Mallet fracture e tecnica percutanea
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Mallet fracture e tecnica percutanea
17 plice anche in virtù della sua applicazione sovraperiostale. Questo tipo di emiepifisiodesi, a differenza di altri interventi, non determina la fusione della fisi e questo permette, quindi, di poter intervenire più volte e a qualsiasi età. La possibilità di impiego non è limitata solo al ginocchio, ma può essere estesa anche all’anca, alla caviglia, al polso e al gomito. L’indicazione è ampia: deformità idiopatiche, sindrome di Blount (7), rachitismo, deformità post-traumatiche (8) ecc. Concludendo, rappresenta quindi una valida tecnica di intervento per correggere le deformità angolari per numerosi motivi: facile applicazione, non impiego della fisi, precisione nella correzione, trattamento possibile a tutte le età, possibilità di reintervento e costi sanitari contenuti. Infine, il sistema è mininvasivo poiché gli accessi chirurgici sono piccoli (pochi centimetri). Mininvasività che in ortopedia pediatrica è sempre importante. Citando J.W. Goethe: “Chi ha molto a che fare con i bambini scoprirà che nessuna azione esteriore resta senza influsso su di loro”. Bibliografia 1. An KN, Himeno H, Taumura H, et al. Pressure distribution on articular surfaces: applications to joint stability. J Eval Biomech. 1990;23: 10131022. 2. Stevens P, MacWilliams B, Mohr A. Gait analysis of stapling for genu valgum. J Pediatr Orthop. 2004;24:70-74. 3. Blount WP, Clark GR. Control of bone growth by epiphyseal stapling. J Bone Joint Surg. 1949;31A:464-471. 4. Blount WP. A mature look at epiphyseal stapling. Clin Orthop. 1971;77:158-163. 5. Mycoskie P. Complications of osteotomies about the knee in children. Orthopaedics. 1981;4:1005-1015. 6. Steel H, Sandrow R, Sullivan P. Complications of tibial osteotomy in children for genu valgum or varum. J Bone Joint Surg. 1971;53A: 16291635. 7. Matthew J DeOrio, MD, James K DeOrio, MD. Blount Disease. Nov 18, 2008. 8. Peter M. Stevens, MD, and Felicity Pease, MS “Hemiepiphysiodesis for Posttraumatic Tibial Valgus”, Vol. 26, Nr. 3, May/June 2006. Fig. 6: bambino di 8 anni con ginocchio valgo sinistro in rachitismo: controllo clinico e radiografico a 2 anni dall'intervento MANO Mallet fracture e tecnica percutanea Descritto dalla letteratura come la frattura articolare della falange distale di un dito della mano a livello dell’inserzione del tendine estensore alla base distale, questa frattura fu inquadrata per la prima volta nel 1880 da Segond, che descrisse il conseguente aspetto di “dito a martello” ad esito post traumatico. La causa più frequente, e soprattutto quella che meglio spiega la modalità dell’evento, è la “pallonata” giocando a pallavolo. L’avulsione del tendine estensore della falange distale del dito generalmente consegue ad un trauma di medio-alta energia che presenta un vettore longitudinale rispetto all’asse meccanico della falange, tale da costringere una iperflessione “violenta” e forzata sulla falange distale mentre si ha una contrazione dell’estensione. Si genera in questo modo una risultante di più forze che, combinandosi tra loro, portano al distacco dell’inserzione estensoria del legamento, con discontinuità della superficie articolare. L’evoluzione degenerativa dell’articolazione è sicuramente una delle principali complicanze di un non corretto riallineamento osseo e di una non solida stabilità del frammento. L’evoluzione delle tecniche Poniamo come cut-off per l’intervento chirurgico di riduzione e sintesi quando il 35% della superficie articolare risulta danneggiata, o meglio, quando il frammento osseo rimasto unito alla parte terminale del legamento risulta essere circa il 35% della componente articolare della falange distale. Le metodiche di riduzione a cielo aperto hanno portato tuttavia negli anni a scarsi risultati, mostrando limiti e complicanze di questa tecnica, ma spingendo