Scarica Notizie donna n. 10
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EDITORIALE Sono mezzo milione le donne e le ragazze che, ogni anno, vengono fatte entrare in Europa e avviate alla prostituzione. La stima è stata resa ufficiale dalle Nazioni Unite, impegnate a fronteggiare lo sconcertante fenomeno che sta caratterizzando il terzo millennio: la tratta delle nuove schiave. E’ un business devastante dal punto di vista sociale ed etico ma imponente quanto a guadagni. Il traffico di donne, infatti, rende più del traffico di droga e delle armi messi insieme. Anche in Italia la situazione ha dell’incredibile: appena arrivate, le ragazze vengono addirittura vendute all’asta. A Roma, per esempio, secondo il Comando provinciale dei Carabinieri, il mercato delle nuove schiave si svolge alla stazione Tiburtina. Bande di criminali si aggiudicano, per poche centinaia di euro, donne giunte con autobus regolari dai propri Paesi che sperano in un lavoro regolare. Una volta agganciate, invece, vengono rinchiuse in lerci tuguri, con sbarre alle finestre, violentate, torturate e ridotte in schiavitù fisica e mentale. A quel punto, prostituirsi diventa il male minore. Ma ci sono altre verità che tolgono il fiato quando le intuisci e una di questa riguarda la maternità abusata. La racconta Giuseppe Tornatore nel suo ultimo film “La sconosciuta” che affronta il fenomeno con una crudezza da lasciare storditi: le più belle tra queste povere schiave vengono scelte come fattrici e costrette a prostituirsi senza precauzioni. Possono restare incinte anche una volta l’anno e partorire un bambino che sarà immediatamente venduto dopo la nascita a famiglie sterili o a trafficanti di organi. Ognuna di loro, può dare alla luce anche nove figli e non poter stringere a sé, accarezzare nessuno di loro, nemmeno per un istante. E noi? Spesso restiamo a guardare, a pensare che (forse) sono storie esagerate, che (forse) non è possibile arrivare a tanto anche se intuiamo, con sgomento, che potrebbe essere tutto vero. Supplichiamo, allora, la politica di fare di più e di farlo presto, avvicinando organizzativamente i Paesi dell’Est, dai quali proviene la maggior parte di queste ragazze, e costringerli, magari con la minaccia di ritorsioni economiche, a controllare e verificare, anche a distanza di tempo, la fondatezza dei contratti di lavoro. Imbrogli legalizzati grazie ai quali tante donne entrano in Europa e poi ci muoiono. Tania Bonnici Castelli IN MEMORIA DI UNA GRANDE COMBATTENTE Vera Finavera è stata un esempio di vita vissuta in seno al sindacato È sempre arduo cercare di ricordare qualcuno che non è più tra noi. L’interrogativo più difficile cui dare una riposta è: perché il ricordo? Pietro Ingrao, nel suo ultimo libro «Volevo la luna», edito da Einaudi, scrive «come si dà e si legittima la memoria? E perché temiamo tanto che la memoria si perda? È la vanità di stare ancora e per sempre sulla scena o un tentativo di salvezza? O forse è la memoria di una soggezione ad altri, tale che non può reggere il silenzio». La difficoltà, quindi, è notevole, ma chi scrive ricorda (o ci prova, almeno) per una semplice ragione: conservare la memoria di una persona che (al di là dell’ideologia, al di là del ricordo fine a se stesso) ha speso un’intera vita nel tentativo di cercare di umanizzare le condizioni sociali di chi partiva svantaggiato rispetto agli altri. La persona in questione è Vera Finavera, una donna scomparsa nel giugno scorso, nata ottanta anni prima a Montorio al Vomano. La sua è stata una vita piena, vissuta interamente. Una persona che ha creduto fino alla fine a ciò per cui si è sempre battuta: quella splendida utopia di cui sopra. Il nome di Vera (la si chiamerà così , semplicemente) è legato a doppio filo con quelle che si ricordano come le «lotte del Vomano»: uno dei momenti più ricchi di storia del sindacalismo teramano. Tali lotte rientrano nell’alveo più ampio del Piano del Lavoro, presentato da Giuseppe Di Vittorio nel- l’ottobre del 1949, nel tentativo di alleviare il forte tasso di disoccupazione esistente in Italia nel secondo dopoguerra. Esse hanno rivestito una certa importanza tanto che Paul Ginsborg, storico inglese di chiara fama, sulla sua «Storia d’Italia 1943-1996» scrive «(…) la lotta forse più riuscita legata al Piano (del Lavoro n.d.a.) ebbe luogo nella Val Vomano, negli Abruzzi. Lì la Camera del Lavoro, diretta da Tom Di Paolantonio, organizzò 2000 disoccupati che ripresero la costruzione di una centrale elettrica con invaso i cui lavori erano stati sospesi sei anni prima. Dopo negoziati diretti tra la CGIL e il Governo, al progetto vennero assegnati 100 milioni di lire ed i lavori vennero completati in tre anni (…)». In quegli anni Vera, sempre al fianco 1 di una figura di grande spessore