11-22 aprile 2016
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11-22 aprile 2016
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Cristiani a tre dimensioni Venerdì, 22 aprile 2016 Il cristiano, «uomo di speranza», sa e testimonia che «Gesù è vivo» ed «è fra noi», che Gesù prega il Padre «per ognuno di noi» e che «tornerà». Nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 22 aprile, Papa Francesco ha così sintetizzato il rapporto tra ogni credente e Gesù risorto. Prendendo spunto dalla liturgia del giorno, il Pontefice ha fatto emergere tre parole fondamentali per la vita cristiana: l’«annuncio», l’«intercessione» e la «speranza». Innanzitutto l’annuncio. Come si legge anche dalla lettura che riporta un brano degli Atti degli apostoli (13, 26-33), l’annuncio è sostanzialmente «la testimonianza che danno gli apostoli della resurrezione di Gesù». Così Paolo in sinagoga afferma: «Dopo avere adempiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce, lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha resuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono testimoni di lui davanti al popolo». Quindi, ha sintetizzato il Pontefice, «l’annuncio è: Gesù è morto ed è risorto per noi, per la nostra salvezza. Gesù è vivo!». Ed è quanto i primi discepoli hanno tramandato «ai giudei e ai pagani del loro tempo» e hanno «testimoniato anche con la loro vita, con il loro sangue». Quando a Giovanni e Pietro, ha continuato il Papa, fu proibito di annunciare il nome di Gesù e di parlare della resurrezione, «loro con tutto il coraggio, con tutta la semplicità dicevano: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”». Infatti «noi cristiani per la fede abbiamo lo Spirito Santo dentro di noi, che ci fa vedere e ascoltare la verità su Gesù, che è morto per i nostri peccati ed è risorto». Questo, dunque, «è l’annuncio della vita cristiana: Cristo è vivo! Cristo è risorto! Cristo è fra noi nella comunità, ci accompagna nel cammino». E nonostante la «fatica» che a volte facciamo nel comprendere, «una delle dimensioni della vita cristiana» è proprio questa, l’annuncio. Lo capiamo bene dal passo della Scrittura dove si legge che Giovanni affermò: «Quello che noi abbiamo visto con i nostri occhi, quello che noi abbiamo udito, quello che noi abbiamo toccato con le nostre mani...». Come a dire: «Cristo risorto è una realtà e io dò testimonianza di questo». La seconda parola chiave proposta dal Pontefice è l’«intercessione». Lo spunto, questa volta viene dal Vangelo di Giovanni (14, 1-6). Durante la cena del Giovedì santo, infatti, gli apostoli erano tristi, e Gesù disse: «Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Vado a prepararvi un posto». Francesco si è soffermato su questo passo e ha chiesto: «Cosa vuol dire questo? Come prepara il posto Gesù?». Immediata la risposta: «Con la sua preghiera per ognuno di noi: Gesù prega per noi e questa è l’intercessione». È importante, infatti, sapere che «Gesù lavora in questo momento con la sua preghiera per noi». Ha spiegato il Papa: così come una volta Gesù, prima della passione, ha detto: «Pietro io ho pregato per te», così «adesso Gesù è l’intercessore fra il Padre e noi». Ma, a questo punto, viene da chiedersi: «E come prega Gesù?». Quella di Francesco è stata una risposta del tutto «personale» — «una cosa mia», ha specificato, «non è un dogma della Chiesa» — e coinvolgente: «Io credo che Gesù faccia vedere le piaghe al Padre, perché le piaghe se le è portate con sé, dopo la resurrezione: fa vedere le piaghe al Padre e nomina ognuno di noi». Secondo il Pontefice, si può immaginare così la preghiera di Gesù. E il cristiano è animato da questa consapevolezza: «in questo momento Gesù intercede per noi». Infine, la terza dimensione: quella della speranza. È ancora il Vangelo del giorno che la offre alla meditazione. Gesù dice: «Vado a prepararvi un posto» e aggiunge: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono Io siate anche voi». Ecco la speranza del cristiano. Gesù dice: «Io verrò!». Ha spiegato il Papa: «Il cristiano è una donna, è un uomo di speranza» proprio perché «spera che il Signore torni». A tale riguardo, ha aggiunto il Pontefice, «è bello» notare «come incomincia e come finisce la Bibbia». All’inizio si legge: «Nel principio...», cioè «quando incominciarono le cose». E l’Apocalisse termina «con la preghiera: “Vieni Signore Gesù». Tutta la Chiesa, infatti, «è in attesa della venuta di Gesù: Gesù tornerà». Questa, ha detto il Pontefice, «è la speranza cristiana». Perciò, ha concluso il Papa sintetizzando la sua meditazione, ognuno può domandarsi: «Com’è l’annuncio nella mia vita? Com’è il mio rapporto con Gesù che intercede per me? E com’è la mia speranza? Ci credo davvero che il Signore è risorto? Credo che prega il Padre per me?»; e infine: «Credo davvero che il Signore tornerà». In altre parole: «credo nell’annuncio? Credo nell’intercessione? Sono un uomo o una donna di speranza?». MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Cammino e memoria Giovedì, 21 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.092, 22/04/2016) Lungo la strada della vita gli uomini non camminano mai soli, e saper fare memoria della presenza di Dio accanto a loro li aiuta capire che la salvezza non è l’evento di un momento, ma una storia che si dipana giorno per giorno, tra cose buone ed errori, fino all’incontro finale. Il parallelo tra la storia del popolo d’Israele e quella personale di ogni cristiano ha guidato la meditazione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta giovedì 21 aprile: una storia da valorizzare perché, ha detto il Pontefice, «la memoria ci avvicina a Dio». Non a caso, ha sottolineato il Papa richiamando il brano degli Atti degli apostoli proposto dalla liturgia del giorno (13, 13-25), la prima predicazione, quella «degli apostoli di Gesù», era «storica». Nella predicazione del Vangelo, questi «arrivavano a Gesù, ma raccontando tutta la storia del Popolo di Israele», partendo dal «padre Abramo», passando per «Mosè, la liberazione dall’Egitto, la Terra Promessa» finché, citando il re Davide, concludevano: «Dalla discendenza di Lui, secondo la promessa, Dio inviò come Salvatore per Israele Gesù». Così davano conto