Il futuro delle Biotecnologie è nei nuovi investitori
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Il futuro delle Biotecnologie è nei nuovi investitori
Il futuro delle Biotecnologie è nei nuovi investitori Sommario Con un tasso di crescita di nuove imprese intorno al 50%, l’Italia delle biotecnologie sta progressivamente recuperando il ritardo maturato nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti. Di fatto, il rinato interesse verso il biotech ha riaperto un dibattito importante sulle opportunità in termini di sviluppo, innovazione e competitività dell’industria biotecnologica in Italia. In particolare, ciò di cui si discute negli ultimi anni riguarda la necessità di individuare nuovi investitori che scommettano sulle opportunità di business del settore. Le imprese che operano nelle biotecnologie necessitano di ingenti capitali da investire in Ricerca e Sviluppo e guardano con favore alla quotazione in Borsa, come ad una strada necessaria da intraprendere. Il problema di fondo rimane quindi la mancanza di incentivi pubblici e venture capital che stimolino il mercato attraverso la nascita e lo start-up di nuove imprese. Oltre a ciò, come sottolinea il Presidente uscente di Assobiotec, Sergio Dompè, in una intervista rilasciata all’Osservatorio Filas “Le esperienze in diversi paesi evidenziano come alla base del progresso dell’industria biotecnologica vi sia la presenza delle competenze tecnico scientifiche e l’instaurarsi di un rapporto di collaborazione tra le diverse realtà impegnate nel biotech in un determinato ambito territoriale: poli universitari, enti di ricerca, venture capitalist e aziende, devono imparare ad agire in nel contesto di un Network”1. 1 L’intera intervista è disponibile on-line al seguente indirizzo: www.osservatoriofilas.it/OpportunitaTecnologiche.asp?id_pagina=53&dato=186 1 Il settore delle Biotecnologie in Italia e in Europa Attualmente in Italia operano un centinaio di imprese biotecnologiche soprattutto di piccole e medie dimensioni: il 67% è focalizzato nella ricerca applicata, il 26% in quella di base. Circa il 49% è concentrato in Lombardia, mentre nel resto d’Italia esistono interessanti realtà nel Lazio (Roma, Pomezia, Latina e Frosinone), ma anche in Toscana, Emilia Romagna, Sicilia (nella zona di Catania), in Puglia (Bari) e Campania (Napoli). Per quanto concerne le aree di attività, il 33% delle imprese opera nel settore della cura della salute, il 16% nella chimica e ambiente, il 22% nell’agroalimentare ed un buon 25% nella diagnostica (cfr. grafico 1). Grafico 1 - Le biotecnologie in Italia, i settori di attività (valori percentuali) Ingegneria, impianti; 4 Terapeutico; 33 Diagnostica; 25 Chimica, ambiente; 16 Agroalimentare; 22 Fonte: Deloitte Tra i fattori che hanno rallentato la nascita di imprese biotecnologiche vi sono le modeste risorse che nel nostro Paese vengono destinate alle ricerca scientifica di base. Investire in questo settore rappresenta invece una condizione necessaria, in quanto è ormai riconosciuto a livello internazionale che il transfer applicativo è direttamente correlato all' espansione della ricerca di base2. Il processo di trasferimento tecnologico dalle Università e dai Centri di ricerca alle imprese è estremamente debole a causa del ritardo di una legislazione in materia di 2 In Italia solo l’1% del PIL è destinato alla ricerca, a fronte di una media europea del 3%. 2 proprietà intellettuale e della scarsa valutazione del merito scientifico; ostacoli che spiegano almeno in parte la ridotta capacità di creare fattivi legami con l' industria. Per quanto riguarda la situazione in Europa, le biotecnologie hanno ormai conquistato una posizione rilevante tra le priorità strategiche dell' Unione. Questa consapevolezza, espressa chiaramente dall' insieme dei Paesi Membri, ha tra i suoi effetti concreti la ricaduta virtuosa di una maggior integrazione e interconnessione transnazionale a livello di ricerca; ma soprattutto l' innesco di una rinnovata competizione per uno sviluppo