Letture sotto l`albero
Transcript
Letture sotto l`albero
Dicembre 2005 9 13 IN-FORMAQ5firenze n AUGURII Letture sotto l’albero Abbiamo scelto per i nostri lettori alcuni testi… freschi di stampa Raccontami chi era Bob Dylan… L’atto primo della trilogia autobiografica di Bob Dylan era l’ultima cosa che molti degli estimatori del bardo di Duluth, Minnesota si sarebbero aspettati da lui, per quanto si trattasse di un’idea sbocciata nel cantautore americano fin da quando approdò a New York ventenne, con una chitarra in spalla, pochi spiccioli e neanche troppi sogni nel cassetto. È anche vero che, sfogliate le prime pagine di Chronicles. Volume I si comprende immediatamente il senso dell’operazione svolta da Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan: chi si immagina di trovare un diario denso di storie intriganti rischia, infatti, di rimanere deluso, perché qua dentro l’autore dell’epica Blowin’ in the wind, del tutto libero da qualsivoglia forma di gabbia cronologica, si limita a tratteggiare con meravigliato stupore le scoperte artistiche che hanno contrassegnato la sua formazione, a fotografare con trasporto gli ambienti in cui ha mosso i primi passi, senza trascurare le geografie umane circostanti. Il libro risponde invece in modo immediato ad una domanda da un milione di dollari: chi era Bob Dylan prima di diventare Bob Dylan? Era un ragazzo, ci risponde lui medesimo, che assorbiva come una spugna ogni nuovo disco folk su cui riusciva a mettere le mani, che si dava da fare come meglio poteva per riuscire a suonare in qualche nuovo locale del Greenwich Villane, che ‘beveva’ letteralmente i consigli degli artisti più esperti che gli capitava di incontrare e che, distante da ogni velleità compositiva, badava a mandare a memoria il maggior numero di canzoni per ampliare il suo esiguo repertorio, con umiltà e dedizione. E in Chronicles non poteva mancare neppure il principale nume di riferimento di Bob Dylan, ovvero Woody Guthrie, che il folksinger in erba va a trovare nel suo letto d’ospedale. E pagina dopo pagina intorno a Dylan scopriamo anche un nugolo di personaggi che si riveleranno fondamentali per lui: come lo scafato folksinger Dave Van Ronk che gli regala qualche dritta al Gaslight, uno dei locali dove Dylan inizia a suonare, oppure la fidan- precedente12 zata attrice che gli fa scoprire Rimbaud, o il produttore John Hammond, che lo fece firmare direttamente con la Columbia e lo iniziò al blues di Robert Johnson quando il ‘diabolico’ chitarrista era sconosciuto ai più, o ancora il poeta Archibald MacLeish, che gli fornì un buon numero di suggestioni liriche che in qualche modo sarebbero affiorate nelle canzoni future del cantautore del Minnesota. Questo ritratto giovanile dipinge un Bob Dylan che fa letteralmente a cozzi con la sua versione attuale, che si mostra all’ennesimo concerto come un folksinger degli anni Quaranta nello stile di Hank Williams, ma Dylan, classe 1941, sul cui nobile capo pende da quasi dieci anni la candidatura al Nobel per la Letteratura, nel corso di quattro decadi ha abituato il suo pubblico a molteplici metamorfosi del proprio mito, musicale e generalmente artistico, un mito che lui stesso, per primo, ha sempre cercato di smantellare. Si arriva alla fine d’un fiato chiedendosi quando arriva il bello, ma sfogliando l’ultima pagina si scopre che il bello era lì sotto i nostri occhi tutto il tempo: un giovane di talento che stava trasformandosi in artista senza accorgersene, con estrema umiltà e gratitudine verso ogni perla di riflessione offerta dal prossimo. Bob Dylan, Chronicles. Volume I, Milano, Feltrinelli, 2005; pp. 272 La