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Il Commercialista Gastronomico propone una
versione trevigiana del ragù
Luca Bianchi
in Commercialista gastronomico
Questa volta ci si renderà protagonisti di un’epica incursione in una delle terre italiane più appassionate
di cucina, l’Emilia-Romagna, per interpretare una delle sue ricette più note ma anche più controverse: il
ragù di carne. Sulla notorietà del ragù di carne non è nemmeno il caso di dilungarsi, mentre, invece, può
essere interessante una breve premessa sulla composizione della ricetta.
Ricordiamo che la codificazione della ricetta romagnola si trova nelle pagine di Artusi: ricetta numero 5
“Sugo di carne”. Per il ragù alla bolognese, l’Accademia Italia della Cucina ha codificato il Ragù alla
bolognese fra le sue ricette (http://www.accademiaitalianacucina.it/it/content/rag%C3%B9-alla-bolognese)
In Emilia non c’è praticamente una persona che anche solo per diletto si occupi di cucina che non ha una
propria ricetta per questo intingolo e non uno, ovviamente, non sostiene che la propria è quella originale
ed in assoluto la migliore. Fatta questa doverosa premessa quella che si propone non può che essere
considerata una personale interpretazione che, tuttavia, si tiene il più possibile aderente ai dettami della
nonna (la mia era di Treviso ma anche in Veneto si può fare il ragù) ed ovviamente è la migliore…
In fondo condire la pasta con un sugo di carne è un comportamento trasversale in tutta Italia.
Oggi proponiamo la ricetta del ragù di origine trevigiana di casa Pipino
In primo luogo occorre procurarsi l’ingrediente fondamentale la carne. Diciamo un paio di chili (tanto il
ragù può tranquillamente essere messo a surgelare se non viene consumato immediatamente) di cui uno e
mezzo è di macinato sceltissimo di manzo e mezzo dì macinato, altrettanto scelto, di maiale. Tiriamoci su
le maniche e mescoliamo accuratamente le carni sino ad ottenere un impasto omogeneo .
Lasciamo riposare le carni per una decina di minuti e nel durante ci dedichiamo alla preparazione della
prima variante in corso d’opera. E sì, perché qui si innova un pelino rispetto alle preparazioni più
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tradizionali e, per esaltare e incrementare il gusto dell’intingolo, aggiungiamo qualche fondino di
prosciutto cotto. La quantità diciamo che dovrà essere pari ad almeno 300 grammi ovvero due fette belle
spesse e con il loro grassetto che darà ulteriore morbido gusto alla preparazione.
Ovviamente via di coltello e si triti finemente il prosciutto sino ad avere un bel monticello più o meno di
questo genere che lasciamo a sua volta a riposare.
Nel mentre mano ad un bel pentolone (l’ideale sarebbe se fosse in ghisa) dai bordi alti capace di
contenere il tutto e via sul fuoco dopo avere dato un buon giro d’olio extravergine di oliva. Lasciamo
scaldare a fuoco basso dopo avere aggiunto una dose generosa di battuto di cipolla, carota e sedano tritati
finemente (va benissimo, se non si ha voglia di farlo sul momento, anche quello surgelato acquistato al
supermercato, basta che la dose sia ben abbondante). Aggiungiamo un bicchiere di vino bianco (per
innovare la ricetta si può utilizzare proficuamente un Arneis ma, in ogni caso il bianco deve essere fermo)
e facciamo sfumare. Imbiondita che sia la cipolla del battuto ed appassito il sedano si metta il trito di
prosciutto a rosolare per primo: fuoco basso, mi raccomando. Lasciamo soffriggere per un buon dieci
minuti mescolando di tempo in tempo con un ramaiuolo di legno (il metallo è bandito) in modo che il
prosciutto ben tritato assorba adeguatamente gli aromi delle verdurine e del vino. Quando il tutto si è ben
amalgamato via in pentola con le altre carni che abbiamo lasciato da parte a riposare. Rimescoliamo ben
bene il tutto nella pentola per almeno i prossimi 15 minuti fino a quando il tutto non abbiano assunto un
bel colorito bruno chiaro in modo più o meno omogeneo e poi aggiungere una dose generosa di triplo
concentrato di pomodoro. Mescolare il tutto delicatamente.
A questo punto si può procedere con la parte più importante della cottura: per un paio di chili di macinato
può andare bene un litro di vino rosso con cui irrorare l’impasto sino a coprirlo. Il vino deve essere
corposo quindi si potrebbe suggerire un buon merlot od un barbera della dovuta gradazione. Lasciar
sobbollire a fuoco basso basso sino a quando il vino sia completamente sfumato e poi ricoprire il tutto con
brodo di carne (diciamo che se si può contare su un brodo di bollito è il massimo ma può anche fare la sua
sporca figura un brodo di dado) mescolato a salsa di pomodoro e lasciar cuocere per almeno altre due ore
avendo cura di rimescolare di frequente perché il ragù deve essere curato assiduamente e con pazienza.
A questo punto un assaggio è d’uopo per aggiustare opportunamente di sale e valutare il punto di cottura
che è stato raggiunto. Se tutto è ok l’ultimo audace passo: aggiungere un bicchiere di latte e continuare la
cottura per un venti minuti, mezz’ora. Riassaggiare e valutare consistenza, salatura e gusto: un pizzico di
peperoncino (se gradito) darà maggior vivacità all’intingolo ma può anche non guastare, a seconda dei
gusti, un bel giro di panna da cucina: rende il gusto più rotondo. E dopo circa tre ore di attenta cura ecco
il risultato.
Ancora dieci minuti scarsi per far ridurre e poi… il ragù deve essere usato per condire la pasta
Prepari una diversa versione del ragù? Possiamo pubblicarla
19 novembre 2016
Massimo Pipino
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