovanni (10, 1-10) commentato dal
Pontefice, emergevano «tre realtà» sulle quali il Papa ha voluto «riflettere un poco: la porta, il
cammino e la voce».
Innanzitutto la «porta». Il brano evangelico riporta le parole di Gesù: «In verità, in verità io vi dico:
chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un
brigante». Ecco la prima immagine, ha sottolineato Francesco: «Lui è la porta: la porta per entrare
nel recinto delle pecore è Gesù. Non ce n’è un’altra». Va notato, ha detto il Papa, come Gesù
parlasse sempre alla gente utilizzando «immagini semplici»: di fatto, «tutta quella gente
conosceva com’era la vita di un pastore, perché la vedeva tutti i giorni». Perciò chi lo ascoltava ha
capito molto bene: «Soltanto si entra per la porta del recinto delle pecore». Quelli che invece
vogliono entrare nel recinto passando «dalla finestra o da un’altra parte, sono delinquenti». Il
Vangelo li definisce ladri o briganti.
Tutto è quindi molto chiaro: «Non si può entrare nella vita eterna da un’altra parte che non sia la
porta, cioè che non sia Gesù». E, ha aggiunto il Pontefice, il Signore «è la porta della nostra vita e
non solo della vita eterna, ma anche della nostra vita quotidiana». Così, ad esempio, una qualsiasi
decisione si può prendere «in nome di Gesù, per la porta di Gesù», oppure, utilizzando un
«linguaggio semplice», la si può prendere «di contrabbando». Ma il Signore «parla chiaro»: nel
recinto si entra «soltanto dalla porta, che è Gesù».
Il Vangelo di Giovanni continua e nelle parole del Signore si incontra un altro elemento
importante: il «cammino». Infatti si legge: «Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce;
egli chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le
sue pecore, cammina davanti ad esse e le pecore lo seguono».
Francesco si è soffermato su questa seconda parola chiave: «Il cammino è proprio questo: seguire
Gesù». Anche qui a essere coinvolta è la vita quotidiana: si parla infatti del «cammino della vita,
della vita di tutti i giorni», che «è seguire Gesù». E anche qui l’indicazione è chiara: «Non
sbagliare!» si è raccomandato il Papa. È Gesù «che è la porta attraverso la quale entriamo e
attraverso la quale usciamo con lui per fare il cammino della vita»; ed è Gesù che «ci indica la
strada». Dunque «chi segue Gesù non sbaglia».
Nonostante ciò, le occasioni di intraprendere una strada sbagliata non mancano, tanto che il
Pontefice ha ipotizzato una situazione che si potrebbe presentare: «Eh, padre, sì, ma le cose sono
difficili... Tante volte io non vedo chiaro cosa fare... Mi hanno detto che là c’era una veggente e
sono andato là o sono andata là; sono andato dal cartomante, che mi ha letto le carte...». Il
consiglio del Papa è stato immediato: «Se fai questo, tu non segui Gesù! Segui un altro che ti dà
un’altra strada, diversa», perché «non c’è un altro che possa indicare il cammino».
Quella descritta è una difficoltà dalla quale lo stesso Gesù aveva messo in guardia: «Verranno altri
che diranno: il cammino del Messia è questo, questo… Non ascoltate! Non sentire loro. Il cammino
sono io!». Questa, ha detto il Papa, è la certezza: «Se seguiamo lui non sbaglieremo».
Infine la terza parola: la «voce». Le pecore, infatti, seguono Gesù «perché conoscono la sua voce».
Un concetto che il Pontefice ha voluto approfondire per evitare fraintendimenti: «Conoscere la
voce di Gesù! Non pensate che vi sto parlando di una apparizione, che verrà Gesù e ti dirà: “Fai
questo”. No, no!». E allora qualcuno potrebbe chiedere: «Come posso, padre, conoscere la voce di
Gesù? E anche difendermi dalla voce di quelli che non sono Gesù, che entrano dalla finestra, che
sono briganti, che distruggono, che ingannano?». Ancora una volta la «ricetta» è «semplice» e
prevede tre indicazioni. Prima di tutto, ha suggerito Francesco, «tu troverai la voce di Gesù nelle
beatitudini». Perciò, se qualcuno insegna «una strada contraria alle beatitudini, è uno che è
entrato dalla finestra: non è Gesù!». Poi: la voce di Gesù si può riconoscere in chi «ci parla delle
opere di misericordia. Per esempio nel capitolo 25 di san Matteo». Quindi ha chiarito il Papa: «Se
qualcuno ti dice quello che Gesù dice lì, è la voce di Gesù». Infine, la terza indicazione: «Tu puoi
conoscere la voce di Gesù quando ti insegna a dire “Padre”, cioè quando ti insegna a pregare il
Padre Nostro».