rilettura in endecasillabi del classico di Collodi Da qualche tempo si è affacciato sugli scaffali delle librerie il Pinocchio in versi del professor Franco Belli, senese, classe 1942, docente di Diritto dell’economia all’Università di Siena che si professa ‘poeta a tempo ritrovato’. Il libro, illustrato con i disegni di Claudio Maccari, è una divertente ed ispirata rilettura del celebre classico per ragazzi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi, un romanzo per l’infanzia che uscì prima sul “Giornale dei Bambini” nel 1880 e quindi fu pubblicato in volume nel 1883. Il lirico ‘impinocchiamento’ di Franco Belli, come precisa Maurizio Bettini nella prefazione al volume, “è un mestiere che richiede conoscenze profonde della lingua, della prosodia e della metrica, un dono di musica e di immagini che non tutti posseggono”: per fortuna l’autore di questo Pinocchio in versi lo possiede e lo padroneggia al punto che questa versione rimata del capolavoro di Collodi funziona e si fa leggere gradevolmente, riuscendo perfino nell’impervio compito di evocare persino materializzarsi del sogno che il burattino protagonista si è portato a spasso per tutta la storia, ovvero diventare un bambino vero, anche se l’autore conclude sornionamente che forse la fine è un po’ bugiarda, mettendo in dubbio che la metamorfosi lungamente sognata dal burattino fosse desiderata per davvero. tichi idiotismi presenti nella parlata, nei canti popolari, nei giochi infantili del vernacolo che fu di Cecco Angiolieri, di Franco Sacchetti e in generale della gente di San Frediano di quell’epoca. Lo stesso gergo, del resto, dei trippai, delle ciane, dei beceri cioè, come la definisce l’autore, “la parlata sboccata, insolente, allegra, a bocca aperta e a mele strette”. Un libro che interesserà a tutti i fiorentini, a tutti i toscani, a quanti sono insomma intenzionati a tener vive le antiche tradizioni e a riscoprire le antiche tradizioni e a riscoprire le proprie radici. la musica di sottofondo che l’autore di primo grado infuse alla sua opera. Ecco come esordisce il protagonista in versione endesillabica quando, ancora ‘nascosto’ in un ciocco di legno, fa prender un bello spavento al povero Mastro Ciliegia: “Il mastro (od il maestro) ha nome Antonio / ma il naso rosso e lustro che lo fregia, /e lo distingue come fosse un conio, / gli valse il soprannome di Ciliegia. – O che ci fa costì così poggiato? Mi pare secco il giusto e dritto bene, ma vedi un po’ … l’aveo dimenticato, / giunge a fagiolo, più che ben mi viene! / Quel tavolino vecchio, senza gamba, / lo posso riaggiustare… cianfrusaglia? / ve n’è di gente sciabordata e stramba, / pronta a pagar di lusso l’anticaglia. / Piglia l’accetta per bruciare il tronco, / ma non ha tempo di bordar l’asciata, che sente una vocina – O che sei cionco? / non picchiar sodo, mamma mia beata! –“. Verso dopo verso, pagina dopo pagina, Belli fedelmente riadatta in endecasillabi la fiaba che in tutto il mondo, ma soprattutto in Toscana, da sempre ha intrigato i bambini di tutte le fasce d’età, riscoprendo uno ad uno tutti i personaggi del variopinto romanzo collodiano, dal Grillo Parlante a Mangiafuoco, dal Gatto e la Volpe alla Fata Turchina, da Geppetto a Lucignolo, fino al A chiusura del Pinocchio in versi figura un’appendice curiosa come il ‘lessocchio’, in cui i lettori non toscani troveranno risposta a qualche espressione tipicamente dialettale che è confluita in questo burattinesco poema, un modo decisamente atipico per riscoprire uno dei più famosi classici di narrativa per ragazzi di sempre. (pb) Franco Belli, Pinocchio in versi, Firenze, Edizioni Polistampa, 