come quella di Tom Di Paolantonio, ha dato il suo contributo, è stata conosciuta per il suo impegno profuso nell’organizzare, soprattutto , le donne della zona che, negli “scioperi alla rovescia”, preparavano le vettovaglie per gli operai che andavano al lavoro. I tempi erano particolari negli anni Cinquanta: una donna che si impegnava in prima persona in rivendicazioni politico-sindacali non era tanto bene accettata (le autorità di Pubblica Sicurezza, per la assiduità con cui Vera era presente nelle lotte, la chiamavano “prezzemolo”). Il carattere puntiglioso, aspro a volte, le ha permesso di operare alcune scelte dure e di continuare, come dirigente sindacale, nell’impegno intrapreso. Ed eccola, dopo qualche anno, nella provincia di Chieti tra le lavoratrici stagionali a denunciare presso gli Uffici dell’Ispettorato del Lavoro, le condizioni inumane cui versavano le raccoglitrici di uva. Lei, donna, iscritta all’Unione Donne Italiane fin dai primi anni Cinquanta, si batteva per chiedere una cosa all’apparenza semplice: la parità di trattamento tra uomo e donna. Il suo cammino di dirigente sindacale la porta ad essere, nel 1960, fra i membri, a livello nazionale, del Comitato Tecnico Ortofrutticoli ed Agrumari (si vedano, a tal proposito, gli atti del Congresso Nazionale del 1960 della FILCAMS). Lascia l’attività sindacale, nel 1964, dopo essersi sposata, quasi come a sottostare ad una (ingiusta) legge non scritta valida per una donna: o la carriera o la famiglia. L’impegno nel sociale è continuato anche dopo, fino alla fine, anche se non più a livello professionale. Ricordarla, si ripete, è giusto solo perché si parla di una donna che ha creduto fino in fondo in quello che ha fatto, senza calcoli di opportunismo ideologico e culturale, sbagliando, a volte, a prendere posizioni rigidissime ma il periodo storico in cui ha operato non lasciava spazio a compromessi. Un piccolo esempio di vita vissuta. Come questo, altri; è legittima, pertanto, la memoria. Vladimiro Stella 2 UNA NUOVA STAGIONE DEI DIRITTI Non sempre la “libertà di tutti” comprende i deboli e gli emarginati. È necessario ristabilire un’eguaglianza tra i cittadini Oggi si può sperare che il rispetto dei diritti dei cittadini venga ripristinato nella sua interezza, dopo una fase di sottovalutazione e svilimento. Per troppo tempo i modelli comportamentali di “persone che contano”, amplificati dai media, sono stati quelli del potere “muscoloso”, del successo facile a scapito degli altri, della massificazione e mercificazione di sentimenti, bellezza, rapporti umani e sociali. Il denaro – accumulato in fretta, senza troppe domande, al di fuori o contro legge, senza etica; sbandierato come status symbol, all’insegna del cattivo gusto e della spocchia da parvenu – è rimasto il feticcio di sempre, rinsaldatosi nella coscienza individuale e collettiva. A ciò hanno contribuito sia i comportamenti concreti che i modelli offerti dal sistema mediatico. La libertà, invocata come base della democrazia e della vita, non è stata, in realtà, la “libertà di tutti”; non si è sostanziata per tutti - degli altri diritti universali, come vita, lavoro, casa, salute, sicurezza, istruzione, informazione, cultura, giustizia, vivibilità ambientale, padronanza della propria vita, autonomia nelle scelte, pari dignità, speranze e certezze del proprio futuro. La libertà, in questi anni, è stata “l’arbitrio di pochi”, potenti, furbi- di volta in volta arroganti o servili - e la licenza di perseguire i propri interessi, legittimi o meno, con qualunque strumento e sulla pelle degli altri. I deboli, gli emarginati, gli onesti sono stati considerati degli impacci, lasciati in balia di quella “libera concorrenza”che nulla più aveva di quel senso di umano, democratico, solidale, di cui il pensiero liberale ottocentesco l’aveva arricchita. La libera concorrenza – quasi sale della terra - è risultata sganciata dalle “pastoie” della Costituzione, che - nata dalla libera e concorde volontà di tutte le forze democratiche vittoriose sul nazifascismo - aveva compiuto il miracolo di conciliare, armonizzare ed esaltare i diritti individuali e collettivi e su di essi aveva costruito la dignità di un’intera Nazione. Ci si è ubriacati con la parola “famiglia” – a condizione, che si trattasse di quella sancita da un “regolare” contratto – e non si è avviata una reale politica di sostegno alle famiglie; spesso a sparare giudizi erano dei potenti che di famiglie ne avevano allegramente più di una. Intanto, sempre più famiglie facevano fatica a sopravvivere, si impoverivano; migliaia di giovani – adulti vivevano con la famiglia di origine, impossibilitati a formarsene una, perché senza lavoro o con un lavoro sottopagato, senza garanzie per il presente nè per il futuro, condannati ad un