N°4 2015 - TorinoMedica.com

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N°4 2015 - TorinoMedica.com
anno XXVI
numero 4
dicembre 2015
TORINO
MEDICA
comunicazione
informazione
formazione
LA RIVISTA DELL'ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA DI TORINO
Confronto all’Ordine sulla crisi della sanità
CAFFÈ BASAGLIA:
PICCOLO MIRACOLO
A TORINO
Diverse generazioni, stessa
fedeltà alla deontologia
FOCUS SULLE
DAT, DIRETTIVE
ANTICIPATE DI
TRATTAMENTO
Il terrorismo
non passerà
GRANDE GUERRA E FOLLIA
FORMAZIONE
I CORSI ECM
GRATUITI
DELL’ORDINE
NEL 2016
4
Sommario
numero 4
dicembre 2015
La Rivista è inviata a tutti gli
iscritti all’Ordine dei Medici
Chirurghi
e degli Odontoiatri di Torino
e provincia
e a tutti i Consiglieri degli
Ordini d’Italia.
7
12
generazioni,
32 Diverse
stessa fedeltà alla
Editoriale
A che gioco giochiamo?
Guido Giustetto
Focus_ direttive
anticipate di
trattamento (DAT)
Direttive anticipate
in Italia: un percorso
ancora lungo?
Giulia Annovi
35
39
Il paziente, il medico
di famiglia e le scelte di
fine vita
Giuliano Bono
19
Le direttive anticipate
di fine vita e il diritto
italiano
Carlo Casonato
i documenti?
22 “Rinnovi
Rinnova una vita!”
Nicola Ferraro
26
27
Tribuna
Il terrorismo non passerà
Nicola Ferraro
L’etica clinica in medicina
46
50
53
Presidente
Guido GIUSTETTO
Vice Presidente
Guido REGIS
Segretaria
Rosella ZERBI
Tesoriere
Chiara RIVETTI
Consiglieri
Domenico BERTERO
Tiziana BORSATTI
Emilio CHIODO
Riccardo DELLAVALLE
Ivana GARIONE
Anna Rita LEONCAVALLO
Elsa MARGARIA
Aldo MOZZONE
Roberta SILIQUINI
Renato TURRA
Roberto VENESIA
Patrizia BIANCUCCI (Od.)
Gianluigi D’AGOSTINO (Od.)
Bartolomeo GRIFFA (Od.)
Commissione Odontoiatri
Gianluigi D’AGOSTINO
Presidente
Patrizia BIANCUCCI
Claudio BRUCCO
Cultura
Vita di coppia
Giuseppe Scarso
Le nostre radici
Grande Guerra e follia
Franco Lupano
RUBRICHE
Pianeta solidarietà
Un master per il sorriso
dei poveri del mondo
Il volontariato è di casa
54 all’Ordine
Costanzo Bellando
nel Servizio
30 Investire
Sanitario Pubblico del
Direzione, Redazione,
Corso Francia 8
10143 Torino
Tel. 011 58151.11 r.a.
Fax 011 505323
[email protected]
www.omceo.to.it
L’esperienza torinese del
Caffè Basaglia
Ugo Zamburru
in sanità
44 eMaria
Teresa 77Busca
Formazione: i corsi ECM
gratuiti dell’Ordine nel
2016
Ivana Garione
Piemonte: è ancora
possibile?
Nicola Ferraro
Mario Nejrotti
Badanti: un problema
senza uscita?
Mario Nejrotti
Lucio Lombardo
Roberta Chersevani
Giuseppe Gristina
Il Dedalo
41 Riceviamo e pubblichiamo
42 Intolleranza
al lattosio e sibo
il punto di vista
14 DAT:
della FNOMCeO
condivisa
16 Pianificazione
del fine vita
deontologia
A cura di N. Ferraro
56 In libreria
58 Comunicati e avvisi
e congressi
60 Corsi
in pillole
62
Bartolomeo GRIFFA
Paolo ROSATO
Revisori dei Conti
Riccardo FALCETTA
Presidente
Carlo FRANCO
Angelica SALVADORI
Vincenzo MACRÌ Supplente
CONGRESSI
TORINO MEDICA
Direttore:
Guido Giustetto
Direttore responsabile:
Mario Nejrotti
Caporedattore:
Nicola Ferraro
Aut. del Tribunale di Torino
n. 793 del 12-01-1953
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Grafica e Design SGI Srl
Stampa La Terra Promessa Onlus NOVARA
Chiuso in redazione il 1dicembre 2015
DICEMBRE 2015
3
Villa Raby
editoriale
A che gioco giochiamo?
Definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale,
Appropriatezza amministrativa, 730 precompilato.
E i pazienti ?
Guido Giustetto
Presidente OMCeO-TO
I medici e i loro Ordini professionali, di questi tempi,
sono molto preoccupati.
Sono preoccupati per il fatto che il nostro servizio sanitario nazionale non sia tra le priorità del governo,
come dimostra lo stanziamento del fondo sanitario per
il 2016, ridotto rispetto alle previsioni e insufficiente a
garantire l’incremento della spesa per i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA), per l’ampliamento del piano
vaccini, per i farmaci per l’epatite C e per i nuovi farmaci oncologici.
Sono preoccupati per l’aumento delle differenze nell’offerta di servizi tra le regioni italiane e per l’incremento
delle disuguaglianze sociali in sanità. Il SSN ha rinunciato a svolgere un ruolo di riequilibrio tra le regioni:
mentre alla fine degli anni ‘90 l’aspettativa di vita era
maggiore nelle regioni del sud rispetto a quelle del
nord, oggi il dato si inverte.
Sono preoccupati per la sempre maggiore difficoltà
nell’accesso alle cure da parte dei cittadini, dovuta alle
lunghe liste d’attesa e alla gravosa e talora iniqua compartecipazione alla spesa (ticket) che rischia di minare
alle basi l’impianto universalistico, solidale, equo del
nostro sistema sanitario.
Sono preoccupati per la visione ragionieristica e miope
del controllo della spesa sanitaria, che porta
alla limitazione dell’autonomia professionale del medico (insita, per esempio, nel cosiddetto decreto appropriatezza), alla contrazione del turn over del personale
ed al conseguente aumento del precariato e ad un profondo disagio lavorativo dei medici.
Quando la Federazione degli Ordini, ribadendo la cen-
tralità del nostro ruolo, chiede ai decisori politici di
essere veramente considerata un interlocutore istituzionale e di confrontarsi finalmente con i medici, i soli
in possesso dei necessari strumenti culturali e di esperienza professionale, per definire insieme una cornice
culturale, giuridica, amministrativa, civile e sociale nella
quale perseguire una sanità efficace e con maggiore
efficienza, non riceve risposta.
Quando chiediamo di essere valorizzati e responsabilizzati per le nostre competenze di cura e non essere
lasciati soli a reggere l’immagine del SSN di fronte alle
attese dei cittadini, come risposta ci viene imposto di
inviare i dati fiscali per il 730 precompilato, di redigere i
certificati INAIL per via telematica, di scegliere gli accertamenti sulla base di criteri di appropriatezza amministrativa. E naturalmente tutto gravato da sanzioni (fino
a 50.000 € !!!!) per gli inadempienti.
E la salute dei cittadini? E i nostri pazienti ?
Qualcuno si preoccupa che, come ha scritto la nostra
Presidente Chersevani in un recente articolo sul Sole 24
ore, “la pervasiva burocrazia toglie tempo alla relazione
di cura ed è un tempo che quando dedicato correttamente al paziente riveste già il carattere della cura”?
VILLA RABY
“SPAZI ALLA CULTURA”
CORSO FRANCIA 6-8, TORINO
La sede dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Torino, nella cornice dello splendido Villino Raby, gioiello del Liberty
italiano, opera nel 1901 dell’Architetto Pietro Fenoglio, offre i suoi spazi di incontro a Istituzioni, Associazioni, Gruppi Culturali e privati.
Tutti i Medici Chirurghi e Odontoiatri, le loro Istituzioni, Associazioni di Categoria, Società Scientifiche che vorranno organizzare Convegni,
Congressi, Workshop, Corsi di Formazione, Incontri, Riunioni, Assemblee Societarie, a tutti i livelli, dal locale all’internazionale, potranno
usufruire degli spazi più adatti.
Sono a loro disposizione cinque sale per ogni esigenza di incontro culturale e professionale: dalla grande Sala Congressi con 250 posti a
sedere e le migliori dotazioni tecniche, alla piccola e affascinante Sala Piano per 20 posti, adatta anche per concerti da camera.
Le sale dell’Ordine sono usufruibili anche da parte di Istituzioni, Associazioni e Gruppi non medici, sia a livello cittadino che nazionale.
VILLA RABY: UN POLO CULTURALE
NEL CUORE DELLA CITTÀ DI TORINO
SALA CONFERENZE, COMPRENDE:
SALA CONSIGLIO, COMPRENDE:
Sala fino a 250 posti | Radiomicrofoni a mano o spillo |
Videoproiezione | Videoconferenza Over IP o ISDN |
Computer di sala/Computer Regia | Adattatore per
Mac (specificare modello) | Spazi espositivi n.___ |
Videoregistratore DVD | Audioregistrazione | Spazio per
coffe break e lunch | Centro Slide in rete | Remote Controlle
per Slide | Freccia Laser | Slide tappo – logo Jpeg evento
Sala fino a 23 posti | Videoproiezione su schermo |
Computer
SALA EX CARROZZERIA COMPRENDE:
MANSARDA COMPRENDE:
Sala fino a 45 posti | Videoproiezione su schermo |
Computer
Sala fino a 30 posti | Videoproiezione su schermo |
Computer di sala
4
Sala fino a 20 posti
Il nostro onorevole ministro della sanità lo sa: i medici
non sono contenti di usare il tempo della cura per occuparsi di 730 precompilato, di compulsare liste di esami a rischio inappropriatezza amministrativa, di stilare
delucidazioni e rimborsi all’ASL per presunte iperprescrizioni o errori formali... I medici vorrebbero piuttosto
valorizzare il loro tempo per prendersi cura dei cittadini.
4
DICEMBRE 2015
SALA PIANOFORTE (ATTIGUA ALLA SALA CONSIGLIO
ALLA QUALE È COLLEGATA DA UNA PORTA)
LUGLIO 2015
DICEMBRE 2015
5
PKT Poliambulatorio Kinesiterapico Tesoriera srl
AMBULATORIO MEDICINA FISICA E RIABILITAZIONE
POLIAMBULATORIO SPECIALISTICO Privato - Convenzionato con il SSN
Corso Francia, 333/5/c - 10142 TORINO
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focus
NUOVA SEDE PKT
Il Poliambulatorio Kinesiterapico Tesoriera ha aperto la nuova sede di
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La zona è servita dalle seguenti linee di trasporti
pubblici con i veicoli accessibili a clienti disabili:
AUTOBUS Linea 33 – Fermata ERITREA
AUTOBUS Linea 36 – Fermata MARCHE
METROPOLITANA - Fermata MARCHE
PARCHEGGIO GTT VENCHI UNICA
PRESTAZIONI POLIAMBULATORIO SPECIALISTICO
erogate in regime di CONVENZIONE con
il SSN:
• Visita Ortopedica
• Iniezioni di sostanze terapeutiche nell’articolazione (Infiltrazioni)
• Visita Dermatologica
• Visita Fisiatrica per alterazioni posturali e scoliosi
• Ambulatorio specializzato in età
evolutiva
• Ambulatorio osteoporosi
• Infiltrazione e mesoterapia
• Rieducazione Posturale Globale RPG
• Percorsi riabilitativi personalizzati con
valutazione degli obiettivi raggiunti
• Pompages
• Palestra di ginnastica dolce con
metodo Pilates
• Rieducazione Strumentale con attrezzature sofisticate (Isocinetica Easytech e
Pedana Stabilometrica)
• Valutazioni del percorso riabilitativo
• Massoterapia connettivale e linfodrenaggio
• Massoterapia distrettuale riflessogena
• Massokinesiterapia
• Mobilizzazione articolare
• Mobilizzazione della colonna vertebrale con tecniche chiropratiche
• Taping (Bendaggio elastico adesivo)
• Tecarterapia manuale e automatica
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IL PKT E L’SKT HANNO STIPULATO
CONVENZIONI DIRETTE E INDIRETTE CON I
FONDI SANITARI, COMPAGNIE ASSICURATIVE
E ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA
• Laserterapia LUMIX (laser continuo pulsato e
superpulsato)
• Terapia ad Onde Meccano – Sonore (VIBRA PLUS)
• Ionoforesi
• Elettroterapie antalgiche (Diadinamica – Interferenziale - Tens)
• Elettrostimolazione
• Ultrasuoni a campo mobile
• Onde d’urto (Litotrissia extracorporea ESWT)
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• Valutazione e Trattamenti Logopedici
• Valutazione e Trattamenti Psicologici
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dell’età evolutiva
SKT Studio Kinesiterapico Torinese s.r.l.
AMBULATORIO MEDICINA FISICA E RIABILITAZIONE Privato - Convenzionato con il SSN
Via Lussimpiccolo, 10 - 10141 TORINO
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DICEMBRE 2015
Direttive anticipate in
Italia: un percorso ancora
lungo?
Giulia Annovi
• Visita Ortopedica e Infiltrazioni
• Visita Dermatologica e Controllo Nei
• Visita Cardiologica ed Elettrocardiogramma
• Visita Dietologica con stesura dieta personalizzata
• Visita Neurologica
• Visita Endocrinologica
erogate PRIVATAMENTE:
• Visita Fisiatrica e di controllo
• Iniezioni di sostanze terapeutiche
nell’articolazione (Infiltrazioni)
• Mesoterapia
• Rieducazione disturbi motori sensitivi
a Minore Disabilità e a Maggiore
Disabilità
• Valutazione dei disturbi motori sensitivi a Minore Disabilità e a Maggiore
Disabilità
• Valutazione Strumentale dei disturbi
motori sensitivi
• Rieducazione Motoria in gruppo
• Linfodrenaggio manuale
• Massoterapia connettivale
• Rieducazione Strumentale (Isocinetica
Easytech / Pedana Stabilometrica /
Cicloergometro)
• Mobilizzazione colonna vertebrale
• Trattamenti logopedici
• Elettroterapia Antalgica (Diadinamica
– Interferenziale - Tens)
• Elettroterapia distrettuale dei muscoli
normo o denervati (Elettrostimolazioni)
• Laserterapia
a cura di laura tonon e nicola ferraro
erogate PRIVATAMENTE:
PRESTAZIONI AMBULATORIO DI RECUPERO E
RIEDUCAZIONE FUNZIONALE DI 1° LIVELLO
erogate in regime di
CONVENZIONE con il SSN:
focus_ direttive anticipate di trattamento (DAT)
Via Lussimpiccolo è servita dalle seguenti linee di trasporti pubblici:
n° 55 con fermata in C.so Racconigi | n° 58 con fermata in Via Spalato
Giornalista scientifica
Secondo
uno studio
del 2010, nel
nostro Paese
solo il 14%
dei pazienti
che entrano
in un reparto
di terapia
intensiva in
una condizione
critica è in
grado di dare
le proprie
disposizioni
riguardo alla
fine della
propria vita.
[...] Quello
che manca è
l’informazione
riguardo
a questa
possibilità.
Gli avanzamenti scientifici e tecnologici cui stiamo assistendo permettono di avere una
vita migliore, più sana e più lunga, ma gli stessi progressi sono anche alla base di un
certo grado di controllo sulla morte. La medicina si è dotata di tecniche di rianimazione
e di terapia intensiva che riescono a tenere in vita pazienti un tempo destinati a morire
più precocemente. La farmacologia ha individuato molecole capaci di rendere i momenti
finali della propria vita meno dolorosi.
Se nella nostra società si dà sempre maggiore importanza all’individuo, alla sua volontà
e libertà di azione, perché non estendere il diritto di esprimere la propria volontà anche
al momento della morte?
Ammesso che tale posizione venga considerata legittima, occorrerebbe valutare e definire il momento più opportuno in cui esprimere il proprio desiderio riguardo alla propria
morte. Tali valutazioni vanno fatte quando si è in perfetta salute o nel momento in cui si
affaccia nella nostra vita la possibilità di una determinata patologia con tutto il suo carico
di conseguenze?
E soprattutto, occorre fare una stima dell’efficacia (1) delle disposizioni date dal paziente, che tecnicamente vengono chiamate direttive anticipate di trattamento (DAT), alla
luce della situazione culturale che caratterizza in modo differente ciascun Paese. Non si
possono omettere i risultati ottenuti in altri Stati, che hanno introdotto tali strumenti più
precocemente.
Secondo uno studio del 2010 (2), nel nostro Paese solo il 14% dei pazienti che entrano
in un reparto di terapia intensiva in una condizione critica è in grado di dare le proprie
disposizioni riguardo alla fine della propria vita. Sebbene questa categoria di pazienti rappresenti solo il 2% delle persone ricoverate in ospedale, la percentuale può rappresentare un’indicazione della diffusione delle direttive anticipate di trattamento tra i pazienti.
Quello che manca è l’informazione riguardo a questa possibilità, soprattutto a causa di
una completa assenza di disposizione di legge. Nel caso dell’Italia la frequente assenza
degli orientamenti del paziente, fa ricadere la responsabilità della decisione sul team di
medici che lo sta seguendo o sui suoi familiari.
PERCHÉ IN ITALIA NON ABBIAMO LE DAT?
Era il 1999 quando per la prima volta in Italia si cominciò a parlare di DAT. Ma dalla discussione delle proposte di legge (3) non scaturì alcun decreto legislativo.
In modo indiretto si tornò a discutere della fine della vita l’anno successivo, quando venne proposto un disegno di legge sulle terapie antalgiche (4), che ammetteva l’introduzione del trattamento in casi di sintomatologie dolorose di particolare gravità.
Negli anni seguenti, grazie al caso Terry Schiavo negli Stati Uniti e poi alle battaglie di
Beppino Englaro e Piergiorgio Welby, cominciò a prospettarsi la possibilità di arrivare a un
testo di legge sul fine vita. Ma venne a mancare la volontà politica e con essa l’approvau
zione delle leggi proposte.
DICEMBRE 2015
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focus _ direttive anticipate di trattamento (DAT)
Bisogna aspettare Ignazio Marino, senatore sotto il governo Prodi, per riparlare di DAT in
un’indagine che raccoglie il parere della popolazione. Dal rapporto Eurispes Italia 2007
emerge che Il 74,7% degli italiani esprime parere favorevole nei confronti del disegno
di legge sull’introduzione delle DAT, conosciute in modo più colloquiale con il termine
testamento biologico.
Mentre il parlamento continua a tentennare, è la giustizia che ha prodotto casi a cui
ispirarsi. Con la morte di Eluana Englaro, è stata riaffermata la possibilità di rispettare
le volontà espresse da un tutore, oltre che il diritto di un paziente a rifiutare le cure.
Inoltre in quella sentenza idratazione e nutrizione sono state riconosciute come trattamenti di tipo medico, come ribadito dalla sentenza del Consiglio di Stato nel 2014. Tale
riconoscimento è importante per acconsentire alla sospensione di trattamenti sproporzionati, perché permette di appellarsi all’articolo 32 della Costituzione Italiana secondo
cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge”.
Nello stesso anno della sentenza Englaro, la Camera dei Deputati ha concluso l’esame
di un possibile testo di legge (5), che non aveva mancato di sollevare alcune perplessità
da parte della comunità scientifica (6). Dal 2011 però pazienti e personale sanitario sono
ancora in attesa della revisione da parte del Senato.
Nel frattempo, un piccolo passo in direzione della riflessione sulla fine della vita è stato
fatto per mezzo della legge n. 38 del 15/3/2010 (7) che ha concesso l’introduzione delle
cure palliative (CP), da affiancare alla terapia ordinaria per alleviare il paziente in caso di
gravi stati dolorosi.
Malgrado gli sporadici tentativi che concorrono a ricostruire il quadro generale, resta
ancora un notevole grado d’incertezza sul tema della fine della vita, un’incertezza che
ricade sulle scelte dei medici nel momento di definire la prognosi e quindi di scegliere fra
l’opzione di un trattamento attivo o palliativo. Manca una legge che indichi cosa sia bene
e giusto fare nei confronti di un paziente giunto al termine della vita, che consideri gli
avanzamenti che la scienza oggi ci mette a disposizione e i diritti del malato giunto alla
fine vita, e che definisca su chi ricade la responsabilità di delineare i confini delle cure tra
i diversi attori coinvolti (professionisti sanitari, pazienti, persone a questi vicine).
Oggi quanto suggerito dal Codice di Deontologia Medica (CDM) costituisce una buona
guida per coloro che operano in questo settore. Tuttavia sarebbe necessario che il CDM
acquisisse una forza giuridica grazie all’intervento del legislatore. Inoltre il documento
condiviso “Il percorso clinico e assistenziale nelle insufficienze croniche d’organo endstage” (8) è un altro prezioso aiuto per la valutazione globale del malato e costituisce
una buona review che raccoglie una selezione della letteratura medica, il punto di partenza per fare le scelte in una evidence-based medicine.
Di fronte al silenzio del Parlamento, oltre ai medici, sono intervenuti i singoli cittadini, le
associazioni e i comuni a creare un mezzo per esprimere la propria volontà.
Le regione Friuli Venezia Giulia, per rispondere a bisogni concreti dei cittadini, ha creato
un ordinamento civile sul tema delle disposizioni di fine vita. La legge (9), proposta a inizio 2015, è stata però impugnata davanti alla Corte Costituzionale da parte del Governo,
