La Corte non si pronuncia sull`automatica

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La Corte non si pronuncia sull`automatica
Corte cost., 6 aprile 2016 (dep. 20 maggio 2016), n. 114 – Pres. Grossi –
rel. Frigo
Giudizi penali speciali – Giudizio abbreviato – Esclusione del responsabile civile – Lamentata violazione dei principi di eguaglianza, per disparità di trattamento rispetto alla parte civile in relazione alle pretese civilistiche, della ragionevole durata del processo
e del diritto di agire in giudizio – Difetto di congrua motivazione
sulla rilevanza della questione – Manifesta inammissibilità
Dalle
corti
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell'art. 87, comma 3, cod.
proc. pen., in forza del quale l'esclusione del responsabile civile è disposta senza ritardo, anche
di ufficio, quando il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato. La Corte rimettente
non motiva in modo adeguato l'asserita rilevanza della questione, la quale viene fatta discendere, in sostanza, dal solo fatto che essa sia stata nuovamente prospettata dall'imputato nell'atto di appello, senza indicare in qual modo il suo accoglimento inciderebbe sul giudizio a quo,
discutendosi della posizione di una parte già estromessa dal giudizio di primo grado e nei cui
confronti non è stato instaurato il contraddittorio in grado di appello.
Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista.
La Corte non si pronuncia sull’automatica esclusione
del responsabile civile dal giudizio abbreviato
1. La questione sollevata.
Con l’ordinanza in esame, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale dell’art. 87, co. 3, c.p.p., sollevata dalla Corte d’appello di Milano per l’asserito contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui la norma
richiamata prevede che l’esclusione del responsabile civile «è disposta senza ritardo, anche di
ufficio, quando il giudice accoglie la richiesta di giudizio abbreviato»; decisione cui, tuttavia, è
pervenuta per «difetto di congrua motivazione sulla rilevanza», analogamente a quanto disposto in precedenza (Corte cost., ord. 2 luglio 2008, n. 247, in Giur. cost., 2008, 4, 2917), negando,
di fatto, nuovamente il sindacato di legittimità costituzionale sul punto.
La questione posta dalla Corte di appello di Milano nell’ambito di un procedimento instaurato
per i reati di omicidio colposo plurimo, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, e di guida in stato di ebbrezza, riguardava, quindi, la previsione della “estromissione” d’ufficio del responsabile civile, sancita dall’art. 87, co. 3, c.p.p. che, secondo l’esegesi
letterale della norma ed in ossequio a giurisprudenza costante, è disposta ineluttabilmente dal
giudice dell’udienza preliminare che abbia accolto l’istanza di accesso al giudizio abbreviato.
Fabrizio Galluzzo
Automatismo (che la giurisprudenza ha considerato operante anche laddove il giudice
non abbia esplicitato l’estromissione del responsabile civile: Cfr., Cass. pen., sez. II, 10 ottobre
2014, n. 44571; Cass. pen., sez. V, 7 giugno 2011, n. 37370) che, osserva il giudice rimettente,
era conforme all’assetto originario del rito che doveva rappresentare un modello processuale
snello e da definirsi allo stato degli atti, caratteristiche che incidono tanto su luogo e tempi
della formazione del materiale probatorio (nelle indagini preliminari, fase nella quale, evidentemente, non trova spazio il responsabile civile), quanto sul concreto svolgimento del rito che,
evidentemente, sarebbe stato appesantito dalla presenza del responsabile civile.
Essendo, invece, mutato l’impianto originario del rito, per effetto delle modifiche apportate
dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479 (su tutte, l’eliminazione del consenso del pubblico ministero,
l’introduzione del c.d. abbreviato condizionato ex art 438, co. 5, c.p.p. e dei poteri officiosi del
giudice ex art. 441, co. 5, c.p.p.) il giudizio abbreviato, secondo la Corte d’appello di Milano,
avrebbe assunto connotati diversi, assurgendo al rango di giudizio alternativo al dibattimento, così risultando ingiustificata la diversificazione della posizione di responsabile civile e parte civile.
Partendo da tali premesse, la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità
dell’art. 87 comma 3 c.p.p., deriverebbe dal contrasto con l’art. 3 Cost., a causa dell’irragionevole disparità di trattamento che la parte civile subirebbe quanto alle pretese civilistiche; con
l’art. 24 Cost., per la lesione del diritto di agire in giudizio gravante sulla stessa parte civile; ed
infine, rispetto all’art. 111 Cost., divenendo irragionevole la durata del processo che coinvolgerebbe la parte civile, tenuta, per effetto della sua estromissione, a proporre ex novo una causa
civile nei confronti del responsabile civile per ottenere il risarcimento e le restituzioni che non
ha potuto richiedere all’effettivo obbligato (che molto spesso è l’unico soggetto in grado di
risarcire il danno, come nel caso di specie, in cui il responsabile civile era un assicuratore). 2. La decisione.
