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Credere con il corpo, credere nel corpo
di
Stefano Allievi
Il ‘ritorno delle emozioni’ che ci sembra di osservare in varie sfere del vivere sociale,
attraverso molte forme di esteriorizzazione e di visibilizzazione, non poteva escludere le
religioni: neanche quelle che hanno cercato di evitarlo, o storicamente ne hanno
combattuto molte manifestazioni.
Non che le religioni siano prive di contenuto emozionale: al contrario! Già Durkheim
considerava l’importanza e il peso del vissuto emozionale precisamente come uno dei
fattori che definisconola religione.
Ma esso è stato anche, spesso, considerato sospetto, pericoloso. In passato, in molte
religioni dominanti, nel nostro emisfero in quelle cristiane, vi è stata ri-mozione di esse.
Oggi, volenti o nolenti, siamo costretti a riscoprire il loro diritto di cittadinanza e financo la
loro centralità.
Con una specificazione: che esse si manifestano sì nella psiche (l’organo delle emozioni è
la testa, anche se nella nostra testa pensiamo al cuore), ma coinvolgono il corpo, si rendono
manifeste in esso, talvolta inconsapevolmente, talaltra come una esperienza volutamente
ricercata. Con tutte le implicazioni che tale coinvolgimento comporta: e che non sono
indifferenti alla dimensione religiosa nel suo complesso, nemmeno a quella più
‘istituzionale’. Passa anche di lì, dalle istituzioni religiose, questa ‘aria che tira’ (o questo
spirito che soffia…), e non si può non tenerne conto.
Emozioni, sentimenti, anche sentimentalismi. E corpo, fisicità. Due dimensioni connesse,
che ritroviamo in molti ambiti. Partendo dal più esterno dei cerchi concentrici della
religiosità occidentale, e ipotizzando al loro centro il nocciolo duro delle istituzioni
ecclesiastiche, possiamo evidenziarne alcuni aspetti.
Fuori dal cerchio, innanzitutto, vi è una potente visibilità del corpo, dell’espressione delle
emozioni attraverso i suoi linguaggi. E non ci riferiamo solo ai centimetri di pelle umana
visibili nella pubblicità, in tv o sui giornali. Ci riferiamo soprattutto all’uso del corpo, e
alla sua centralità nella vita quotidiana, alla sua estetica, sì, ma anche alla sua etica: perché,
come ha ben esemplificato un poeta, Iosif Brodskij, nel suo discorso di accettazione del
premio Nobel, “ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché
l’estetica è la madre dell’etica”. Lui si riferiva all’estetica politica totalitaria, per
condannarne anche l’etica. Ma il discorso è valido anche nel nostro ambito. Se il corpo è
sempre più centrale nell’estetica della vita quotidiana, lo sarà anche nella sua etica
spicciola, implicita spesso ma non per questo meno forte. Fitness, sport, palestre,
abbronzature, sono solo alcuni segni, banali quanto evidenti, di quella “religione del
benessere” che, lo ricordiamo, era lo slogan pubblicitario di una nota marca di docce e
vasche da bagno a idromassaggio.
Nel cerchio esterno, quello in cui si confondono manifestazioni para-religiose e ordinario
culto di sé, come nel variegato mondo new age, troviamo una potente corrente ‘olistica’,
che abbraccia tanto il corpo individuale di chi ricerca ben-essere quanto il corpo di Madre
terra, come nella cosiddetta ‘ipotesi Gaia’ che ha ispirato l’ecologia profonda, fino a
inglobare l’energia cosmica e l’intero universo, con la sua variegata ‘popolazione’: angeli
(mai popolari come oggi), intelligenze extraterrestri, spiriti, non meglio specificate entità.
Ma va ricordato che tale corrente di pensiero non è assente dal mondo cristiano, certo in
forme considerate eterodosse, ma non per questo meno influenti all’interno stesso delle
chiese, basti pensare a un Teilhard de Chardin. In ogni caso questo che è stato chiamato un
‘fai da te dell’anima’, ma che spesso parte dal corpo per raggiungerla, con-fonde per
definizione corporale e spirituale.
Sulle religioni orientali, pure esse oggi presenti in occidente, il discorso si farebbe
complesso. Diverse proposte religiose orientali, nelle loro versioni ortodosse, spingono al
disprezzo del corpo e al suo superamento e definitivo abbandono. In altre versioni tuttavia,
non a caso quelle più popolari in occidente, esso viene sì purificato, ma anche riempito di
attenzioni, curato e accudito. Si fa attenzione ad esso, insomma: come nello yoga o, ancora
più popolare per gli usi cui si presta nelle sue versioni profane, il tantra, ma anche
tantissime modalità di attenzione al corpo attraverso l’alimentazione, le posture, il sonno,
forme di medicina tradizionale, ecc.