che considera l’iniziativa della regione come “un’invasione della competenza esclusiva
dello Stato in materia di ordinamento civile e di tutela della salute”.
Anche altri enti hanno iniziato a creare un Registro per il Testamento Biologico (10), un
modo per formalizzare la volontà di tanti pazienti, una voce in più che il medico può
ascoltare in fase di decisione.
GLI ELEMENTI URGENTI DA DEFINIRE
Mentre si attende una legge che offra un quadro giuridico completo, è poi all’interno
della relazione tra medico e paziente che si delineano i percorsi di cura.
Da un punto di vista pratico i nodi da sciogliere restano legati alla pianificazione condivisa e anticipata del trattamento del malato che si trovi nella fase end-stage, una programmazione che deve trovare il supporto di un’equipe medica ben strutturata e che deve
considerare il ruolo di tutti gli operatori coinvolti nel processo di cura.
8
DICEMBRE 2015
Da un punto di
vista pratico i
nodi da sciogliere
restano legati alla
pianificazione
condivisa e
anticipata del
trattamento del
malato che si
trovi nella fase
end-stage, una
programmazione
che deve trovare
il supporto di
un’equipe medica
ben strutturata
e che deve
considerare il
ruolo di tutti
gli operatori
coinvolti nel
processo di cura.
In questo contesto non è da sottovalutare la preparazione culturale degli operatori sanitari nei confronti di un tema di cui talvolta si fatica a parlare in modo aperto. A tal proposito White e colleghi propongono una riflessione sulla preparazione dei medici riguardo
alla conoscenza delle leggi e delle prassi inerenti alla fine della vita dei pazienti (11).
Altre competenze particolari che i medici dovrebbero sviluppare sono quelle di comunicazione della prognosi al paziente stesso e ai parenti. Immaginare un percorso di cura
per la fine della vita richiede un inquadramento delle condizioni fisiche, psichiche, sociali
e spirituali del paziente e l’adattamento del piano su cui avviene il dialogo sulle competenze di persone estranee alla professione medica. Questa è una delle prerogative
insite nel concetto di consenso informato. Lo studio “End-of-Life Communication: A
Retrospective Survey of Representative General Practitioner Networks in Four Countries”
(12), realizzato confrontando quattro Paesi (Italia, Spagna, Belgio e Paesi Bassi), dimostra
come il nostro Paese sia all’ultimo posto per la discussione dei principali temi relativi al
fine vita con i pazienti.
È importante che i medici di fronte ai singoli casi abbiano gli strumenti per valutare fino
a che punto applicare le cure attive oggi disponibili, ponderando la gravità e la fase della
malattia, la qualità della vita residua dei pazienti, il costo delle cure.
Secondo una stima realizzata negli Stati Uniti, il 25% delle spese mediche sarebbe sostenuta da un paziente nelle ultime fasi della sua vita (13). Lo studio “Evidence on the
cost and costeffectiveness of palliative care: A literature review” sottolinea invece come
l’introduzione di cure palliative siano meno costose rispetto a trattamenti sproporzionati,
aventi come unico obiettivo quello di curare una malattia che avrebbe comunque una
prognosi infausta (14).
E a proposito dei costi occorre anche valutare dove muore il paziente e se la qualità dei
suoi ultimi giorni di vita è a un livello accettabile. Nel nostro Paese, nove pazienti su dieci
muoiono in ospedale, mentre solo uno su dieci viene trasferito in hospice. Il fenomeno
non tiene conto della spesa sanitaria pubblica a cui si va incontro (dall’ultima analisi della
Commissione Parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei
disavanzi sanitari regionali, ammonterebbero a 9-10 miliardi di euro anno), né della qualità degli ultimi giorni di vita del paziente, un elemento che è stato indagato dallo studio
“Changing Patterns in Place of Cancer Death in England: A Population-Based Study”,
relativo ai malati terminali in Inghilterra (15).
I PROVVEDIMENTI PRESI ALL’ESTERO
Le risposte nei confronti delle possibilità che si offrono al paziente nella fase terminale
della sua vita sono alquanto variabili a livello globale.
Facendo un’analisi in 32 Stati differenti, lo studio “Seeking Worldwide Professional Consensus on the Principles of End-of-Life Care for the Critically Ill” mette in evidenza come
vi sia un’opinione favorevole da parte degli operatori sanitari riguardo al consenso informato, ai trattamenti palliativi e la limitazione delle cure, alle richieste legali, ai reparti
di terapia intensiva e alla rianimazione cardio-polmonare (16). Queste opinioni condivise
tra il personale coinvolto nelle fasi terminali della vita di un paziente, non trovano un
corrispettivo univoco e comparabile a livello legislativo in tutti gli Stati presi in esame.
La prima a elaborare una riflessione sulla fine della vita è stata la California nel 1976
con il Self Determination Act. Dal 1990 gli Stati Uniti si sono dotati del Patient SelfDetermination Act (17), che ammette la presenza di un testamento biologico o di un
rappresentante legale del paziente.
In Europa, la definizione della European Convention on Human Right (18), che ha stabilito che ogni cittadino ha il diritto di scegliere le cure per la propria salute, ha provocato
reazioni differenti tra gli Stati comunitari. I Paesi del Nord Europa si sono organizzati più
precocemente rispetto alla parte meridionale del Vecchio Continente (19), formulando
una legislazione che ammettesse le direttive anticipate. In Portogallo e in Italia le direttive
mancano o sono incomplete. La Spagna invece ha una delle legislazioni più avanzate
d’Europa (20). In Belgio (21) e nei Paesi Bassi (22) la volontà dei pazienti riguardo alla
propria morte hanno un forte valore, e in questi stati è stata addirittura concessa l’euta- u
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focus _ direttive anticipate di trattamento (DAT)
nasia attiva. Anche in Germania (23) e Francia (24) le DAT sono state stabilite per legge.
Allo stesso modo, i Paesi asiatici (25) dimostrano una forte variabilità in merito ai temi
di fine vita. Riguardo alla Russia (26), dalla letteratura un po’ datata emerge un quadro
di arretratezze.
L’Italia sta assistendo a un inesorabile invecchiamento della popolazione:
secondo i dati Istat, i cittadini con più di 65 anni sarebbero aumentati del
16% dal 2002 a oggi. E il dato sarebbe confermato da una rilevazione Istat
del 2012 che registrava una diminuzione della mortalità (-6%) rispetto al
2007, accompagnata da un numero di decessi in aumento per invecchiamento della popolazione (+7%). Le patologie che spesso accompagnano
gli ultimi anni di vita degli anziani sono di tipo cronico-degenerativo: tumori maligni e insufficienze d’organo croniche sono alcune delle principali
cause di morte. Alla situazione di declino fisico si accompagnano demenze
e Alzheimer, che risultano in crescita tanto da rappresentare nel 2012 il
4,3% dei decessi. Questo dato indica in modo chiaro che sono molti i casi
in cui il paziente arriva alla fine della sua vita in una condizione in cui è
impossibilitato a prendere decisioni. E le previsioni dipingono uno scenario
destinato a peggiorare: nel 2056 un terzo della popolazione avrà più di 65
anni secondo le stima Istat.
Di fronte a una popolazione che invecchia, i meAl declino fisico
dici si troveranno sempre più ad affrontare masi accompagnano
lattie croniche piuttosto che eventi in fase acuta,
demenze e Alzheimer:
da qui la necessità di legiferare in fretta sulle
questioni relative alla fine della vita.
il 4,3% dei decessi nel
cittadini
>65
anni:
+ 16%
dal
2002 a
oggi
2012
Bibliografia
1. Detering KM, Hancock AD, Reade MC, Silvester W. The impact of advance care planning on end of life care in elderly patients: randomised controlled trial. BMJ 2010;
340: c1345.
2. Bertolini G, Boffelli S, Malacarne P, Peta M, Marchesi M, et al. End-of-life decisionmaking and quality of ICU performance: an observational study in 84 Italian units.
Intensive Care Med 2010: 36: 1495-1504.
3. http://www.camera.it/_dati/lavori/stampati/pdf/16PDL0068230.pdf (ultimo accesso
2015 novembre)
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006327&part=doc_dc&parse=no&stampa=si&toc=nodisegno di legge sulle terapie
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DICEMBRE 2015
11
focus _ direttive anticipate di trattamento (DAT)
Il paziente, il medico
di famiglia e le scelte di
fine vita
Giuliano Bono
Medico di Famiglia
Autore di “Il tempo di morire”, Collana: Mappe, Il Pensiero Scientifico Editore 2010, pagine 176,
disponibile in e-book
La modalità originale del lavoro del medico di medicina
generale/medico di famiglia (di seguito abbreviato in
MdF) è la relazione nel tempo con i propri assistiti, non
riguarda una malattia (1), ma affronta tutti i problemi di
ogni singola persona (biologici, psicologici, sociali) che
a lui si affida, in un rapporto di fiducia che ne è condizione indispensabile. Per noi l’approccio bio-psicosociale è un metodo. In questo setting si negozia tutto:
le prescrizioni di farmaci e di esami, l’intervento sugli
stili di vita, le preferenze dell’altro, la condivisione di
una storia di vita che si dipana nei ripetuti incontri, più
o meno numerosi.
Non c’è nessun dubbio nell’attribuire dignità all’autodeterminazione di ciascun individuo. C’è bisogno di
lealtà, trasparenza, onestà, fiducia, strumenti necessari della professione, non atteggiamenti di facciata, di
buonismo professionale o di formale educazione.
Il rispetto per la volontà della persona, come obbligo
deontologico, è riaffermato in tutti gli atti della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (2, 3).
IL MdF si incontra con le scelte di fine vita dei propri
assistiti (ognuno diverso dall’altro e da accettare nella
sua diversità) in tre situazioni differenti.
1. Assistito vigile e attento
In ambulatorio l’assistito si presenta per dei suoi problemi, preoccupato, vigile, attento, con un indice di
Perfomance Status alla Scala di Karnofsky di 90-100;
nel suo contesto di vita è venuto a conoscenza, diretta
o tramite la sua rete famigliare/amicale/lavorativa di altra persona giunta a morte dopo sofferenze inenarrabili
o accanimenti terapeutici per lui straordinari o lungo
12
DICEMBRE 2015
degenza in reparti di terapia intensiva “legata a macchine”.
Il MdF ascolta, pone domande per comprendere la motivazione di questa persona, registra in cartella, raccoglie eventuali scritti consegnatili, assicura che ogni sua
scelta sarà rispettata e potrà essere modificata secondo i suoi desideri, nell’ambito delle possibilità del MdF.
Negli anni ho raccolto diverse dichiarazioni formulate
in modo vario, senza un documento formale prestampato, come invece sarebbe necessario se ci fosse una
legge. Non ho mai avuto bisogno di esibirle. Nei casi
in cui la stessa persona sviluppò una malattia inguaribile con ridotta aspettativa di vita, ci fu sempre il tempo per riprendere il dialogo e garantire il rispetto delle
sue volontà. Mi sono sempre chiesto che cosa sarebbe
successo, se, venuto a conoscenza della definitiva compromissione dello stato di coscienza di uno di questi
miei assistiti, mi fossi presentato al collega di un reparto
ospedaliero di terapia intensiva per esibire una di queste
dichiarazioni. Questa necessità non si è mai presentata
nella mia esperienza.
2. Assistito nella fase end-stage
In ambulatorio il malato, in condizioni di salute più o
meno ridotte, indice di Karnofsky 60-80, porta la diagnosi di una malattia incurabile o giunta in uno stadio
in cui non risponde più a trattamenti specifici e causali,
a prognosi infausta; l’informazione gli è stata data da
altro collega o è il Mdf che deve comunicargliela; sente
il suo orizzonte di vita più limitato, ha perso la serenità, ha atteggiamenti che rivelano in modo più o meno
esplicito ansia o angoscia.
Il MdF utilizza in ogni caso il protocollo di Buckman, o
simili modalità di comunicazione di una malattia grave,
per permettere al malato terminale di prendere le sue
decisioni a riguardo del fine della sua vita (4, 5). Lo aiuta a correggere eventuali incomprensioni. Assicura che i
suoi desideri saranno rispettati e che in ogni momento
li potrà cambiare. Propone cure palliative al domicilio,
secondo l’organizzazione e le disponibilità del proprio
territorio.
3. Assistito malato terminale
Al domicilio del malato terminale, con breve aspettativa
di vita, salute compromessa, indice di Karnofsky inferiore a 50, sono state avviate cure palliative multidimensionali in un lavoro di equipe (si spera, sarebbe preferibile)
o fornite dal solo MdF con un infermiere (più spesso);
il soggetto è sveglio, in grado di relazionare, con conservata capacità mentale di capire le informazioni, di
comunicare e motivare i suoi desideri; presenta inevitabilmente un disturbo affettivo o del tono dell’umore inquadrabile in uno dei cinque descritti dalla Kubler-Ross
(6): negazione – rabbia – depressione – compromesso
– accettazione.
Il MdF, nell’attuare cure palliative per la sedazione del
dolore e il sollievo dalla sofferenza globale, privilegia i
bisogni del malato e i suoi diritti all’autonomia e all’au-
toderminazione. Nel contesto in cui il MdF opera, non
occorrono leggi e regolamentazioni: le cure palliative,
compresa la sedazione terminale, si attuano all’interno
di una relazione di fiducia e di una storia condivisa (7).
Se i famigliari non sono d’accordo sulle scelte del loro
congiunto li si porta alla loro accettazione con gli stessi
atteggiamenti del protocollo di Buckman. Ogni intervento deve essere condiviso con gli altri membri dell’equipe.
Una presenza costante, la disponibilità all’ascolto, l’attenzione con empatia possono permettere una comunicazione tempestiva, puntuale e facilitante le decisioni. Quando il morente non è più in grado di esprimere
la sua volontà, e non siano conosciuti i suoi desideri, il
MdF attua un giudizio sostitutivo, consistente nell’esprimere una scelta conforme a quello che verosimilmente
avrebbe desiderato il paziente se fosse stato in grado di
manifestare la propria volontà. Tale giudizio deve essere
condiviso col famigliare più prossimo e comunicato agli
altri componenti l’équipe.
Il medico che non fosse d’accordo con la deontologia
o non si sentisse motivato-capace-formato, dovrebbe
onestamente dichiarare al paziente e ai familiari di non
essere in grado di prendersi cura di una persona in fine
di vita.
Note e bibliografia
1.WONCA, l’associazione internazionale delle società scientifiche della Medicina Generale, nei suoi
documenti, a partire dal 2002, definisce con questi nomi il professionista di questa disciplina.
2.Convegno Nazionale di Terni, 2009, Dichiarazioni Anticipate di Volontà: il medico “Sul piano etico
deve rispettare le norme del Codice Deontologico che si rifanno ai grandi principi sanciti da varie
autorevoli fonti che hanno segnato la storia della nostra deontologia, dal Codice di Norimberga alla
Dichiarazione di Oviedo”.
3.Codice di Deontologia Medica, 2014, art. 38.
4.Protocollo di Robert Buckman del 1993, pubblicato in italiano nel 2003, denominato S.P.I.K.E.S.,
un acronimo formato dalle lettere dei sei passi fondamentali costitutivi dell’intervento che iniziano
dall’esplorazione delle conoscenze e delle aspettative del malato fino alla comunicazione della verità rispettando il ritmo e la volontà del malato. È quello su cui vengono formati dal 2007 i giovani
colleghi del Corso Triennale di Formazione Specifica in Medicina Generale della Regione Piemonte.
5.Guarino A, Serantoni G, De Santi A. Comunicazione della diagnosi. In Federici A. Screening Roma:
Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.
6.Elizabeth Kubler-Ross, La morte e il morire, Feltrinelli, Milano 2013.
7.Bono G. La sedazione palliativa non è eutanasia, Torino Medica, luglio-agosto 2011.
8.Bono G. Il tempo di morire. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010.
DICEMBRE 2015
13
focus _ direttive anticipate di trattamento (DAT)
DAT: il punto di vista della
FNOMCeO
La d.ssa Roberta
Chersevani,
Presidente
FNOMCeO
Foto by
Roberta Chersevani
Le
dichiarazioni
anticipate di
trattamento
esprimono gli
orientamenti
sui
trattamenti
ai quali il
cittadino
desidera o
non desidera
essere
sottoposto
nell’eventuale
sopravvenire
di una
condizione
irreversibile
di incapacità
di esprimere
le proprie
volontà. Egli
esprime
consenso
o dissenso
previa
informazione
14
DICEMBRE 2015
Presidente FNOMCeO
Credo opportuno riportare l’art. 38, che nel Codice di Deontologia medica del 2014, si
riferisce alle dichiarazioni anticipate di trattamento.
“Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma
scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione
medica di cui resta traccia documentale.
La dichiarazione anticipata di trattamento comprova la libertà e la consapevolezza della
scelta sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non
si desidera vengano attuati in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà
cognitive o valutative che impediscono l’espressione di volontà attuali.
Il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro
congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità di vita del paziente, dandone chiara espressione nella
documentazione sanitaria.
Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e in caso di contrasto si avvale del dirimente giudizio previsto dall’ordinamento
e, in relazione alle condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure
ritenute indispensabili e indifferibili.”
L’articolo è molto dettagliato, soprattutto in assenza di una regolamentazione legislativa.
In sostanza il medico tiene conto di una decisione documentata, ne verifica la congruenza logica e clinica, nel rispetto della dignità e della qualità di vita del paziente.
La dignità e la qualità di vita del paziente si ritrovano anche nell’articolo 39, che tratta
dell’assistenza al paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello
stato di coscienza. In questo contesto il medico non abbandona il paziente, ma continua
ad assisterlo e se in condizioni terminali impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo dalle sofferenze tutelando la volontà, e di nuovo la dignità e la qualità
della vita.
Il medico, in caso di definitiva compromissione dello stato di coscienza del paziente,
prosegue nella terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno
delle funzioni vitali finché ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Non c’è abbandono, non deve esserci dolore.
Gli articoli 38 e 39 rientrano nel Titolo che riguarda informazione, comunicazione, consenso e dissenso. I principi che li guidano si ritrovano in un altro Titolo, che riguarda
doveri e competenze del medico.
Il termine eutanasia non compare nel nuovo Codice, per un recupero di quel “eu” che
non ha significato negativo, ed il relativo articolo 17 si trasforma in “atti finalizzati a provocare la morte”, che non si effettuano, nemmeno su richiesta del paziente.
Forse è proprio l’articolo 16, che riguarda procedure diagnostiche e interventi terapeutici
non proporzionati quello che potrebbe maggiormente avvicinare le volontà espresse dal
paziente ed il medico che tiene conto dei principi di efficacia e di appropriatezza delle
cure. Infatti, il medico non intraprende né insiste in procedure diagnostiche e interventi
terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, dai quali non ci si
possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la salute e/o un miglioramento
della qualità della vita.
Il controllo efficace del dolore si configura, in ogni condizione clinica, come trattamento
appropriato e proporzionato.
Il medico che si astiene da trattamenti non proporzionati non pone in essere in alcun caso
un comportamento finalizzato a provocare la morte.
Gli articoli del Codice si rifanno al documento che il consiglio nazionale della Federazione
ha approvato a Terni nel Giugno 2009.
L’autonomia decisionale del cittadino si correla con l’autonomia e responsabilità del medico, nelle sue funzioni di garanzia. Alla tutela e al rispetto della libertà di scelta della persona assistita deve corrispondere la tutela ed il rispetto della libertà di scelta del medico,
in ragione della sua scienza e coscienza.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento esprimono gli orientamenti sui trattamenti ai
quali il cittadino desidera o non desidera essere sottoposto nell’eventuale sopravvenire
di una condizione irreversibile di incapacità di esprimere le proprie volontà. Egli esprime
consenso o dissenso previa informazione.
Il paziente non può chiedere assistenza a morire, ma può chiedere che non vi sia un accanimento terapeutico, termine che volutamente è stato tolto nella recente versione del
Codice, perché aggressivo, e difficilmente inseribile nell’alleanza terapeutica che rappresenta il rapporto medico-paziente.
Lo straordinario sviluppo delle procedure e delle tecniche di mantenimento delle funzioni
vitali nelle fasi avanzate di malattie cronico degenerative o di recupero delle stesse in
condizioni di emergenza rischiano di interrompere e falsare un percorso naturale che può
portare alla morte.
Tutti desiderano un percorso il più naturale possibile.
u
Credo che sia un auspicio anche dei medici, per quello che concerne la loro sorte.
DICEMBRE 2015
15
focus _ direttive anticipate di trattamento (DAT)
Pianificazione condivisa
del fine vita
Giuseppe Gristina
Gruppo di Studio Bioetica, Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione Terapia Intensiva
Nella medicina moderna, il principio fondante di qualsiasi strategia di cura sta nel rispettare l’autonomia del
paziente. Il mancato rispetto di questo principio può
generare nella pratica clinica problemi di ordine sia morale che legale (1, 2). Tuttavia, nel caso in cui i pazienti
non siano più capaci di intendere e volere, conoscerne e rispettarne le volontà può costituire un problema
complesso e di non facile soluzione (3).
In generale, nel nostro Paese, raramente i pazienti riescono a venire coinvolti nella pianificazione delle cure e
nelle scelte di fine vita. Di conseguenza, quando giungono in ospedale nella fase finale della loro malattia,
non sono in grado di prendere o condividere le decisioni mediche che li riguardano, rischiando di essere sottoposti a trattamenti che con ogni probabilità non avrebbero accettato se in grado di decidere per loro stessi.
Peraltro, la legislazione vigente in Italia non assegna ai
familiari il ruolo giuridicamente forte di rappresentante
ma solo di testimone della volontà del paziente, così,
la eventuale decisione finale di limitare o meno i trattamenti rimane propria del medico. Da ciò l’urgenza di
un impegno da parte della comunità scientifica, della
società civile e del mondo politico a trovare la soluzione
migliore che possa garantire il reale diritto di autonomia dei pazienti nel fine vita.
IL DIBATTITO
Nelle direttive anticipate di trattamento (DAT) si è visto un possibile strumento per garantire il rispetto dei
valori e delle volontà del paziente con il conseguente
e doveroso adeguarsi ad essi della condotta del medico (4, 5). In Italia il confronto sul tema delle DAT e
dell’autonomia del paziente, ha avuto luogo per la prima volta tra il 2006 e il 2009 in una cornice di forte
scontro, prima ideologico tra laici e cattolici, poi anche
politico tra progressisti e conservatori, delineatosi con i
casi Welby ed Englaro (6-10). Questo contrasto ha impedito una discussione equilibrata sul tema delle DAT
deviando l’attenzione dalla reale essenza del problema
delle scelte di fine vita e del diritto di autonomia di tali
scelte, che è invece quello della proporzionalità dei
16
DICEMBRE 2015
trattamenti e della conseguente legittimità, sul piano
etico e legale, della loro limitazione. Così, si è finito
per identificare il tema della limitazione dei trattamenti
alla fine della vita con quello, completamente diverso,
dell’eutanasia.
Al contrario, sospendere le cure, in accordo tra medici, pazienti e familiari, altro non è che l’accettazione
di un esito inevitabile – la morte – sulla base, da un
lato dei principi di non maleficienza e di beneficialità
(evitare sofferenze inutili), dall’altro dell’irreversibilità –
scientificamente provata – del processo del morire, del
limite sperimentato delle cure e dell’inutilità della loro
prosecuzione (11). In questo clima nel 2009 la Camera
ha approvato una proposta di legge sulle DAT, ancora
oggi in attesa della definitiva approvazione del Senato,
fortemente criticata dal punto vista scientifico, etico e
giuridico (15).
I LIMITI
Ma le DAT possono tuttora considerarsi un obiettivo da
raggiungere? O non piuttosto un obiettivo superato?
Non si tratterebbe piuttosto di pervenire a una legge
che affrontasse il tema del fine vita in tutta la sua complessità, come già in altri Paesi europei si è fatto? D’altronde, le DAT, nei Paesi in cui sono state integrate nei
sistemi giuridici, hanno solo in parte prodotto il risultato sperato, ossia proteggere l’autonomia del paziente,
garantire la coerenza tra qualità delle cure erogate e i
desideri del paziente. La letteratura, infatti, ci conferma
che pur formulando i pazienti frequentemente le proprie DAT non sempre poi esse trovano una scrupolosa e
completa attuazione mentre in alcuni casi non vengono
rispettate del tutto (16-20).
Nel Regno Unito, in USA e in Australia, nel tentativo
di superare i limiti delle DAT, si è delineato quindi un
sistema di pianificazione anticipata delle cure (Advance
Care Planning - ACP), cioè un processo informativo bidirezionale che si svolge gradualmente durante tutto il
percorso di malattia (21). Infatti, consultando i medici e
le altre figure professionali il paziente può comprendere
a fondo la gravità della propria malattia, la prognosi
e gli strumenti diagnostico-terapeutici necessari ad affrontarla, e decidere a quale livello di intensità e qualità
delle cure desidera essere sottoposto anche nel caso in
cui divenisse incapace di intendere e di volere. I curanti,
a loro volta, possono conoscere le aspettative e la scala
valoriale del paziente. Si tratta di un approccio centrato
su quest’ultimo e sui familiari che, prevedendo scelte
condivise, migliora la qualità delle cure nel suo complesso e in particolare nella fase finale della vita, riducendo lo stress psicologico e prevenendo cure e ricoveri
inappropriati (22-27).
Pertanto, quando consapevolmente maturate nel contesto più ampio dell’ACP, le DAT si sono dimostrate più
efficaci e credibili anche nel caso di pazienti non più in
grado di esprimere le proprie volontà (28, 29).
LA POSSIBILE SOLUZIONE
In conclusione, le DAT dovrebbero rappresentare scelte
libere e consapevoli dei cittadini sviluppate in accordo
con il medico nel contesto della relazione della cura
(22). In questo senso, obiettivo della legge non dovreb-
be essere quello di imporre prescrizioni coercitive alla
relazione medico-paziente definite aprioristicamente,
ma approntare un dispositivo giuridico in grado di incentivare e accogliere le direttive del paziente scaturite
da un’accurata valutazione del rapporto costo/beneficio in merito ai vari percorsi clinico-assistenziali possibili
(cure intensive vs cure simultanee-palliative). Questa
valutazione dovrebbe essere basata da un lato sulla
migliore evidenza scientifica disponibile e, dall’altro sul
principio di proporzionalità delle cure. Questi supporti decisionali dovrebbero essere contestualizzati in una
pianificazione anticipata delle cure maturata in un’efficace relazione medico-paziente.
In tal modo, alla persona malata sarebbe garantita la
possibilità di scegliere liberamente quale percorso intraprendere, aiutato dal medico, durante la malattia,
prima della perdita della capacità causata dall’aggravamento delle sue condizioni, informata sul decorso,
sulla qualità/quantità della vita residua, sulla probabilità
di successo dei trattamenti, sul loro grado di efficacia e
sugli oneri da sopportare.
La legge dovrebbe allora limitarsi a definire la cornice di
legittimità giuridica delle DAT sulla base dei diritti della persona costituzionalmente protetti, senza invadere
l’autonomia del paziente e del medico prefigurando tipologie di trattamenti disponibili e non disponibili (11,
30).
Questa legge dovrebbe in sintesi:
• ammettere una funzione di rappresentazione del miglior interesse del paziente da parte di un fiduciario
legalmente riconosciuto (non solo il Tutore o l’Amministratore di Sostegno),
• differenziare i concetti di cure sproporzionate e la
conseguente limitazioni terapeutiche dall’eutanasia,
• garantire esplicitamente al paziente competente la
libertà di rifiutare cure che, seppure teoricamente
appropriate, egli riterrebbe non dignitose,
• consentire la limitazione delle cure anche nel paziente non più in grado di intendere e volere,
• riconoscere il dovere giuridico e morale dei medici
di proteggere il paziente morente dalla sofferenza
tramite la sedazione palliativa,
• garantire al medico di non vedersi perseguito qualora non erogasse o interrompesse cure sproporzionate.
La soluzione quindi potrebbe essere quella di inserire
le DAT in un contesto più ampio garantito dalla legge (ACP) che rispetti le differenti culture, idealità religiose e laiche e le differenti individualità biologiche e
biografiche dei pazienti, e che assicuri ai medici quella
serenità di giudizio che è necessaria per compiere scelte etiche adeguate alle sempre più complesse vicende
umane insite nella moderna pratica clinica.
DICEMBRE 2015
17
focus _ direttive anticipate di trattamento (DAT)
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18
DICEMBRE 2015
ving will. The Hastings Cent Rep 2004; 34: 30-42.
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18.Teno JM, Lynn J, Phillips RS. Do formal advance directives affect resuscitation decisions and the use of resources for seriously ill patients? J Clin Ethics 1994; 5:
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19.Danis M, Southerland LI, Garrett JM. A prospective study of advance directives for life-sustaining care. N Engl
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27.Linee propositive per un diritto alla relazione di cura e
delle decisioni di fine vita” redatto dal Comitato Scientifico della Fondazione Cortile dei Gentili unitamente alle
società scientifiche SIAARTI e SICP. http://www.siaarti.
it/Ricerca/linee-propositive-per-un-diritto-alla-relazionedi-cura.aspx (ultimo accesso 2015 novembre).
28.Cohen S, Sprung CL, Sjokvist P, Lippert A, Ricou B, Baras M, et al. Communications of EOLC decisions in European ICU’s. Intensive Care Med 2005; 31: 1215-21.
29.Van Den Block L, Onwuteaka-Philipsen B, Meeussen K,
Donker G, Giusti F, Miccinesi G, et al. Nationwide continuous monitoring of end-of-life care via representative networks of general practitioners in Europe. BMC
Fam Pract 2013; 14: 73-84.
30.Orsi L, Giannini A, Vergano M, Gristina GR. Le cure di
fine vita in Italia: il problema e la sua possibile soluzione
nella prospettiva dei clinici. BioLaw Journal – Rivista di
Biodiritto, n. 2, 2001, pp. 227-34.
Le direttive anticipate di
fine vita e il diritto italiano
Carlo Casonato
Professore di Diritto costituzionale comparato, Facoltà di Giurisprudenza,
Università di Trento, Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica
L’ALTERNATIVA
A fronte di una persona incapace di esprimere le proprie volontà in riferimento ai trattamenti sanitari, si aprono in via generale due vie alternative. Si può, da un lato, insistere
in ogni caso per il suo mantenimento in vita, considerando che, se anche avesse espresso
delle volontà anticipate di non essere trattata, queste non sarebbero più attuali e quindi
non andrebbero seguite (alternativa “biologica”).
D’altro canto, si può invece sostenere l’opportunità di affidarsi, per quanto possibile, alle
volontà precedentemente espresse o comunque desumibili dalle scelte compiute, dai
convincimenti, dalla personalità e dallo stile di vita della persona ora incapace (alternativa
“biografica”).
In mancanza di una legge che possa indicare con precisione la via da intraprendere, il
diritto italiano, al pari di tutti gli altri ordinamenti a noi vicini, contiene una serie di indici
che fanno propendere per la seconda via: quella della rappresentazione e della ricostruzione, con una serie di cautele e di attenzioni, della volontà della persona malata.
IL VALORE VINCOLANTE DELLE DAT
Negare ogni possibilità di decidere sul proprio destino in caso di incapacità di esprimersi,
anzitutto, produrrebbe la conseguenza di spogliare le persone cadute in tale stato del
diritto di autodeterminarsi, creando una discriminazione nei loro confronti.
In presenza di direttive anticipate di trattamento, così, tanto la Convenzione di Oviedo
(una convenzione non ancora direttamente applicabile in Italia, ma che costituisce un
valido ausilio interpretativo) quanto il codice di deontologia medica (che pur non essendo una legge assume una valenza normativa) dispongono che le volontà anticipate della
persona non più in grado di esprimersi vengano comunque tenute in considerazione.
Tale formula (“tenere in considerazione”) presenta certamente margini di ambiguità, ma
non può dirsi priva di significato, tutt’altro.
Essa esclude, anzitutto, che si possa ignorare la volontà espressa in precedenza. Non si
potrà quindi agire come se le direttive anticipate non fossero state date, ma bisognerà
– appunto – tenerle in considerazione. D’altro canto, la formula adottata esclude che le
stesse dichiarazioni possano avere un’efficacia assolutamente vincolante: tenere in considerazione, così, neppure può condurre ad individuare un obbligo in capo all’operatore
di attenersi sempre e comunque a quanto precedentemente disposto dal malato. La formula utilizzata dalla Convenzione e dal Codice di deontologia può quindi essere utilizzata
per tagliare – per così dire – la testa e la coda del problema, lasciando all’operatore un
margine discrezionale che però deve essere orientato al tendenziale rispetto della volontà
precedentemente espressa.
“Tenere in considerazione”, infatti, è formula che giuridicamente permette il discostarsi
da quanto va considerato a patto che vi siano motivi ragionevoli per farlo. E i motivi ragionevoli per non tenere in considerazione le volontà espresse da una persona in riferimento
ai trattamenti sanitari proposti possono ricondursi solo al mutamento delle condizioni u
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focus_ direttive anticipate di trattamento (DAT)
A fronte di una
persona incapace
di esprimere le
proprie volontà
in riferimento ai
trattamenti
sanitari [...] si
può, da un lato,
insistere in ogni
caso per il suo
mantenimento in
vita, (alternativa
“biologica”),
o si può invece
sostenere
l’opportunità
di affidarsi
alle volontà
precedentemente
espresse o
comunque
desumibili dalle
scelte compiute,
dai
convincimenti,
dalla personalità
e dallo stile di
vita della persona
ora incapace
(alternativa
“biografica”).
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a cui si era in precedenza espressa la dichiarazione di volontà. Si potrebbe trattare di
un nuovo farmaco o di un nuovo trattamento che la persona malata non aveva potuto
vagliare, oppure di una condizione clinica particolare che non aveva potuto considerare.
Ma nel momento in cui la volontà espressa in precedenza si riferisca con precisione alla
situazione clinica poi verificatasi, la formula “tenere in considerazione” indica il suo valore vincolante, non essendovi motivi ragionevoli per discostarsene.
Su questa linea, del resto, si può leggere un parere del 2003 del Comitato Nazionale per
la Bioetica in cui già si sottolineava la rilevanza della volontà espressa precedentemente:
“Ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in
relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può
lecitamente esprimere la propria volontà attuale (…). Se il medico, in scienza e coscienza,
si formasse il solido convincimento che i desideri del malato fossero non solo legittimi, ma
ancora attuali, onorarli da parte sua diventerebbe non solo il compimento dell’alleanza
che egli ha stipulato col suo paziente, ma un suo preciso dovere deontologico: sarebbe
infatti un ben strano modo di tenere in considerazione i desideri del paziente quello di
fare, non essendo mutate le circostanze, il contrario di ciò che questi ha manifestato di
desiderare”.
Pure in assenza di una legge, quindi, un documento in cui si esprimano le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento, adottato con consapevolezza e redatto con precisione
(la più recente versione del codice di deontologia medica parla di “dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale”), costituisce
un primo strumento per vedere rispettate le proprie volontà future.
L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
Una seconda possibilità di esprimere le proprie volontà “ora per allora” è costituita
dall’indicazione di un amministratore di sostegno.
Questa figura è stata introdotta per rispondere alle esigenze di rappresentazione della volontà di chi si trovi in uno stato di incapacità anche parziale o temporanea di provvedere
a se stesso, senza presentare uno stato di totale infermità. Invece che intraprendere la via
estrema dell’interdizione o della inabilitazione, è allora possibile che chi si trova in una situazione di difficoltà nel provvedere ai propri interessi possa essere affiancato e sostenuto
da una persona di propria fiducia. Il nostro codice civile, al riguardo, detta espressamente
che “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o
psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri
interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice
tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”; amministratore che “può
essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario”.
In questi termini, la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità che determinate scelte,
anche di carattere terapeutico, possano essere legittimamente rappresentate da chi è
stato precedentemente indicato dallo stesso paziente come l’autentico interprete della
sua volontà. Un secondo strumento al servizio del rispetto delle volontà della persona
incapace è quindi costituito dall’amministrazione di sostegno, figura che, seppur nata
con scopi diversi, potrebbe essere oggetto di maggiore utilizzo anche in ambito clinico.
Da un punto di vista clinico, anzitutto, deve trattarsi di uno stato vegetativo tendenzialmente irreversibile per cui si possa escludere la possibilità di recupero della coscienza. La
Corte, espressamente, parla di una condizione di stato vegetativo la quale “sia, in base
ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre
che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero
della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”.
La seconda condizione per l’autorizzazione di una interruzione di trattamento è, per
così dire, di carattere processuale e si riferisce al peso delle prove portate a favore della
ricostruzione della volontà della persona. La richiesta di interruzione, così, dovrà essere
“realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti,
della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi
convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona”.
Il terzo requisito posto dai giudici riguarda l’accordo fra le persone incaricate di presentare la volontà dell’incapace. La sola rappresentazione del tutore, così, non è stata
considerata sufficiente per supportare una decisione così grave come l’interruzione di un
trattamento di sostegno vitale, e si è chiesta la nomina ed il conseguente parere di un
curatore speciale.
L’INGIUSTIFICABILE RITARDO
DEL PARLAMENTO ITALIANO
Come illustrato, il diritto italiano, considerato
nella totalità delle sue componenti, offre un quadro di principi in grado di indicare la disciplina
delle direttive anticipate di trattamento. Ciò non
toglie che tematiche di questa complessità e delicatezza avrebbero bisogno di normative dettagliate e precise, frutto di un dibattito aperto e
non strumentale affrontato a livello sia sociale sia
politico-parlamentare.
Alcuni disegni di legge già depositati in Parlamento potrebbero costituire le basi su cui poter
giungere anche in Italia, pur con un ingiustificabile ritardo, ad una legge attenta e equilibrata.
IN ASSENZA DI DISPOSIZIONI: LA (CAUTA) RICOSTRUZIONE DELLE VOLONTÀ
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la persona caduta in uno stato di incapacità non
presenta dichiarazioni anticipate precise né un amministratore di sostegno. In tutte queste circostanze, pure, la giurisprudenza italiana, sulla scia dei principi costituzionali e sulla
scorta di quanto già previsto in molti altri Paesi, ha fissato una serie di condizioni che
permettono il rispetto del diritto al rifiuto dei trattamenti delle persone incapaci.
La Corte di Cassazione, così, ha dal 2007 indicato come l’interruzione di un trattamento
di sostegno vitale, formula comprensiva della nutrizione e idratazione artificiale, possa
essere autorizzata solo in presenza di tre requisiti.
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focus_ direttive anticipate di trattamento (DAT)
“Rinnovi i documenti?
Rinnova una vita!”
Progetto per l’acquisizione della dichiarazione
di volontà alla donazione di organi e tessuti
Nicola Ferraro
La disponibilità a donare una parte del proprio corpo per salvare un altro essere umano è una caratteristica molto positiva della nostra specie che però, come tutte le doti innate (ad esempio la capacità
di comunicare o l’intelligenza), deve essere favorita e coltivata perché non si snaturi, non si disperda
e non si sprechi.
Un progetto multicentrico gestito dal Centro Regionale Trapianti Piemonte e dall’Asl TO5 – Distretto
Sanitario Moncalieri (Comune di La Loggia, Moncalieri e Trofarello), si propone di proprio l’obiettivo
di favorire l’espressione della volontà individuale (positiva o negativa) in tema di donazione di organi
e tessuti esplicitando questa intenzione sulla Carta d’Identità. Secondo Raffaele Potenza anestesista,
in forza con la d.ssa Anna Guermani al nostro Centro Regionale Trapianti (Coordinamento Regionale
delle Donazioni e dei Prelievi d’organi e tessuti diretto da PierPaolo Donadio), “esplicitare con sì o con
un no la propria volontà di donare una parte di sé a favore di chi non aspetta altro per continuare a
vivere è già un fatto molto positivo anche in caso di diniego”. Si pensi, non a caso, a quello che avviene, in assenza di questa volontà espressa, quando a dover dare il consenso sono chiamati i congiunti
di un uomo o di una donna appena deceduta
CENTRO REGIONALE TRAPIANTI PIEMONTE -­ASL TO5 – DISTRETTO SANITARIO MONCALIERI
COMUNE LA LOGGIA – COMUNE MONCALIERI – COMUNE TROFARELLO
PROGETTO 1:
SENSIBILIZZAZIONE DEI SINDACI ASL TO5
La legge che prevede per i comuni l’acquisizione della
dichiarazione di volontà all’atto del rinnovo del documento di identità non ha termini perentori. La maggioranza dei comuni pertanto in questa prima fase non ha
ancora avviato le procedure per l’acquisizione di tale
volontà.
OBIETTIVO: rapida adesione dei comuni della ASL
TO5 al dettato normativo di acquisizione della dichiarazione di volontà alla donazione all’atto di rinnovo
della carta di identità
MODALITÀ: Incontro di informazione sensibilizzazione svolto dal Centro Regionale Trapianti per i sindaci
della’ASL TO5, nell’ambito della conferenza dei sindaci
mirato a:
• Informare sui contenuti della legge recentemente
entrata in vigore
• Informazione sulle procedure, sul materiale informativo, sullo stato dell’arte relativo a dichiarazioni
di volontà, espianti e trapianti.
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INDICATORE: Svolgimento dell’incontro informativo
nell’ambito della Conferenza dei Sindaci entro il 2015.
PROGETTO 2: PROGETTO DISTRETTUALE
Nei comuni italiani che hanno avviato la richiesta di
dichiarazione di volontà la percentuale di effettiva
espressione di un parere da parte dei cittadini (favorevole o sfavorevole che sia) è bassa e pari al 25% circa
dei cittadini che rinnovano il documento. Ciò avviene
in quanto i cittadini non sono stati preventivamente
e capillarmente informati. Inoltre non sempre il personale amministrativo dei comuni, anche se specificatamente formato, possiede competenze e status adeguato per fornire risposte esaurienti ed autorevoli ai
dubbi dei cittadini.
OBIETTIVO: Acquisire la dichiarazione di volontà all’atto del rinnovo della C.I., nell’ambito di un distretto
sanitario, di cittadini che siano stati preventivamente
informati e resi consapevoli da parte dei sanitari di riferimento (MMG e farmacisti) al fine di incrementare il
numero di cittadini che esprimono una dichiarazione.
“Questo Progetto torinese a più voci –ci dice Massimo
Uberti, Direttore Generale dell’Asl TO5 e ideatore
dell’iniziativa (foto a lato) - muove dalla constatazione
del fatto che la legge prevede per i Comuni l’acquisizione della dichiarazione di volontà all’atto del rinnovo del documento di identità ma senza stabilire le
modalità operative in termini perentori. Questo fatto
si traduce in una serie difficoltà di informazione che
penalizza gravemente la possibilità offerta dalla legge.
Difficoltà di informazione che colpiscono i cittadini ma
anche gli impiegati dei Comuni chiamati dai cittadini
a dare risposte per esprimere o negare il consenso alla
u
donazione”.
PRECONDIZIONI:
• Acquisizione della disponibilità da parte di tutti i sindaci di un distretto ad attivare le procedure per l’acquisizione della dichiarazione di volontà alla donazione
nell’ambito dell’acceso per il rinnovo della C.I. entro
febbraio 2016
• Acquisizione della disponibilità dei MMG del distretto
ad informare i propri assistiti sul tema specifico
Acquisizione della disponibilità delle farmacie del territorio distrettuale affinchè collaborino all’informazione
alla popolazione.
MODALITÀ
◊ Adeguamento software da parte dei comuni
◊ Formazione personale dei comuni effettuata dal
Centro Regionale Trapianti e consegna materiale
informativo per i cittadini
◊ Formazione MMG distretto (nell’ambito dei progetti
di formazione obbligatoria) da parte del Centro Regionale Trapianti e consegna materiale informativo
per i cittadini
◊ Formazione Farmacisti distretto effettuata dal Centro Regionale Trapianti e consegna materiale informativo per i cittadini
◊ Invio al distretto da parte dei Comuni dell’elenco
nominativo dei cittadini con C.I. in scadenza nell’anno successivo.
◊ Invio da parte del distretto ai singoli MMG dell’elenco dei propri assistiti con C.I. in scadenza
◊ I MMG nel periodo antecedente il rinnovo, in uno
dei momenti di contatto con ciascun assistito del
predetto elenco, provvedono ad informare correttamente ed a motivare i propri assistiti anche fornendo il materiale messo a disposizione dal centro
regionale trapianti
◊ Le farmacie rendono disponibile il materiale informativo ai propri clienti e si rendono disponibili a fornire informazioni ai cittadini interessati
◊ Presso le farmacie, presso gli studi dei medici e presso le anagrafi vengono esposti cartelloni che informano e che invitano a rivolgersi al medico curante
e/o al farmacista per informazioni, dubbi, domande
sul tema
◊ I comuni all’atto del rinnovo della C.I. acquisiscono
la dichiarazione di volontà del cittadino.
INDICATORE: n. di dichiarazioni di volontà 2016 / n di
rinnovi C.I. 2016 x 100 STANDARD: > 25%
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focus_ direttive anticipate di trattamento (DAT)
QUESTO INTERVENTO
MI HA CAMBIATO LA VITA!
VIENI A SCOPRIRE
SE SEI IDONEO
Tiziana Putignano
“Operata di Clear lens
multifocale”
TARIFFE CONVENZIONATE
PER GLI ISCRITTI
ALL’ORDINE
STRUTTURA CONVENZIONATA CON LE MAGGIORI ASSICURAZIONI SANITARIE
1° gennaio 18 novembre
2015:
37
comuni
piemontesi
(su 1206)
hanno registrato
la volontà dei
cittadini di donare
o non donare organi
e tessuti: il risultato è di
7.500 espressioni,
di cui 84%
disponibili a donare
ACCREDITAMENTO
Medici
[ C H I R U R G I A R E F R AT T I VA L A S E R ] [ P R E S B I O P I A ] [ CATA R AT TA ]
E’ necessario presentare la tessera
durante la 1° visita
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DICEMBRE 2015
DICEMBRE 2015
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CLINICA BAVIERA ITALIA S.r.l. Autorizzazione sanitaria n.1 del 17.01.2002 Dir. Sanitario Dott. M. Moschi
Questa iniziativa nata nella provincia di Torino, ci dice il dottor Massimo Uberti, “è quindi un progetto
di formazione che vuole amplificare la capacità di comunicazione di medici di famiglia e farmacisti
per metterli nella condizione di informare in modo ottimale i cittadini sull’opportunità di esprimere la
possibilità di donare gli organi al momento del rinnovo della Carta d’Identità. L’altro aspetto formativo riguarda poi il personale delle anagrafi perché siano in grado di rispondere alle domande rivolte
loro dai cittadini”.
Rapido l’iter istituzionale per dar avvio a questa sperimentazione. “Abbiamo presentato la bozza del
progetto – continua il dott. Uberti - all’UCAD (Ufficio Coordinamento Attività Distrettuali) del Distretto di Moncalieri (Moncalieri, La Loggia, Trofarello) e l’iniziativa è molto piaciuta, tanto che è stata
subito condivisa operativamente dalla d.ssa Teresa Bevivino, Direttore dello stesso Distretto”. E presto
la sperimentazione dovrebbe essere estesa anche agli altri comuni dell’Asl TO 5 (4 Distretti in totale):
il Progetto è stato infatti presentato anche all’Assemblea dei Sindaci dell’Asl TO 5.
Cosa ci si attende da questo Progetto?
Senz’altro il decollo dell’esplicitazione della volontà di donare organi e tessuti.
“I numeri parlano chiaro”, ci dice il dott. Raffaele Potenza del Centro Regionale Trapianti, responsabile nel Progetto della formazione a favore di Amministrativi, Medici di Famiglia e Farmacisti. “Dal
2000 al 2015, dopo l’entrata in vigore della Legge 91/1999, e la creazione del Sistema Informativo
Trapianti (SIT, https://trapianti.sanita.it/statistiche/home.asp, accessibile dal QRcode sottostante), in
tutte le Asl del Piemonte erano state registrate 3.500 espressioni di volontà. Dal 1° gennaio 2015 al
18 novembre scorso, grazie al fatto che 37 Comuni piemontesi (su un totale però di 1206!) hanno
preso a registrare la volontà dei cittadini di donare o non donare organi e tessuti, le espressioni raccolte al momento del rinnovo del documento d’identità hanno raggiunto la cifra di 7.500: in queste
sono anche comprese le adesioni raccolte dal Comune di Settimo Torinese sin dal marzo del 2014”.
Molto alta la disponibilità registrata a donare: l’84% di chi esplicita la propria volontà. Un dato che in
un epoca di vuoti e deteriori luoghi comuni difficili da stroncare fa riflettere e pone più di un dubbio
sul cinismo dilagante.
tribuna
Il terrorismo non passerà
Nicola Ferraro
Dopo i 41 morti di Beirut in un centro commerciale, il 12 novembre scorso, la stessa mano ha fatto altri 130 morti
(ma il bilancio purtroppo è provvisorio mentre stiamo chiudendo questo numero di Torino Medica in redazione) e
300 feriti a Parigi. I fatti sono quelli, noti e inquietanti, accaduti lo scorso venerdì 20 novembre sera: una strage
senza senso frutto di una follia omicida che è un attentato all’umanità intera.
Il giorno dopo, mentre era in corso all’Ordine la Premiazione per i 50 e i 70 anni di laurea e il Giuramento professionale dei nuovi iscritti, la redazione ha messo in Rete sul portale www.torinomedica.org il comunicato che riproduciamo integralmente, corredato da un’amara vignetta di Claudio Mellana.
I medici e gli odontoiatri torinesi partecipano al
dolore e allo sdegno dei cittadini francesi
Gli attentati terroristici di Parigi sono
un crimine contro l’umanità e la convivenza civile.
I medici e gli odontoiatri torinesi riuniti oggi, 14 novembre 2015, nella sede
del loro Ordine professionale per festeggiare i 50 anni di laurea di alcuni
suoi iscritti e l’ingresso nella professione di molti giovani professionisti hanno voluto esprimere tutto il loro dolore per i morti e tutto il loro sdegno per
i fatti inqualificabili che hanno colpito
ieri sera la capitale francese.
L’hanno fatto attraverso due intensi
momenti di silenzio e riflessioni profonde che hanno interrotto un evento
importante per la vita dell’Ordine dei
Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
della provincia di Torino.
Formazione: i corsi ECM
gratuiti dell’Ordine nel 2016
Ivana Garione
Consigliere OMceO di TO - Responsabile dei Corsi di Formazione ECM
Il Consiglio dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di di Torino nella riunione del
16/11/2015, dopo aver acquisito il parere favorevole
del Comitato Scientifico, ha approvato il Piano Formativo dei Corsi di Formazione che saranno offerti gratuitamente agli Iscritti nel 2016.
La grande maggioranza dei futuri Corsi nasce da proposte dei componenti delle Commissioni Ordinistiche
che si sono dimostrati fin dal 2013, anno in cui l’Ordine
si accreditò come Provider Nazionale ECM, particolarmente attivi e entusiasti di partecipare alla progettazione e realizzazione della Formazione.
Una verifica nazionale confermò che nel 2014 e nel
2015 l’Ordine di Torino aveva realizzato il maggior numero di Corsi fra tutti i 106 Ordini italiani. Inoltre quegli
eventi formativi sono stati molto apprezzati dagli Iscritti che li hanno giudicati di alto profilo qualitativo per
quanto riguarda i contenuti: alcuni corsi hanno avuto
una partecipazione così alta da richiedere una riedizione per soddisfare la domanda.
Anche per il 2016 è stato previsto un alto numero di
eventi: ben 29.
Naturalmente la realizzazione di una formazione tanto
articolata costituisce un onere economico ed organizzativo significativo per l’Ordine, che lo affronta consa-
pevole di adempiere alla sua mission specifica, prevista
dall’articolo 3 dello Statuto degli Ordini professionali
(DLCPS 13 settembre 1946) che recita: “ Agli Ordini
professionali spetta l’attribuzione di promuovere o favorire tutte le iniziative intese a facilitare il progresso
culturale degli iscritti”.
Nella scelta dei temi di formazione si è privilegiato, oltre
agli argomenti specifici di natura deontologica, quelli
che, pur sembrando di stretta natura tecnica, hanno rilevanti aspetti di responsabilità professionale. Un esempio per tutti: il corso “Dal fare alla responsabilità del
fare: l’occlusione dell’arteria femorale superficiale. Una
patologia, tanti trattamenti”.
In aggiunta a questi profili ci sono da segnalare, come
si può leggere nel Piano Formativo che alleghiamo integralmente di seguito, alcuni corsi di alto contenuto
sociale: ad esempio il contrasto alle diseguaglianze.
Il Consiglio dell’Ordine ha raccolto anche l’esigenza
segnalata dai Colleghi ospedalieri di conoscere con
molto anticipo le date dei corsi, per poter comunicare
alle Aziende la propria assenza dal lavoro: sul sito istituzionale dell’Ordine (www.omceo.to.it) sarà pubblicato, appena possibile, il calendario completo di tutti gli
eventi con le relative date.
PIANO FORMATIVO 2016
COMMISSIONE ASSOCIAZIONE DI MALATI E VOLONTARI
1) “L’anoressia nelle adolescenti. Strategie di prevenzione primaria e secondaria”
2) “L’endometriosi: malattia sociale?”
3) “La salute del rifugiato. Presa in carico globale”
COMMISSIONE ETICA E DEONTOLOGIA
1) “Etica di fine vita tra cure attive e desistenza”
2) “NBM – Medicina Basata sulla Narrazione. Riflessioni sull’Essere Medico, sull’Essere paziente
e sulla Medicina attraverso il cinema e la letteratura”
3) “Come prendersi cura della fragilità”
COMMISSIONE FORMAZIONE PERMANENTE E ACCREDITAMENTO FORMATIVO
1) “Medici a confronto: dignità della professione e moderni doveri deontologici”
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tribuna
COMMISSIONE MALATTIE RARE
1) “Siringomielia e Sindrome di Chiari: malattie rare, ma non troppo. Neurologia e Medicina Legale a confronto”
2) “Importanza della diagnosi precoce nelle malattie neuromuscolari rare con nuovi approcci terapeutici: ‘red
flags’ per pediatri e medici di famiglia”
COMMISSIONE MEDICINE NON CONVENZIONALI
1) “Il dolore muscolo scheletrico. Dal dolore articolare a quello miofasciale: diagnosi e strategie di trattamento”
2) “Stato dell’arte delle Medicine non Convenzionali: agopuntura, omeopatia, fitoterapia. Principi, evidenze cliniche, letteratura scientifica, esperienze di integrazione con il Servizio Sanitario Nazionale”
COMMISSIONE PARI OPPORTUNITA’
1) “Genere e ambiente”
2) “Eventi cardiaci acuti nel genere femminile”
3) “Comportamenti da dipendenza con e senza uso di sostanze nel genere femminile”
COMMISSIONE RAPPORTI CON ALTRI ORDINI E COLLEGI IN AMBITO SANITARIO
1) “Medici e professioni sanitarie in Piemonte: criticità e opportunità”
COMMISSIONE RISCHIO PROFESSIONALE E STUDIO DEL CONTENZIOSO
1) “Dal fare alla responsabilità del fare: l’occlusione dell’arteria femorale superficiale. Una patologia, tanti trattamenti”
2) “La gestione del paziente trapiantato di rene. Dalla clinica alla responsabilità professionale”
3) “Infezioni ospedaliere ed infezioni chirurgiche. Il rischio da agenti biologici nelle organizzazioni sanitarie e nei
servizi. Valutazione del rischio, prevenzione clinica e responsabilità medico legale” in collaborazione con la
Commissione Salute e Sicurezza in ambiente di lavoro e di vita
COMMISSIONE SALUTE E SICUREZZA IN AMBIENTE DI LAVORO E DI VITA
1) “Amianto e Salute Pubblica in Piemonte: Stato dell’Arte”
2) “Il polmone al lavoro: pneumopatie occupazionali. Vecchie conoscenze e nuove acquisizioni; aspetti epidemiologici, diagnostici, medico legali occupazionali”
3) “Nanotecnologia e patologia occupazionale. Il punto sullo stato della ricerca”
COMMISSIONE SALUTE MENTALE E ALBO PSICOTERAPEUTI
1) “Il consenso informato e i trattamenti senza consenso”
COMMISSIONE SOLIDARIETA’ NAZIONALE E INTERNAZIONALE EQUITA’ DELL’ACCESSO ALLE CURE
1) “Il ruolo dei professionisti per l’equità nel campo della salute”
2) “Il medico si confronta con lingue e percezioni di malattie ‘altre’”
CORSI A CURA DELLA PRESIDENZA DELLL’ORDINE
1) “Facciamo ordine: ingresso nel labirinto della professione. Primi passi in materia di fiscalità, relazione e consenso informato, certificazioni e prescrizioni, assicurazioni e risk management”
