Letture sotto l`albero

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Letture sotto l`albero
Dicembre 2005
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IN-FORMAQ5firenze
n AUGURII
Letture sotto l’albero
Abbiamo scelto per i nostri lettori alcuni testi… freschi di stampa
Raccontami
chi era
Bob Dylan…
L’atto primo della trilogia autobiografica di Bob Dylan era
l’ultima cosa che molti degli
estimatori del bardo di Duluth, Minnesota si sarebbero
aspettati da lui, per quanto si
trattasse di un’idea sbocciata
nel cantautore americano fin
da quando approdò a New
York ventenne, con una chitarra in spalla, pochi spiccioli
e neanche troppi sogni nel
cassetto. È anche vero che,
sfogliate le prime pagine di
Chronicles. Volume I si
comprende immediatamente
il senso dell’operazione svolta da Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan: chi
si immagina di trovare un diario denso di storie intriganti
rischia, infatti, di rimanere
deluso, perché qua dentro
l’autore dell’epica Blowin’ in
the wind, del tutto libero da
qualsivoglia forma di gabbia
cronologica, si limita a tratteggiare con meravigliato
stupore le scoperte artistiche
che hanno contrassegnato la
sua formazione, a fotografare
con trasporto gli ambienti in
cui ha mosso i primi passi,
senza trascurare le geografie
umane circostanti. Il libro
risponde invece in modo immediato ad una domanda da
un milione di dollari: chi era
Bob Dylan prima di diventare
Bob Dylan? Era un ragazzo,
ci risponde lui medesimo,
che assorbiva come una
spugna ogni nuovo disco
folk su cui riusciva a mettere
le mani, che si dava da fare
come meglio poteva per riuscire a suonare in qualche
nuovo locale del Greenwich
Villane, che ‘beveva’ letteralmente i consigli degli artisti
più esperti che gli capitava
di incontrare e che, distante
da ogni velleità compositiva,
badava a mandare a memoria il maggior numero di
canzoni per ampliare il suo
esiguo repertorio, con umiltà
e dedizione. E in Chronicles non poteva mancare
neppure il principale nume
di riferimento di Bob Dylan,
ovvero Woody Guthrie, che il
folksinger in erba va a trovare
nel suo letto d’ospedale. E
pagina dopo pagina intorno
a Dylan scopriamo anche un
nugolo di personaggi che si
riveleranno fondamentali per
lui: come lo scafato folksinger
Dave Van Ronk che gli regala
qualche dritta al Gaslight,
uno dei locali dove Dylan inizia a suonare, oppure la fidan-
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zata attrice che gli fa scoprire
Rimbaud, o il produttore
John Hammond, che lo fece
firmare direttamente con la
Columbia e lo iniziò al blues
di Robert Johnson quando
il ‘diabolico’ chitarrista era
sconosciuto ai più, o ancora
il poeta Archibald MacLeish,
che gli fornì un buon numero
di suggestioni liriche che
in qualche modo sarebbero
affiorate nelle canzoni future
del cantautore del Minnesota. Questo ritratto giovanile
dipinge un Bob Dylan che
fa letteralmente a cozzi con
la sua versione attuale, che si
mostra all’ennesimo concerto
come un folksinger degli anni
Quaranta nello stile di Hank
Williams, ma Dylan, classe
1941, sul cui nobile capo
pende da quasi dieci anni
la candidatura al Nobel per
la Letteratura, nel corso di
quattro decadi ha abituato il
suo pubblico a molteplici metamorfosi del proprio mito,
musicale e generalmente artistico, un mito che lui stesso,
per primo, ha sempre cercato
di smantellare. Si arriva alla
fine d’un fiato chiedendosi
quando arriva il bello, ma
sfogliando l’ultima pagina si
scopre che il bello era lì sotto
i nostri occhi tutto il tempo:
un giovane di talento che
stava trasformandosi in artista senza accorgersene, con
estrema umiltà e gratitudine
verso ogni perla di riflessione
offerta dal prossimo.
