Quattro passeri per un saltimpalo

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Quattro passeri per un saltimpalo
QUATTRO PASSERI PER UN SALTIMPALO
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La sera arriva improvvisa.
Scende veloce sui casermoni di periferia.
Le giornate si sono accorciate a tal punto che tra l'ora della merenda e
quella della cena c'è solo il tempo per una partitella nel cortile di casa,
intirizziti dal freddo che morde sotto il maglione di lana ruvida, che
congela mani e nasi e fa sfuggire la presa al portiere piagnucoloso.
Il treno che fischia arrivando in prossimità della stazione definisce l'orario.
Fine della partita e del pomeriggio all'aperto.
Non c'è luce nell'ampio cortile. Solo le finestre che ad una ad una si
accendono.
A continuare c'è il rischio di perdere il pallone tra i cespugli o, peggio,
oltre il muro di cinta che divide dalla strada asfaltata.
Dalla strada si allunga il riverbero di un lampione.
Meglio andare, dunque.
Le bambine sono già rientrate alle prime avvisaglie del buio.
C'è da finire i compiti.
Da preparare la cartella per l'indomani.
È un'operazione che gli piace: prima il sussidiario, ricoperto con carta
traslucida, poi i quaderni a righe larghe per l'italiano, a quadretti per
l'aritmetica. Sono quasi nuovi, si riempiranno presto di parole di frasi di
numeri. Hanno la ruvida copertina nera, una grande etichetta bianca per il
nome, e il bordo rosso a fare la costolatura dei fogli. Profumano di carta,
di gomma arabica, di tabacco.
E poi c'è l'astuccio di legno a doppi scomparti, per la matita, per la penna,
la gomma, il nettapennino.
E oggi ci metterà anche la nuova scatola di acquerelli. La farà vedere al
maestro. Ne va orgoglioso.
È un regalo della nonna.
Gli ha detto “ tienili con cura... la prossima estate ti insegnerò ad usarli...ti
piacerà”.
E poi... tra poco...ci sarà dell'altro da fare. Più eccitante, perfino più serio.
E fin che l'ultimo non se ne sarà andato, meglio non procedere.
I compagni di gioco, si sa, a volte sono invidiosi. Dispettosi.
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Ce n'è uno solo di cui ci si può fidare.
Uno che come lui ha una passione segreta. Uno che capisce e non tradisce.
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Non occorrono parole. Basta uno sguardo all'orologio, un cenno con la
testa al cielo che sta scurendo. Si intendono al volo.
- Ciao. A domani. Ci vediamo alla solita ora Il piccolo gruppo sciama verso casa. Scala A, secondo piano. Scala B,
pianterreno...
Lui è il più fortunato. Dalle sue finestre al terzo piano può vedere le
montagne.
La lontananza le tinge di azzurro a tutte le stagioni, di bianco d'inverno.
E dalla finestra della camera può tenere d'occhio il cortile sottocasa.
Le montagne lo catturano, lo fanno sognare. Si fa prendere dalla nostalgia
dell'estate.
È la stagione più bella perché ogni anno raggiunge i nonni, lassù, a Borgo
Valsugana, dove è nato e da dove proviene la famiglia della mamma.
Lì si sente veramente libero. Lì, si sentirà sempre a casa.
È un bambino appartato. Strano, verrebbe da dire, sempre così silenzioso,
sembra costantemente soprappensiero, svagato. Ma no, in verità è attento
piuttosto a qualcosa che ai suoi compagni interessa poco. Gli piace
osservare la natura, capire.
Curioso. Dove vanno le formiche avanti e indietro, instancabili, senza
intralciarsi, con un carico spropositato rispetto alla dimensione del corpo?
Cosa le guida? Come fa il merlo a capire infallibilmente che sotto terra, a
pelo di superficie, un verme sta scavando il suo cunicolo? Perché le
lucertole perdono la coda, che poi ricresce, magari biforcuta? E i gatti!
Starebbe ore ad osservarli: il movimento guardingo, silenzioso e sornione
che si immobilizza naso all'aria seguendo il volo di una farfalla, il canto di
un uccello nascosto tra il fogliame sui rami bassi dell'albero.