2) “La ricerca bibliografica tramite la Biblioteca Virtuale per la salute della regione Piemonte” con il contributo
della Commissione Pari Opportunità
3) “Incontro sull’allergologia” in collaborazione con Slow Medicine
4) “Incontro sull’alimentazione” in collaborazione con Slow Medicine
5) “Incontro sulla radiologia” in collaborazione con Slow Medicine
28
DICEMBRE 2015
DICEMBRE 2015
29
tribuna
Investire nel Servizio Sanitario Pubblico del Piemonte: è ancora possibile?
Nicola Ferraro
Mario Nejrotti
Questo il titolo
di un convegno,
o meglio,
un’importante
occasione di
confronto
tra medici e
Istituzioni, per
fare proposte
concrete a favore
della Sanità
in Piemonte,
organizzato
dall’Ordine il 20
novembre scorso
presso la sede di
Villa Raby.
ORDINE PROVINCIALE DEI MEDICI CHIRURGHI
ED ODONTOIATRI DI TORINO
Villa Raby, Corso Francia 8 - Torino
VENERDÌ 20 NOVEMBRE 2015
ore 15.00-18.00
INVESTIRE NEL SERVIZIO SANITARIO
PUBBLICO IN PIEMONTE
15.00 Introduzione OMCeO To
15.10-15.35 Sostenibilità del SSN
Nerina DIRINDIN - Senatrice, Commissione Igiene e Sanità del Senato
15.35-16.00 Aspetti finanziari del SSN e analisi della situazione Piemontese
Luigi PUDDU, Enrico SORANO - Dipartimento Management, Università di Torino
16.00-16.25 Proposte di reinvestimento nella città metropolitana
Giulio FORNERO - Coordinatore Commissione Organizzazione Sanitaria OMCeO To
16.30-16.40 La psichiatria
Antonio MACRÌ - Psichiatria
16.40-16.50 La non autosufficienza
Maria Grazia BREDA - Associazione Promozione sociale
16.50-17.00 L’emergenza-urgenza
Franco APRÀ, Roberta PETRINO - Presidente SIMEU Piemonte
17.00-17.10 La medicina convenzionata
Aldo MOZZONE - Medico di Medicina Generale
17.10-17.35 Razionalizzazione e risparmio a favore della sanità regionale
Antonio SAITTA - Assessore Sanità Piemonte
17.35-18.00 Conclusioni
Guido GIUSTETTO - Presidente OMCeO To
30
DICEMBRE 2015
La nostra sanità, fino ad un decennio fa indicata come
esempio a livello internazionale, ha via via ridotto, a
causa delle problematiche economico-organizzative
che investono da anni il settore sanitario la sua capacità
di essere non solo erogatore di prestazioni, ma sistema
di tutela della salute dei cittadini.
Da più parti si auspica addirittura un ritorno delle vecchie mutue, viste come istituti capaci di essere meno
costosi del sistema sanitario nazionale ma, di fatto,
in grado soltanto di curare e non di fare prevenzione:
identità strategica e distintiva del nostro Sistema Sanitario.
Inoltre, critiche sempre più pesanti sono dirette alle Regioni per la loro gestione della Sanità. Esse sono additate da più parti, e non senza ragione, come fonte di
sprechi e di diseguaglianze nell’accesso alle prestazioni
sanitarie e assistenziali da parte dei cittadini italiani.
Il confronto ha cercato anche di contestualizzare il
“Caso Piemonte”, Regione in cui i bilanci, prima e
dopo il piano di rientro dal deficit, hanno penalizzato il
finanziamento della Sanità nel suo complesso.
Una prima risposta alla domanda espressa nel titolo è
arrivata direttamente dall’assessore alla Sanità che ha
annunciato, prima di un incontro molto serrato con gli
iscritti (anche per i tempi ridotti imposti nell’occasione
dall’agenda politica dell’Assessore), un ritorno all’investimento sul personale sanitario (capitolo di spesa
penalizzato dal 2010) che dovrebbe essere realizzato
insieme al completamento della riorganizzazione della
rete ospedaliera, territoriale e amministrativa.
L’altra importantissima risposta al quesito posto dal titolo è arrivata dagli iscritti all’Ordine che hanno esposto
alcune esperienze professionali specifiche come esempi concreti di razionalizzazione operativa e di risparmio
in Sanità: si è spaziato dall’Emergenza-Urgenza alla
Medicina di Famiglia e ai suoi progetti di Medicina d’Iniziativa con cui si può praticare una prevenzione di
tipo innovativo per la salute dei cittadini e… dei conti
pubblici.
Un altro momento importante, anche a livello formativo, il confronto sugli aspetti finanziari e gestionali del
Sistema Sanitario Nazionale e Regionale esposti dai
professori Luigi Puddu ed Enrico Sorano dell’Università
di Torino. Non a caso la loro relazione è stata posta
all’inizio dell’incontro insieme a quella politica sulla sostenibilità del SSN che, purtroppo, non si è tenuta a
causa di un’assenza imprevedibile della Senatrice Nerina Dirindin.
Su questa importante iniziativa, pubblicizzata in modo
capillare dalla nuova rete di comunicazione istituzionale e giornalistica realizzata quest’anno dall’Ordine, nel
prossimo numero contiamo di avere un articolo di commento che sottolinei le novità emerse.
FOTO 1
Da sinistra il Presidente dott. Guido Giustetto, la d.ssa
Rosella Zerbi Segretaria dell’Ordine, la d.ssa Roberta Petrino
vice Presidente Regionale SIMEU e Presidente della Società
Europea di Medicina d’Urgenza, Antonio Saitta assessore
regionale alla Sanità del Piemonte, Prof Luigi Puddu
Dipartimento Management dell’Università di Torino, Dott.
Giulio Fornero Coordinatore Commissione OMCeO di Torino
sull’Organizzazione sanitaria.
FOTO 2
Da sinistra Antonio Saitta assessore regionale alla Sanità
del Piemonte, Prof Luigi Puddu Dipartimento Management
dell’Università di Torino, Dott. Giulio Fornero Coordinatore
Commissione OMCeO di Torino sull’Organizzazione sanitaria.
DICEMBRE 2015
31
tribuna
Diverse generazioni, stessa
fedeltà alla deontologia
Foto 1
Foto 2
Foto 3
Foto 4
Foto 5
Foto 6
A cura di Nicola Ferraro
Il 14 novembre si è tenuta a Villa Raby la cerimonia di premiazione per i 50 e 70 anni di
laurea e del Giuramento Professionale pronunciato da una folta rappresentanza di nuovi
iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Torino.
Di seguito l’elenco dei medici più anziani premiati e una sintetica cronaca fotografica
di istantanee scattate durante l’intera giornata: al mattino vi è stata la cerimonia delle
medaglie seguita da un semplice aperitivo in cortile e nel pomeriggio il Giuramento terminato con un momento di festa per i nuovi iscritti, i loro famigliari e gli amici.
È prevista la pubblicazione on line del servizio fotografico ufficiale dell’evento sul sito
istituzionale dell’Ordine: www.omceo.to.it
Accedendo al sito si potranno acquisire anche le foto che interessano.
La redazione di Torino Medica ha anche registrato integralmente la manifestazione e
realizzato tre video interviste: al Presidente dott. Guido Giustetto, alla Segretaria d.ssa
Rosella Zerbi e alla prof.ssa Elsa Margaria. Il materiale registrato è visibile sul sito www.
videomedica.org
.
LAUREATI 1964
(50 ANNI LAUREA)
1 Dr. ALLEGRI Aldo
2 Dr. AVOLIO Generoso
3 Dr.ssa BALLESTRERO Giovannella
4 Dr. BARAZIA Giovanni
5 Prof. BENSO Lodovico
6 Dr. BOLTRI Francesco
7 Dr. BOZZI Aldo
8 Prof. BRADAC Gianni Boris
9 Dr. BRICCO Giovanni Fulvio
10 Prof. BUMMA Cesare
11 Dr. CANAPARO Giuseppe
12 Dr. CANINO Vittorio
13 Dr. CAPRA Stefano
DECEDUTO
14 Dr. CARACCIOLO Giovanni
15 Prof.ssa CODEGONE Maria Laura
16 Dr. COLONNA Felice
17 Dr. CORAGLIA Alberto
18 Dr. D’AMICO Sergio
19 Dr. D’ORAZIO Vittorio
20 Dr. DANA Franco
21 Dr.ssa DE DOMINICIS Sandra
22 Dr. DELL’ERBA Cesare
23 Dr.ssa DI LEONARDO Norma
32
DICEMBRE 2015
24 Dr.ssaDOGLIANI Paola
25 Dr. DOLCETTI Alessandro
26 Prof. FAGNONI Vittorio
27 Dr. FERRANDO Ugo
28 Prof. FONTANA Dario
29 Prof. FORNARI Ugo
30 Dr. GABASIO Sergio
31 Dr. GAINO Tommaso Maria
32 Dr. GARDINI Mario
33 Dr. GILLI Giulio
34 Dr. KALDIS Nicolas
35 Prof. LANZA Aldo
36 Dr. LUCCI CHIARISSI Ugo
37 Prof.ssa MARGARIA Elsa
38 Dr. MOIRAGHI Paolo
39 Dr. MORGANA Salvatore
40 Dr. MUNIZZA Carmine
41 Prof. MUTANI Roberto
42 Dr.ssaNEGRI Maria Luisa
43 Dr. PALMARO Gianfranco
44 Dr. PANATARO Carlo
45 Prof. PAVETTO Pier Franco
46 Dr. PAZE’ Renato
47 Dr. PICCO Cesare
48 Dr. PONTE Pietro
49 Dr. PUCCI Giulio Cesare
50 Prof. RENGA Giovanni Domenico
DECEDUTO
51 Dott. ROCCIA GIAN MARIA
DECEDUTO
52 Dr.ssaROLLIER Daniela
53 Dr.ssaSCANSETTI Maddalena DECEDUTO
54 Dr. SCARABOSIO Luciano
55 Dr. SOLDANI Marialberto
56 Prof. STRANI Gianfranco
57 Prof. TAROCCO Renzo
58 Dr.
TOMASI MORGANO Aurelio
59 Dott. TURINETTI CESARE
DECEDUTO
60 Dr. VERGINE Camillo
61 Dr. VILLA Giuseppe
62 Dr.
ZACCAGNA Carlo Alberto
63 Dr. ZIRILLI Giovanni
LAUREATI 1945
(70 ANNI LAUREA)
1 Prof. PANSINI Tommaso
2 Dr. TOMENOTTI Domenico
Le fotografie n. 1, 3, 5 e 6 sono state realizzate da Alfonso D’Angelo
DICEMBRE 2015
33
tribuna
il dedalo
Badanti: un problema
senza uscita?
Mario Nejrotti
LA LETTERA
Qualche settimana fa è giunta al Presidente dell’Ordine,
dottor Guido Giustetto, l’appassionata e circostanziata
lettera (a lato la prima pagina) della signora Nisa Grassini
Concina, moglie del professore Enrico Concina, che tutti
salutiamo con stima e affetto.
La signora solleva un problema molto diffuso e di drammatica attualità: il livello di assistenza al proprio domicilio degli anziani non autosufficienti.
Il marito infatti, come si legge nella lettera pubblicata in
box, giunto alla ragguardevole età di 91anni, non è più
autosufficiente e quindi necessita di assistenza continua.
La signora lamenta l’evanescenza della figura professionale del badante, inquadrata nel contratto degli altri collaboratori domestici (COLF, governanti, direttori di casa,
maggiordomi, giardinieri, autisti…) e questo non aiuta a
costruire una figura professionale autonoma e con mansioni e competenze precise e riconoscibili.
Inoltre un’altra difficoltà, evidenziata dalla nostra lettrice, è l’attuale scarsa attenzione giuridica alle garanzie
per il datore di lavoro che, a dire della gentile signora,
non avrebbe modo di controllare la qualità professionale
del collaboratore assunto, oltre alla sua salute e alla sua
integrità morale.
La signora accenna anche al peso economico che tale
collaborazione comporta per i datori di lavoro privati.
I COSTI
Partiamo per una discussione più generale proprio da
questo ultimo punto.
L’assistenza alla persona non autosufficiente necessita
di una continua presenza attiva da parte del lavoratore,
che è difficilmente inquadrabile in un orario di lavoro
classico, scandito dalle otto ore e dai riposi durante l’orario di lavoro stesso.
Pur essendo imprescindibili i diritti dei lavoratori al riposo, questa situazione determina automaticamente, e
indiscutibilmente, l’accumulo di ore straordinarie, senza
contare quelle notturne e festive.
Oltre un certo livello di straordinari, il datore di lavoro
sarà costretto ad assumere un secondo e un terzo collaboratore. Il peso economico a questo punto tende ad
essere quasi insopportabile per moltissime famiglie, tanto che l’onere dell’assistenza agli anziani può divenire un
determinante della “nuova povertà”.
34
DICEMBRE 2015
Una ricerca del Censis, Centro Studi Investimenti Sociali,
un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964,
e della Fondazione Generali, che sostiene progetti di utilità sociale, pubblicata nel febbraio di quest’anno stima
che in Italia vi siano 700.000 badanti, di cui 361.500
regolarmente registrati all’INPS e con almeno un contributo annuo versato. Il costo globale per le famiglie è di
9 miliardi e mezzo di euro all’anno.
Il modello low-cost, spesso con retribuzioni ridotte, anche “in nero”, sembrerebbe ancora funzionare, nonostante i continui tagli al welfare.
Però, con le crescenti difficoltà di impiego delle giovani
generazioni e l’impoverimento progressivo della fascia di
età da poco in pensione, il sistema “famigliare”, troppo
impegnato a sostenere i figli che non riescono ad entrare in un qualche sistema produttivo, stenta a farsi carico u
DICEMBRE 2015
35
il dedalo
economicamente e organizzativamente dell’assistenza
a casa dell’anziano.
La ricerca ci dice, come si legge sul sito del Censis, che
nel 2014, sono state “120.000 le persone non autosufficienti che hanno dovuto rinunciare alla badante per
ragioni economiche.”
Le risposte degli intervistati, tradotte in termini statistici, dimostrano che “il 78% degli italiani pensa che stia
crescendo la pressione delle badanti per avere stipendi
più alti e maggiori tutele, con un conseguente rialzo dei
costi a carico delle famiglie.”
I dati seguenti sono veramente allarmanti: “333.000
famiglie hanno utilizzato tutti i risparmi per pagare
l’assistenza a un anziano non autosufficiente, 190.000
famiglie hanno dovuto vendere l’abitazione (spesso con
la formula della “nuda proprietà”) per trovare le risorse
necessarie, 152.000 famiglie si sono indebitate per pagare l’assistenza. E sono oltre 909.000 le reti familiari
che si «autotassano» per pagare l’assistenza del familiare non autosufficiente. E anche quando si riesce a
mantiene una collaborazione continuativa, l’85% degli
italiani sottolinea che è comunque necessario un massiccio impegno dei familiari per coprire giorni di riposo,
festivi, ferie, etc.”
D’altro canto il sistema di finanziamento pubblico (assegno di accompagnamento, assegno di cura, vari contributi regionali o dell’INPS…) per l’assistenza è sentito
come insufficiente, complicato e soggetto a continue
revisioni con palleggiamento di responsabilità tra Stato,
Regioni e Comuni.
LE REGOLE
Le Regioni, in cronica sofferenza economica e povertà programmatoria, tentano di dare risposte, almeno
dal punto di vista normativo, ad altri, pur importanti,
aspetti del problema e che sono stati sottolineati nella
lettera: la qualità professionale degli operatori dell’assistenza alla persona e la possibilità di controllo-verifica
da parte del datore di lavoro sul proprio salariato.
La parcellizzazione delle iniziative a livello regionale per
questo aspetto è più che evidente e crea di fatto disparità di servizi e diseguaglianze di accesso che preoccupano.
Esistono certo molte iniziative di corsi di formazione,
più o meno riconosciuti che rilasciano attestati di frequenza e profitto, per dare una credibilità professionale
a chi intende occuparsi di assistenza domiciliare.
Per altro il contratto collettivo per il lavoro domestico,
diviso in numerosi livelli e profili professionali, prevede
per il livello “D super” che il collaboratore alla persona
non autosufficiente dimostri di possedere le competenze acquisite in un corso riconosciuto a livello regionale
e non inferiore alle 500 ore.
36
DICEMBRE 2015
Questa posizione normativa, però, è anche la più costosa.
La creazione obbligatoria di registri regionali è il primo
passo per definire a livello pubblico la figura professionale del badante e dell’assistente famigliare e nello
stesso tempo per dare un minimo di strumenti di scelta
e valutazione nell’assunzione.
Non tutte le Regioni, però, si sono dotate di questo
strumento e raramente gestiscono direttamente la preparazione degli aspiranti.
La Tavola in calce al pezzo (tratta dall’articolo di Giselda Rusmini “Registri delle assistenti familiari: qualità o
quantità?”, in Qualificare n. 32, aprile 2012) mostra un
esempio di queste differenze regionali.
La situazione è in continua mutazione e difficilmente
seguibile nel suo complesso, anche per i frequenti tagli
di spesa che modificano precedenti norme, delibere e
strategie. Tutto ciò crea sconcerto nei cittadini e sfiducia nella possibilità di un serio intervento pubblico sul
problema.
Qualche tentativo a livello centrale comunque si sta facendo.
Ne è un esempio l’iniziativa di Governo, che si ispira ad
un analogo intervento in Francia per favorire l’assistenza ai famigliari da parte di lavoratori dipendenti.
Nella Legge di Stabilità 2016, infatti, in discussione al
Senato mentre stiamo scrivendo questa nota, all’articolo 12, dove si tratta di nuovo regime fiscale per i premi di produttività, è prevista l’introduzione del voucher
universale, nell’ambito dei piani di welfare aziendale,
che permetterebbe ai dipendenti di pagare la badante,
ma anche la baby sitter o l’asilo.
Si tratta di un buono d’acquisto prepagato e totalmente esentasse fino ad un tetto di 2.000 euro (2.500 per le
aziende che coinvolgono pariteticamente i dipendenti
nell’organizzazione del lavoro).
Per ottenere un servizio completo alla persona, però,
occorre lavorare ad un disegno obbligatoriamente uniforme e organico su tutto il territorio nazionale. I cittadini italiani sono tutti uguali di fronte alla legge, ma
debbono poter contare su diritti altrettanto “uguali”.
riportata dal portale Superando.it, (http://www.superando.it/2015/01/30/piemonte-importante-sentenzasulle-prestazioni-domiciliari/) che accogliendo il ricorso
di varie organizzazioni del territorio, ha annullato alcune Delibere della Giunta Regionale, stabilendo che le
prestazioni socio-sanitarie domiciliari fornite da badanti
o volontariamente da familiari di persone non autosufficienti sono Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero
diritti che non possono essere negati, nemmeno con la
motivazione delle ristrettezze di bilancio o delle esigenze di risanamento finanziario.
La strada è ancora lunga e complessa per un disegno
legislativo organico e per finanziamenti certi e equi che
permettano a tutti i cittadini italiani, che si trovano in
condizioni di non autosufficienza, di avere un’assistenza domiciliare professionale, verificata e adeguatamente finanziata, per non causare nuove e drammatiche
povertà.
E I MEDICI?
I medici sono direttamente interessati in questa discussione, perché una buona assistenza delle persone non
autosufficienti genera salute, diminuisce le complicanze di malattia e aumenta la qualità di vita del soggetto
in difficoltà e della sua rete famigliare e sociale.
Questa “salute”, che va oltre il soddisfacimento dei
bisogni sanitari, è obiettivo primario anche della medicina.
Il problema necessita, quindi, di un ampio dibattito che,
partendo da quanto è già presente come ADI, ADP, centri diurni, ricoveri di sollievo, attività assistenziale gestita
dai Consorzi Socio Sanitari e così via, coinvolga oltre
alle istituzioni sanitarie e socio assistenziali, associazioni
di cittadini, forze politiche, organizzazioni professionali
e giuristi.
L’assistenza a domicilio deve trovare una soluzione organica e stabile che faccia emergere l’assistenza “in
nero” e nel contempo crei un’area professionale ben
definita a cui fare riferimento.
Ottenere un tale risultato permetterebbe inoltre di evitare impropri, se pur comprensibili, ricorsi al sistema
sanitario e soprattutto al ricovero ospedaliero con costi
notevolmente più elevati per le casse dello Stato e la
u
comunità.
LE PROSPETTIVE
Un grande sforzo è necessario, anche ridiscutendo l’autonomia decisionale e organizzativa delle Regioni, per
ridurre il più possibile le disparità di trattamento oggi
presenti tra i cittadini.
L’assistenza alle persone non autosufficienti è una necessità primaria e va vista nell’ottica di un Livello Essenziale di Assistenza e come tale andrebbe inquadrata e
finanziata.
In quest’ottica di ragionamento va un’importante
sentenza del TAR del Piemonte del gennaio scorso,
DICEMBRE 2015
37
il dedalo
Tavola 1 - I registri regionali delle assistenti familiari
Regione
Puglia
DGR 2366/2009
Elenco assistenti
familiari del Progetto
R.O.S.A.
Sardegna
DGR 45/2006
Registro pubblico
assistenti familiari
Sicilia
DDG 2646/2011
Registro pubblico
regionale degli
assistenti familiari
Umbria
DGR 1279/2010
Elenco regionale
“Family help”
Valle d’Aosta
DGR 2836/2010
Elenco unico regionale
degli assistenti
personali
Veneto
Criteri di accesso
Benefici economici collegati
maggiore età