precariato angoscioso, di lunga durata, temuto a vita! Nessuna politica della casa, sostegno finanziario a costruirsela e… come accedere a finanziamenti privati, in assenza di un reddito certo?! E i diversamente abili, gli anziani, il diritto allo studio, in presenza di tagli alla spesa sociale? Quale speranza per chi soffre per malattie incurabili, in assenza di sostegno e incentivi alla ricerca scientifica? Si creavano ISTITUZIONI miliardarie, la cui funzione prevalente sembrava quella di collocare “amici” e “figli di amici”; intanto le nostre Università sopravvivevano a fatica; ai nostri ricercatori, emigrati in Università e centri di ricerca stranieri, si offriva uno sgravio fiscale su un reddito risibile, perché tornassero in Italia. E i “nuovi” diritti, che nascono dai sommovimenti che stanno modificando la realtà del vecchio continente, specie i Paesi che, come il nostro, si trovano su una delle due sponde del Mediterraneo? Certo, i grandi esodi dai Paesi delle guerre intestine, del sottosviluppo, dei diritti umani negati, verso i Paesi europei sono un fenomeno difficile da affrontare. I flussi migratori pongono problemi inediti, che richiedono intelligenza, coraggio, sensibilità, senso della solidarietà, capacità di stringere alleanze e di reperire le risorse necessarie, politiche comuni dell’Unione europea e degli altri Paesi esteri che si affacciano come noi - su quel Mare che da tempo consideriamo solo “Nostro”. Lo si stava affrontando con intelligenza e lungimiranza, nell’ottica di una solidarietà non scevra di impegno per la nostra sicurezza. In seguito, una visione miope della realtà nazionale ed internazionale ha imposto di affrontare il problema in termini angusti, basati su una rigida concezione poliziesca; si sono sfiorati atteggiamenti xenofobi, con strumenti che, non solo risultavano inefficaci, ma incentivavano gli arrivi clandestini. Tale politica guardava “all’orticello di casa”, ma misconosceva persino le esigenze del mercato del lavoro interno, di quello stesso Nord-est di cui si proclamava di voler difendere i diritti e favorire l’ulteriore sviluppo. La stessa mancanza di prospettiva caratterizzava le politiche ambientali; si disincentivavano, se non ostacolavano gli interventi di tutela, sviluppo compatibile di aree protette o da proteggere; attraverso il controllo inadeguato e la pioggia dei condoni edilizi si incentivava l’abusivismo. Da qualche mese, sembra spirare un’aria nuova. I diritti tornano al centro dell’agenda politica, nonostante i buchi determinati dal “bilancio creativo”. Ossatura del programma elettorale dell’Unione, sostenuti da proposte di interventi concreti, essi erano integrati in tutte le politiche, da quelle del risanamento economico e dello sviluppo produttivo, a quelle del Lavoro, della Istruzione e Formazione, della Ricerca scientifica, della Salute, della Casa, dell’Ambiente, della Solidarietà sociale. Già in questi pochi mesi si sente con chiarezza che i Diritti “sono” il sale del programma di governo: l’impegno per il DIRITTO ALLA PACE ha messo in campo iniziative che, nel ridare dignità internazionale al nostro Paese, hanno prodotto di fatto la cessazione delle ostilità nel martoriato Libano e hanno contribuito ad avviare un percorso di pacificazione dell’area, ricollocato l’ONU alla testa dei problemi, ottenuto il consenso degli U.S.A. e, soprattutto, dei Paesi interessati come di quelli dell’Unione Europea. Le indagini ministeriali sui Call Center e sul lavoro illegittimamente precario sono il segnale chiaro di voler porre al centro delle politiche del Lavoro il problema del Precariato e la necessità di modificare almeno gli aspetti più devastanti della Legge 30 sul riordino del mercato del lavoro. Le immissioni in ruolo di molti lavoratori di lungo precariato della Scuola vanno nella stessa direzione, così come la sospensione dell’applicazione della controriforma della Scuola superiore. Il Decreto Bersani ha riaperto le opportunità occupazionali dei giovani, oltre che avviare una sana concorrenza all’interno di professioni un tempo blindate. La legge per la cittadinanza agli extracomunitari, riconoscendo il diritto di sentirsi a pieno titolo cittadino italiano a chi legalmente vive e lavora nel nostro Paese, ne favorisce la integrazione. Facilitandone l’emersione del lavoro, si contribuisce alla lotta all’evasione fiscale e si incrementa lo sviluppo economico del nostro Paese. Nonostante le disastrate condizioni dei conti pubblici ereditati dalla passata legislatura, la Finanziaria in via di definitiva approvazione ha riaperto le speranze per un riavvio dello sviluppo economico ed un miglioramento della vita degli strati più deboli della popolazione. Le difficoltà e una certa tortuosità nell’iter della formazione di questa legge non