Ha concluso il Pontefice: «È così facile la vita cristiana! Gesù è la porta; lui ci guida nel cammino e
noi conosciamo la sua voce nelle beatitudini, nelle opere di misericordia e quando ci insegna a dire
“Padre”». E ha aggiunto una preghiera: «Che il Signore ci faccia capire questa immagine di Gesù,
questa icona: il pastore, che è porta, indica il cammino e insegna a noi ad ascoltare la sua voce».
REGINA COELI
Piazza San Pietro
Domenica, 17 aprile 2016
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi (Gv 10,27-30) ci offre alcune espressioni pronunciate da Gesù durante la festa
della dedicazione del tempio di Gerusalemme, che si celebrava alla fine di dicembre. Egli si trova
proprio nell’area del tempio, e forse quello spazio sacro recintato gli suggerisce l’immagine
dell’ovile e del pastore. Gesù si presenta come “il buon pastore” e dice: «Le mie pecore ascoltano
la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in
eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (vv. 27-28). Queste parole ci aiutano a
comprendere che nessuno può dirsi seguace di Gesù, se non presta ascolto alla sua voce. E questo
“ascoltare” non va inteso in modo superficiale, ma coinvolgente, al punto da rendere possibile una
vera conoscenza reciproca, dalla quale può venire una sequela generosa, espressa nelle parole «ed
esse mi seguono» (v. 27). Si tratta di un ascolto non solo dell’orecchio, ma un ascolto del cuore!
Dunque, l’immagine del pastore e delle pecore indica lo stretto rapporto che Gesù vuole stabilire
con ciascuno di noi. Egli è la nostra guida, il nostro maestro, il nostro amico, il nostro modello, ma
soprattutto è il nostro Salvatore. Infatti la frase successiva del brano evangelico afferma: «Io do
loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno può strapparle dalla mia mano» (v.
28). Chi può parlare così? Soltanto Gesù, perché la “mano” di Gesù è una cosa sola con la “mano”
del Padre, e il Padre è «più grande di tutti» (v. 29).
Queste parole ci comunicano un senso di assoluta sicurezza e di immensa tenerezza. La nostra vita
è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre, che sono una sola cosa: un unico amore,
un’unica misericordia, rivelati una volta per sempre nel sacrificio della croce. Per salvare le pecore
smarrite che siamo tutti noi, il Pastore si è fatto agnello e si è lasciato immolare per prendere su di
sé e togliere il peccato del mondo. In questo modo Egli ci ha donato la vita, ma la vita in
abbondanza (cfr Gv 10,10)! Questo mistero si rinnova, in una umiltà sempre sorprendente, sulla
mensa eucaristica. E’ lì che le pecore si radunano per nutrirsi; è lì che diventano una sola cosa, tra
di loro e con il Buon Pastore.
Per questo non abbiamo più paura: la nostra vita è ormai salvata dalla perdizione. Niente e
nessuno potrà strapparci dalle mani di Gesù, perché niente e nessuno può vincere il suo amore.
L’amore di Gesù è invincibile! Il maligno, il grande nemico di Dio e delle sue creature, tenta in
molti modi di strapparci la vita eterna. Ma il maligno non può nulla se non siamo noi ad aprirgli le
porte della nostra anima, seguendo le sue lusinghe ingannatrici.
La Vergine Maria ha ascoltato e seguito docilmente la voce del Buon Pastore. Ci aiuti Lei ad
accogliere con gioia l’invito di Gesù a diventare suoi discepoli, e a vivere sempre nella certezza di
essere nelle mani paterne di Dio.