Il cristianesimo va ormai anch’esso declinato al plurale. E i cristianesimi d’Africa e
d’America Latina, per esempio, hanno un diversa e peculiare attenzione al corpo, e un suo
uso anche liturgico diffuso (si pensi alla danza all’interno delle celebrazioni eucaristiche).
Ma, ancora più importante, è in generale il modo di viverlo e di sentirlo, che tanto nel
mondo cattolico quanto in quello protestante di questa provenienza (peraltro talvolta
indistinguibili nelle loro versioni ‘inculturate’: si tratta dopo tutto di una distinzione figlia
dell’Europa e della sua mentalità, oltre che della sua storia – una distinzione estremamente
‘cerebrale’, oltretutto…), assume aspetti diversi da quelli che conosciamo nella storia
d’occidente. E ora che queste diverse proposte si osservano da vicino, per così dire, convivendo (ma molto meno con-dividendo) sul medesimo territorio, che incidentalmente è il
nostro, hanno modo di apprezzarsi o di disprezzarsi, comunque di confrontarsi. Un
confronto che è difficile immaginare scevro di conseguenze.
All’interno dei mondi cattolico e protestante autoctoni troviamo invece molti movimenti
che tendono a dare sempre più spazio alle emozioni: dai pentecostali ai carismatici, per
citare i casi più noti di entrambi i mondi. E in essi le emozioni giocano un ruolo cruciale,
anche se le loro esplicitazioni corporee si limitano a coinvolgimenti assai parziali del
corpo, che toccano meno, per esempio, la sfera della sessualità latamente intesa, così come
la ricerca del ben-essere nelle forme che ricordavamo poc’anzi. Ma anche nel corpo
(appunto…) ecclesiale nel suo complesso, e non solo in gruppi dopo tutto minoritari, le
pratiche sono sempre più distanti dalle prediche sul tema, senza nemmeno più sentire il
dolore di una contraddizione in passato vissuta in maniera lacerante e oggi, semplicemente,
non vissuta nemmeno più come tale. Non stride: ma se non stride è perché nel vissuto
dell’individuo essa non pesa – cioè, non conta. A questo punto è difficile che il ‘blocco centrale’, quello rappresentato dalle istituzioni
religiose, riesca a rimanere isolato da questa temperie culturale, che lo coinvolge e lo
interroga, incalzandolo dall’esterno, con nuove proposte religiose, e dall’interno, con
diverse modalità di vivere le proposte tradizionali. Ciò non riguarda evidentemente solo le ancora spinose questioni legate alle manifestazioni
della sessualità. E non ci riferiamo solo a quelle considerate ‘vietate’: che dai rapporti prematrimoniali all’uso degli anticoncezionali, dalle convivenze alla pastorale (se così si
vuole chiamare un insieme di regole così privo di comprensione e di pietas) dei divorziati,
e fino alla polemica vaticana sul Gay pride nella Roma del Giubileo, mostrano tutta la loro
irritante centralità almeno nel mondo cattolico istituzionale. In quest’ambito resta ancora
d’attualità il titolo di un ormai vecchio libro di un gesuita che è anche psicanalista, Albert
Plé, intitolato significativamente “Per dovere o per piacere?”. Anche le forme di sessualità ‘lecite’ sono appesantite in maniera tale da renderle un
fardello, tale anche talvolta per chi è costretto a ribadirle senza crederci veramente. Basta
leggere il capitolo sul sesto comandamento del “Catechismo della chiesa cattolica”, e in
particolare le parti sul matrimonio, per ritrovarsi sul solito terreno arato con i verbi ‘esige’,
‘vieta’, ‘obbliga’, ‘impone’: dando un’immagine del matrimonio così chiusa e ‘sacrificata’
(mancano le parole tenerezza, desiderio, gioia, gusto, felicità, piacere, godimento …) da
finire per essere tutt’altro che invitante – più un inferno, o almeno un duro purgatorio da
cui fuggire, che un paradiso da cercare e da costruire.