Anche lui si incanta ad ascoltare gli uccelli, ne riconosce il cinguettio, si
prova a rifare il verso, piano, con piccoli fischi modulati.
A volte rispondono.
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Ad essere sinceri, quello che gli piace di più è disegnare.
Ma solo in casa, fuori non si può, è troppo difficile. Anche se un giorno ha
provato a portarsi un piccolo notes e una matita per copiare qualcosa dal
vivo.
Voleva rifare una lucertola striata, gli piace il colore, la forma allungata del
corpo sinuoso, il movimento a scatti della testa, le zampine dalle dita
larghe, sicure anche sui muri a perpendicolo.
Ma le lucertole non stanno ferme. Al minimo movimento scappano e devi
aspettare immobile per vedere se tornano e intanto ecco una cavalletta ti
cattura l'attenzione o una coccinella o un grosso calabrone nero, vellutato
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contro il muro.
Meglio accontentarsi di guardare.
Bisogna guardare bene, con attenzione, cogliere i particolari.
C'è tutto un mondo da scoprire là fuori, un mondo di cose interessanti, un
mucchio di particolari curiosi da registrare. Proverà a disegnarli una volta
a casa, a ripeterli a memoria.
Prima un leggero segno a matita per il contorno, poi i particolari minuti.
Poi il colore. Pastelli a matita, una scatola da dodici. “Stabilo”.
Li ricorda come fosse oggi.
E si rivede, chino sul tavolo della cucina di casa, ragazzino di otto, nove
anni, assorto nello sforzo di rendere con verità qualche particolare di
quello che ha visto là fuori. Una farfalla gialla e nera, la lucertola striata, il
muso del gatto, un pettirosso.
È davvero questo che gli piace. Disegnare.
È quello che farà da grande. Non ha dubbi, lo sente con una sicurezza che
non mostrerà tentennamenti anche negli anni a venire.
E adesso la nonna con questo regalo...
Ha occhio la nonna: è maestra elementare lassù, nel paese di montagna. I
bambini li conosce bene e questo suo nipote (e non perché sia suo nipote)
è veramente speciale. Lo tiene d'occhio, ne ha capito l'inclinazione.
Mostra una predisposizione particolare che non ha mai colto in nessuno
dei suoi allievi in tanti anni di scuola. Ama osservare la natura e ama
disegnarla.
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Ha un segno istintivo, un'osservazione acuta, precisa, un amore quasi
maniacale per i particolari. Avrà preso da suo nonno, scultore, che il
disegno l'ha studiato all'accademia di Vienna e che ha speso tutta una vita
ad insegnarlo.
Il bambino, d'altra parte (si è mai sentita una cosa simile?), per la festa di
santa Lucia le ha chiesto in regalo una piccola enciclopedia come quella
che qualche volta le ha visto consultare quando si sente costretta a
rispondere con chiarezza, senza imprecisioni o titubanze alle sue domande
incalzanti, alle sue curiosità.
Quattro volumetti in bianco e nero edizioni UTET dal titolo chiaro e
promettente: “La vita degli animali”.
È stato accontentato e ora li sfoglia continuamente, cerca, legge, confronta.
Mai regalo è stato più apprezzato, tanto gradito. Non il “meccano”, non il
fucile di legno e latta o la pistola ad acqua o il pallone, o uno qualsiasi dei
giocattoli preferiti dai bambini. Una enciclopedia...
La nonna è orgogliosa di questo bimbetto, è di buona covata, è un cucciolo
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di razza. Promette bene.
E anche se forse è troppo presto, forse davvero un po' prematuro, gli ha già
fatto avere una scatola di acquerelli.
È sicura che una volta che avrà imparato ad usarli gli piacerà, ne caverà
qualcosa di buono, ne avrà soddisfazione.
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Lava il pennello, butta via l'acqua sporca di colore, torna a guardare con
occhio critico il foglio che si sta asciugando. Soddisfatto. Ecco uno
splendido esemplare di camoscio. Lo ha catturato col binocolo nell'ultima
uscita in montagna. Lo ha fotografato e poi lo ha ritratto preciso preciso:
scuro sulla cengia, si staglia contro un cielo tersissimo, il naso al vento per
cogliere la bava di un odore sospetto, le piccole corna ricurve, la pancia
bianca di pelo nuovo contro il verde dei mughi.