diploma di terza media, per gli italiani

obbligo scolastico assolto nel paese d’origine, per gli stranieri

titolo di soggiorno

non aver riportato condanne
Sono inoltre valutati in sede di bilancio di competenze:

la motivazione al lavoro di cura

la conoscenza della lingua italiana

il percorso formativo

l’esperienza professionale
L’iscrizione è subordinata ad una valutazione positiva.

maggiore età

obbligo scolastico assolto (per gli italiani)

sufficiente conoscenza della lingua italiana

titolo di soggiorno

non aver riportato condanne penali e non avere carichi penali pendenti

sana e robusta costituzione

formazione di almeno 200 ore o qualifica professionale attinente (validi i
titoli esteri equipollenti)
In attesa dei corsi regionali sono ritenuti validi :

frequenza a corsi attivati dai comuni e da altri enti pubblici, purché
adeguati sotto il profilo della durata e dei contenuti

esperienza lavorativa, documentata, di almeno 12 mesi nel campo della
cura domiciliare alla persona con regolare assunzione
Incentivo economico fino a 2.500 euro annui, per
2 anni consecutivi, per chi assume regolarmente
un’assistente iscritta nell’elenco ed ha un Isee non
superiore a 30 mila euro.
maggiore età
obbligo scolastico assolto (per gli italiani)
sufficiente conoscenza della lingua italiana
titolo di soggiorno
non aver riportato condanne penali e non avere carichi penali pendenti
sana e robusta costituzione
formazione di almeno 300 ore o qualifica professionale attinente(validi i
titoli esteri equipollenti)
In attesa dell’avvio dei corsi specifici possono iscriversi coloro che hanno:

frequentato corsi di formazione finanziati o autorizzati
dall’Amministrazione regionale purché adeguati sotto il profilo dei
contenuti

maturato un’esperienza lavorativa di almeno 12 mesi nel campo della
cura domiciliare alla persona, con regolare assunzione

età compresa tra 20 e 65 anni

licenza di scuola media inferiore

stato di disoccupazione/inoccupazione

adeguata conoscenza della lingua italiana

godimento dei diritti civili e politici (per gli stranieri, anche nello stato di
appartenenza)

non aver riportato condanne penali, non avere carichi penali pendenti,
non avere procedimenti amministrativi in corso per l’applicazione di
misure di sicurezza di prevenzione, assenza di procedimenti giudiziari in
corso

dichiarazione di disponibilità a frequentare, nei tempi e nei modi
programmati, il corso di formazione appositamente organizzato dalla
Regione (32 ore)

frequenza ad un corso di formazione della durata di 120 ore ( per
accedervi è richiesta la maggiore età ed una adeguata conoscenza della
lingua italiana)
In alternativa:

esito positivo dell’esame teso a valutare le competenze acquisite in base
all’esperienza di lavoro e/o ad altri percorsi formativi nel settore







Il contributo economico è cumulabile con altre
misure di sostegno economico al reddito familiare
per la non autosufficienza, quali l’Assegno di cura
e l’Assistenza Indiretta Personalizzata.
Contributo fino a 3.000 euro annui per chi
assume regolarmente un’assistente iscritta nel
registro,con un contratto di almeno 6 ore al
giorno per 6 giorni alla settimana.
Ulteriori requisiti:
 età maggiore di 65 anni
 disabilità grave certificata;
 punteggio superiore a 75 in base ad una
apposita valutazione
 Isee del nucleo familiare fino a 32 mila euro
 Sottoscrizione dell’impegno a favorire la
formazione e l’aggiornamento dell’assistente
Buono socio-sanitario dedicato anche agli anziani
non autosufficienti accuditi con l’aiuto di
assistenti familiari (senza vincolo di iscrizione
nell’elenco).
Ulteriori requisiti:
 età non inferire a 69 anni e 1 giorno
 invalidità civile al 100% con indennità di
accompagnamento
 Isee del nucleo familiare non superiore a 7.000
euro
Non attivo nel 2012 per assenza di fondi.
Voucher di entità variabile per avvalersi dell'aiuto
degli assistenti iscritti all'elenco.
Ulteriori requisiti:
 avere figli in età minore a 14 anni e/o avere una
persona adulta bisognosa di cura, una persona
anziana (ultra 65enne) o disabile, anche se non
facente parte al nucleo familiare anagrafico, ma
comunque legato da vincolo di parentela
 essere titolare di contratto di lavoro
 avere un ISEE non superiore a 23 mila euro
A partire dal 2014 solo le famiglie che
assumeranno assistenti personali iscritti all’elenco
regionale potranno ottenere i contributi regionali
per l’assistenza a domicilio di persone non
autosufficienti.
maggiore età
Assegno di cura con un supplemento per chi si
adeguata conoscenza della lingua italiana
avvale dell’aiuto di assistenti familiari
DGR 3905/2009
titolo di soggiorno
(indipendentemente dall’iscrizione all’elenco).
non aver riportato condanne
Requisiti:
Registro pubblico
sana e robusta costituzione
 persone non autosufficienti adeguatamente
regionale degli
aver svolto un’attività formativa documentata afferente all‘area
assistite a domicilio
assistenti familiari
dell‘assistenza alla persona (di qualsiasi durata)
 ISEE fino a 16.241 euro

in caso di assenza di esperienze formative, aver svolto un’attività
 Regolare assunzione dell’assistente per almeno
lavorativa documentabile di almeno 12 mesi nel campo dell'assistenza
24 ore settimanali
familiare
Nota: in altre Regioni dove sono attivi programmi di governo del mercato privato della cura (es. Friuli Venezia Giulia e Piemonte) vi sono elenchi di assistenti
familiari disponibili presso i Centri per l’impiego. La normativa è scaricabile dal sito www.qualificare.info, area download.