di un «cammino storico», il cammino che Dio «ha fatto con il suo popolo». Tutto ciò, ha detto Francesco, «ci fa pensare che l’annuncio di Cristo, la salvezza di Cristo, questo dono che Dio ci ha dato, non è una cosa di un momento e niente di più: è un cammino!». Il cammino «che Dio ha voluto fare con il suo popolo» e che non si deve dimenticare. Tant’è che nella Scrittura sono continue le raccomandazioni in questo senso. Per esempio nel libro del Deuteronomio, che è proprio «il libro della memoria di Israele», si legge: «Ricordatevi, ricordatevi! Fate memoria di questo». Occorre cioè, ha spiegato il Pontefice, «tornare indietro per vedere come Dio ci ha salvato, percorrere — con il cuore e con la mente — la strada con la memoria e così arrivare a Gesù». Lo stesso Gesù ha sottolineato l’importanza di fare memoria e «nel momento più grande della sua vita», ci ha dato il suo corpo e il suo sangue «e ha detto: “Fate questo in memoria di me”». Dobbiamo, quindi, «avere memoria di come Dio ci ha salvato». È questo un invito che la Chiesa raccoglie ogni giorno nella liturgia eucaristica. A tale riguardo il Papa ha fatto notare come nella preghiera all’inizio della messa che stava celebrando ci fosse stata l’invocazione a «Dio che ha redento l’uomo e lo ha innalzato oltre l’antico splendore». E ha aggiunto: «Il popolo deve avere memoria» che tutto questo Dio lo ha fatto «in cammino» con il suo popolo. In ogni eucaristia si celebra «la memoria di questa salvezza; il memoriale di Gesù che si fa presente sull’altare per darci la vita», ma, ha aggiunto Francesco, «anche noi, nella nostra propria vita personale, dobbiamo fare lo stesso: fare memoria del nostro cammino», perché «ognuno di noi ha fatto una strada, accompagnato da Dio, vicino a Dio, vicino al Signore» a volte anche «allontanandosi dal Signore». In ogni caso, ha raccomandato il Pontefice, «fa bene al cuore» di ogni cristiano fare memoria «della propria strada» e chiarirsi come Dio lo ha «condotto fino a qui», come lo «ha portato per mano». In questo recupero del cammino percorso ci si può anche accorgere che a volte abbiamo detto al Signore: «No! Allontanati! Non voglio!» — e «il Signore», ha sottolineato il Papa, «è rispettoso» anche di questo — ma è comunque importante fare memoria «della propria vita e del proprio cammino». È utile ripetere spesso questa pratica e ricordarsi: «In quel tempo Dio mi ha dato questa grazia e io ho risposto così...», dirsi: «Ho fatto questo, quello, quello» e rendersi conto di come Dio ci abbia sempre «accompagnato». In questa maniera, ha detto il Papa, «arriviamo a un nuovo incontro», quello che si potrebbe definire l’«incontro della gratitudine», nel quale si potrebbe pregare così: «Grazie Signore per questa compagnia che Tu mi hai dato, per questo cammino che hai fatto con me!» e anche chiedere perdono per i peccati e gli sbagli di cui ci si può rendere conto, nella consapevolezza che Dio «cammina con noi e non si spaventa delle nostre cattiverie», sta «sempre lì!». A tale riguardo il Pontefice ha aggiunto: «Quante volte gli abbiamo chiuso la porta in faccia; quante volte abbiamo fatto finta di non vederlo, di non credere che Lui fosse con noi; quante volte abbiamo rinnegato la sua salvezza... Ma Lui era lì!». Ed è importante «fare memoria di tutto questo», così come lo è riguardo anche alle «nostre cose buone». Quante volte, per esempio, «abbiamo aiutato un altro, curato un ammalato». Da qui l’invito a «fare memoria di tutto il cammino» perché «la memoria ci avvicina a Dio». È, ha spiegato Francesco, una sorta di «ri-creazione», di «ri-generazione, che ci porta oltre l’antico splendore che aveva Adamo nella prima creazione». Fino al termine della sua omelia il Papa ha ripetuto più volte questo consiglio semplice: «Fate memoria!». Che sia riguardo l’intero arco della vita e o solo della giornata odierna o dell’ultimo anno, è sempre bene chiedersi: «Come sono stati i miei rapporti col Signore?», e fare memoria, ha concluso il Pontefice, «delle cose belle, grandi che il Signore ha fatto nella vita di ciascuno di noi». MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Orfani o discepoli Martedì, 19 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.090, 20/04/2016) Con la preghiera del Padre Nostro Gesù consegna a ciascuno l’atto di paternità: nessuno è orfano ma c’è il rischio di diventarlo chiudendo il cuore e non lasciandoci attrarre dall’amore di Dio. Lo ha ricordato Francesco nella messa celebrata martedì mattina, 19 aprile, a Santa Marta. E il Papa ha anche suggerito di ricorrere a una preghiera umile, con lo spirito del figlio: «Padre, attirami verso Gesù; Padre, portami a conoscere Gesù». Proprio per non avere l’atteggiamento di quei dottori della legge che persino davanti ai miracoli di Gesù e alla sua risurrezione facevano di tutto pur di negare l’evidenza. Per la sua meditazione, Francesco ha preso le mosse dal passo di Giovanni (10, 22-30), proposto dalla liturgia. «Gesù si confronta un’altra volta con i sacerdoti, i dottori della legge» ha fatto subito notare. E «loro gli fanno la domanda: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”». Del resto quei dottori «tornavano sempre sullo stesso argomento: tu chi sei? Con che autorità fai questo?”». Il Vangelo ci dice che «Gesù rispose loro: “Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete”». Non credono, eppure «hanno visto tante cose, tanti miracoli». E così che «quando Gesù guarì quel cieco dalla nascita — nel nono capitolo del Vangelo di Giovanni — fecero tutte le ricerche possibili e immaginabili: hanno chiamato i genitori; hanno chiamato quelli che lo conoscevano; hanno chiamato lui; poi, un’altra volta...». Insomma «era chiaro che era un cieco dalla nascita, ma non credettero». Proprio allora «Gesù dice due parole sulla cecità spirituale: questi, che credevano di vedere, gli illustri che sapevano tutto — tutta la legge — non vedevano perché erano loro i ciechi, i ciechi dalla nascita». «Ma voi non credete» dice dunque Gesù ai dottori della legge. E spiega perché: qui sta anche «la novità di questo passo del Vangelo» ha affermato il Papa. «Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore» dice il Signore. In sostanza, ha proseguito