2005; pp. 224 I “Fiorentinismi” di Valdré Un libro riporta alla luce l’antica parlata popolare fiorentina «Lo studio dei dialetti è indispensabile per giungere a possedere la lingua italiana». Così si esprimeva il grande storico ed erudito italiano Ludovico Antonio Muratori agli inizi del Settecento. Oggi, in un’epoca di globalizzazione, in cui le lingue e i comportamenti delle persone tendono ad uniformarsi, con l’inglese che è ormai diventata lingua comune, parlare di idiomi dialettali può forse sembrare un anacronismo. Il volume di Giovanni Valdré dal titolo Fiorentinismi soliti usarsi dalla bassa gente, uscito per i tipi di Polistampa (pp. 232, euro 13) si propone di riportare alla luce l’antica parlata popolare della Firenze di epoca granducale. Si tratta di una raccolta di an- A tavola con il re nelle Coop della Toscana Toscana da Leggere, l’iniziativa di distribuzione di titoli toscani negli scaffali Unicoop iniziata lo scorso luglio, si sta ampliando grazie al notevole successo di pubblico riscontrato. I punti vendita sono passati dai 6 iniziali a 9 con l’inserimento di Ponte a Greve, Gavinana e della Coop di via Del Prete; le vendite sono ogni mese in aumento e anche la varietà di titoli presenti è sempre maggiore. Vi si possono trovare oltre 60 editori, tra cui Le Lettere, Nerbini, Nuovi Equilibri, Vallecchi e Polistampa (che è anche distributore e gestore dell’iniziativa). A questa esperienza se ne affianca adesso una parallela che permetterà la diffusione in oltre 60 negozi Coop toscani della seconda edizione del volume A tavola con il re durante le festività natalizie. Nel volume, a cura di Betty Barsantini, Anna Evangelista e Giovanna Lazzi, sono fedelmente riportate oltre 50 ricette medievali e rinascimentali, tutte ‘tradotte’ in italiano e riadattate al gusto e alla dispensa moderna, grazie al talento dello chef Antonio Piro. È probabile, stando alle intenzioni di Unicoop, che all’esperienza faccia seguito la pubblicazione e distribuzione sistematica di altri volumi editi dagli editori partner di Toscana da Leggere. Edizioni Polistampa pp. 160, euro 12,00 215 istantanee dagli albori della fotografia. Furono toscani i pionieri del dagherrotipo La Toscana raccontata attraverso le foto d’epoca è l’argomento del nuovo libro di Giovanni Fanelli, noto studioso di storia della fotografia. Il volume, intitolato Toscana scomparsa. Attraverso la fotografia dell’Ottocento e del Novecento (pp. 248, euro 44), è appena uscito in libreria per i tipi di Polistampa. Dopo il fortunato libro L’immagine di Pisa. Nell’opera di Enrico Van Lint pioniere della fotografia (2004) Fanelli ci propone questa volta una rassegna di formidabili istantanee provenienti da tutta la Toscana, raccontando la storia di questa regione ma anche di tutto il nostro Paese. Sono 215 in tutto le immagini proposte, firmate da celebri professionisti come i fratelli Alinari, o da semplici dilettanti che, tra la metà del XIX secolo e la metà del XX, hanno ritratto con i loro scatti i caratteri salienti della vita delle città e delle campagne toscane. Ne emerge un mondo composito in cui, accanto alle foto che ritraggono piazze, vie o luoghi famosi delle città di inizio Novecento, figurano quelle che descrivono la realtà delle campagne toscane e dei contadini che vi lavoravano, immortalati nei loro momenti di vita quotidiana. Questo legame tra la Toscana e la fotografia antica non deve meravigliare, visto che furono toscani alcuni dei più grandi pionieri di quest’arte, tra i primi in Italia a interessarsi dell’invenzione del dagherrotipo annunciata su «La Gazette de France» il 6 gennaio 1839. successiva14