Mallet fracture e tecnica percutanea

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Mallet fracture e tecnica percutanea
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plice anche in virtù della
sua applicazione sovraperiostale. Questo tipo di
emiepifisiodesi, a differenza di altri interventi,
non determina la fusione
della fisi e questo permette, quindi, di poter intervenire più volte e a qualsiasi età. La possibilità di
impiego non è limitata
solo al ginocchio, ma può
essere estesa anche all’anca, alla caviglia, al polso e
al gomito.
L’indicazione è ampia:
deformità
idiopatiche,
sindrome di Blount (7),
rachitismo,
deformità
post-traumatiche (8) ecc.
Concludendo, rappresenta quindi una valida tecnica di intervento per
correggere le deformità
angolari per numerosi
motivi: facile applicazione, non impiego della fisi,
precisione nella correzione, trattamento possibile
a tutte le età, possibilità
di reintervento e costi
sanitari contenuti.
Infine, il sistema è mininvasivo poiché gli accessi
chirurgici sono piccoli
(pochi
centimetri).
Mininvasività che in
ortopedia pediatrica è
sempre
importante.
Citando J.W. Goethe:
“Chi ha molto a che fare
con i bambini scoprirà che
nessuna azione esteriore
resta senza influsso su di
loro”.
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8. Peter M. Stevens, MD,
and Felicity Pease, MS
“Hemiepiphysiodesis for
Posttraumatic
Tibial
Valgus”, Vol. 26, Nr. 3,
May/June 2006.
Fig. 6: bambino di 8 anni con ginocchio valgo sinistro in rachitismo: controllo clinico e radiografico a 2 anni dall'intervento
MANO
Mallet fracture
e tecnica percutanea
Descritto dalla letteratura
come la frattura articolare
della falange distale di un
dito della mano a livello
dell’inserzione del tendine estensore alla base
distale, questa frattura fu
inquadrata per la prima
volta nel 1880 da Segond,
che descrisse il conseguente aspetto di “dito a
martello” ad esito post
traumatico. La causa più
frequente, e soprattutto
quella che meglio spiega
la modalità dell’evento, è
la “pallonata” giocando a
pallavolo.
L’avulsione del tendine
estensore della falange
distale del dito generalmente consegue ad un
trauma di medio-alta
energia che presenta un
vettore
longitudinale
rispetto all’asse meccanico della falange, tale da
costringere una iperflessione “violenta” e forzata
sulla falange distale mentre si ha una contrazione
dell’estensione. Si genera
in questo modo una risultante di più forze che,
combinandosi tra loro,
portano al distacco dell’inserzione estensoria del
legamento, con discontinuità della superficie articolare.
L’evoluzione degenerativa
dell’articolazione è sicuramente una delle principali complicanze di un non
corretto riallineamento
osseo e di una non solida
stabilità del frammento.
L’evoluzione
delle tecniche
Poniamo come cut-off per
l’intervento chirurgico di
riduzione e sintesi quando
il 35% della superficie
articolare risulta danneggiata, o meglio, quando il
frammento osseo rimasto
unito alla parte terminale
del legamento risulta essere circa il 35% della componente articolare della
falange distale.
Le metodiche di riduzione
a cielo aperto hanno portato tuttavia negli anni a
scarsi risultati, mostrando
limiti e complicanze di
questa tecnica, ma spingendo anche nuovi autori
a trovare strade alternative per stabilizzare il frammento senza dover aprire
l’articolazione.
Descritta già alla fine
degli anni Ottanta da
Ishiguro, la tecnica di
riduzione e sintesi per via
percutanea fu poi ripresa
con successo da numerosi
altri autori facendone così
il gold standard per questa
tipologia di frattura.
Ancor prima dell’intervento chirurgico è assolutamente necessario un
buon programma preoperatorio con studio delle
radiografie in proiezione
anteroposteriore e laterale. La visione del frammento, la sua superficie,
l’eventuale rotazione e
retrazione sono parametri
essenziali per la valutazione di un corretto approccio chirurgico.
Descrizione
della tecnica percutanea
La tecnica chirurgica si
basa sul posizionamento
di due fili di K. in anestesia tronculare digitale, in
modo da poter lasciare
ossificare il frammento
senza che il dito resti
atteggiato “a martello”.
Sotto controllo amplificatore di brillanza, si posiziona il primo filo di K.;
esso deve scorrere al di
sopra del frammento osseo
utilizzando come punto di
ingresso il terzo superiore
lungo la linea mediana
dell’articolazione distale
della falange intermedia.
L’inserimento del primo
filo avviene con la falange
flessa di circa 30°, confidando che la trazione
periostale trascini verso il
basso anche il frammento
libero da esso.
Si esegue controllo ampliscopico per valutare di
non essere passati transossei al frammento, ma di
esservi scivolati lungo il
margine dorsale.
A controllo avvenuto, si
porta la falange distale in
iperestensione, garantendo così la riduzione del
frammento che viene
mantenuto nella sua sede
anatomica dal filo precedentemente posizionato.
Ovviamente un singolo
filo di K. non può conferire la necessaria stabilità
che serve per poter permettere una perfetta ricostruzione anatomica dell’articolazione.
Si procede quindi al posizionamento del secondo
filo, questa volta passante
longitudinalmente per la
falange distale e per l’articolazione e fissato a livello della falange intermedia.
Una volta applicati i due
fili di K., si esegue un ultimo controllo in brillanza
per valutare il corretto
posizionamento del frammento: il primo filo è
necessario ad evitare che
il frammento “sfugga” in
senso posteriore, mentre
il secondo filo è necessario a mantenere bloccata
l’aticolazione interfalangea distale per il tempo
necessario al consolidamento osseo.
Il post operatorio deve
essere caratterizzato da
una immobilizzazione dell’interfalangea distale ma
da una mobilizzazione
precoce delle articolazioni
metacarpofalangee
e
interfalangea prossimale.
Generalmente il filo dorsale viene rimosso alla
quarta settimana e quello
longitudinale alla quinta
settimana, dopo aver
effettuato un controllo
radiografico.
Una variante
alla tecnica
La tecnica percutanea
permette non solo di limitare le complicanze chirurgiche legate all’intervento, ma soprattutto
garantisce una precoce
mobilizzazione evitando il
rischio di rigidità articolare.
Una possibile variante a
questa tecnica che mantiene il merito di essere
percutanea, è quella definita “a manico d’ombrello”. Concettualmente non
varia da quanto descritto
fin ora: si tratta di un fissaggio percutaneo a mezzo
di fili di K.
La variante risulta nel
posizionamento di un singolo filo che viene inserito perpendicolarmente da
dorsale a volare, sempre
sotto controllo scopico,
passante per il frammento
osseo e ancorato direttamente alla falange distale.
Il filo sporgente nel suo
tramite dorsale viene poi
piegato a ricciolo in modo
da generare una trazione
che avvicini i due frammenti ossei.
Anche in questo caso il
dito viene poi immobilizzato tramite tutore dorsale
con rimozione della sintesi dopo sei settimane.
In definitiva comunque la
letteratura internazionale
ha messo in luce come le
tecniche percutanee portino ad un miglior risultato clinico e ad una riduzione dei rischi operatori
locali.
Lorenzo Castellani
Matteo Laccisaglia