Il problema tuttavia è in realtà molto più ampio e coinvolgente, va ben oltre le questioni
legate alla sessualità e ai suoi immediati dintorni, e riguarda l’insieme dei rapporti tra
corpo ed emozioni, la loro comprensione, lo spazio lasciato ad essi. L’interrogativo che ci
viene dai cambiamenti culturali in atto in occidente, insieme e a seguito delle teorizzazioni
sull’arrivo dell’età dell’Acquario, e sulle diverse sensibilità che essa implicherebbe, sono
in questo senso molto più di una moda culturale: rappresentano una tendenza stabile e in
crescita, e necessitano a questo punto di un approfondimento.
Il primo e più visibile elemento culturale di questa costellazione è precisamente quello
legato alla salute e al benessere psico-fisico. Potremmo definirlo così: dalla salvezza alla
salute. Rientrano in quest’ambito tutte quelle proposte che hanno a che fare con il benessere dell’individuo.
Poiché si tratta di attenzione al corpo, ma spesso con uno sguardo anche all’anima,
potremmo parlare di fitness spirituale, incentrata sull’essere e sul sentire, attraverso
pratiche diversificate (terapie, corsi, libri, ricerca di guide e maestri), offerte da attori
sociali diversi. L’individuo le ‘acquista’ da fonti diverse, producendo egli stesso,
eventualmente, una sintesi interpretativa.
Queste pratiche di diversificazione degli investimenti non sono assenti da altre forme di
offerta religiosa: basti pensare a certe pratiche di devozione popolare legate al culto dei
santi, ma anche l’acquisto di indulgenze, messe, rosari, ecc. Solo che qui non vediamo un
credente che punta con queste pratiche a procurarsi e garantirsi la salvezza, quanto un
praticante, non necessariamente credente, che cerca di acquistarsi la salute. In questo senso
possiamo parlare di variante consumistica della domanda religiosa o, come qualcuno ha
fatto, di materialismo spirituale.
Troviamo qui innanzitutto un cospicuo mondo, tale anche come quota di mercato, che di
per sé non ha nulla di religioso, e nemmeno di specificamente new age, ma è entrato a far
parte di questo clima culturale, ricevendo da questa ‘appropriazione’ un notevole impulso e
anche una maggiore ‘coscienza di sé’, quasi una forma di legittimazione: anche, in senso
forte, ideologica. Si pensi all’attenzione al naturale, al biologico, ecc.
Pensiamo anche, ancora più incisivamente, a tutto ciò che concerne il corpo. La ginnastica,
come lo sport, non sono una novità. Ma si introducono modi diversi di viverli, con pratiche
meno agonistiche e più ‘dolci’: tai chi chuan, forme di ginnastica dolce, appunto, esercizi
bioenergetici, acquaterapia, watsu (lo shiatsu in acqua) e molti altri.
Ma è dove si affronta il concetto di cura che l’apporto di questo clima culturale è più
evidente: avvicinandosi almeno in parte al concetto di cura d’anime, pur trattando di corpi.
Medicina tradizionale cinese, tibetana, ayurvedica, etnomedicina, riflessologia e
agopuntura, medicina psicosomatica, ricorso a pratiche sciamaniche o a più ‘occidentali’
fiori di Bach e erbe medicinali, omeopatia, naturopatia e pranoterapia, fino a forme
specifiche (cristalloterapia, arteterapia, musicoterapia, ecc.), conoscono tutte un enorme
sviluppo in termini di elaborazione culturale (riviste, libri, convegni), di formazione (corsi
e seminari), di allargamento dell’utenza. Lo stesso si può dire delle tecniche di
rilassamento, di forme variegate di massaggio, di shiatsu, etc. Ciò che è interessante notare è che tutte queste pratiche possono, prese isolatamente, essere
considerate solo ‘tecniche’; ma nello stesso tempo spesso implicano e presuppongono un
sistema di credenze condiviso: che sia un riferimento alla reincarnazione o all’influsso di
energie, stati d’animo, talvolta spiriti, ecc. Importanti centri in tutte le principali città ormai
collegano e coordinano questi vari aspetti in strutture di raccordo, producendo politiche
‘integrate’ di sviluppo: e, in un certo senso, un modo e un mondo concorrenziale a quello
ecclesiale di porsi e di porre il problema del ruolo e della centralità stessa del corpo,
nonché dei diritti delle emozioni (comprese quelle negative, egoistiche, se si vuole dar loro
una coloritura morale, non sempre pertinente) rispetto alla razionalità teologicoistituzionale, che ne impone invece, o tenta almeno di farlo, il rifiuto, magari altruistico o
comunque altruisticamente motivato, quando va bene la sublimazione.