Francesco, qualcuno potrebbe pensare che «per credere devo dire “credo” ed entro nelle pecore di Gesù». Invece no, «è al rovescio: soltanto quelli che fanno parte delle pecore di Gesù possono credere». Lo confermano le parole riportate da Giovanni nel Vangelo: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano». Ma, ha affermato il Pontefice, «queste pecore hanno studiato per seguire Gesù e poi hanno creduto? No». La risposta definitiva la dà Gesù stesso: «Il Padre mio che me le ha date è più grande». È proprio «il Padre che dà le pecore al pastore; è il Padre che attira i cuori verso Gesù». È il Signore a confermarlo con chiarezza: «Nessuno viene a me se non lo attira il Padre». E «questa gente, che sono le pecore di Gesù, sono state attirate dal Padre, si sono lasciate attirare». «Invece — ha notato Francesco — quei dottori della legge avevano il cuore chiuso, si sentivano padroni di se stessi ma, in realtà, erano orfani perché non avevano un rapporto col Padre». È vero, «parlavano dei loro padri — il nostro padre Abramo, i patriarchi — ma come figure lontane». Però «nel loro cuore erano orfani, vivevano in una condizione di orfani e la preferivano a lasciarsi attirare dal Padre». Siamo davanti — ha affermato il Papa — al «dramma del cuore chiuso di questa gente: loro credevano di essere stati creati da loro stessi perché sapevano tutto e, per questo, il loro cuore era incapace di credere, perché non si lasciavano attirare dal Padre verso Gesù e per questo non erano parte delle pecore di Gesù». Questo «dramma va avanti fino al Calvario». E poi «anche il giorno della risurrezione: quando i soldati vanno a dire cosa è accaduto, loro cosa fanno? Danno un bel consiglio: “Voi dite che vi eravate addormentati e che i discepoli hanno rubato il corpo”». Così «mettono la mano in tasca», secondo «il principio della tangente: “Tu taci e io ti pago per tacere”». Perciò «neanche davanti a quella prova, a quei testimoni che avevano visto la risurrezione — ha evidenziato Francesco — si sono lasciati attirare dal Padre verso Gesù». Per questo «non possono credere, perché non sono delle pecore di Gesù: sono orfani», perché «hanno rinnegato il loro Padre». Riferendosi alla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (11, 19-26), il Papa ha evidenziato come si possa riconoscere «l’atteggiamento opposto: i discepoli, dopo la persecuzione che era scoppiata a Gerusalemme dopo la morte di Stefano, sono arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e Antiochia, e proclamavano la parola ai giudei: alcuni credevano, altri no, ma la fede andava avanti». Però «alcuni di loro incominciarono a predicare, ad annunziare Gesù Cristo anche ai pagani, ai greci, e questo era un cambiamento molto forte: era una trasformazione della loro concezione dell’accesso alla salvezza». Per questo, ha proseguito il Pontefice, «i discepoli che erano rimasti a Gerusalemme ebbero un po’ di paura e mandarono Barnaba ad Antiochia». E quando Barnaba «giunse lì per la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare con cuore risoluto, fedeli al Signore. Accettò la novità, perché si lasciò attirare dal Padre verso Gesù che voleva questo». «Gesù ci invita a essere i suoi discepoli — ha spiegato il Papa — ma per esserlo dobbiamo lasciarci attirare dal Padre verso di lui». E «la preghiera umile del figlio, che noi possiamo fare, è: “Padre, attirami verso Gesù; Padre, portami a conoscere Gesù”». E «il Padre invierà lo Spirito ad aprirci i cuori e ci porterà verso Gesù». Infatti «un cristiano che non si lascia attirare dal Padre verso Gesù è un cristiano che vive in condizione di orfano; e noi abbiamo un Padre, non siamo orfani». In conclusione Francesco ha suggerito di rivolgersi «al Padre come ci ha insegnato Gesù — “Padre nostro, che sei nei cieli...” — e chiediamo la grazia di essere attirati verso Gesù». MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Direzione obbligatoria Lunedì, 18 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.089, 19/04/2016) Le coordinate della vita cristiana sono molto semplici, non c’è bisogno di andare a cercare mille consigli: basta seguire una voce, così come fanno le pecore con il loro pastore. E proprio l’immagine di Gesù buon pastore è stata al centro dell’omelia tenuta da Papa Francesco durante la messa celebrata a casa Santa Marta lunedì 18 aprile. La liturgia del giorno, del resto, proponeva una sorta di «eco delle letture» della iv domenica di Pasqua, chiamata appunto «la domenica del buon pastore, in cui Gesù si presenta come il “buon pastore”». E proprio su questo tema, nel Vangelo di Giovanni (10, 1-10) commentato dal Pontefice, emergevano «tre realtà» sulle quali il Papa ha voluto «riflettere un poco: la porta, il cammino e la voce». Innanzitutto la «porta». Il brano evangelico riporta le parole di Gesù: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante». Ecco la prima immagine, ha sottolineato Francesco: «Lui è la porta: la porta per entrare nel recinto delle pecore è Gesù. Non ce n’è un’altra». Va notato, ha detto il Papa, come Gesù parlasse sempre alla gente utilizzando «immagini semplici»: di fatto, «tutta quella gente conosceva com’era la vita di un pastore, perché la vedeva tutti i giorni». Perciò chi lo ascoltava ha capito molto bene: «Soltanto si entra per la porta del recinto delle pecore». Quelli che invece vogliono entrare nel recinto passando «dalla finestra o da un’altra parte, sono delinquenti». Il Vangelo li definisce ladri o briganti. Tutto è quindi molto chiaro: «Non si può entrare nella vita eterna da un’altra parte che non sia la porta, cioè che non sia Gesù». E, ha aggiunto il Pontefice, il Signore «è la porta della nostra vita e non solo della vita eterna, ma anche della nostra vita quotidiana». Così, ad esempio, una qualsiasi decisione si può prendere «in nome di Gesù, per la porta di Gesù», oppure, utilizzando un «linguaggio semplice», la si può prendere «di contrabbando». Ma il Signore «parla chiaro»: nel recinto si entra «soltanto dalla porta, che è Gesù». Il Vangelo di Giovanni continua e nelle parole del Signore si incontra un altro elemento importante: il «cammino». Infatti si legge: «Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce; egli chiama le sue