Li conosce a memoria gli animali della montagna, tutti. Ne conosce
abitudini, ambiente, astuzie. Bestie e uccelli.
Da tempo, ormai convertito, li cattura soltanto con l'obbiettivo ma sempre,
ogni volta, risente quel fremito sottile, la vibrazione sottopelle,
l'eccitazione non sopita del vecchio cacciatore che ha individuato la preda,
che riesce, inosservato, non visto, a spiarla dal folto, a tenerla sotto tiro.
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Respira piano, trattiene il fiato. Suda di eccitazione.
E il clic che scatta la foto risuona alle sue orecchie come quel bang preciso
e impietoso del dito sul grilletto, quando in un tempo lontano, cacciatore
convinto, non gli bastava il trofeo di un'immagine in bianco e nero.
Voleva pregustare, provare, vivere fino in fondo l'atavico piacere della
cattura, del sacrificio della vita sentito e patito nel sangue dell'animale
ucciso.
E che giorni di attesa prima della caccia, quanti sogni ad occhi aperti,
quanti disegni di preparazione...
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Con lo stesso spirito dell'uomo delle caverne, con uguale mano, ad uno ad
uno, con precisione rituale, traccia segni propiziatori sui fogli, come in un
rito ancestrale che lo fa sentire idealmente legato a tutti i cacciatori del
passato, ai preistorici frequentatori di Altamira e di Lascaux, agli abitanti
del deserto, boscimani, pigmei, guerrieri di ogni epoca e latitudine, fino a
Ozi, uomo di Similaun, legati a lui attraverso le figure tracciate in ocra
rossa o nere di carbone, o gialle e bianche di terre naturali, lasciate sulle
pareti di roccia in santuari di pietra, grotte profonde, caverne nel ventre
della terra, cattedrali del creato, monumenti alla vita che muore e rinasce.
E dopo, a caccia finita, ecco anche per lui i trofei. Ora sono immortalati
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sulla tela, ad olio, o riprodotti accuratamente su legno, incisi a fuoco con il
pirografo, o disegnati e colorati ad acquerello, riposti poi con cura in
cartellette, o esibiti sulle pareti di casa senza lasciare un minimo spazio
libero, un centimetro scoperto, a ricostruire il suo bosco privato, le sue
montagne, i suoi personali territori di caccia.
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Quanti segni da quel primo acquerello infantile... Da quel lontano giorno
d'inverno.
Sorride al ricordo...
Si erano lasciati così:
- Ciao - a domani - ci vediamo alla solita ora Ecco. Adesso che tutti si sono ritirati, adesso che anche l'ultimo ritardatario
ha deciso di ubbidire alla voce insistente della mamma che dalla finestra
chiama per i compiti, adesso... è finalmente il momento di procedere...
di entrare... silenziosi... in azione...
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La cantina è il luogo più sicuro per tenere le tagliole quando non servono.
È giusto nel sottoscala, dopo l'androne, comoda al cortile. Il cortile è
sempre pieno di passeri. Il negoziante di frutta e verdura, all'angolo, vende
ogni sorta di uccelli: allodole, tordi, fringuelli, peppole.
I passeri no, sono troppo piccoli, c'è poca carne, non rendono. Ma qualche
inquilina del palazzo si accontenta anche di questo magro bottino. E lo
paga. Trenta lire l'uno.
Trenta lire sonanti per ogni passero venduto.
Per lui non è poco. Un po' si vergogna a ricevere il denaro. È timido e poi,
e c'è da crederci, non lo fa per i soldi, ma è una bella soddisfazione
ricevere un compenso per un'impresa che si è portata a termine da soli,
senza l'aiuto dei grandi.
Certo un po' gli dispiace per gli uccellini, prova un senso di colpa
sotterraneo, un sottile fastidio che gli guasta la soddisfazione piena.