Bob Dylan, Chronicles. Volume I,
Milano, Feltrinelli, 2005; pp. 272
La rilettura in
endecasillabi del
classico di Collodi
Da qualche tempo si è affacciato sugli scaffali delle
librerie il Pinocchio in
versi del professor Franco
Belli, senese, classe 1942, docente di Diritto dell’economia
all’Università di Siena che si
professa ‘poeta a tempo ritrovato’. Il libro, illustrato con i
disegni di Claudio Maccari,
è una divertente ed ispirata
rilettura del celebre classico
per ragazzi Le avventure
di Pinocchio. Storia di un
burattino di Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi, un
romanzo per l’infanzia che
uscì prima sul “Giornale dei
Bambini” nel 1880 e quindi
fu pubblicato in volume nel
1883. Il lirico ‘impinocchiamento’ di Franco Belli, come
precisa Maurizio Bettini
nella prefazione al volume,
“è un mestiere che richiede
conoscenze profonde della
lingua, della prosodia e della
metrica, un dono di musica e
di immagini che non tutti posseggono”: per fortuna l’autore di questo Pinocchio in
versi lo possiede e lo padroneggia al punto che questa
versione rimata del capolavoro di Collodi funziona e si fa
leggere gradevolmente, riuscendo perfino nell’impervio
compito di evocare persino
materializzarsi del sogno che
il burattino protagonista si è
portato a spasso per tutta la
storia, ovvero diventare un
bambino vero, anche se l’autore conclude sornionamente
che forse la fine è un po’ bugiarda, mettendo in dubbio
che la metamorfosi lungamente sognata dal burattino
fosse desiderata per davvero.
tichi idiotismi presenti nella
parlata, nei canti popolari, nei
giochi infantili del vernacolo
che fu di Cecco Angiolieri, di
Franco Sacchetti e in generale della gente di San Frediano
di quell’epoca. Lo stesso
gergo, del resto, dei trippai,
delle ciane, dei beceri cioè,
come la definisce l’autore, “la
parlata sboccata, insolente,
allegra, a bocca aperta e a
mele strette”.
Un libro che interesserà a tutti i fiorentini, a tutti i toscani,
a quanti sono insomma intenzionati a tener vive le antiche
tradizioni e a riscoprire le antiche tradizioni e a riscoprire
le proprie radici.
la musica di sottofondo che
l’autore di primo grado infuse
alla sua opera. Ecco come
esordisce il protagonista in
versione endesillabica quando, ancora ‘nascosto’ in un
ciocco di legno, fa prender un
bello spavento al povero Mastro Ciliegia: “Il mastro (od il
maestro) ha nome Antonio
/ ma il naso rosso e lustro
che lo fregia, /e lo distingue
come fosse un conio, / gli valse il soprannome di Ciliegia.
– O che ci fa costì così poggiato? Mi pare secco il giusto
e dritto bene, ma vedi un
po’ … l’aveo dimenticato, /
giunge a fagiolo, più che ben
mi viene! / Quel tavolino vecchio, senza gamba, / lo posso
riaggiustare… cianfrusaglia?
/ ve n’è di gente sciabordata
e stramba, / pronta a pagar di
lusso l’anticaglia. / Piglia l’accetta per bruciare il tronco, /
ma non ha tempo di bordar
l’asciata, che sente una vocina – O che sei cionco? /
non picchiar sodo, mamma
mia beata! –“. Verso dopo
verso, pagina dopo pagina,
Belli fedelmente riadatta in
endecasillabi la fiaba che in
tutto il mondo, ma soprattutto in Toscana, da sempre ha
intrigato i bambini di tutte
le fasce d’età, riscoprendo
uno ad uno tutti i personaggi
del variopinto romanzo collodiano, dal Grillo Parlante a
Mangiafuoco, dal Gatto e la
Volpe alla Fata Turchina, da
Geppetto a Lucignolo, fino al
A chiusura del Pinocchio in
versi figura un’appendice
curiosa come il ‘lessocchio’,
in cui i lettori non toscani
troveranno risposta a qualche espressione tipicamente
dialettale che è confluita in
questo burattinesco poema,
un modo decisamente atipico
per riscoprire uno dei più famosi classici di narrativa per
ragazzi di sempre. (pb)
Franco Belli, Pinocchio in versi, Firenze,
Edizioni Polistampa, 2005; pp. 224
I “Fiorentinismi”
di Valdré
Un libro riporta alla luce
l’antica parlata popolare fiorentina
«Lo studio dei dialetti è indispensabile per giungere a
possedere la lingua italiana».