pecore ciascuna per nome e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse e le pecore lo seguono». Francesco si è soffermato su questa seconda parola chiave: «Il cammino è proprio questo: seguire Gesù». Anche qui a essere coinvolta è la vita quotidiana: si parla infatti del «cammino della vita, della vita di tutti i giorni», che «è seguire Gesù». E anche qui l’indicazione è chiara: «Non sbagliare!» si è raccomandato il Papa. È Gesù «che è la porta attraverso la quale entriamo e attraverso la quale usciamo con lui per fare il cammino della vita»; ed è Gesù che «ci indica la strada». Dunque «chi segue Gesù non sbaglia». Nonostante ciò, le occasioni di intraprendere una strada sbagliata non mancano, tanto che il Pontefice ha ipotizzato una situazione che si potrebbe presentare: «Eh, padre, sì, ma le cose sono difficili... Tante volte io non vedo chiaro cosa fare... Mi hanno detto che là c’era una veggente e sono andato là o sono andata là; sono andato dal cartomante, che mi ha letto le carte...». Il consiglio del Papa è stato immediato: «Se fai questo, tu non segui Gesù! Segui un altro che ti dà un’altra strada, diversa», perché «non c’è un altro che possa indicare il cammino». Quella descritta è una difficoltà dalla quale lo stesso Gesù aveva messo in guardia: «Verranno altri che diranno: il cammino del Messia è questo, questo… Non ascoltate! Non sentire loro. Il cammino sono io!». Questa, ha detto il Papa, è la certezza: «Se seguiamo lui non sbaglieremo». Infine la terza parola: la «voce». Le pecore, infatti, seguono Gesù «perché conoscono la sua voce». Un concetto che il Pontefice ha voluto approfondire per evitare fraintendimenti: «Conoscere la voce di Gesù! Non pensate che vi sto parlando di una apparizione, che verrà Gesù e ti dirà: “Fai questo”. No, no!». E allora qualcuno potrebbe chiedere: «Come posso, padre, conoscere la voce di Gesù? E anche difendermi dalla voce di quelli che non sono Gesù, che entrano dalla finestra, che sono briganti, che distruggono, che ingannano?». Ancora una volta la «ricetta» è «semplice» e prevede tre indicazioni. Prima di tutto, ha suggerito Francesco, «tu troverai la voce di Gesù nelle beatitudini». Perciò, se qualcuno insegna «una strada contraria alle beatitudini, è uno che è entrato dalla finestra: non è Gesù!». Poi: la voce di Gesù si può riconoscere in chi «ci parla delle opere di misericordia. Per esempio nel capitolo 25 di san Matteo». Quindi ha chiarito il Papa: «Se qualcuno ti dice quello che Gesù dice lì, è la voce di Gesù». Infine, la terza indicazione: «Tu puoi conoscere la voce di Gesù quando ti insegna a dire “Padre”, cioè quando ti insegna a pregare il Padre Nostro». Ha concluso il Pontefice: «È così facile la vita cristiana! Gesù è la porta; lui ci guida nel cammino e noi conosciamo la sua voce nelle beatitudini, nelle opere di misericordia e quando ci insegna a dire “Padre”». E ha aggiunto una preghiera: «Che il Signore ci faccia capire questa immagine di Gesù, questa icona: il pastore, che è porta, indica il cammino e insegna a noi ad ascoltare la sua voce». REGINA COELI Piazza San Pietro Domenica, 17 aprile 2016 Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo di oggi (Gv 10,27-30) ci offre alcune espressioni pronunciate da Gesù durante la festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme, che si celebrava alla fine di dicembre. Egli si trova proprio nell’area del tempio, e forse quello spazio sacro recintato gli suggerisce l’immagine dell’ovile e del pastore. Gesù si presenta come “il buon pastore” e dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (vv. 27-28). Queste parole ci aiutano a comprendere che nessuno può dirsi seguace di Gesù, se non presta ascolto alla sua voce. E questo “ascoltare” non va inteso in modo superficiale, ma coinvolgente, al punto da rendere possibile una vera conoscenza reciproca, dalla quale può venire una sequela generosa, espressa nelle parole «ed esse mi seguono» (v. 27). Si tratta di un ascolto non solo dell’orecchio, ma un ascolto del cuore! Dunque, l’immagine del pastore e delle pecore indica lo stretto rapporto che Gesù vuole stabilire con ciascuno di noi. Egli è la nostra guida, il nostro maestro, il nostro amico, il nostro modello, ma soprattutto è il nostro Salvatore. Infatti la frase successiva del brano evangelico afferma: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno può strapparle dalla mia mano» (v. 28). Chi può parlare così? Soltanto Gesù, perché la “mano” di Gesù è una cosa sola con la “mano” del Padre, e il Padre è «più grande di tutti» (v. 29). Queste parole ci comunicano un senso di assoluta sicurezza e di immensa tenerezza. La nostra vita è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre, che sono una sola cosa: un unico amore, un’unica misericordia, rivelati una volta per sempre nel sacrificio della croce. Per salvare le pecore smarrite che siamo tutti noi, il Pastore si è fatto agnello e si è lasciato immolare per prendere su di sé e togliere il peccato del mondo. In questo modo Egli ci ha donato la vita, ma la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10)! Questo mistero si rinnova, in una umiltà sempre sorprendente, sulla mensa eucaristica. E’ lì che le pecore si radunano per nutrirsi; è lì che diventano una sola cosa, tra di loro e con il Buon Pastore. Per questo non abbiamo più paura: la nostra vita è ormai salvata dalla perdizione. Niente e nessuno potrà strapparci dalle mani di Gesù, perché niente e nessuno può vincere il suo amore. L’amore di Gesù è invincibile! Il maligno, il grande nemico di Dio e delle sue creature, tenta in molti modi di strapparci la vita eterna. Ma il maligno non può nulla se non siamo noi ad aprirgli le porte della nostra anima, seguendo le sue lusinghe ingannatrici. La Vergine Maria ha ascoltato e seguito docilmente la voce del Buon Pastore. Ci aiuti Lei ad accogliere con gioia l’invito di Gesù a diventare suoi discepoli, e a vivere sempre nella certezza di essere nelle mani paterne di Dio. Dopo il Regina Coeli: Cari fratelli e sorelle, ringrazio quanti hanno accompagnato con la preghiera la visita che ho compiuto ieri nell’Isola di Lesbo, in Grecia. Ai profughi e al popolo greco ho portato la solidarietà della Chiesa. Erano con me il Patriarca Ecumenico Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos di Atene e di tutta la Grecia, a significare l’unità nella carità di tutti i discepoli del Signore. Abbiamo visitato uno dei campi dei rifugiati: provenivano dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Africa, da tanti Paesi… Abbiamo salutato circa 300 di questi profughi, uno ad uno. Tutti e tre: il Patriarca Bartolomeo, l’arcivescovo Ieronymos ed io. Tanti di loro erano bambini; alcuni di loro – di questi bambini – hanno assistito alla morte dei genitori e dei compagni, alcuni morti annegati in mare. Ho visto tanto dolore! E voglio raccontare un caso particolare, di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri, con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, si amavano e si rispettavano a vicenda. Ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto rinnegare Cristo e abbandonare la sua fede. E’ una martire! E quell’uomo piangeva tanto… Questa notte un violento terremoto ha colpito l’Ecuador, causando numerose vittime e ingenti danni. Preghiamo per quelle popolazioni; e anche per quelle del Giappone, dove pure ci sono stati alcuni terremoti in questi giorni. L’aiuto di Dio e dei fratelli dia loro forza e sostegno. Oggi ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Siamo invitati a pregare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. E in questa Giornata ho ordinato stamani undici nuovi Sacerdoti. Rinnovo il mio saluto ai neo-presbiteri, ai familiari e agli amici; e invito tutti i sacerdoti e i seminaristi a partecipare al loro Giubileo, nei primi tre giorni di giugno. E a voi giovani, ragazzi e ragazze, che siete in Piazza: pensate se il Signore non vi chiama a consacrare la vita al suo servizio, sia nel sacerdozio, sia nella vita consacrata. Saluto con affetto tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo. Sono presenti famiglie, gruppi parrocchiali, scuole e associazioni: vi benedico tutti. Saluto in particolare i fedeli di Madrid, San Paolo del Brasile e Varsavia; come pure i pellegrinaggi delle diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti e Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, accompagnati dai Vescovi; i fedeli di Specchia e di Verona; la Corale Laurenziana di Mortara e il gruppo “Genitori per la terapia intensiva neonatale”. Sono vicino alle tante famiglie preoccupate per il problema del lavoro. Penso in particolare alla situazione precaria dei lavoratori italiani dei Call Center: auspico che su tutto prevalga sempre la dignità della persona umana e non gli interessi particolari. A tutti auguro buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Quando un uomo si ritrova a terra Venerdì, 15 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.087, 16/04/2016) «Alzati e va’»: è l’invito fatto dal Signore a Saulo, caduto a terra sulla strada verso Damasco, e ad Anania, inviato a battezzare il persecutore convertito. «Alzati e va’», ha detto il Papa, è un invito anche per ognuno di noi, perché un cristiano «deve essere in piedi e con la testa alta», mentre «un uomo con il cuore chiuso è un uomo a terra». Con una meditazione sul brano biblico della conversione di Saulo, tratto dagli Atti degli apostoli (9, 1-20), nella messa celebrata a Santa Marta venerdì 15 aprile Francesco è tornato a parlare dell’importanza della docilità all’azione dello Spirito Santo e a riflettere «sull’atteggiamento di quelle persone che hanno il cuore chiuso, il cuore duro, il cuore superbo». La liturgia di giovedì 14 aveva messo in evidenza «come sia l’apostolo Filippo sia il ministro della regina avevano un cuore aperto alla voce dello Spirito». In questo venerdì della terza settimana di Pasqua, invece, ci si confronta con la storia di Saulo, «storia di un uomo che lascia che Dio gli cambi il cuore: la trasformazione di un uomo di cuore chiuso, duro, storto, in un uomo di cuore docile allo Spirito Santo». Saulo, ha spiegato il Pontefice, «era presente al martirio di Stefano» ed «era d’accordo». Egli era «un uomo giovane, forte, coraggioso, zelante nella sua fede, ma con il cuore chiuso»: infatti non solo «non voleva sentire parlare di Gesù Cristo» ma andò oltre e cominciò «a perseguitare i cristiani». Perciò, sicuro di sé, chiese il permesso per «fare lo stesso» a Damasco. Mentre era in viaggio, ha continuato il Papa riassumendo l’episodio, «all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo» e, «cadendo a terra udì la voce». Proprio lui, «Saulo il forte, il sicuro, era a terra», mostrando così a tutti «l’immagine di un uomo con il cuore chiuso», ovvero «un uomo a terra». E lì in basso, ha continuato Francesco, lui «capisce la sua verità; capisce che non era un uomo come voleva Dio, perché Dio ci ha creati, tutti noi, per essere in piedi, con la testa alta». A questo punto il Signore pronuncia «una parola chiave, la stessa che aveva detto a Filippo per dargli la missione di andare a trovare quel proselita etiope: “Tu, alzati e va’!”. Non solo, ma a Saulo, uomo sicuro, che sapeva tutto, viene comunicato: «Entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Come dire: «Tu devi imparare, ancora». Un’umiliazione. E non era tutto. Alzandosi, Saulo «si accorse che era cieco» e allora «si lasciò guidare». Proprio qui, ha chiosato il Papa, «incominciò, il cuore, ad aprirsi», costretto a essere guidato per mano verso Damasco. «Quest’uomo era a terra» e «capì subito che doveva accettare questa umiliazione». A tale riguardo il Pontefice ha spiegato che «l’umiliazione» è «proprio la strada per aprire il cuore». Infatti «quando il Signore ci invia umiliazioni o permette che vengano le umiliazioni, è proprio per questo: perché il cuore si apra, sia docile» e «si converta al Signore Gesù». Il racconto si sposta quindi sulla figura di Anania. Anche a lui il Signore disse: «Va’. Alzati e va’». Così il discepolo «andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo”». Una frase che racchiude un dettaglio fondamentale: «il protagonista di queste storie — ha fatto notare Francesco — non sono né i dottori della legge, né Stefano, né Filippo, né l’eunuco, né Saulo... è lo Spirito Santo. Protagonista della Chiesa è lo Spirito Santo che conduce il popolo di Dio». A questo