Ma si sa, l'uomo è cacciatore... e lui è un cucciolo d'uomo!
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Hanno “armato” le tagliole con mollica di pane.
Le cinque sue, le quattro dell'amico.
Dalla finestra, una volta risalito a casa, le terrà d'occhio tutte, anche quelle
dell'amico che non ha finestre dalla parte del cortile.
La macchia bianca del pane che fa da esca si vede bene, risalta nell'erba
secca anche da lontano.
Quando non si vedrà più, vorrà dire che le tagliole sono scattate e la
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cattura è assicurata.
Allora bisogna correre a rottadicollo giù per le scale per arrivare prima del
gatto...
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La notte di domenica è nevicato un po', e così la mattina.
Dall'alto si vedono molti uccelli svolazzare nel cortile.
Non si riconosce la specie ma si indovinano le sagome scure contro il
bianco della neve. E non si vede più, in tutto quel biancore, il chiaro delle
esche.
Meglio scendere a controllare...
Tre passeri maschi e una femmina. Caccia fortunata.
Centoventi lire.
Castagnaccio e liquirizia, e gli elastici quadrati per una nuova fionda. Da
Onestinghel in piazza Bra.
Ora deve controllare anche le tagliole dell'amico, prima del gatto.
Eccolo che arriva anche lui, l'amico, di corsa, imbacuccato e speranzoso
sbucando trafelato dall'angolo della casa.
Per lui, due passeri e … uno strano uccellino.
Più piccolo degli altri, bellissimo, pieno di colori e dal becco “gentile” che
lo dichiara “insettivoro, cioè che non si nutre di grano”.
Cosa darebbe perché fosse suo, per averlo, tenerlo in mano, osservarlo da
vicino, cercarne il nome sui libri della nonna, disegnarlo con calma.
Con un'ispirazione improvvisa si sente dire:
“quattro passeri per il tuo uccellino!”
“ci sto”
Affare fatto.
Adesso è suo. Lo regge con delicatezza, morbido e leggero nel palmo.
Liscia le piume adagio, lievemente, quasi avesse timore di sciuparle. Che
tavolozza di colori...
Ha la testa scura, quasi nera, il petto di un vivido colore aranciato, forse
rossiccio come il pettirosso, due macchie bianche ai lati del capo, dorso e
ali molto scuri di un marrone vellutato che arriva al nero, sopracoda grigio
chiaro come di perla, e coda quasi nera.
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Saltimpalo. Ha trovato il nome nell'enciclopedia.
Quello scientifico è Saxicola torquata.
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È riuscito a riconoscerlo sfogliando le pagine ad una una, pur nelle incerte
figure in bianco e nero, a confrontarne caratteristiche e fattezze,
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dimensioni, becco, zampe.
Nel capitolo dedicato ai tordi legge:
“ I turdidi costituiscono una ricca famiglia cosmopolita che comprende
uccelli di mole e costumi molto differenti, spesso eccellenti cantori. Vi
appartengono in Europa i tordi propriamente detti (Turdus), i merli, la
passera solitaria ed il codirossone, tutti di mole notevole. Sono invece di
piccola mole i saltimpali ( Saxicola), i codirossi (Poenicurus), i culbianchi
(Oenathe), i pettazzurri (Cyanosilvia), i pettirossi (Erithacus), gli usignoli
( Luscinia).”
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La scatola di acquerelli della nonna, non ancora aperta, lo attira
irresistibilmente.
È arrivato il momento.
Senza titubanza prende un foglio immacolato.
Fa la punta alla matita.
Soppesa il pennello nuovo.
Lo intinge nell'acqua limpidissima che riempie il bicchiere di vetro
trasparente.
Traccia il primo segno...
Ed è a questo punto che nasce, con assoluta naturalezza, in una domenica
d'inverno bianca di neve e rossa di nuove emozioni, per amore di un
piccolo uccello colorato, la Saxicola torquata, della famiglia dei turdidi,
nome volgare saltimpalo, il primo acquerello verista di una serie
interminabile, che ancora non ha perso la freschezza di quella prima volta
e che ancora non ha visto, fortunatamente, conclusione.
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Carla
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Collesei Billi