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Come anticipato, tuttavia, la Corte non ha affrontato nel merito la questione sollevata, sul
presupposto che il rimettente non aveva adeguatamente motivato circa la rilevanza della questione stessa, secondo la regola per cui il giudice a quo, nel sollevare il dubbio di legittimità
della norma che deve applicare, è tenuto in primo luogo a valutare se l’accertamento di conformità sia indispensabile per la risoluzione del giudizio di merito.
Nel caso in esame l’imputato aveva riproposto nell’atto di appello l’eccezione di illegittimità
costituzionale dell’art. 87 comma 3 c.p.p. già proposta e rigettata nel corso dell’udienza preliminare, osservando che anche nel giudizio di appello si riverberavano gli effetti dell’applicazione della norma, come interpretata comunemente.
La Corte, andando di contrario avviso rispetto alla valutazione del giudice rimettente, ha, invece, ritenuto che l’accoglimento della questione non avrebbe avuto alcun effetto sul giudizio a
quo; ha osservato, nel dettaglio, la Consulta che, poiché per effetto dell’estromissione disposta
nel primo grado di giudizio il responsabile civile perde lo status di parte processuale, nel valutare la rilevanza della questione, la Corte d’appello avrebbe dovuto in primo luogo verificare se
l’ordinamento preveda rimedi esperibili avverso l’ordinanza di esclusione del responsabile civile.
Ebbene, come da giurisprudenza prevalente (Cass. pen., sez. VI., 7 gennaio 2015, 2329;
Cass. pen., sez. V, 25 novembre 2014, n. 10111; Cass. pen., sez. V, 17 luglio 2013, n. 44247; Cass.
La Corte non si pronuncia sull’automatica esclusione del responsabile civile dal giudizio abbreviato
pen., sez. VII, 11 ottobre 2012, n. 10880; Cass. pen., sez. un., 19 maggio 1999, n. 12, in Guida
dir., 2012, 5, 62), va rilevato che le ordinanze di esclusione della parte civile non sono impugnabili, non rientrando nei mezzi di impugnazione che, come noto, il codice di rito qualifica
come tassativi, ai sensi dell’art. 568 c.p.p.
Non è, poi, percorribile l’ipotesi dell’impugnazione differita (art. 586 comma 1 c.p.p.),
considerando che la perdita dello status di parte processuale preclude la legittimazione ad
impugnare né, trattandosi di ordinanza emessa in udienza preliminare, la stessa potrebbe soggiacere al principio dell’impugnazione presentata congiuntamente con la sentenza, riferibile
esclusivamente alle ordinanze dibattimentali.
La questione che la Corte non ha avuto modo di affrontare (e che, come già ricavabile
da Corte cost., ord. 2 luglio 2008, n. 247, cit., il giudice rimettente avrebbe dovuto sollevare
prima di disporre l’esclusione del responsabile civile, così da non esaurire il proprio potere
decisorio) si fonda, come detto, sulla considerazione secondo la quale il responsabile civile
andrebbe escluso automaticamente dal giudizio abbreviato, atteso che l’instaurazione del rito
alternativo sulla base dell’insindacabile volontà dell’imputato determinerebbe un pregiudizio
per il responsabile civile stesso che, senza contraddittorio (almeno nella versione primigenia
del rito), verrebbe condannato a risarcire il danno alla parte civile.
L’obiettivo del rimettente e di parte della dottrina che condivide l’impostazione (E. Guido,
Esclusione del responsabile civile dal giudizio abbreviato: inammissibile il dubbio di incostituzionalità per difetto di rilevanza, in www.penalecontemporaneo.it) sarebbe, allora, di eliminare l’esclusione automatica del responsabile civile, attesa la nuova fisionomia assunta dal
giudizio abbreviato, nel quale, ad esempio, è prevista, ed è anzi frequente nella prassi, un’attività probatoria cui, evidentemente, il responsabile civile avrebbe interesse a partecipare, onde
contrastare le mosse della parte civile che, in difetto, agirebbe indisturbata.
Assolutamente coerente, al contrario, sarebbe il mantenimento della regola per cui anche il
responsabile civile verrebbe estromesso laddove la parte civile sia, a sua volta, esclusa oppure
rinunci alla costituzione o non accetti il rito.