Dopo il Regina Coeli:
Cari fratelli e sorelle,
ringrazio quanti hanno accompagnato con la preghiera la visita che ho compiuto ieri nell’Isola di
Lesbo, in Grecia. Ai profughi e al popolo greco ho portato la solidarietà della Chiesa. Erano con me
il Patriarca Ecumenico Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos di Atene e di tutta la Grecia, a
significare l’unità nella carità di tutti i discepoli del Signore. Abbiamo visitato uno dei campi dei
rifugiati: provenivano dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Africa, da tanti Paesi… Abbiamo
salutato circa 300 di questi profughi, uno ad uno. Tutti e tre: il Patriarca Bartolomeo, l’arcivescovo
Ieronymos ed io. Tanti di loro erano bambini; alcuni di loro – di questi bambini – hanno assistito
alla morte dei genitori e dei compagni, alcuni morti annegati in mare. Ho visto tanto dolore! E
voglio raccontare un caso particolare, di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri,
con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana,
si amavano e si rispettavano a vicenda. Ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai
terroristi, perché non ha voluto rinnegare Cristo e abbandonare la sua fede. E’ una martire! E
quell’uomo piangeva tanto…
Questa notte un violento terremoto ha colpito l’Ecuador, causando numerose vittime e ingenti
danni. Preghiamo per quelle popolazioni; e anche per quelle del Giappone, dove pure ci sono stati
alcuni terremoti in questi giorni. L’aiuto di Dio e dei fratelli dia loro forza e sostegno.
Oggi ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Siamo invitati a pregare per le
vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. E in questa Giornata ho ordinato stamani undici
nuovi Sacerdoti. Rinnovo il mio saluto ai neo-presbiteri, ai familiari e agli amici; e invito tutti i
sacerdoti e i seminaristi a partecipare al loro Giubileo, nei primi tre giorni di giugno. E a voi giovani,
ragazzi e ragazze, che siete in Piazza: pensate se il Signore non vi chiama a consacrare la vita al suo
servizio, sia nel sacerdozio, sia nella vita consacrata.
Saluto con affetto tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo. Sono
presenti famiglie, gruppi parrocchiali, scuole e associazioni: vi benedico tutti. Saluto in particolare i
fedeli di Madrid, San Paolo del Brasile e Varsavia; come pure i pellegrinaggi delle diocesi di Cerreto
Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti e Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, accompagnati dai Vescovi;
i fedeli di Specchia e di Verona; la Corale Laurenziana di Mortara e il gruppo “Genitori per la
terapia intensiva neonatale”.
Sono vicino alle tante famiglie preoccupate per il problema del lavoro. Penso in particolare alla
situazione precaria dei lavoratori italiani dei Call Center: auspico che su tutto prevalga sempre la
dignità della persona umana e non gli interessi particolari.
A tutti auguro buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e
arrivederci!
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Quando un uomo si ritrova a terra
Venerdì, 15 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.087, 16/04/2016)
«Alzati e va’»: è l’invito fatto dal Signore a Saulo, caduto a terra sulla strada verso Damasco, e ad
Anania, inviato a battezzare il persecutore convertito. «Alzati e va’», ha detto il Papa, è un invito
anche per ognuno di noi, perché un cristiano «deve essere in piedi e con la testa alta», mentre «un
uomo con il cuore chiuso è un uomo a terra». Con una meditazione sul brano biblico della
conversione di Saulo, tratto dagli Atti degli apostoli (9, 1-20), nella messa celebrata a Santa Marta
venerdì 15 aprile Francesco è tornato a parlare dell’importanza della docilità all’azione dello
Spirito Santo e a riflettere «sull’atteggiamento di quelle persone che hanno il cuore chiuso, il cuore
duro, il cuore superbo».
La liturgia di giovedì 14 aveva messo in evidenza «come sia l’apostolo Filippo sia il ministro della
regina avevano un cuore aperto alla voce dello Spirito». In questo venerdì della terza settimana di
Pasqua, invece, ci si confronta con la storia di Saulo, «storia di un uomo che lascia che Dio gli
cambi il cuore: la trasformazione di un uomo di cuore chiuso, duro, storto, in un uomo di cuore
docile allo Spirito Santo».
Saulo, ha spiegato il Pontefice, «era presente al martirio di Stefano» ed «era d’accordo». Egli era
«un uomo giovane, forte, coraggioso, zelante nella sua fede, ma con il cuore chiuso»: infatti non
solo «non voleva sentire parlare di Gesù Cristo» ma andò oltre e cominciò «a perseguitare i
cristiani». Perciò, sicuro di sé, chiese il permesso per «fare lo stesso» a Damasco.
Mentre era in viaggio, ha continuato il Papa riassumendo l’episodio, «all’improvviso lo avvolse una
luce dal cielo» e, «cadendo a terra udì la voce». Proprio lui, «Saulo il forte, il sicuro, era a terra»,
mostrando così a tutti «l’immagine di un uomo con il cuore chiuso», ovvero «un uomo a terra». E lì
in basso, ha continuato Francesco, lui «capisce la sua verità; capisce che non era un uomo come
voleva Dio, perché Dio ci ha creati, tutti noi, per essere in piedi, con la testa alta».