Un aspetto solo parzialmente diverso è quello concernente non il corpo ma la psiche.
Ancora una volta, le due cose non si escludono, e anzi si accompagnano: spesso le terapie
corporee implicano un lavoro, o almeno degli effetti, sulla psiche, e viceversa. Tecniche di
rilassamento, meditazione, yoga, toccano entrambe le corde, specie se fanno capo a ‘centri
yoga’ o ‘dojo zen’ più esplicitamente di matrice religiosa (orientale).
Tuttavia alcune puntano più direttamente alla psiche. È il caso di tutti quei gruppi e
associazioni che fanno capo al movimento dello sviluppo del potenziale umano (dalla
meditazione trascendentale a varie forme di mind control, inclusa Dianetica), in cui si
punta sullo sviluppo di risorse proprie degli individui, con forme talvolta neo-gnostiche, il
cui presupposto è l’autosviluppo e, in qualche modo, l’idea che ci si salva da soli,
sviluppando le proprie capacità e qualità innate grazie a tecniche appropriate. Vanno
ricomprese in questa famiglia anche gli istituti di psicodinamica, i corsi di training
autogeno, la psicosomatica, i centri di bioenergetica, e in generale ampia parte della
proposta psicanalitica non freudiana, attraverso rielaborazioni e derivazioni del pensiero di
Jung, Reich, ecc.
Laddove l’impostazione punta al saper guarire e guarire gli altri, ci troviamo in contesti
diversi, rappresentati dalle pratiche di reiki, dai gruppi di channeling, ed altri.
Più in generale, rientrano in questa tendenza le forme variamente popolarizzate di
addestramento al pensiero positivo, con corsi e proposte seminariali a vario livello di
partecipazione e coinvolgimento: da quelle ‘aziendali’, atte a favorire l’intercomprensione
o a vincere la paura (si pensi al camminare sui carboni ardenti entrato anche in qualche
corso per management) a quelle più esplicitamente new age.
Come si vede, si tratta di un panorama composito, di cui qui abbiamo abbozzato solo
alcune tendenze tra le molte che lo compongono. Quanto basta, tuttavia, per delineare non
un fenomeno di moda, come tale effimero, ma al contrario una tendenza culturale lunga,
che sta vivendo un considerevole sviluppo. Uno sviluppo che influenza pesantemente il
paesaggio religioso dell’occidente, che sta contribuendo a cambiare; anche ‘dereligiosizzando’, se ci si passa il pur brutto neologismo, pratiche e modalità d’essere e di
incontrarsi tradizionalmente religiose, da un lato (si pensi a certe forme di comunità
emotivamente ‘calde’, al rapporto maestro-discepolo, all’idea che ci siano dei cammini
iniziatici e una realtà non visibile, ecc.), e dall’altro contribuendo a ‘religiosizzare’ e a
spiritualizzare ambiti di comportamento quotidiano in passato vissuti come semplicemente
o comunque primariamente materiali: dal come e cosa mangiare, al come arredare la casa,
a come interpretare le malattie proprie e altrui, ecc.
Si direbbe quasi che l’occidente si sia deciso a cercare di ricongiungere in queste forme
anima e corpo, razionalizzazioni religiose ed emozioni spirituali, separate da secoli di
teologie, in senso letterale, spesso dis-incarnate, ma anche dai laicissimi esiti del pensiero
illuministico e della rivoluzione scientifica. Si ridà spazio a mozioni ed emozioni, alla tensione desiderante e all’uso del corpo: anche
nel vissuto religioso, per l’appunto un po’ più vissuto, sentito, in senso proprio incarnato e
in-corporato. Certo, in forme spesso confuse, talvolta francamente regressive. E tuttavia
questo movimento non può lasciare solo critici e sospetti gli osservatori religiosi che si
collocano da un punto di vista ‘tradizionale’: c’è qualcosa in questo che li riguarda da
molto vicino. E non solo perché esso sta già cambiando qualcosa anche in loro, nella loro
‘utenza’: al limite, nonostante loro. L’interrogativo è più centrale, più, letteralmente,
cruciale. Perché per una religione che pone al suo centro l’evento dell’incarnazione, il
Verbo che si fa carne, un motivo di riflessione, dopo tutto, c’è davvero. E non di piccola
caratura. Forse potrebbe essere un utile esercizio provare a leggere questo fenomeno alla luce di
alcune parole di Gamaliele, che non sarebbe male rimeditare in quest’ottica. Il riferimento
è negli Atti degli apostoli: 5,38-39…