L’impostazione sin qui descritta, tuttavia, stride con il progetto di riforma del giudizio abbreviato proposto dalla “Commissione Canzio” del 2013, allo stato attuale non recepito dal disegno
di legge governativo n. 2798, c.d. Orlando, approvato dalla Camera dei deputati in data 23 settembre 2015, nel quale si propone la radicale esclusione della parte civile dal giudizio abbreviato: l’uniformità di trattamento delle parti invocata dinanzi alla Consulta si otterrebbe, ma in senso
opposto a quanto ritenuto indispensabile dal giudice rimettente (sul tema v. F. Galluzzo, Il giudizio abbreviato, in Marandola - La Regina - Aprati (a cura di), Verso un processo penale accelerato
– Riflessioni intorno alla l. 67/2014, al d. lgs. 28/2015 e al d.l. 2798/2014, Napoli, 2015, 91 ss.).
L’obiettivo perseguito dalla “Commissione Canzio” con la proposta di esclusione della parte
civile dal giudizio abbreviato risiede in primo luogo nell’incentivare l’imputato ad optare per
tale rito alternativo, stimolato non solo dalla tradizionale riduzione di pena, ma soprattutto
dall’assenza della parte civile, la cui attività processuale è assai rilevante, in particolare nei
procedimenti instaurati per reati di interesse privato, più che pubblico.
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3. Il commento.
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Interesse dello Stato, evidentemente, quello di garantirsi una diminuzione dell’attività processuale che deriverebbe sia dalla riduzione del numero delle parti in gioco che incide su
diverse fasi dell’udienza (costituzione delle parti, esame della costituzione di parte civile ed
eventuale discussione in merito a richieste di esclusione; partecipazione all’eventuale istruttoria in caso di giudizio abbreviato condizionato; discussione della parte civile), sia dalla stessa
delimitazione dell’oggetto del processo, che, nella configurazione attuale, attribuisce al giudice
non solo la decisione sulla responsabilità penale dell’imputato, ma anche quella sulla sussistenza e determinazione del danno eventualmente cagionato alla parte civile.
Obiettivo che condiziona tutto il procedimento probatorio, dall’ammissione, nel caso di
abbreviato condizionato, all’assunzione, fino alla valutazione.
Nella prospettiva di riforma, quindi, l’obiettivo di riequilibrare la posizione della parte civile
rispetto a quella del responsabile civile, si muove in senso opposto a chi vorrebbe ottenere
una presenza piena ed attiva del responsabile civile.
Sulla scia dell’esclusione di entrambe le parti, il tema del risarcimento dei danni derivanti
dalla commissione del reato sarebbe trasferito naturalmente in sede civile, con una scelta coerente, considerando che, secondo la normativa vigente, la parte civile costituita nel giudizio
abbreviato avrebbe dovuto comunque avviare la causa civile nei confronti del responsabile
civile che non era parte processuale, evitando così di raddoppiare attività spesso inutili, se è
vero che il responsabile civile è, di fatto, il soggetto nei confronti del quale la parte civile può
sperare di far valere la propria pretesa.
In tal modo il rito abbreviato, giudizio allo stato degli atti che avrebbe dovuto solo eccezionalmente dilatarsi, recupererebbe davvero la sua fisionomia originaria, al contrario di quanto avverrebbe introducendo un’ulteriore parte processuale, con la connessa attività che ne deriverebbe.
Vero, altresì, che la proposta di riforma prevedrebbe anche la soppressione dei commi 2
degli artt. 651 e 652 c.p.p. che estendevano alla sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione, emesse all’esito di giudizio abbreviato, l’efficacia di giudicato delle sentenze penali irrevocabili di condanna o di assoluzione, pronunciate in seguito a dibattimento, rispettivamente,
“quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione
che l’imputato lo ha commesso” e “quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o
nell’esercizio di una facoltà legittima”.
Ne discende, allora, qualche perplessità di sistema: è veramente utile snellire i processi penali per poi estendere l’oggetto delle cause civili, allo stato attuale impostate sulla base dell’accertamento penale che ha efficacia di giudicato, ed inerenti la sola prova e quantificazione dei
danni, laddove con la riforma si dovrebbe avviare una causa ex novo, con regolare istruttoria?
Le considerazioni da ultimo svolte sono, evidentemente, de jure condendo, non essendo
state al momento recepite le proposte illustrate; la presenza, tuttavia, di progetti di riforma, che
il nostro legislatore ci ha abituato a proporre a scaglioni, dovrebbe far meditare la Consulta
qualora dovesse essere riproposta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 87, co. 3,
c.p.p.: quale strada intraprendere tra esclusione o inclusione del responsabile civile?
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