impediscono di coglierne i segnali innovativi che saranno ancor più evidenti nel corso del 2007. Il calo del debito pubblico al di sotto del 3%; la redistribuzione del reddito attraverso un riequilibrio del prelievo fiscale, a favore delle fasce sociali più deboli; gli in- terventi tesi ad aggredire l’evasione fiscale; le misure che favoriscono le assunzioni a tempo indeterminato su quelle a tempo determinato; l’aumento degli assegni famigliari ed una serie di misure a sostegno delle famiglie; l’estensione del diritto allo studio e le misure economiche per sostenerla; la riduzione del cuneo fiscale, che abbassa il costo del lavoro, con beneficio delle imprese e dei lavoratori; il rinnovo di contratti di lavoro da tempo scaduti; la prevista assunzione di un gran numero di precari della P.A.; il rigore nella spesa pubblica e la riduzione dei costi della politica, di cui lo stesso Presidente del Consiglio ed i ministri hanno dato l’esempio, riducendosi del 30% le indennità: sono questi alcuni dei segnali di un modo nuovo di affrontare i problemi del Paese. La ripresa economica, l’incremento degli investimenti produttivi pubblici e privati amplieranno le possibilità occupazionali. Le riforme del sistema previdenziale e del welfare, la legge sui diritti delle coppie di fatto, il testamento biologico – avvio preannunciato per i primi mesi del 2007 –, apriranno, sì, una nuova stagione dei diritti individuali e collettivi, attraverso un nuovo patto tra generazioni, gruppi , individui, nell’ottica di una solidarietà, che rinsalderà la coesione sociale e mirerà a ridurre gli egoismi, le disuguaglianze, le intolleranze di ogni tipo. Bianca Micacchioni Zuccarini Consigliera di Parità Provinciale mensile d’informazione Direttore responsabile: Tania Bonnici Castelli Comitato redazione: Germana Goderecci, Piera Ruffini, Maria Provvisiero, Simona Crescenti, Paola Natali, Iolanda Piersanti, Pina Vallese, Paola Di Giulio. Tel. 0861.3311 - 0861.331320 Realizzazione editoriale: Paper’s World srl - Edigrafital Teramo Tiratura N° 15.000 copie Reg. Trib. n° 539 del 05/08/2005 Sede legale: Provincia di Teramo N° 10 - Dicembre 2006 3 Le donne velate dell’Islam La religione diventa un modo di realizzarsi al femminile. Una vita d’uscita per evitare il patriarcato Nei telegiornali vediamo frequentemente donne musulmane che hanno il velo, molto spesso è una costrizione e altre volte è una scelta, ma perché le donne scelgono di portare il velo? Partiamo dall’osservazione che l’organizzazione sociale si articola intorno al modello maschile, e la donna deve interiorizzare necessariamente la legge paterna, accettando di appartenere ad un sesso inferiore. Derivano così norme comportamentali imposte dalla famiglia quali: conservare la verginità, ecc. La sola possibilità di ottenere un riconoscimento sociale per la donna è quella di avere figli maschi. La donna deve occuparsi della sfera familiare perché è quello il suo unico ruolo, assumere una posizione nella società è prerogativa esclusiva degli uomini. L’islamismo, però, propone alle ragazze giovani di diventare “dai’a”, vale a dire le propagandiste del discorso islamista. Questa diviene un’alternativa che permette il riconoscimento di uno status sociale anche per le donne. L’islamismo diviene una via per la realizzazione dell’io femminile. L’adolescente può quindi aderire all’islamismo, che non rappresenta una trasgressione alla legge paterna, ma allo stesso tempo la sostituisce. Si passa da un padre reale ad un padre onnipotente. In questo modo si mettono in discussione sia il ruolo 4 della madre che quello del padre, e ci si mette al servizio di un ideale che alimenta la propria stima, ci si mette dalla parte di Dio. Queste adolescenti si realizzano nella società guadagnando uno status perché occupano uno spazio pubblico, la moschea che è luogo di acquisizione e trasmissione del sapere religioso. Le ragazze che diventano “dai’a” sono sicure, sono forti e non hanno alcun problema nel confrontarsi con le persone, anzi esercitano in un certo senso un vero e proprio ascendente sulla gente, che le rispetta e le ascolta. È proprio in opposizione alle donne democratiche che si definisce l’identità delle donne islamiste, l’immagine che viene data alle militanti democratiche dagli integralisti è di donne “occidentalizzate” e senza morale. La realizzazione di questi ruoli, quali ad esempio quello di diventare dai’a, però, è solo una scappatoia per evitare il patriarcato, e non è la soluzione del problema: non solo, questi atteggiamenti porteranno la società a chiudersi in se stessa andando a rafforzare ideali sempre più repressivi. Antonella Inicorbaf QUESTO SPAZIO É RISERVATO A VOI SCRIVETECI Comitato di redazione “Notizie Donna” Via D’Annunzio, 12 Teramo [email protected] Tel.0861.3311 - 0861.331320 L’incontro L’estate nei colori della festa dava alla città vampate d’afa, rifletteva sulle vetrine i corpi tornati abbronzati dal mare, incuriosivano tende e bazar, i visi scomodati degli stranieri dai passi nudi sopra i porfidi rinnovati e di calore arrossati. Sviavi in compagnia un rivolo di gente, tra piazza e portico, la soprannaturale eleganza lievemente sprizzata dai capelli ti stagliava, immagine sottile, come sogno lontano nei ricordi, ogni passo sempre più vicina e ferma accennavi un saluto. Compromettente gli sguardi, i vestitini, le tue dita secche, i miei lunghi capelli, ma di più il nudo dei corpi ondeggianti, galleggiavano gli zoccoli bianchi sul dondolio agitato del piede e l’anima eburnea passeggera. Generici i discorsi esageravano il desiderio di vedersi ancora col favore urgente del tempo e inseguire sul taccuino il nome più che noto nella mente e dire che sei ancora sola sull’elenco per andare via tacendoti altro, il silenzio e il saluto dell’addio. Rivedersi Diramano i passi e dividono i corsi, mille le illusioni e le più immense, dolcezze i cenni, allegorie le dita, svenute le parole lontani gli sguardi, poco prima di sera è bastato rivedersi. I giorni dell’addio Questi giorni, già freddi, umidi, piovosi, scivolano e non mi portano a rubare da te mai un sorriso, un solo alito, uno sfiorino, e non fanno ricordi da celare nello scrigno dove ho riposto tra il velluto il tuo corallo. Ho ancora tanto bisogno di te, mio amore, ma i tuoi santi lo sanno che mi sono finite nella mente le parole e non se n’è avverata mai nessuna, come i desideri tuoi di sole, non più, neanche in estati calde di vita. Silvano Toscani La scelta della CLAUSURA Preghiera e silenzio salvano il mondo. Anelli di congiunzione tra Dio e gli uomini Mentre l’umanità s’inventa sempre nuovi confini e nuove guerre c’è qualcuno che vive con la pace dentro. Parlo di Silvia, donna abruzzese, giovane manager proiettata verso una carriera folgorante, con l’animo tormentato e spesso alla ricerca di emozioni interiori . Tutto era molto facile, molto moderno la vita di una trentenne tra colloqui on-line e posta elettronica, tra contatti importanti e cene propedeutiche, ma inevitabilmente mediocre. Arrivò la “proposta”, quella della vocazione e precisamente quella della clausura. Molteplici perplessità, tanti alibi, tentennamenti, paure e poi la scelta di costruire qualcosa con la vocazione. Un candore irreale e poche ed essenziali battute attraverso la grata calmierarono la mia curiosità: il perché di quella scelta, il passare dal laicato al diaconato. La preghiera e la meditazione concepite come un anello di congiunzione tra gli uomini e Dio, il pervadere di una pace che si irradia dentro e che rende vicina agli altri , lì fuori oltre la grata. La scelta della clausura è quanto mai attuale, oggi i monasteri di clausura sono indispensabili come “polmoni verdi” di una città Queste sono state le parole del Papa Benedetto XVI citate nell’Angelus di qualche mese fa parlando ai fedeli commentava la silenziosa testimonianza che in mezzo alle vicende quotidiane talvolta assai convulse, unico sostegno che mai vacilla è la fede. L’unicità del silenzio, la regola conducono ad una vita che paradossalmente per la stragrande maggioranza degli individui appare stringata e sacrificata, ma per esse, le suore, è piena. ritmo della liturgia o del silenzio contemplativo aprono alla gratuità, al superamento di ogni egoismo in noi ribadisce, e così mentre la monaca di clausura “sembra” essere assente dal mondo, in realtà lo feconda misteriosamente con la preghiera ed il sacrificio. La giovane suora sostiene che vivere in clausura è il mezzo per ricordarci chi vive nel mondo, è un’esperienza di chi porta comunque nel cuore le ansie, le ferite, le gioie e i dolori, i combattimenti di ogni essere umano. Ma non li porta perché vede negli altri leggendo nei giornali o ascoltando in parlatorio; li vive attraverso la meditazione e l’incessante desiderio di pregare per vivere. Anna Marinucci Componente C.P.O. Spesso si identifica la vocazione come una scelta per sfuggire alla realtà, al mondo, alle vicissitudini di una vita difficile e colma di disumani eventi, ma i percorsi claustrali sono segni e strumenti necessari per la custodia del cuore e della mente. “La vita monastica -descrive Silviaè fatta di piccole ma grandi quotidianità: il refettorio, il ricamo, la coltura della piante officinali, il canto, la lettura e l’orazione. La lontananza dalle proprie famiglie e dalle città ha rafforzato l’identità del gruppo aprendo ognuno di noi ad un’intensa vita fraterna fatta appunto dalla preghiera ai momenti ricreativi, dalla solitudine al servizio”. Inoltre le lunghe ore di preghiera al Si ringrazia la Società Cooperativa S.p.A. CITIGAS per aver sostenuto con il SUO contributo la realizzazione di questa pubblicazione. 