Così si esprimeva il grande
storico ed erudito italiano
Ludovico Antonio Muratori
agli inizi del Settecento.
Oggi, in un’epoca di globalizzazione, in cui le lingue e i
comportamenti delle persone
tendono ad uniformarsi, con
l’inglese che è ormai diventata lingua comune, parlare
di idiomi dialettali può forse
sembrare un anacronismo.
Il volume di Giovanni Valdré
dal titolo Fiorentinismi soliti usarsi dalla bassa gente,
uscito per i tipi di Polistampa
(pp. 232, euro 13) si propone
di riportare alla luce l’antica
parlata popolare della Firenze di epoca granducale. Si
tratta di una raccolta di an-
A tavola
con il re
nelle Coop
della Toscana
Toscana da Leggere, l’iniziativa di distribuzione di titoli
toscani negli scaffali Unicoop
iniziata lo scorso luglio, si
sta ampliando grazie al notevole successo di pubblico
riscontrato. I punti vendita
sono passati dai 6 iniziali a 9
con l’inserimento di Ponte a
Greve, Gavinana e della Coop
di via Del Prete; le vendite
sono ogni mese in aumento
e anche la varietà di titoli
presenti è sempre maggiore.
Vi si possono trovare oltre
60 editori, tra cui Le Lettere, Nerbini, Nuovi Equilibri,
Vallecchi e Polistampa (che è
anche distributore e gestore
dell’iniziativa).
A questa esperienza se ne
affianca adesso una parallela
che permetterà la diffusione
in oltre 60 negozi Coop toscani della seconda edizione
del volume A tavola con il re
durante le festività natalizie.
Nel volume, a cura di Betty
Barsantini, Anna Evangelista
e Giovanna Lazzi, sono fedelmente riportate oltre 50 ricette medievali e rinascimentali,
tutte ‘tradotte’ in italiano e riadattate al gusto e alla dispensa moderna, grazie al talento
dello chef Antonio Piro.
È probabile, stando alle
intenzioni di Unicoop, che all’esperienza faccia seguito la
pubblicazione e distribuzione
sistematica di altri volumi
editi dagli editori partner di
Toscana da Leggere.
Edizioni Polistampa pp. 160, euro 12,00
215 istantanee
dagli albori
della fotografia.
Furono toscani
i pionieri del
dagherrotipo
La Toscana raccontata attraverso le foto d’epoca è l’argomento del nuovo libro di
Giovanni Fanelli, noto studioso di storia della fotografia.
Il volume, intitolato Toscana
scomparsa. Attraverso la fotografia dell’Ottocento e del
Novecento (pp. 248, euro 44),
è appena uscito in libreria per
i tipi di Polistampa.
Dopo il fortunato libro L’immagine di Pisa. Nell’opera
di Enrico Van Lint pioniere
della fotografia (2004) Fanelli ci propone questa volta
una rassegna di formidabili
istantanee provenienti da
tutta la Toscana, raccontando
la storia di questa regione
ma anche di tutto il nostro
Paese. Sono 215 in tutto le
immagini proposte, firmate
da celebri professionisti
come i fratelli Alinari, o da
semplici dilettanti che, tra
la metà del XIX secolo e la
metà del XX, hanno ritratto
con i loro scatti i caratteri
salienti della vita delle città e
delle campagne toscane. Ne
emerge un mondo composito
in cui, accanto alle foto che
ritraggono piazze, vie o luoghi famosi delle città di inizio
Novecento, figurano quelle
che descrivono la realtà delle campagne toscane e dei
contadini che vi lavoravano,
immortalati nei loro momenti
di vita quotidiana.
Questo legame tra la Toscana e la fotografia antica non
deve meravigliare, visto che
furono toscani alcuni dei più
grandi pionieri di quest’arte,
tra i primi in Italia a interessarsi dell’invenzione del
dagherrotipo annunciata su
«La Gazette de France» il 6
gennaio 1839.
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