dei risvolti economici delle biotecnologie che coinvolge i singoli Paesi membri e pone a confronto la loro offerta ai potenziali investitori. Il paese leader in Europa è la Germania, seguita dal Regno Unito e dalla Francia, (cfr. Tavola 1), che insieme rappresentano circa il 50% del totale delle imprese biotecnologiche europee. A notevole distanza si collocano altri paesi tra cui l’Italia (3,4% nel 2002), che tuttavia, come visto in precedenza, gode di potenzialità indubbiamente maggiori rispetto alla sua attuale posizione. Tavola 1- Le imprese biotecnologiche in Europa Paesi Germania R. Unito Francia Svezia Israele Svizzera Finlandia Paesi Bassi Danimarca Belgio ITALIA Norvegia Irlanda Spagna Totale Fonte: Assobiotec 1999 21,0 20,3 13,4 9,8 0,0 7,0 5,2 5,3 4,5 4,7 3,5 1,9 2,2 1,5 100,0 2001 20,1 16,2 10,8 9,9 1,0 6,9 5,1 4,8 3,9 4,3 3,1 1,8 1,7 1,7 100,0 2002 19,4 17,8 12,8 9,9 2,0 5,8 5,7 4,7 4,2 4,1 3,4 1,6 1,8 0,0 100,0 Secondo “Beyond Borders”, il report internazionale sulle biotecnologie realizzato da Ernst & Young, entro il 2005 il mercato delle biotecnologie in Europa è destinato a raddoppiare i valori attuali, superando il tetto dei 100 miliardi di dollari. Una crescita tale spingerà sia le aziende che gli investitori ad uscire dai confini nazionali, alla ricerca di nuovi mercati da conquistare, di tecnologie promettenti da sviluppare e di personale di talento da assumere. 3 Nuove imprese per nuovi investitori Negli ultimi dodici mesi sono nate circa dodici nuove imprese biotech che portano il totale delle società italiane vicino a quota 100. Ciò è stato favorito anche dagli investimenti in capitale di rischio che, lo scorso anno, sono pressoché quadruplicati arrivando a 13 milioni di euro3. Nonostante i progressi compiuti l’Italia si trova tuttavia in difficoltà nel reperire sufficienti risorse. Il settore si finanzia con incentivi pubblici, piuttosto limitati, con capitale di rischio, anch’esso non ancora sufficientemente presente nel biotech, ed infine con la Borsa, anche se finora le imprese quotate sono solo tre, un livello molto basso considerato che le aziende italiane del settore sono oltre 90 (in Francia, su 245 aziende biotech, le quotate sono 45)4. Dal punto di vista della domanda di finanziamenti, le imprese di nuova costituzione specializzate nel settore delle Biotecnologie non hanno bisogno solo di capitale, ma anche di consulenza e di esperienza gestionale; dal punto di vista dell’offerta sono invece necessarie soluzioni e forme tecniche di finanziamento appositamente mirate a causa della specificità di tali imprese caratterizzate da un elevato grado di rischio e di opacità informativa, soprattutto nei primi stadi di sviluppo. Negli Stati Uniti, ad esempio, il vantaggio competitivo del settore, rispetto all’Europa, è stato determinato da numerosi fattori tra cui l’utilizzo dello strumento del venture capital per finanziare nuove imprese. Il ruolo dell’investimento in capitale di rischio in un moderno sistema finanziario risulta determinate sotto numerosi profili. La possibilità di far ricorso ad operatori specializzati nel sostegno finanziario finalizzato alla creazione di valore, consente infatti alle imprese di poter reperire capitale paziente che può essere profittevolmente utilizzato nelle fasi di avvio dell’impresa (start up), piuttosto che per piani di crescita, nuove strategie, acquisizioni aziendali, passaggi generazionali e altri processi critici del loro ciclo di vita, come lo sviluppo di nuovi prodotti e nuove tecnologie, o ancora per il rafforzamento della struttura finanziaria di una società. È soprattutto all’interno di questo mutato quadro strutturale che si inserisce il duplice ruolo dell’investitore istituzionale in capitale di rischio, il cui supporto non si esaurisce 3 L’Italia è sesta in Europa insieme alla Danimarca, sia come numero di imprese sia come quantità di farmaci in sperimentazione. 