5 Danielle si racconta in “Asante” Mi chiamo Danielle Damasco Volpon, sono nata in Libia trentasette anni fa da padre piemontese e madre siciliana. Cresciuta per buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza tra il Ghana ed il Togo, mi sento irrimediabilmente legata all’Africa da un legame viscerale. Da piccola ero molto vivace, curiosa verso la vita ed il Paese che mi ospitava. Facevo molte domande ed ascoltavo rapita i racconti di “Papà Africa”, il cuoco di famiglia che era diventato il filo invisibile che mi legava al continente nero. Era un uomo buono, di religione musulmana, paziente e saggio. Ricordo che spesso ero pedante con le mie domande, arrivando al punto di disturbarlo durante la preghiera perché volevo sapere il motivo per cui metteva il tappetino in quella direzione, perché si lavava mani e piedi e perché si prosternava e lui, senza adirarsi, mi faceva segno di aspettare. Quando aveva finito, rispondeva alle mie domande non senza avermi prima rimproverato per la mancanza di riguardo verso la sua professione di fede. Da lui ho imparato l’arte dell’attesa, della pazienza. “Prima o poi riceverai risposte alle tue domande, non c’è bisogno di scalpitare”, diceva saggiamente. Poi, iniziai la scuola ed i miei compagni di classe contribuirono a rinsaldare il legame con l’Africa. Eravamo in quarantotto, di nazionalità diverse. Solo io ed altri due eravamo europei, gli altri erano tutti Africani ed ognuno si portava dietro gli usi ed i costumi del proprio paese. Per la mia curiosità cronica era una pacchia, a studiare ci pensavo poco, ma a fare domande e ad incantarmi per i loro racconti, ci perdevo ore. I compagni di gioco erano i ragazzini di strada. Cenciosi, sporchi, mezzi analfabeti, ma quanto ci divertivamo con la nostra palla di stracci, con le macchinine ricavate dalle latte, due bastoni infilati in un cerchione e, via! Si correva felici lungo le strade non asfaltate del Togo. Il giorno che ricevetti un pallone in cuoio per il mio compleanno, erano così felici che sembrava l’avessero donato a loro. In seguito quel pallone divenne 6 Tratto da “Asante” la chiave che mi consentiva di aprire ogni porta, chiedere qualunque cosa, mi bastava dire: ”vi presto il pallone”. Durante l’adolescenza la mia curiosità verso l’Africa non si esaurì anzi, ormai avevo la netta percezione della vastità di quel continente che per me era come un pozzo, più tiravo su secchiate, e più acqua ne restava. Dal 1983 sono tornata a vivere con la famiglia in Italia. Il distacco dal Paese che amavo è stato traumatico e per i primi anni ebbi un rifiuto totale verso la nuova vita in Italia. Scoperto di essere affetta da una malattia genetica (S di Von Recklinghausen), manifestatasi ne 1988, allora ventenne, dopo vari interventi chirurgici affrontai lunghi anni di terapia riabilitativa. In quel periodo mi avvicinai alla scrittura tenendo un diario dove annotavo i pensieri, le emozioni ed i ricordi dell’Africa. Così ha preso corpo il mio primo libro: “l’alba dei ricordi” (autobiografico) e poi, mi sono accorta che scrivere mi piaceva, mi faceva star bene ed avevo voglia di raccontare altre cose. A quel punto, passare ad un romanzo era un passo scontato. “Asante”, il mio 3° libro, non poteva non essere ambientato in Africa, come tutti gli altri miei sei romanzi scritti fino ad oggi. Dopo l’ultima sutura, Lara si tolse i guanti di lattice insanguinati e si disinfettò le mani, prima di infilarne un paio nuovo, mentre Nathalie accompagnava un altro paziente da lei. Era una giovane donna esile, con un bel collo lungo adorno di numerose collane d’oro con pendenti, che le conferiva un’aria aristocratica e raffinata. Lara rammentò di averla notata quel mattino tra i pazienti, perché stava in disparte, alta e fiera, mentre le altre sembravano voler evitare il suo sguardo. Il busto ben eretto, dal seno florido. Avvolto da stoffe pregiate, le mani ingioiellate e mollemente abbandonate in grembo, i tratti delicati del viso risaltavano la sua figura in mezzo a tutte quelle mamme accaldate e nervose. Seguiva da vicino Nathalie con passo flessuoso, ancheggiando i fianchi stretti nel telo stampato che li avvolgeva. Aveva un brutto eczema che le deturpava l’avambraccio sinistro, quasi fino al gomito. “Sister”- durante le ore di lavoro erano tornate ad usare modi informali- “chiedile perché non è venuta qui appena si sono formate le lesioni”, domandò a Nathalie, mentre si alzava per prendere una pomata al cortisone. Le due donne confabularono un po’ in twi, la lingua degli Ashanti, intanto che Lara spalmava sulla lesione, con una spatolina di legno, uno spesso strato di crema bianca e grassa. Nathalie porse un po’ di garza a Lara, che iniziò ad avvolgerla leggermente intorno all’avambraccio della donna. “Dice che il guaritore del suo villaggio non le dava il permesso di recarsi dagli uominimedicina bianchi” spiegò Nathalie. “Da dove proviene?”