Tavola allegata all’articolo di Giselda Rusmini “Registri delle assistenti familiari: qualità o quantità?”, in Qualificare n. 32, aprile 2012.
38
DICEMBRE 2015
L’esperienza torinese del
Caffè Basaglia
Soltanto uno
spazio in più
per i pazienti
psichiatrici?
Sarebbe
riduttivo. È
uno spazio
mentale e di
vita in più per
Torino, la sua
cultura, la
sua attitudine
a includere
invece di
recludere e
discriminare.
Infatti, in
questo locale
particolare
e per molti
versi unico, i
gestori, tutti
accreditati
di diagnosi
severe, sono
visti dai
clienti non
con l’etichetta
del malato
mentale ma
come abili
camerieri
perché hanno
fatto progressi
straordinari
nel loro
percorso di
cura.
Dott. Ugo Zamburru
CONTESTO
L’importanza della dimensione sociale nella patologia psichica è ben nota e supportata da
salde evidenze cliniche, tanto da configurarsi in una vera e propria branca dell’agire terapeutico che in Italia ha messo definitivamente radici negli anni ‘80, comunemente definita
come riabilitazione.
Obiettivo della riabilitazione è il recupero delle abilità perse con l’insorgenza della patologia, nonché la possibilità di acquisirne di nuove attraverso specifiche attività di skill training
(percorso terapeutico per potenziare specifiche abilità socio-emotive: ndr), in modo da
consentire la massima autonomia possibile con il reinserimento sociale e lavorativo.
Nel lavoro quotidiano nei DSM (Dipartimenti di Salute Mentale) spesso ci si scontra con la
constatazione che pazienti in fase di compenso non hanno l’opportunità di fruire dei diritti
di cittadinanza (lavoro, relazioni sociali) per problemi legati allo stigma e per la difficoltà
di trovare spazi in grado di lavorare con le difficoltà cognitive che sono quantitative e non
qualitative (persone in grado di reggere bene livelli di attenzione e concentrazione con
buone performance ma per un arco temporale minore, magari non le canoniche 8 ore
quotidiane, ma qualcosa di meno).
La legge 180 del maggio 1978, con la auspicata chiusura degli ospedali psichiatrici, non
si è rivelata una vera de-istituzionalizzazione come nelle intenzioni di Franco Basaglia (se
non in alcune zone), quanto piuttosto una trans-istituzionalizzazione, in cui spesso non
è avvenuta una reale saldatura con il territorio, quanto piuttosto la formazione di centri
funzionanti come ambulatori specialistici che incontrano le difficoltà legate al reale inserimento sociale.
Ricordiamo le parole di Franco Basaglia: “... la chiusura dei manicomi non è lo scopo della
legge, quanto piuttosto il mezzo per valutare e implementare la capacità di un territorio di
ospitare dentro di sé il diverso”.
È stato così che a Torino, nel 1998, il Centro diurno di Via Leoncavallo ha iniziato un progetto articolato, costituendo un’ associazione di volontariato definita “Vol.P.I.”, nata da
una iniziativa del DSM con il territorio, che ha promosso nel tempo un’iniziativa formativa
per alcuni pazienti nell’ambito della ristorazione.
Insieme, medici ed operatori del centro diurno, volontari e pazienti formati all’associazione Vol.p.i hanno iniziato una attività di catering che è sfociata nella nascita del circolo
Arci Caffè Basaglia.
FINALITÀ
Nato nel gennaio del 2008 dal lavoro congiunto di volontari dell’associazione Arci C.I.O.P.P.
Caffè Basaglia con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl TO2, il Circolo si propone la
costituzione di uno spazio fisico aperto che funzioni come cantiere sociale, come laboratorio di pensiero in cui associazioni territoriali e singoli cittadini possano recuperare le
funzioni proprie del territorio (solidarietà, informazione, partecipazione) per proporre e
attivare cambiamenti dal basso e dall’interno.
Altro obiettivo è la creazione di una cultura di scambio e mescolanza che permetta il lavoro
di rete sui vari pregiudizi e permetta di attivare le risorse della comunità territoriale.
Per superare l’isolamento legato al pregiudizio abbiamo scelto due modalità: da un lato u
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riceviamo e pubblichiamo
il dedalo
promuovere cultura (presentazione libri, proiezione film, musica dal vivo), informazione e
dare spazio per le singole specificità intese anche come scambio di conoscenze e competenze (corsi di danza, di cucina, video e affini).
La seconda modalità consiste nell’esperienza diretta: l’isolamento dei pazienti e delle loro
famiglie è legato al pregiudizio che tali problemi rendano le persone pericolose e imprevedibili. Vederli in situazioni in cui mostrano le loro capacità al di là della malattia, è un potente
antidoto allo stigma, tanto che i clienti vedono le persone non con l’etichetta del malato,
ma come abili camerieri e piacevoli interlocutori.
Se tutti i soci del circolo (sono circa 4.000) cambiassero atteggiamento rispetto alla psichiatria, sarebbero sicuramente in grado di influenzare l’immaginario collettivo del territorio
rispetto a tale problema, con indubbie ricadute cliniche e sociali.
Attualmente il Caffè Basaglia, Circolo Arci vede l’associazione C.I.O.P.P. (Comitato Internazionale Contro Il Pregiudizio Psichiatrico) occuparsi della parte sociale e culturale, organizzando eventi (teatro, musica, presentazione libri, dibattiti, mostre fotografiche) e lavorando
in rete con partner (Dipartimento salute mentale Asl TO2, Associazione Vol.P.I.), mentre
l’aspetto della ristorazione e del servizio bar è affidato a una piccola cooperativa che ha
assunto nove persone, di cui quattro malati seguiti dalla psichiatria dell’Asl TO2.
I pazienti, tutti con diagnosi severe hanno fatto, a detta dei terapeuti, miglioramenti straordinari nel loro percorso di cura, tanto che la Rai e i giornali si sono occupati spesso di loro.
Ci sono inoltre tre persone che svolgono tirocinio, tutte appartenenti a fasce deboli.
Il Caffè Basaglia ha poi stipulato una convenzione con il Tribunale di Torino con la quale è
diventata sede per svolgere lavori socialmente utili all’interno del Circolo in alternativa alla
pena.
A Nicola Ferraro
Caporedattore Torino Medica
Caro Ferraro,
facendo seguito al nostro recente colloquio telefonico Ti comunico di aver riscontrato una considerevole inesattezza sul numero di Ottobre 2015 di Torino Medica. Mi riferisco all’articolo LA FORMAZIONE POST LAUREA:
CORSA AD OSTACOLI SENZA UN TRAGUARDO SICURO dove a pagina 27, in fondo all’articolo (13^ riga a
partire dalla fine), viene affermato “…dal 2013 sono state abolite per gli odontoiatri le Specialità in chirurgia
Orale e Ortodonzia”.
Questa affermazione è imprecisa ed inesatta e merita una rettifica. Non solo non sono state abolite ma sono
state portate da due a tre: Chirurgia Orale, Ortognatodonzia, Odontoiatria Pediatrica.
Le specializzazioni in Odontoiatria sono in una fase di passaggio dal Vecchio Ordinamento al Nuovo Ordinamento, per questo motivo sono in un momento di intervallo: il Vecchio Ordinamento si deve considerare in
via di conclusione mentre le Scuole del Nuovo Ordinamento sono state istituite ma sono ancora in attesa di
attivazione.
Per quanto riguarda Torino speriamo ciò avvenga al più presto.
Ti prego pertanto di pubblicare questa mia rettifica perché è importante che non si diffondano notizie errate
che possono ingenerare false convinzioni ed indurre i giovani Colleghi, altrimenti interessati, verso altri percorsi
formativi di minore rilevanza accademica.
Ti ringrazio in anticipo e rinnovo la stima per il prezioso lavoro di Torino Medica a favore degli iscritti all’Ordine.
Prof. Sergio Gandolfo
Direttore Scuola di Specializzazione in Chirurgia Odontostomatologica
Dipartimento di Oncologia Università di Torino
UN PICCOLO “MIRACOLO ECONOMICO”
L’atmosfera affettiva, le piccole dimensioni, l’impegno dei dieci volontari dell’Associazione
C.I.O.P.P. permettono la sopravvivenza di questo che possiamo considerare un piccolo miracolo economico, perché da 8 anni va avanti senza alcun tipo di aiuto pubblico e che è
diventato un nodo importante nella mappa della solidarietà della nostra città.
Non avendo alcun finanziamento, gli stipendi ( tutto è in regola, non esiste assolutamente
nulla in nero) sono resi possibili dagli introiti, ulteriore fattore terapeutico perché obbliga
ad un esame di realtà continuo.
Inoltre di questi tempi dare lavoro a nove persone è evento raro e significativo, di cui il Caffè
Basaglia è fiero e che spera di continuare nonostante la crisi e le contingenze economiche sempre più gravose che portano un’inevitabile riduzione di presenze dei soci a cena e
pranzo.
L’ambiente è spazioso e bello, con una grande terrazza, vista sulla Mole e una sala per gli
eventi culturali: altre persone con problemi psichici, oltre ai camerieri assunti, vivono questo
posto come un luogo d’incontro per migliorare la loro qualità della vita.
Chi collabora al Caffè Basaglia ama definirsi “la voce di chi non ha voce e di chi sente le
voci” che vanno in onda in trasmissioni, aperte a tutti, ogni martedì pomeriggio, in una
web-radio nella quale collaborano utenti del Dsm (www.radioohm.it con il nome “PRO
LOCO”, qrcode a lato).
L’esperienza del Caffè Basaglia è stata ed è una sfida: il sogno che l’integrazione dei pazienti psichiatrici serva sia ai pazienti che a chi li incontra.
Perché, come dice Basaglia,“Visto da vicino nessuno è normale”.
Caffè Basaglia, Via Mantova 34, Torino
Tel 011-2474150
www.caffebasaglia.org
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il dedalo
Ringraziamo il gastroentorologo Lucio
Lombardo per averci
inviato in redazione
un report sull’intervento che ha tenuto
al 23° Congresso Europeo di Gastroenterologia, tenutosi a
Barcellona, dal 23 al
28 ottobre scorso,
che ha visto riuniti
circa 14.000 specialisti da tutto il mondo.
L’argomento trattato si riferisce ad una
patologia, la SIBO
(Sindrome da sovracrescita batterica nel
tenue), sulla quale
sono in corso a livello
internazionale molti
studi e riflessioni.
Il dott. Lombardo,
già in passato sui
media dell’Ordine,
aveva trattato questo argomento (vedi
articolo pubblicato
sul sito www.videomedica.org, accessibile dal qr code sottostante)
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Intolleranza
al lattosio e SIBO
Lucio Lombardo
L’Intolleranza al lattosio è una condizione clinica comune in Europa, e in Italia in particolare,
con una prevalenza del 25%, con un’incidenza relativamente bassa nel Nord Europa e più
alta nell’area mediterranea. Essa è la risultante di un mancato adattamento enzimatico
“ambientale” all’esposizione al lattosio contenuto negli alimenti. Il lattosio è una sostanza ubiquitaria, in quanto non è presente soltanto nel latte e derivati, ma lo si trova negli
insaccati e prodotti in lattina come conservante e in tanti altri alimenti in tracce. Pertanto,
pur non essendo una vera e propria malattia, può tuttavia produrre frequenti e notevoli
disturbi soggettivi, fino al malassorbimento intestinale con disabilità sociali e scadimento
della qualità di vita. Il suo trattamento, apparentemente semplice, può imporre notevoli restrizioni alimentari che possono sconfinare nella psicosi della ricerca delle tracce di lattosio
in qualsiasi alimento o farmaco, pur di evitare i disturbi addominali e i deficit nutrizionali.
L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI DI CERTEZZA
La diagnosi di certezza pertanto si impone, al fine di concentrare l’attenzione nelle scelte alimentari in modo giustificato, attento ed efficace. In tal modo si cercherà di evitare
l’eccessiva e inutile accanimento nei pazienti che non ne hanno bisogno e dall’altra di
perseguire con determinazione la scelta di esclusione alimentare in modo efficace, nei pazienti sicuramente privi del patrimonio di lattasi necessario alla digestione del disaccaride.
La diagnosi inizia, come sempre, con il sospetto diagnostico sulla base dei sintomi (dolori
addominali, gonfiore, diarrea) correlati in modo temporale con l’assunzione di lattosio. Ma
qui nascono le prime difficoltà legate al fatto che l’intervallo di tempo tra l’assunzione di
lattosio e i disturbi può variare da alcune ore ad alcuni giorni, in funzione sia della velocità
di transito intestinale sia dell’entità del patrimonio di lattasi eventualmente residuo nell’orletto a spazzola degli enterociti. Infatti piccole quantità di lattosio possono essere tollerate
per un certo periodo, fin quando non si esaurisce la lattasi disponibile, con un meccanismo
simile alla disponibilità di insulina nel diabete mellito. E’ quindi chiaro che sia l’entità dei
sintomi che l’intervallo temporale possono variare da individuo a individuo in funzione sia
del patrimonio comunque deficitario di lattasi che della quantità di lattosio “nascosto”
negli alimenti. In queste incertezze è fondamentale raggiungere una sicurezza diagnostica
obiettiva. In tal senso interviene il breath test all’idrogeno e al metano (vedi foto).
È questo un test non invasivo, affidabile, semplice e sicuro, che consiste nel valutare la concentrazione di H2 e CH4 nell’espirato basale e in tempi successivi all’assunzione di lattosio
fino a 3-4 ore (1). Se la differenziale tra la concentrazione di H2 nell’espirato dopo 120
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minuti e/o successivi (corrispondenti alla presenza di lattosio nel colon) rispetto al basale
supera i 20 ppm di H2 o 15 pmm di CH4 significa che il lattosio, arrivato nel colon, è stato
colà metabolizzato dai batteri e pertanto indica che non è stato scisso dalla normale lattasi
degli enterociti e non è stato assorbito come glucosio e galattosio: siamo in presenza di
sicura intolleranza al lattosio. L’organismo umano in quanto tale, infatti, non produce H2.
Esistono anche altri metodi di diagnosi: la caratterizzazione genotipica (C/C-13910) e la
misura dell’attività lattasica nelle biopsie intestinali (2,3). Ma mentre la prima è appannaggio solo di alcuni laboratori e non comunemente usufruibile, la seconda è relativamente
invasiva in quanto richiede l’esecuzione di un’endoscopia e di biopsie intestinali, su cui
dosare la lattasi.
Breath test all’idrogeno
e al metano
UNA FREQUENTE, E SPESSO MISCONOSCIUTA, CAUSA DI INSUCCESSO
DEL TRATTAMENTO CON LA DIETA DI ESCLUSIONE
Partendo dalla constatazione occasionale che alcuni pazienti con Intolleranza al lattosio
continuano ad accusare disturbi nonostante una dieta di esclusione appropriata, e osservando che alcuni di essi presentano una sovraccrescita batterica dell’intestino tenue
(SIBO), abbiamo voluto verificare quale fosse il ruolo della SIBO nella gestione clinica pratica dell’intolleranza al lattosio. Abbiamo pertanto studiato 500 pazienti affetti da sindrome
dell’intestino irritabile, la maggior parte (80%) variante diarrea (IBS-D) e una minoranza
(20%) variante stipsi (IBS-C). Tutti i pazienti sono stati sottoposti al breath test all’ idrogeno/metano per la diagnosi di Intolleranza al lattosio, oltre che alla valutazione sintomatologica, l’esame obiettivo e tests clinici basali comprendenti FSH e abtTG, per escludere
tireopatia e celiachia. I pazienti positivi al breath test al lattosio sono stati pure sottoposti
al glucosio breath test per la valutazione della compresenza di SIBO. I risultati sono stati
sorprendenti: la prevalenza dell’intolleranza al lattosio nei pazienti con IBS è risultata essere
del 59%, mentre nel gruppo dei soggetti di controllo essa è risultata del 6%, con una differenza statisticamente significativa. La SIBO è risultata presente nel 72% dei pazienti con
intolleranza al lattosio. Abbiamo poi diviso in due gruppi e trattato in modo randomizzato
i pazienti con SIBO: un gruppo di 106 pazienti è stato trattato con dieta priva di lattosio e
rifaximina 1200 mg/dì per 2 settimane e un altro gruppo di 107 pazienti è stato trattato
solo con dieta priva di lattosio. Dopo 6 mesi i pazienti del primo gruppo sono risultati
completamente asintomatici e liberi da SIBO nella misura del 99%, mentre i pazienti del
secondo gruppo risultavano asintomatici o con sintomi molto lievi nella misura del 32%,
con una differenza statisticamente significativa (p<0.001).
CONCLUSIONI
Le conclusioni dello studio sono che l’Intolleranza al lattosio rappresenta una condizione fisiopatologica comune nei pazienti con IBS variante diarrea nel territorio piemontese (59%)
e che essa risultava molto frequentemente associata alla SIBO. Questa associazione poi si
è rivelata una causa importante di persistenza dei sintomi addominali, nonostante la dieta
priva di lattosio. Solo la eradicazione farmacologica con Rifaximina alfa polimorfo ad alto
dosaggio per 2 settimane ha permesso la completa liberazione dai disturbi addominali (4).
Penso che il Medico pratico possa essere aiutato in modo significativo nella gestione dei
pazienti con sintomi riferibili all’Intestino irritabile variante diarrea, dalla conoscenza che
l’Intolleranza al lattosio è molto frequente e che spesso essa è associata alla SIBO. Il trattamento di questa associazione, infatti, insieme alla dieta di esclusione, consente il successo