A questo punto il Signore pronuncia «una parola chiave, la stessa che aveva detto a Filippo per
dargli la missione di andare a trovare quel proselita etiope: “Tu, alzati e va’!”. Non solo, ma a
Saulo, uomo sicuro, che sapeva tutto, viene comunicato: «Entra nella città e ti sarà detto ciò che
devi fare». Come dire: «Tu devi imparare, ancora». Un’umiliazione. E non era tutto.
Alzandosi, Saulo «si accorse che era cieco» e allora «si lasciò guidare». Proprio qui, ha chiosato il
Papa, «incominciò, il cuore, ad aprirsi», costretto a essere guidato per mano verso Damasco.
«Quest’uomo era a terra» e «capì subito che doveva accettare questa umiliazione». A tale
riguardo il Pontefice ha spiegato che «l’umiliazione» è «proprio la strada per aprire il cuore».
Infatti «quando il Signore ci invia umiliazioni o permette che vengano le umiliazioni, è proprio per
questo: perché il cuore si apra, sia docile» e «si converta al Signore Gesù».
Il racconto si sposta quindi sulla figura di Anania. Anche a lui il Signore disse: «Va’. Alzati e va’».
Così il discepolo «andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello, mi ha mandato
a te il Signore perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo”». Una frase che racchiude
un dettaglio fondamentale: «il protagonista di queste storie — ha fatto notare Francesco — non
sono né i dottori della legge, né Stefano, né Filippo, né l’eunuco, né Saulo... è lo Spirito Santo.
Protagonista della Chiesa è lo Spirito Santo che conduce il popolo di Dio».
A questo punto, negli Atti si legge che a Saulo «caddero dagli occhi come due squame e recuperò
la vista. Si alzò e venne battezzato»: la sua «durezza del cuore», con il passaggio dell’umiliazione,
era divenuta «docilità allo Spirito Santo». Egli, «che si credeva essere quello che aveva la verità e
perseguitava i cristiani, riceve la grazia del Signore di vedere e capire la sua verità: “Tu sei un uomo
a terra e tu devi alzarti!”».
È una lezione per tutti: «è bello — ha detto il Papa — vedere come il Signore è capace di cambiare
i cuori e fare che un cuore duro, testardo divenga un cuore docile allo Spirito». Occorre però, ha
aggiunto, che «non dimentichiamo quelle parole chiave». Innanzitutto: «Alzati», perché «un
cristiano dev’essere in piedi e con la testa alta». Poi: «Va’», perché «un cristiano deve andare, non
essere chiuso in se stesso». Infine: «Lasciati guidare», così come Paolo che «si lasciò guidare, come
un bambino; si affidò alle mani di un altro, che non conosceva». In tutto questo, ha spiegato il
Pontefice, c’è «l’opera dello Spirito Santo».
Tutti siamo coinvolti da questo messaggio, perché tutti «abbiamo durezze nel cuore»: chi «non ne
ha», ha aggiunto il Papa, «alzi la mano, per favore!». Perciò, ha suggerito Francesco, «chiediamo al
Signore che ci faccia vedere che queste durezze ci buttano per terra; ci inVII la grazia e anche — se
fosse necessario — le umiliazioni per non rimanere a terra e alzarci, con la dignità con la quale ci
ha creato Dio, e cioè la grazia di un cuore aperto e docile allo Spirito Santo».
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Docili e felici
Giovedì, 14 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.086, 15/04/2016)
«Parla Signore, perché io ascolto»: è con le parole semplici di Samuele che il Papa ha suggerito di
rivolgersi a Dio «quando abbiamo un dubbio, quando non sappiamo o quando semplicemente
vogliamo pregare». Parole che sono anche un antidoto per non cadere nella tentazione di fare
resistenza allo Spirito. Nella messa celebrata giovedì mattina, 14 aprile, nella cappella di Casa
Santa Marta, Francesco ha invitato a non aver paura quando lo Spirito Santo è al lavoro e
sconvolge i nostri piani. Perché è la gioia, e non certo «la fedeltà alla lettera», a caratterizzare la
vita dei cristiani docili all’azione dello Spirito.