punto, negli Atti si legge che a Saulo «caddero dagli occhi come due squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato»: la sua «durezza del cuore», con il passaggio dell’umiliazione, era divenuta «docilità allo Spirito Santo». Egli, «che si credeva essere quello che aveva la verità e perseguitava i cristiani, riceve la grazia del Signore di vedere e capire la sua verità: “Tu sei un uomo a terra e tu devi alzarti!”». È una lezione per tutti: «è bello — ha detto il Papa — vedere come il Signore è capace di cambiare i cuori e fare che un cuore duro, testardo divenga un cuore docile allo Spirito». Occorre però, ha aggiunto, che «non dimentichiamo quelle parole chiave». Innanzitutto: «Alzati», perché «un cristiano dev’essere in piedi e con la testa alta». Poi: «Va’», perché «un cristiano deve andare, non essere chiuso in se stesso». Infine: «Lasciati guidare», così come Paolo che «si lasciò guidare, come un bambino; si affidò alle mani di un altro, che non conosceva». In tutto questo, ha spiegato il Pontefice, c’è «l’opera dello Spirito Santo». Tutti siamo coinvolti da questo messaggio, perché tutti «abbiamo durezze nel cuore»: chi «non ne ha», ha aggiunto il Papa, «alzi la mano, per favore!». Perciò, ha suggerito Francesco, «chiediamo al Signore che ci faccia vedere che queste durezze ci buttano per terra; ci inVII la grazia e anche — se fosse necessario — le umiliazioni per non rimanere a terra e alzarci, con la dignità con la quale ci ha creato Dio, e cioè la grazia di un cuore aperto e docile allo Spirito Santo». MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Docili e felici Giovedì, 14 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.086, 15/04/2016) «Parla Signore, perché io ascolto»: è con le parole semplici di Samuele che il Papa ha suggerito di rivolgersi a Dio «quando abbiamo un dubbio, quando non sappiamo o quando semplicemente vogliamo pregare». Parole che sono anche un antidoto per non cadere nella tentazione di fare resistenza allo Spirito. Nella messa celebrata giovedì mattina, 14 aprile, nella cappella di Casa Santa Marta, Francesco ha invitato a non aver paura quando lo Spirito Santo è al lavoro e sconvolge i nostri piani. Perché è la gioia, e non certo «la fedeltà alla lettera», a caratterizzare la vita dei cristiani docili all’azione dello Spirito. «Il protagonista della parola della prima lettura che abbiamo sentito» ha fatto subito presente Francesco, riferendosi al passo degli Atti degli apostoli (8, 26-40), è appunto «lo Spirito Santo». E non Filippo o l’eunuco etiope, funzionario della regina. Del resto, ha aggiunto, «anche nelle letture che la Chiesa ci ha proposto in questi giorni si vede chiaramente che c’è lo Spirito, Colui che fa le cose. c’è lo Spirito che fa nascere e crescere la Chiesa e questo è un lavoro dello Spirito». «Nei giorni passati — ha affermato il Papa — la Chiesa ci ha proposto il dramma della resistenza allo Spirito: i cuori chiusi, duri, stolti che resistono allo Spirito». E così c’erano persone che pur vedendo «le cose — la guarigione dello storpio fatta da Pietro e Giovanni nella Porta Bella del Tempio; le parole e le cose grandi che faceva Stefano — sono rimasti chiusi a questi segni dello Spirito e hanno fatto resistenza allo Spirito». Di più: persino «cercavano di giustificare questa resistenza con una cosiddetta fedeltà alla legge, cioè alla lettera della legge». Francesco ha insistito sul fatto che, invece, «oggi, e anche domani, la Chiesa ci propone l’opposto: non la resistenza allo Spirito ma la docilità allo Spirito che è proprio l’atteggiamento del cristiano». Si tratta, dunque, di «essere docili allo Spirito e questa docilità fa sì che lo Spirito possa agire e andare avanti per costruire la Chiesa». Tornando al passo odierno degli Atti, Francesco ha messo in evidenza che abbiamo a che fare con «un vescovo, Filippo, uno degli apostoli, indaffarato come tutti i vescovi, e quel giorno sicuramente aveva i suoi piani di lavoro». Ma «lo Spirito va e dice: “Alzati e fai quest’altro, lascia l’episcopio e vai di là”». Filippo «obbedì: è stato docile a questa voce dello Spirito» e così «lascia tutto quello che doveva fare quel giorno e va là». Ed ecco che lo Spirito lo invita ad andare «sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza», senza dargli spiegazioni: “Tu vai!”». Proprio sulla strada che gli era stata indicata, Filippo incontra «questo signore, che era un proselito etiope: è il ministro dell’economia, è un grande della regina di Etiopia». Quell’uomo, ha spiegato il Papa, «è venuto ad adorare Dio: adorava Dio e leggeva la Scrittura». È sempre lo Spirito a suggerire a Filippo di accostarsi a quel carro. E, di nuovo, «lui obbedì, docile alla parola di Dio». Gli Atti degli apostoli ci raccontano che «Filippo corse innanzi e udito che leggeva il profeta Isaia, si è sentito di fare la domanda: “Capisci quello che stai leggendo?”. Ma il suo interlocutore gli risponde: “No, come posso capirlo se nessuno me lo spiega!”». E così «invitò Filippo a salire sul carro e Filippo spiegò quello che Isaia profetizzava: cioè Gesù Cristo». In una parola, Filippo gli «spiegò la salvezza del Vangelo». «Forse questa spiegazione è stata un po’ lunga — ha affermato il Pontefice — ma erano in cammino, parlavano sicuramente: l’etiope faceva domande, Filippo rispondeva e anche lo Spirito lavorava nel cuore dell’etiope». E proprio lo Spirito «offrì il dono della fede: quest’uomo sentì qualcosa di nuovo nel suo cuore». Ancora, ha detto il Papa, «proseguendo lungo la strada, in quel colloquio, giunsero dove c’era dell’acqua e, siccome questo era un uomo pratico, aveva un mestiere molto pratico, concreto, disse: “Ecco, qui c’è dell’acqua. Che cosa impedisce che io sia battezzato?”». Così «accoglie la fede e chiede il Battesimo: è docile! La docilità allo Spirito!». Ecco la storia di «due uomini: un evangelizzatore e uno che non sapeva niente di Gesù, ma lo Spirito aveva seminato la curiosità sana e non quella curiosità delle chiacchiere». E «lo Spirito dà a lui il dono della fede». Francesco ha quindi spiegato che, magari, «dopo la cerimonia di questo Battesimo, noi pensiamo che forse tutti e due continuarono a parlare, a dire: no, quando risalirono dall’acqua — dice la Scrittura — lo Spirito del Signore rapì Filippo: subito! E l’eunuco non lo vide più». Gli Atti ci dicono che «Filippo, docile, si trovò ad Azoto per evangelizzare». Certo, questo «non era nei suoi piani, ma è stato docile allo Spirito». E invece «cosa è accaduto all’eunuco? Non lo vede più! Ha pianto? No! Si è lamentato? No!». Anzi, la Scrittura ci dice che «pieno di gioia proseguiva la sua strada: la gioia dello Spirito, della docilità allo Spirito». Nei giorni scorsi, ha ricordato Francesco, «abbiamo sentito cosa fa la resistenza allo Spirito» mentre «oggi abbiamo un esempio di due uomini che sono stati docili alla voce dello Spirito». E il segno che li contraddistingue «è la gioia» perché «la docilità allo Spirito è fonte di gioia». Ecco perché è importante dire a se stessi «io vorrei fare qualcosa, questo, ma sento che il Signore mi chiede altro: la gioia la troverò là, dove c’è la chiamata dello Spirito!». Il Papa ha proposto anche «una bella preghiera per chiedere questa docilità» , la troviamo, ha spiegato, «nel primo libro di Samuele: il giovane Samuele dormiva e sentì la chiamata e pensò che fosse il sacerdote Eli», così «si alzò subito e andò da lui: “Eccomi!”». Però Eli gli disse che non lo aveva chiamato. Samuele, ha ricordato Francesco, «tornò a letto» però sentì nuovamente la chiamata per la seconda e poi per la terza volta. Eli, ha affermato il Papa, «non era un buon sacerdote, ma capiva le cose di Dio: comprese che era il Signore che chiamava!». Perciò disse a Samuele: «Torna a dormire e se ti chiama un’altra volta, tu risponderai “Parla Signore, perché il tuo servo ascolta”». Proprio «questa — ha detto il Pontefice — è una bella preghiera che possiamo fare noi, sempre: “Parla Signore, perché io ascolto”». È la preghiera, ha concluso, «per chiedere quella docilità allo Spirito Santo e con questa docilità portare avanti la Chiesa, essere gli strumenti dello Spirito perché la Chiesa possa andare avanti». Sì, «Parla Signore, perché il tuo servo ascolta» ha ripetuto Francesco, invitando nuovamente a pregare «così, tante volte al giorno: quando abbiamo un dubbio, quando non sappiamo o quando semplicemente vogliamo pregare». E «con questa preghiera chiediamo la grazia della docilità allo Spirito Santo». MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Due persecuzioni Martedì, 12 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.084, 13/04/2016) Sono due le persecuzioni contro i cristiani: c’è quella «esplicita» — e il ricordo del Papa è andato ai martiri uccisi a Pasqua in Pakistan — e c’è quella «educata, travestita di cultura, modernità e progresso» che finisce per togliere all’uomo la libertà, anche all’obiezione di coscienza. Ma proprio nelle sofferenze delle persecuzioni il cristiano sa di avere sempre accanto il Signore, ha ricordato Francesco durante la messa celebrata martedì mattina 12 aprile nella cappella della Casa Santa Marta. Per la sua meditazione il Pontefice ha preso le mosse dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli (7, 51-8, 1). «Abbiamo ascoltato — ha spiegato — il martirio di Stefano: la tradizione della Chiesa lo chiama il protomartire, il primo martire della comunità cristiana». Ma «prima di lui c’erano stati i piccoli martiri che, senza parlare ma con la vita, sono stati perseguitati da Erode». E «da quel tempo a oggi ci sono martiri nella Chiesa, ci sono stati e ci sono». Sono «uomini e donne perseguitati soltanto per confessare e per dire che Gesù Cristo è il Signore: ma questo è vietato!». Anzi, questa confessione «provoca — in alcuni tempi, in alcuni posti — la persecuzione». «È quanto appare chiaramente — ha affermato il Papa — nel brano degli Atti degli apostoli che leggeremo domani: dopo il martirio di Stefano scoppiò una grande persecuzione in Gerusalemme». Allora «tutti i cristiani sono scappati via, sono solo rimasti gli apostoli». Ecco che, ha aggiunto, «la persecuzione — io direi — è il pane quotidiano della Chiesa: d’altronde lo ha detto Gesù». «Noi quando facciamo un po’ di turismo per Roma, e andiamo al Colosseo, pensiamo che i martiri erano quelli uccisi con i leoni» ha proseguito il Pontefice. Però «i martiri non sono stati solo quelli lì». In realtà i martiri «sono uomini e donne di tutti i giorni: oggi, il giorno di Pasqua, appena tre settimane fa». Il pensiero di Francesco è andato a «quei cristiani che festeggiavano la Pasqua nel Pakistan: sono stati martirizzati proprio per festeggiare il Cristo risorto». E «così la storia della Chiesa va avanti con i suoi martiri». Perché «la Chiesa è la comunità dei credenti, la comunità dei confessori, di quelli che confessano che Gesù è Cristo: è la comunità dei martiri». «La persecuzione — ha fatto notare il Papa — è una delle caratteristiche, dei tratti nella Chiesa, pervade tutta la sua storia». E «la persecuzione è crudele, come questa di Stefano, come quella dei nostri fratelli pachistani tre settimane fa». È crudele «come quella che faceva Saulo, che era presente alla morte di Stefano, del martire Stefano: andava, entrava nelle case, prendeva i cristiani e li portava via per essere giudicati». C’è però, ha messo in guardia Francesco, anche «un’altra persecuzione della quale non si parla tanto». La prima forma di persecuzione «si deve al confessare il nome di Cristo» ed è dunque «una persecuzione esplicita, chiara». Ma l’altra persecuzione «si presenta travestita come cultura, travestita di cultura, travestita di modernità, travestita di progresso: è una persecuzione — io direi un po’ ironicamente — educata». Si riconosce «quando viene perseguitato l’uomo non per confessare il nome di Cristo, ma per voler avere e manifestare i valori di figlio di Dio». È perciò «una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli». E così «vediamo tutti i giorni che le potenze fanno leggi che obbligano ad andare su questa strada e una nazione che non segue queste leggi moderne, colte, o almeno che non vuole averle nella sua legislazione, viene accusata, viene perseguitata educatamente». È «la persecuzione che toglie all’uomo la libertà, anche della obiezione di coscienza! Dio ci ha fatti liberi, ma questa persecuzione ti toglie la libertà! E se tu non fai questo, tu sarai punito: perderai il