4 Già nel “Green Paper on Innovation” del 1995 la Commissione Europea attribuiva la limitata capacità di innovare in Europa all’inefficacia dei sistemi di finanziamento. Al primo posto tra le cause della disparità di crescita economica tra Stati Uniti e Europa la Commissione Europea individuava le limitazioni finanziarie allo sviluppo dell’innovazione e in particolar modo l’assenza di un mercato azionario per le imprese innovative 4 nella mera fornitura di capitale, ma si quantifica anche nella disponibilità di know-how manageriale che l’investitore mette a disposizione dell’impresa per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Questo si traduce nella possibilità di supporto alla crescita esterna attraverso contatti internazionali, collaborazioni con aziende partecipate nello stesso o in altri settori, vicinanza a centri di ricerca universitari e privati, con possibilità di accesso notevolmente più elevate. Il socio istituzionale possiede inoltre una consolidata esperienza su una molteplicità di diverse realtà imprenditoriali e pertanto beneficia di un’invidiabile esperienza a cui la società partecipata può accedere. Infine, ma non per questo meno importante, è l’esperienza in tema di accompagnamento alla quotazione in borsa, che si rivela preziosa in un processo intrinsecamente complicato nei tempi e nelle procedure. I fondi che hanno investito i venture capital nelle biotecnologie sono stati di grande aiuto alla qualità ed al numero dei progetti in corso. Il venture capitalist, una volta esaurita la propria funzione di fornitore di informed capital, diventa socio temporaneo dell’imprenditore ed è interessato a monetizzare il proprio investimento ed a realizzare un guadagno di capitale attraverso la cessione della partecipazione (AIFI, 2000)5. Tra le principali opportunità di disinvestimento più favorevoli sia per il venture capitalist che per l’imprenditore vi è la quotazione su mercati regolamentati con un Initial Public Offering (Ipo)6. E’ la mancanza di questi fattori in Europa che assegna il vantaggio all’America, ed è la causa dell’entrata in ritardo dei Paesi europei nel mercato delle biotecnologie. In particolare nonostante l’elevata qualità della ricerca, la scarsa capacità di attivare canali tra accademia ed il mondo dell’industria, il lungo tempo impiegato dal potere politico europeo per assegnare un ruolo di importanza strategica alla ricerca biotecnologia e alle risorse specifiche da investire in venture capital, vanno considerate le ragioni dello svantaggio europeo nel settore. Il settore delle biotecnologie sebbene abbia dimensioni ancora molto ridotte mostra una capacità attrattiva in crescita. Questo dovrebbe incentivare nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, oltre che lo sviluppo di nuove forme di finanziamento che tengano conto delle caratteristiche del settore: elevati investimenti in Ricerca e Sviluppo e una buona dose di rischio iniziale. 5 Di fatto, il comune denominatore rimane l’acquisizione di partecipazioni significative in imprese, in ottica di medio–lungo termine e il loro conseguente sviluppo, finalizzato al raggiungimento di una plusvalenza derivante dalla successiva vendita di partecipazioni. 6 Le tre società quotate a Piazza Affari hanno raccolto circa 500 milioni di euro durante la fase di Ipo. 5 Riferimenti Bibliografici Il Sole 24-Ore del 6 luglio 2004, “Piazza Affari “chiama” il biotech”. Il Sole 24-Ore del 5 luglio 2004, “Biotecnologie a caccia di risorse”. Assobiotec, , Biotecnologie: una opportunità di sviluppo e competitività per il paese. Relazione annuale del Presidente. Milano, 2003. Ernst & Young, Beyond Borders: The Global Biotechnology Report 2003, in corso di pubblicazione. Massimo Delledonne e Nicola Borzi (a cura di), Biotecnologie in agricoltura. realtà, sicurezza e futuro. Assobiotec. Milano, 2001. Osservatorio per il settore chimico, Ministero attività produttive, Le piccole imprese Biotecnologiche in Italia: Le tecnologie, i prodotti, i servizi. Roma, 2000. Vittorio Chiesa (a cura di), “La bioindustria: un quadro internazionale”, Università di Milano Bicocca (in corso di pubblicazione). 6