«Il protagonista della parola della prima lettura che abbiamo sentito» ha fatto subito presente
Francesco, riferendosi al passo degli Atti degli apostoli (8, 26-40), è appunto «lo Spirito Santo». E
non Filippo o l’eunuco etiope, funzionario della regina. Del resto, ha aggiunto, «anche nelle letture
che la Chiesa ci ha proposto in questi giorni si vede chiaramente che c’è lo Spirito, Colui che fa le
cose. c’è lo Spirito che fa nascere e crescere la Chiesa e questo è un lavoro dello Spirito».
«Nei giorni passati — ha affermato il Papa — la Chiesa ci ha proposto il dramma della resistenza
allo Spirito: i cuori chiusi, duri, stolti che resistono allo Spirito». E così c’erano persone che pur
vedendo «le cose — la guarigione dello storpio fatta da Pietro e Giovanni nella Porta Bella del
Tempio; le parole e le cose grandi che faceva Stefano — sono rimasti chiusi a questi segni dello
Spirito e hanno fatto resistenza allo Spirito». Di più: persino «cercavano di giustificare questa
resistenza con una cosiddetta fedeltà alla legge, cioè alla lettera della legge».
Francesco ha insistito sul fatto che, invece, «oggi, e anche domani, la Chiesa ci propone l’opposto:
non la resistenza allo Spirito ma la docilità allo Spirito che è proprio l’atteggiamento del cristiano».
Si tratta, dunque, di «essere docili allo Spirito e questa docilità fa sì che lo Spirito possa agire e
andare avanti per costruire la Chiesa».
Tornando al passo odierno degli Atti, Francesco ha messo in evidenza che abbiamo a che fare con
«un vescovo, Filippo, uno degli apostoli, indaffarato come tutti i vescovi, e quel giorno
sicuramente aveva i suoi piani di lavoro». Ma «lo Spirito va e dice: “Alzati e fai quest’altro, lascia
l’episcopio e vai di là”». Filippo «obbedì: è stato docile a questa voce dello Spirito» e così «lascia
tutto quello che doveva fare quel giorno e va là». Ed ecco che lo Spirito lo invita ad andare «sulla
strada che scende da Gerusalemme a Gaza», senza dargli spiegazioni: “Tu vai!”».
Proprio sulla strada che gli era stata indicata, Filippo incontra «questo signore, che era un proselito
etiope: è il ministro dell’economia, è un grande della regina di Etiopia». Quell’uomo, ha spiegato il
Papa, «è venuto ad adorare Dio: adorava Dio e leggeva la Scrittura». È sempre lo Spirito a
suggerire a Filippo di accostarsi a quel carro. E, di nuovo, «lui obbedì, docile alla parola di Dio».
Gli Atti degli apostoli ci raccontano che «Filippo corse innanzi e udito che leggeva il profeta Isaia, si
è sentito di fare la domanda: “Capisci quello che stai leggendo?”. Ma il suo interlocutore gli
risponde: “No, come posso capirlo se nessuno me lo spiega!”». E così «invitò Filippo a salire sul
carro e Filippo spiegò quello che Isaia profetizzava: cioè Gesù Cristo». In una parola, Filippo gli
«spiegò la salvezza del Vangelo».
«Forse questa spiegazione è stata un po’ lunga — ha affermato il Pontefice — ma erano in
cammino, parlavano sicuramente: l’etiope faceva domande, Filippo rispondeva e anche lo Spirito
lavorava nel cuore dell’etiope». E proprio lo Spirito «offrì il dono della fede: quest’uomo sentì
qualcosa di nuovo nel suo cuore». Ancora, ha detto il Papa, «proseguendo lungo la strada, in quel
colloquio, giunsero dove c’era dell’acqua e, siccome questo era un uomo pratico, aveva un
mestiere molto pratico, concreto, disse: “Ecco, qui c’è dell’acqua. Che cosa impedisce che io sia
battezzato?”». Così «accoglie la fede e chiede il Battesimo: è docile! La docilità allo Spirito!».
Ecco la storia di «due uomini: un evangelizzatore e uno che non sapeva niente di Gesù, ma lo
Spirito aveva seminato la curiosità sana e non quella curiosità delle chiacchiere». E «lo Spirito dà a
lui il dono della fede». Francesco ha quindi spiegato che, magari, «dopo la cerimonia di questo
Battesimo, noi pensiamo che forse tutti e due continuarono a parlare, a dire: no, quando risalirono
dall’acqua — dice la Scrittura — lo Spirito del Signore rapì Filippo: subito! E l’eunuco non lo vide
più». Gli Atti ci dicono che «Filippo, docile, si trovò ad Azoto per evangelizzare». Certo, questo
«non era nei suoi piani, ma è stato docile allo Spirito». E invece «cosa è accaduto all’eunuco? Non
lo vede più! Ha pianto? No! Si è lamentato? No!». Anzi, la Scrittura ci dice che «pieno di gioia
proseguiva la sua strada: la gioia dello Spirito, della docilità allo Spirito».