. Nathalie scambiò altre parole con la donna. “Da Kofu, un villaggio a poco meno di cento kilometri da Kissimayo, verso Kumasi. Il guaritore le dava pozioni da bere e un impasto di erbe da applicare sulla pelle”. Lara sorrise al pensiero del guaritore che, pur di non ammettere che la medicina dei bianchi potesse aiutare la giovane, doveva aver cercato in tutti i modi di guarirla. “Come lo ha convinto alla fine?”, domandò, mentre fissava la garza con un pezzo di cerotto a nastro, che aveva strappato con i denti. Nathalie riprese a parlare con la donna e Lara notò la sua espressione rallegrata dalle risposte della giovane. “Nana andrà sposa al figlio minore del capo villaggio. E’ stato lui a convincere il guaritore”. Vorrei essere un uccello, per poter volare al mio paese Quando i bambini profughi palestinesi diventano foto-reporter-giornalisti Domenica 15 ottobre 2006 abbiamo vissuto uno speciale pomeriggio nell’aula Magna del Convitto Nazionale “Delfico” di Teramo, dove forti risuonavano gli echi delle emozioni immortalate dagli scatti dei circa trenta bambini dei campi profughi palestinesi in Libano, autori del bellissimo libro Vorrei essere un uccello, per poter volare al mio paese”. Centre for Popular Arts (ARCPA)” di Beirut, che insieme con la dott.ssa May Haddad promuove l’importante Meeting Internazionale “Janana Summer Camp” che vede partecipi, come formatori nel campo della pedagogia teatrale e didattica artistica gli artisti-pedagoghi Cam Lecce e Jörg Grünert. In occasione della presentazione del libro è stato proiettato il documentario “childhood in the midst of mines” infanzia tra le mine, racconta il quotidiano di bambini e ragazzi che vivono circondati nei loro territori: campi, strade, giardini, boschi, … da mine. Il libro tradotto in italiano, spagnolo e tedesco oltre che in arabo e inglese, era stato presentato qualche giorno prima dall’editore Giuseppe Zambon e dalla curatrice May Haddad alla Fiera del Libro di Francoforte. Il Libro nato dal progetto multimediale e speciale “I bambini palestinesi ricordano la loro vita ed esprimono le loro speranze”, avviato nel 1998, e durato tre anni, ha coinvolto circa trenta bambini profughi, di età compresa tra i 9 e i 14 anni, che vivevano e vivono nei campi di Shatila e Bourj Al-Barajneh in Beirut; i bambini sono diventati foto-reporter, giornalisti, operatori video, scrittori; seguendo le linee pedagogiche del pensiero dell’educatore brasiliano Paolo Freire. il progetto pedagogico, attraverso l’apprendimento attivo, mirava a dare la possibilità ai bambini e ragazzi di fare una ricerca storica e culturale sulle loro comunità, sulla memoria, sui racconti dei nonni e genitori, riflettere sulle loro vite ed esprimere le loro preoccupazioni, speranze e desideri da un punto di vista speciale quello del foto-video-reporter e giornalista e infatti oltre al libro, sono stati realizzati anche due video-documentari. L’avvio del progetto coincideva con il 50° anniversario dell’esodo di buona parte della popolazione palestinese dalla Palestina, avvenuto nel 1948, di cui i bambini partecipanti al progetto erano la quarta generazione dei profughi che ancora vivono questo lungo esilio. Si calcola che solo in Libano siano presenti circa 400.000 profughi. E nel mondo complessivamente sono circa 5 milioni i profughi palestinesi che detengono purtroppo lo status di rifugiati più lungo della storia umana. L’incontro con la dottoressa May Haddad, da anni impegnata in un grande e instancabile lavoro di prevenzione socio-sanitaria, con programmi di sostegno alle donne e ai bambini che vivono in aree emarginate e svantaggiate è stato curato dall’associazione Deposito Dei Segni insieme con La Commissione delle Pari Opportunità e l’assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Teramo. Il Deposito dei Segni è impegnato da alcuni anni con il Centro Al Jana dell’Arab Resource Va detto che, purtroppo, il villaggio in cui è stato girato il dopo documentario nel sud del Libano, dopo la guerra di luglio e agosto 2006 non esiste più. L’autore, il regista Hicham Kayed, del centro Al-Jana, ha vinto diversi premi internazionali, con documentari che indagano le condizioni esistenziali del quotidiano dei bambini e degli adolescenti nei campi profughi palestinesi, ed altro. L’iniziativa si inserisce nel più vasto progetto “La LINEA DI PACE” sostenuto da: Regione Abruzzo; Provincia di Teramo; Provincia di Pescara; Comune di Pescara; Comune di Spoltore; Comune di Giulianova; Comune di Martinsicuro; Unione dei Comuni Città Territorio Val Vibrata. Patrocinio della Presidenza