anche nuovi autori a trovare strade alternative per stabilizzare il frammento senza dover aprire l’articolazione. Descritta già alla fine degli anni Ottanta da Ishiguro, la tecnica di riduzione e sintesi per via percutanea fu poi ripresa con successo da numerosi altri autori facendone così il gold standard per questa tipologia di frattura. Ancor prima dell’intervento chirurgico è assolutamente necessario un buon programma preoperatorio con studio delle radiografie in proiezione anteroposteriore e laterale. La visione del frammento, la sua superficie, l’eventuale rotazione e retrazione sono parametri essenziali per la valutazione di un corretto approccio chirurgico. Descrizione della tecnica percutanea La tecnica chirurgica si basa sul posizionamento di due fili di K. in anestesia tronculare digitale, in modo da poter lasciare ossificare il frammento senza che il dito resti atteggiato “a martello”. Sotto controllo amplificatore di brillanza, si posiziona il primo filo di K.; esso deve scorrere al di sopra del frammento osseo utilizzando come punto di ingresso il terzo superiore lungo la linea mediana dell’articolazione distale della falange intermedia. L’inserimento del primo filo avviene con la falange flessa di circa 30°, confidando che la trazione periostale trascini verso il basso anche il frammento libero da esso. Si esegue controllo ampliscopico per valutare di non essere passati transossei al frammento, ma di esservi scivolati lungo il margine dorsale. A controllo avvenuto, si porta la falange distale in iperestensione, garantendo così la riduzione del frammento che viene mantenuto nella sua sede anatomica dal filo precedentemente posizionato. Ovviamente un singolo filo di K. non può conferire la necessaria stabilità che serve per poter permettere una perfetta ricostruzione anatomica dell’articolazione. Si procede quindi al posizionamento del secondo filo, questa volta passante longitudinalmente per la falange distale e per l’articolazione e fissato a livello della falange intermedia. Una volta applicati i due fili di K., si esegue un ultimo controllo in brillanza per valutare il corretto posizionamento del frammento: il primo filo è necessario ad evitare che il frammento “sfugga” in senso posteriore, mentre il secondo filo è necessario a mantenere bloccata l’aticolazione interfalangea distale per il tempo necessario al consolidamento osseo. Il post operatorio deve essere caratterizzato da una immobilizzazione dell’interfalangea distale ma da una mobilizzazione precoce delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangea prossimale. Generalmente il filo dorsale viene rimosso alla quarta settimana e quello longitudinale alla quinta settimana, dopo aver effettuato un controllo radiografico. Una variante alla tecnica La tecnica percutanea permette non solo di limitare le complicanze chirurgiche legate all’intervento, ma soprattutto garantisce una precoce mobilizzazione evitando il rischio di rigidità articolare. Una possibile variante a questa tecnica che mantiene il merito di essere percutanea, è quella definita “a manico d’ombrello”. Concettualmente non varia da quanto descritto fin ora: si tratta di un fissaggio percutaneo a mezzo di fili di K. La variante risulta nel posizionamento di un singolo filo che viene inserito perpendicolarmente da dorsale a volare, sempre sotto controllo scopico, passante per il frammento osseo e ancorato direttamente alla falange distale. Il filo sporgente nel suo tramite dorsale viene poi piegato a ricciolo in modo da generare una trazione che avvicini i due frammenti ossei. Anche in questo caso il dito viene poi immobilizzato tramite tutore dorsale con rimozione della sintesi dopo sei settimane. In definitiva comunque la letteratura internazionale ha messo in luce come le tecniche percutanee portino ad un miglior risultato clinico e ad una riduzione dei rischi operatori locali. Lorenzo Castellani Matteo Laccisaglia