Nei giorni scorsi, ha ricordato Francesco, «abbiamo sentito cosa fa la resistenza allo Spirito»
mentre «oggi abbiamo un esempio di due uomini che sono stati docili alla voce dello Spirito». E il
segno che li contraddistingue «è la gioia» perché «la docilità allo Spirito è fonte di gioia». Ecco
perché è importante dire a se stessi «io vorrei fare qualcosa, questo, ma sento che il Signore mi
chiede altro: la gioia la troverò là, dove c’è la chiamata dello Spirito!».
Il Papa ha proposto anche «una bella preghiera per chiedere questa docilità» , la troviamo, ha
spiegato, «nel primo libro di Samuele: il giovane Samuele dormiva e sentì la chiamata e pensò che
fosse il sacerdote Eli», così «si alzò subito e andò da lui: “Eccomi!”». Però Eli gli disse che non lo
aveva chiamato. Samuele, ha ricordato Francesco, «tornò a letto» però sentì nuovamente la
chiamata per la seconda e poi per la terza volta. Eli, ha affermato il Papa, «non era un buon
sacerdote, ma capiva le cose di Dio: comprese che era il Signore che chiamava!». Perciò disse a
Samuele: «Torna a dormire e se ti chiama un’altra volta, tu risponderai “Parla Signore, perché il
tuo servo ascolta”». Proprio «questa — ha detto il Pontefice — è una bella preghiera che possiamo
fare noi, sempre: “Parla Signore, perché io ascolto”».
È la preghiera, ha concluso, «per chiedere quella docilità allo Spirito Santo e con questa docilità
portare avanti la Chiesa, essere gli strumenti dello Spirito perché la Chiesa possa andare avanti».
Sì, «Parla Signore, perché il tuo servo ascolta» ha ripetuto Francesco, invitando nuovamente a
pregare «così, tante volte al giorno: quando abbiamo un dubbio, quando non sappiamo o quando
semplicemente vogliamo pregare». E «con questa preghiera chiediamo la grazia della docilità allo
Spirito Santo».
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Due persecuzioni
Martedì, 12 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.084, 13/04/2016)
Sono due le persecuzioni contro i cristiani: c’è quella «esplicita» — e il ricordo del Papa è andato ai
martiri uccisi a Pasqua in Pakistan — e c’è quella «educata, travestita di cultura, modernità e
progresso» che finisce per togliere all’uomo la libertà, anche all’obiezione di coscienza. Ma proprio
nelle sofferenze delle persecuzioni il cristiano sa di avere sempre accanto il Signore, ha ricordato
Francesco durante la messa celebrata martedì mattina 12 aprile nella cappella della Casa Santa
Marta.
Per la sua meditazione il Pontefice ha preso le mosse dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli
apostoli (7, 51-8, 1). «Abbiamo ascoltato — ha spiegato — il martirio di Stefano: la tradizione della
Chiesa lo chiama il protomartire, il primo martire della comunità cristiana». Ma «prima di lui
c’erano stati i piccoli martiri che, senza parlare ma con la vita, sono stati perseguitati da Erode». E
«da quel tempo a oggi ci sono martiri nella Chiesa, ci sono stati e ci sono». Sono «uomini e donne
perseguitati soltanto per confessare e per dire che Gesù Cristo è il Signore: ma questo è vietato!».
Anzi, questa confessione «provoca — in alcuni tempi, in alcuni posti — la persecuzione».
«È quanto appare chiaramente — ha affermato il Papa — nel brano degli Atti degli apostoli che
leggeremo domani: dopo il martirio di Stefano scoppiò una grande persecuzione in
Gerusalemme». Allora «tutti i cristiani sono scappati via, sono solo rimasti gli apostoli». Ecco che,
ha aggiunto, «la persecuzione — io direi — è il pane quotidiano della Chiesa: d’altronde lo ha
detto Gesù».