della Giunta Regionale, della Presidenza del Consiglio Regionale; Collaborazione con la CGIL di Pescara, Teramo e Regionale.Il progetto, la produzione e l’organizzazione sono a cura dell’associazione Deposito Dei Segni. Cam Lecce 7 RACCONTIAMO LE DONNE Riflessioni sulla partecipazione delle donne nella vita sociale politica e lavorativa dal diritto al voto a oggi In questo numero, nello spazio riservato a voi che ci leggete, pubblichiamo una lettera pervenuta al nostro giornale da un lettore che si firma con il nome di Gianni. La pubblicazione della sua missiva, il cui contenuto è a dir poco “critico” nei confronti delle donne, ci offre l’opportunità di asserire come, ancora oggi, vi siano delle preclusioni sull’universo femminile, ricorrendo a falsi punti di riferimento, che lasciano trasparire retaggi culturali ormai non più in sintonia con l’epoca civile in cui viviamo. Comunque da parte nostra nessuna preclusione a giudizi e critiche del mondo maschile di cui vi riportiamo fedelmente una voce. Lasciamo a Voi eventuali commenti, che siamo pronti ad accogliere ed eventualmente a pubblicare nei prossimi numeri. RES EST MAGNA TACERE La Commissione per le Pari Opportunità della provincia di Teramo ha organizzato il 12 gennaio scorso il convegno “Da 60 anni… libere scegliere”al quale hanno partecipato la senatrice Lidia Menapace, l’onorevole Alberto Aiardi e i professori Silvia Salvatici e Massimo Siclari, dell’Università di Teramo. Il convegno, sapientemente coordinato dalla giornalista Tania Castelli Bonnici, si è aperto con i saluti dell’assessore Mauro Sacco e l’introduzione di Germana Goderecci, presidente della Commissione. È stato proiettato anche un interessante filmato sulle fasi più salienti della storia della donne nell’ultimo dopoguerra, con l’intervista rilasciata da Filomena Delli Castelli, deputata abruzzese alla Costituente. L’iniziativa, oltre a ricordare le donne della Resistenza e quelle della Costituente, ha voluto festeggiare le migliaia di italiane che, nel corso degli anni, hanno lottato per ottenere l’applicazione dei principi di parità ed uguaglianza già inseriti nella nostra Carta costituzionale. Partendo dalla conquista del diritto al voto, è stata avviata una riflessione sulla partecipazione femminile alla vita politica, sociale ed economica odierna. Il prossimo numero di “Notizie Donna” sarà quasi interamente dedicato al lungo cammino del diritto al voto. La redazione 8 (Marziale epigr. 4,816) Alle care amiche di Notizie Donna Giorni fa nella sala d’aspetto di uno studio medico, mentre aspettavo il mio turno, ho notato la rivista “Notizie Donna”. Un po’ per curiosità e un po’ per ingannare il tempo, ho iniziato a sfogliarla e poi a leggerla. Sono rimasto particolarmente colpito dall’articolo apparso in prima pagina sulla trasmissione “Pupa e Secchione” e, così, ho deciso di scrivervi per farvi conoscere il punto di vista di un uomo. Premesso che una pubblicazione tutta al femminile è cosa degna di lode, devo tuttavia rimarcare che nell’articolo in questione, ma non solo in quello, c’è un anacronistico orgoglio femminista che, pensavo, fosse ormai morto e sepolto. Purtroppo per voi, siete ancora alla ricerca di una parità che non può esistere in quanto non è nella natura delle cose. Non potete essere come gli uomini, la natura vi ha fatte diverse e vi ha assegnato ruoli diversi. Siete belle perché dovete attrarre l’uomo e procreare, noi uomini abbiamo l’intelligenza per progettare e creare. Donne con uguali capacità maschili sono proprio rare, per una Rita Montalcini ci sono centinaia di donne che dicono che la Gioconda è stata dipinta da Verdi e che la Svizze- ra è bagnata dal Tirreno. È la natura che vi spinge a curare più l’aspetto che l’intelligenza. Ecco perché passate ore ed ore in palestra per snellire qua o per ingrossare là, spendete metà del vostro stipendio per l’estetista e per il parrucchiere e per vestire avete bisogno dei consigli di riviste di moda e …poi, vi abbigliate come la Bellucci, anche se siete alte 1,50. Tutti i vostri frivoli impegni vi tengono lontane dai quotidiani, dai libri e dalle biblioteche. Alla TV il vostro interesse è rivolto quasi esclusivamente ai reality e raramente a trasmissioni impegnate. Allora, perché vi offendete se vi chiamiamo Pupe? Sinceramente non capisco il vostro risentimento, se volete essere somiglianti (ma non uguali) a noi uomini, allora leggete di più. Una cosa vi raccomando, non cercate di comandare: lì dove lo avete fatto avete combinato solo danni. Finiamola con la farsa del femminismo e accettatevi per quello che siete, anche come Pupe siete utili, avete un compito nella società. Non so se pubblicherete il mio sfogo, ma da ora in poi sarò un vostro attento lettore ed anche un vostro attento critico. Gianni