lavoro e tante cose o sarai messo da parte». «Questa è la persecuzione del mondo» ha insistito il Pontefice. E «questa persecuzione ha anche un capo». Nella persecuzione di Stefano «i capi erano i dottori delle lettere, i dottori della legge, i sommi sacerdoti». Invece «il capo della persecuzione educata, Gesù lo ha nominato: il principe di questo mondo». Lo si vede «quando le potenze vogliono imporre atteggiamenti, leggi contro la dignità del figlio di Dio, perseguitano questi e vanno contro il Dio creatore: è la grande apostasia». Così «la vita dei cristiani va avanti con queste due persecuzioni». Ma anche con la certezza che «il Signore ci ha promesso di non allontanarsi da noi: “State attenti, state attenti! Non cadere nello spirito del mondo. State attenti! Ma andate avanti, Io sarò con voi”». In conclusione, Francesco ha chiesto al Signore, nella preghiera, «la grazia di capire che la strada del cristiano sempre va avanti nel mezzo di due persecuzioni: il cristiano è un martire, cioè un testimone, uno che deve dare testimonianza del Cristo che ci ha salvato». Si tratta di «dare testimonianza di Dio Padre, che ci ha creato, nel cammino della vita». Su questa strada il cristiano «tante volte deve soffrire: tante sofferenze questo porta». Ma «così è la nostra vita: sempre Gesù accanto a noi, con la consolazione dello Spirito Santo». E «quella è la nostra forza». MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE Aggrappati alla lettera Lunedì, 11 aprile 2016 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.083, 11-12/04/2016) Per Gesù quello che conta è la vita delle persone e non uno schema di leggi e parole: l’uccisione di Stefano e Giovanni d’Arco, la morte di tanti altri innocenti nella storia e persino il suicidio di Giuda ricordano quanto male possa fare «un cuore chiuso alla parola di Dio» tanto da usarla proprio contro la verità. Lo ha detto il Papa durante la messa celebrata lunedì mattina, 11 aprile, nella cappella della Casa Santa Marta. Nella prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (6, 8-15), ha spiegato Francesco, «la Chiesa ci fa ascoltare il brano del discorso di Stefano e del giudizio» contro di lui. «Alcuni dei dottori della legge, dottori della lettera, si alzarono a discutere con Stefano — ha ricordato il Papa — ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo spirito con cui parlava». Difatti «Stefano era stato unto dallo Spirito Santo e aveva proprio la sapienza dello Spirito Santo e parlava con quella forza, con quella sapienza, la stessa che aveva Gesù; ma lui era Dio, che parlava con autorità, l’autorità che viene da Dio, l’autorità che viene dallo Spirito Santo». Non potendo nulla contro di lui, ha proseguito Francesco, quelle persone che erano in sinagoga «istigarono alcuni perché» lo accusassero ingiustamente di aver pronunciato «parole blasfeme contro Mosè e contro Dio». Ecco che, non potendo «dialogare con lui e aprire il cuore alla verità, subito presero la via della calunnia». Gli Atti raccontano che Stefano venne catturato e condotto davanti al sinedrio e che vennero anche presentati falsi testimoni per accusarlo. La vicenda di Stefano, ha fatto presente il Papa, è significativa: «Il cuore chiuso alla verità di Dio è aggrappato soltanto alla verità della legge, della lettera — più che della legge, della lettera — e non trova altra uscita che la menzogna, il falso testimone e la morte». Proprio «Gesù aveva rimproverato questo atteggiamento perché con i profeti, nell’Antico testamento, era accaduto lo stesso». Tanto che «Gesù aveva detto» a quelle persone «che i loro padri avevano ucciso i profeti “e voi fate i monumenti, i sepolcri”». Ma la loro «risposta è più che ipocrita, è cinica: “Se noi fossimo stati al tempo dei nostri padri, non avremmo fatto lo stesso”». E «così si lavano le mani e davanti a se stessi si giudicano puri». Ma «il cuore è chiuso alla parola di Dio, è chiuso alla verità, è chiuso al messaggero di Dio che porta la profezia per far andare avanti il popolo di Dio». «Mi fa male — ha confidato Francesco — quando leggo quel passo piccolo del Vangelo di Matteo, quando Giuda pentito va dai sacerdoti e dice: “ho peccato”, e vuol dare... e dà le monete». Ma loro gli rispondono: «Che ci importa! Te la vedrai tu!». Hanno «un cuore chiuso davanti a questo povero uomo pentito che non sapeva cosa fare». Gli dicono: «Te la vedrai tu». E così Giuda «andò ad impiccarsi». Ma «cosa fanno loro quando Giuda va ad impiccarsi? Parlano e dicono: “ma povero uomo...”». E quelle monete poi, aggiungono riferendosi ai trenta denari, «sono a prezzo di sangue, non possono entrare nel tempio». In buona sostanza sono «i dottori della lettera» e così seguono «la regola tale, tale, tale, tale...». A loro, ha ribadito il Papa, «non importa la vita di una persona, non importa il pentimento di Giuda: il Vangelo dice che è tornato pentito». A loro «importa soltanto il loro schema di leggi e tante parole e tante cose che hanno costruito». Proprio «questa è la durezza del loro cuore, la stoltezza del cuore di questa gente che siccome non poteva resistere alla verità di Stefano va a cercare testimonianze e testimoni falsi per giudicarlo: la sorte di Stefano è segnata come quella dei profeti come quella di Gesù». E questo modo di fare «si ripeterà» nel tempo, ha detto Francesco ricordando che «non è solo accaduto nei primi tempi della Chiesa». Del resto, ha fatto notare, «la storia ci narra di tanta gente che venne uccisa, giudicata, seppur era innocente: giudicata con la parola di Dio contro la parola di Dio». Il Papa ha fatto riferimento «alla caccia delle streghe o a santa Giovanna d’Arco» e anche «a tanti altri che vennero bruciati, condannati perché non si “aggiustarono”, secondo i giudici, alla parola di Dio». È «il modello di Gesù — ha concluso il Pontefice — che, per essere fedele e avere obbedito alla parola del Padre, finisce sulla croce». Francesco ha rilanciato l’immagine della grande tenerezza di Gesù che ai discepoli di Emmaus dice: «Stolti e tardi di cuore». Al Signore, ha concluso, «chiediamo che, con la stessa tenerezza, guardi le piccole o grandi stoltezze del nostro cuore, ci carezzi» dicendoci «“stolto e tardo di cuore” e incominci a spiegarci le cose».