«Noi quando facciamo un po’ di turismo per Roma, e andiamo al Colosseo, pensiamo che i martiri
erano quelli uccisi con i leoni» ha proseguito il Pontefice. Però «i martiri non sono stati solo quelli
lì». In realtà i martiri «sono uomini e donne di tutti i giorni: oggi, il giorno di Pasqua, appena tre
settimane fa». Il pensiero di Francesco è andato a «quei cristiani che festeggiavano la Pasqua nel
Pakistan: sono stati martirizzati proprio per festeggiare il Cristo risorto». E «così la storia della
Chiesa va avanti con i suoi martiri». Perché «la Chiesa è la comunità dei credenti, la comunità dei
confessori, di quelli che confessano che Gesù è Cristo: è la comunità dei martiri».
«La persecuzione — ha fatto notare il Papa — è una delle caratteristiche, dei tratti nella Chiesa,
pervade tutta la sua storia». E «la persecuzione è crudele, come questa di Stefano, come quella dei
nostri fratelli pachistani tre settimane fa». È crudele «come quella che faceva Saulo, che era
presente alla morte di Stefano, del martire Stefano: andava, entrava nelle case, prendeva i cristiani
e li portava via per essere giudicati».
C’è però, ha messo in guardia Francesco, anche «un’altra persecuzione della quale non si parla
tanto». La prima forma di persecuzione «si deve al confessare il nome di Cristo» ed è dunque «una
persecuzione esplicita, chiara». Ma l’altra persecuzione «si presenta travestita come cultura,
travestita di cultura, travestita di modernità, travestita di progresso: è una persecuzione — io direi
un po’ ironicamente — educata». Si riconosce «quando viene perseguitato l’uomo non per
confessare il nome di Cristo, ma per voler avere e manifestare i valori di figlio di Dio». È perciò
«una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli».
E così «vediamo tutti i giorni che le potenze fanno leggi che obbligano ad andare su questa strada
e una nazione che non segue queste leggi moderne, colte, o almeno che non vuole averle nella sua
legislazione, viene accusata, viene perseguitata educatamente». È «la persecuzione che toglie
all’uomo la libertà, anche della obiezione di coscienza! Dio ci ha fatti liberi, ma questa
persecuzione ti toglie la libertà! E se tu non fai questo, tu sarai punito: perderai il lavoro e tante
cose o sarai messo da parte».
«Questa è la persecuzione del mondo» ha insistito il Pontefice. E «questa persecuzione ha anche
un capo». Nella persecuzione di Stefano «i capi erano i dottori delle lettere, i dottori della legge, i
sommi sacerdoti». Invece «il capo della persecuzione educata, Gesù lo ha nominato: il principe di
questo mondo». Lo si vede «quando le potenze vogliono imporre atteggiamenti, leggi contro la
dignità del figlio di Dio, perseguitano questi e vanno contro il Dio creatore: è la grande apostasia».
Così «la vita dei cristiani va avanti con queste due persecuzioni». Ma anche con la certezza che «il
Signore ci ha promesso di non allontanarsi da noi: “State attenti, state attenti! Non cadere nello
spirito del mondo. State attenti! Ma andate avanti, Io sarò con voi”».
In conclusione, Francesco ha chiesto al Signore, nella preghiera, «la grazia di capire che la strada
del cristiano sempre va avanti nel mezzo di due persecuzioni: il cristiano è un martire, cioè un
testimone, uno che deve dare testimonianza del Cristo che ci ha salvato». Si tratta di «dare
testimonianza di Dio Padre, che ci ha creato, nel cammino della vita». Su questa strada il cristiano
«tante volte deve soffrire: tante sofferenze questo porta». Ma «così è la nostra vita: sempre Gesù
accanto a noi, con la consolazione dello Spirito Santo». E «quella è la nostra forza».
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Aggrappati alla lettera
Lunedì, 11 aprile 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.083, 11-12/04/2016)
Per Gesù quello che conta è la vita delle persone e non uno schema di leggi e parole: l’uccisione di
Stefano e Giovanni d’Arco, la morte di tanti altri innocenti nella storia e persino il suicidio di Giuda
ricordano quanto male possa fare «un cuore chiuso alla parola di Dio» tanto da usarla proprio
contro la verità. Lo ha detto il Papa durante la messa celebrata lunedì mattina, 11 aprile, nella
cappella della Casa Santa Marta.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (6, 8-15), ha spiegato Francesco, «la Chiesa ci fa
ascoltare il brano del discorso di Stefano e del giudizio» contro di lui. «Alcuni dei dottori della
legge, dottori della lettera, si alzarono a discutere con Stefano — ha ricordato il Papa — ma non
riuscivano a resistere alla sapienza e allo spirito con cui parlava». Difatti «Stefano era stato unto
dallo Spirito Santo e aveva proprio la sapienza dello Spirito Santo e parlava con quella forza, con
quella sapienza, la stessa che aveva Gesù; ma lui era Dio, che parlava con autorità, l’autorità che
viene da Dio, l’autorità che viene dallo Spirito Santo».
Non potendo nulla contro di lui, ha proseguito Francesco, quelle persone che erano in sinagoga
«istigarono alcuni perché» lo accusassero ingiustamente di aver pronunciato «parole blasfeme
contro Mosè e contro Dio». Ecco che, non potendo «dialogare con lui e aprire il cuore alla verità,
subito presero la via della calunnia». Gli Atti raccontano che Stefano venne catturato e condotto
davanti al sinedrio e che vennero anche presentati falsi testimoni per accusarlo.
La vicenda di Stefano, ha fatto presente il Papa, è significativa: «Il cuore chiuso alla verità di Dio è
aggrappato soltanto alla verità della legge, della lettera — più che della legge, della lettera — e
non trova altra uscita che la menzogna, il falso testimone e la morte». Proprio «Gesù aveva
rimproverato questo atteggiamento perché con i profeti, nell’Antico testamento, era accaduto lo
stesso». Tanto che «Gesù aveva detto» a quelle persone «che i loro padri avevano ucciso i profeti
“e voi fate i monumenti, i sepolcri”». Ma la loro «risposta è più che ipocrita, è cinica: “Se noi
fossimo stati al tempo dei nostri padri, non avremmo fatto lo stesso”». E «così si lavano le mani e
davanti a se stessi si giudicano puri». Ma «il cuore è chiuso alla parola di Dio, è chiuso alla verità, è
chiuso al messaggero di Dio che porta la profezia per far andare avanti il popolo di Dio».
«Mi fa male — ha confidato Francesco — quando leggo quel passo piccolo del Vangelo di Matteo,
quando Giuda pentito va dai sacerdoti e dice: “ho peccato”, e vuol dare... e dà le monete». Ma
loro gli rispondono: «Che ci importa! Te la vedrai tu!». Hanno «un cuore chiuso davanti a questo
povero uomo pentito che non sapeva cosa fare». Gli dicono: «Te la vedrai tu». E così Giuda «andò
ad impiccarsi».
Ma «cosa fanno loro quando Giuda va ad impiccarsi? Parlano e dicono: “ma povero uomo...”». E
quelle monete poi, aggiungono riferendosi ai trenta denari, «sono a prezzo di sangue, non
possono entrare nel tempio». In buona sostanza sono «i dottori della lettera» e così seguono «la
regola tale, tale, tale, tale...».
A loro, ha ribadito il Papa, «non importa la vita di una persona, non importa il pentimento di
Giuda: il Vangelo dice che è tornato pentito». A loro «importa soltanto il loro schema di leggi e
tante parole e tante cose che hanno costruito». Proprio «questa è la durezza del loro cuore, la
stoltezza del cuore di questa gente che siccome non poteva resistere alla verità di Stefano va a
cercare testimonianze e testimoni falsi per giudicarlo: la sorte di Stefano è segnata come quella dei
profeti come quella di Gesù».
E questo modo di fare «si ripeterà» nel tempo, ha detto Francesco ricordando che «non è solo
accaduto nei primi tempi della Chiesa». Del resto, ha fatto notare, «la storia ci narra di tanta gente
che venne uccisa, giudicata, seppur era innocente: giudicata con la parola di Dio contro la parola di
Dio». Il Papa ha fatto riferimento «alla caccia delle streghe o a santa Giovanna d’Arco» e anche «a
tanti altri che vennero bruciati, condannati perché non si “aggiustarono”, secondo i giudici, alla
parola di Dio».
È «il modello di Gesù — ha concluso il Pontefice — che, per essere fedele e avere obbedito alla
parola del Padre, finisce sulla croce». Francesco ha rilanciato l’immagine della grande tenerezza di
Gesù che ai discepoli di Emmaus dice: «Stolti e tardi di cuore». Al Signore, ha concluso, «chiediamo
che, con la stessa tenerezza, guardi le piccole o grandi stoltezze del nostro cuore, ci carezzi»
dicendoci «“stolto e tardo di cuore” e incominci a spiegarci le cose».