sintomatologico con soddisfazione del Paziente e del Medico.
Bibliografia
1) Romagnuolo J et al Am J Gastroenterol 2002;97(5):1113-26.
2) Kuokkanen M et al Gut 2003;52:647-52.
3) Shaw AD et al J Clin Gastroenterol 1999;28:208-16.
4) Lombardo L et al Brit J Med & Med Res 2014;4(15):2931-9.
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il dedalo
L’etica clinica in medicina
e in sanità
Maria Teresa Busca
Il consulente
di etica clinica
deve avere
specifiche
conoscenze
in ambito
etico, clinico e
giuridico; per
questo è una
nuova figura
professionale
che necessita
di una
specifica
formazione
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La redazione ha chiesto alla professoressa Maria Teresa Busca, docente nel Master in Bioetica e Consulenza in Etica Clinica, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Torino, di scriverci una scheda introduttiva su una disciplina di cui
poco si parla e su una categoria professionale che non può non tenere conto, nello svolgere
le sue funzioni, dell’esistenza del rapporto medico/paziente come fondamento della Medicina e della Deontologia Medica, custodita e governata dall’Ordine dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri.
Questo non può che essere quindi il primo contributo, introduttivo, che pubblichiamo per
definire gli ambiti di questa disciplina; faranno seguito riflessioni, confronti e se necessario
anche dibattiti su un tema fondamentale e molto complesso dal punto di vista culturale.
L’etica clinica è l’etica al capezzale del paziente. La condizione e il luogo in cui prendono
forma i dilemmi, i dubbi, gli interrogativi, dove alle discussioni etiche deve seguire un’azione concreta.
La consulenza etica in ambito sanitario può essere considerata come un servizio svolto da
un bioeticista o da un gruppo di professionisti per rispondere alle domande che pongono i
pazienti, i loro familiari e l’insieme delle persone coinvolte nell’assistenza, per quanto concerne incertezze o conflitti tra valori che emergono nella pratica clinica.
L’obiettivo della consulenza etica è contribuire al miglioramento della cura dei malati, sia
nelle modalità che nei risultati, attraverso l’identificazione, l’analisi e la risoluzione dei problemi etici. La consulenza etica è dunque una consulenza specialistica che mira a un’attenta
opera di relazione e di dialogo contrassegnata da un pluralismo marcato sia nel metodo
sia nei contenuti. Il consulente di etica clinica deve avere specifiche conoscenze in ambito
etico, clinico e giuridico; per questo è una nuova figura professionale che necessita di una
specifica formazione. Pur non essendoci un curriculum formativo standardizzato, esistono
Master, di formazione cattolica, orientati alla consulenza etica e quello biennale, laico,
dell’Università degli Studi di Torino in Bioetica e consulenza in etica clinica.
Non è sufficiente una formazione in bioetica: è necessaria un’adeguata e specifica preparazione per affrontare le questioni al “letto (klinos in greco) del malato”. Occorre formare
professionisti in grado di rispondere alle situazioni di urgenza. Il consulente di etica clinica
crea le condizioni per accompagnare e facilitare i soggetti nel prendere una decisione eticamente giustificata e possibilmente condivisa.
È dunque chiaro che questa attività non è priva di connotazioni morali che possono rifarsi
tanto a un pensiero cattolico quanto a un pensiero laico. Come sempre nelle questioni bioetiche è in gioco il punto di vista con cui vengono affrontate. Oggi nei casi più discussi c’è
il problema del fine vita, del testamento biologico e della desistenza terapeutica. Soltanto
quest’ultima espressione dopo la sentenza sul caso Englaro vede la possibilità di intendere
nutrizione e idratazione artificiale come terapia e non come cura ma, nella realtà quotidiana, dove il consulente di etica clinica si troverebbe a operare, parlare della sospensione
di questi trattamenti è, nella maggior parte dei casi molto difficile perché non esiste una
legislazione a proposito. Quindi tutto dipende dalla formazione del consulente. A questo
proposito è interessante leggere il documento di Trento:
http://www.fondazionelanza.it/em/Documento_di_Trento.pdf
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e subito dopo la replica che ha fatto il professor Maurizio Mori, Titolare della Cattedra di
Bioetica presso l’Università degli Studi di Torino e presidente della Consulta di Bioetica onlus. Qui si può cogliere con chiarezza come questa figura non sia per nulla neutra.
http://caratteriliberi.eu/2014/03/28/in-evidenza/httpsdevelopers-facebook-comtoolsdebug/
LA CONSULENZA IN ETICA CLINICA IN ITALIA E ALL’ESTERO
Quella della consulenza etica in ambito sanitario rappresenta un’attività poco diffusa e non
ben organizzata in Italia, differentemente da altri paesi come l’Inghilterra o gli Stati Uniti,
dove da tempo esistono servizi appositi. In Italia forme di consulenza etica per la pratica
clinica sono fornite dai Comitati Etici, anche se di fatto questi alla fine, si occupano quasi
esclusivamente della valutazione dei protocolli di ricerca.
Per dare un adeguato approfondimento sul Comitato Etico bisogna rifarsi alla direttiva
2001/20/CE del Parlamento Europeo dove viene definito come un organismo indipendente, composto di personale sanitario e non, incaricato di garantire la tutela dei diritti, della
sicurezza e del benessere dei soggetti della sperimentazione e di fornire pubblica garanzia
di questa tutela, emettendo pareri sul protocollo di sperimentazione, sull’idoneità dello o
degli sperimentatori, sulle strutture e sui metodi e documenti da impiegare per informare i
soggetti della sperimentazione prima di ottenere il consenso informato.
In Italia l’istituzione dei Comitati Etici è prevista nelle strutture sanitarie pubbliche e negli
istituti di ricovero e cura privati. Le strutture sanitarie prive di un Comitato Etico interno
possono comunque eseguire sperimentazione previa approvazione di un Comitato Etico indipendente ed esterno individuato ed indicato dalla regione competente. Conformemente
alla normativa regionale inoltre, un Comitato Etico può anche essere istituito nell’ambito
dell’amministrazione regionale competente per materia.
I membri del Comitato etico, per la loro esperienza e origine, devono garantire l’indipendenza, sia dagli interessi dell’istituzione in cui la sperimentazione verrà condotta, sia
nei confronti di chi propone la sperimentazione. In generale l’indipendenza è garantita
dall’assenza di subordinazione o di vincoli gerarchici dei membri nei confronti dell’istituzione e dalla mancanza di conflitti di interesse dei membri rispetto alla sperimentazione da
valutare. Questo vale rispetto a eventuali rapporti con industrie farmaceutiche, istituzioni
e enti. È molto importante la volontarietà della partecipazione, perché l’attività svolta non
prevede alcun compenso. In genere nei Comitati etici è previsto un rimborso spese o un
gettone di presenza.
Per tornare alla consulenza etica clinica, quale ancora si sta strutturando in Italia, un’ulteriore posizione, sicuramente interessante, è quella sviluppata da Paolo Cattorini, medico
e filosofo che ha scritto un libro dal titolo Bioetica clinica e consulenza filosofica. Al link
seguente la recensione che ne fatto lo scorso anno.
http://caratteriliberi.eu/2014/09/18/recensione-libri/bioetica-clinica-counseling-filosofico/
È auspicabile che tutti questi movimenti di opinione sull’etica clinica portino a qualche
risultato concreto. Partendo dai Comitati Etici e dai Master, bisogna cercare e formare delle
figure adeguate, confidando che anche la legislazione segua un iter che possa garantire a
questi professionisti le caratteristiche e le competenze conformi al compito non facile che
si prospetta loro.
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cultura
Vita di coppia
Giuseppe Scarso
“Sarete uniti nella gioia e nel dolore”: tale sembra essere il presupposto di ogni unione affettiva sia di fatto che consacrata dal sacerdote o sancita civilmente. A parte la via religiosa
non si pongono più differenze di sesso, in molti paesi anche a livello di unioni civili.
È scontato dire che ogni relazione affettiva ha momenti positivi e negativi.
In psichiatria e psicoterapia le consulenze per difficoltà coniugali e famigliari sono all’ordine
del giorno e, spesso, assai difficili.
Non è questa la sede per affrontare un argomento così vasto.
Si vuole presentare la seguente novella in cui si prospetta una fra le tante modalità che
si possono utilizzare per superare una fase di difficoltà: ciò riesce quando l’affetto non è
egoistico, possessivo, ma altruistico, amore nel suo significato più vero che ricerca il bene
dell’altro.
A quanto detto si vuole aggiungere una osservazione collegata al racconto. La montagna,
con i suoi paesaggi e la sua vicinanza al cielo, offrendo la possibilità di camminare sui
sentieri con passo lento, spesso permette riflessioni pacate e serene, meno attuabili nel
convulso ambiente umano dove domina la fretta che rende più difficile prendere decisioni
adatte ad una giusta soluzione dei problemi per sé e per gli altri.
avesse detto, lei avrebbe riso, lo avrebbe canzonato con quel suo fare sbarazzino. Non era
certo ignara della propria bellezza, ma non faceva nulla per esaltarla, non ne faceva un’arma e questo aumentava ancora il suo fascino. C’era il suo lavoro che la appassionava ed in
più era curiosa della vita, coltivava tanti interessi.
Decisero di fermarsi in un angolo un po’ appartato per consumare il loro parco pasto
estratto dallo zaino di lui. Non sapeva se era per le battute e risate di umore allegro e contagioso, che si era accorto di loro o se era stato a causa di lei, per i suoi sguardi divertiti ed
incuriositi rivolti in quella direzione, che aveva notato la presenza di quel gruppetto. Erano
tre ragazzi, seduti davanti a loro dalla parte opposta del piccolo lago alpino. Gli sembrava
che uno di loro in particolare attraesse l’attenzione di lei, stranamente proprio quello più
tranquillo, meno scalmanato degli altri, di cui gli pareva di indovinare uno sguardo pacato,
un po’ languido, attento e maturo per la sua età. Iniziò ad osservare e da protagonista
come pensava di essere, come voleva essere in quei giorni che si erano presi per stare di
più insieme, si accorgeva che stava diventando uno spettatore di qualcosa che si svolgeva
sotto il suo sguardo. Dapprima si sentì infastidito, ma poi si disse che il nuovo ruolo di
spettatore l’avrebbe, forse, aiutato a capire. Era questo uno dei motivi per cui si trovavano
lì quel giorno.
Dopo un riposino durante il quale non aveva potuto evitare di notare che Chantal, fingendo di dormire, guardava di tanto in tanto quel terzetto che si era anch’esso steso al sole,
decisero che era ora di rimettersi in marcia.
Riprendendo il cammino verso il bivacco, cercando di non farsene accorgere, la sorprese
più volte a guardare verso il lago, tentando di non farsi scoprire e gli sembrò di scorgere
in lei un sorriso soddisfatto quando vide che quel terzetto stava salendo per il loro stesso
sentiero, evidentemente diretto al bivacco. Cercò di accelerare il passo, ma gli pareva che
più lui si affrettava, più lei rallentava.
Una gita in montagna
Erano arrivati al colle verso l’una, sotto la canicola del sole in quel mattino di piena estate.
Prima di proseguire avevano deciso di fermarsi a consumare il loro pranzo al sacco sui bordi
del lago.
Chantal camminava davanti a lui dopo averlo seguito lungo la salita. Poteva guardarla. Era
bella, dolce e ribelle. Che lui si fosse innamorato di lei non era certo una stranezza, non
c’erano molte domande da fare sull’argomento, ma che lei si fosse innamorata di lui, questo era a volte al centro dei suoi pensieri. Non poteva dire se questo valeva anche per lei,
più giovane di quasi trent’anni. Certo non si poteva nascondere che lui possedeva un certo
fascino, un suo stile, quel certo non so che. Insomma piaceva, sapeva farle ridere le donne,
anche piangere, farle sentire importanti, al momento giusto con il gesto o la frase giusta.
Con il passare del tempo questo suo fascino si era forse ancora accresciuto e lui era sicuro
che lei si fosse innamorata di questa sua maturità già un po’ avanti negli anni. Stimolava la
dolcezza e placava la ribellione di lei o, piuttosto, era l’esatto contrario, ne sfidava la ribellione e intimoriva la dolcezza o, ancora, entrambe le cose.
A dire il vero da qualche tempo il loro rapporto mostrava i segni di una certa stanchezza. Lei
sembrava insofferente e lui si sentiva a disagio, capiva che c’era qualcosa che non andava,
ma non sapeva dire che cosa. Non c’erano stati veri e propri litigi, lei a volte sembrava assente, sfuggente, sembrava un canarino chiuso in gabbia e lui soffriva nel sentirsi la gabbia.
Aveva provato ad affrontare l’argomento e questo viaggio, con quella gita sulle montagne
che amavano entrambi e dove si erano conosciuti un mattino come quello, era proprio un
tentativo deciso insieme per ritrovarsi o capire qualcosa di più del loro rapporto.
C’erano diversi gruppi di persone sedute in riva al lago. Lei camminava davanti a lui, bella,
fragile e sicura, lungo il sentiero fra il lago, il cielo e lo sfondo della valle. In quel paradiso
terreno si sentiva viandante come Ulisse e gli veniva da chiederle: dea o mortale?* Se glielo
*Omero, Odissea
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cultura
Infatti arrivarono al bivacco quasi contemporaneamente. Non poterono a quel punto
evitare di salutarsi e di presentarsi visto che sarebbero stati insieme a passare la notte nel
bivacco. D’altronde gli sembrava di essere l’unico interessato ad evitare quella possibilità
ormai certa e inevitabile, non certo gli altri, nessuno di loro. Quei ragazzi erano coetanei
di Chantal ed ora poteva osservare più attentamente lo sguardo di uno di loro, un po’
languido, più maturo per la sua età. Iniziò a pensare che lei potesse trovare in quel suo
coetaneo ciò che aveva cercato e, forse, trovato in lui, più vecchio di quasi trent’anni, ma,
forse ora non ne era più tanto sicura.
Durante i preparativi per la cena, finse di non spiare gli sguardi che passavano fra il terzetto e Chantal.
Che i ragazzi guardassero lei non era certo cosa da stupirsi. Probabilmente si chiedevano
in che rapporti stava quella coppia che sembrava costituita da un padre ed una figlia per
la differenza di età, ma che certi atteggiamenti lasciavano pensare a qualcos’altro, a
quello che di fatto erano, una coppia, appunto.
Che Chantal, di solito molto distratta, non tanto incline alle confidenze, sempre un po’
chiusa in difesa, volgesse lo sguardo verso di loro, lo indispettiva ed insospettiva, ma,
come era già successo giù al lago, ritrovò una sua calma dicendosi che non doveva
ostacolare gli avvenimenti di cui non era più protagonista e di cui era meglio rimanere
spettatore.
Non giunse più nessuno ed all’ora di cena era da considerarsi quasi scontato che nascesse l’iniziativa di mangiare insieme. Sospettava che Chantal aspettasse un invito che non
osava certo proporre. Il timore che la speranza andasse delusa la rendeva evidentemente
nervosa. Si chiedeva se era preferibile prendere lui l’iniziativa come decano del gruppo,
ma non riusciva a decidersi: aveva scelto il ruolo di spettatore e preferiva che gli avvenimenti scorressero al di fuori della sua volontà.
Erano già seduti ad un tavolo quando uno dei tre, non il prescelto, si avvicinò per rivolgere un cortese invito ad unire i tavoli, se non rischiavano di essere troppo invadenti.
Questa volta fu sicuro di scorgere in Chantal l’allentamento di una tensione, ma lei non
disse nulla, si limitò a guardare il ragazzo, un po’ divertita dall’invito e poi lui, un po’
impaurita dalla sua risposta, quale che fosse. Erano una coppia, ma lei lo aveva guardato
con i suoi occhi di quando era bambina e lui si sentì un padre gentile che non poteva
rifiutare un simile, garbato invito senza risultare scortese, scontentando per di più la sua
bambina. Lei non tradì nulla dei suoi sentimenti, aspettò che si alzasse lui per primo per
poi seguirlo apparentemente remissiva al tavolo più grande occupato dal terzetto.
Superato l’imbarazzo iniziale, complice l’aiuto di un sincero vinello, la cena scorse allegra
e spensierata fra buoni compagni affiatati ed uniti dalla montagna con il suo clima di
lieta amicizia. Poi fu deciso di andare fuori all’aperto a guardare il tramonto e le stelle.
Imbottiti nelle giacche a vento, con guanti e berretti, si sedettero in fila indiana sull’unica
panchina, appoggiati al muro del bivacco. Guardavano i profili delle montagne contro in
cielo, il fondo della valle distinguibile per le sue luci.
Avvertiva che c’era una volontà condivisa da almeno due persone di rimanere lì il più a
lungo possibile, a guardarsi intorno, a dire poche parole.
Poi si fece tardi, il freddo pungente, fu deciso di ritirarsi e, rientrando, si augurarono la
buona notte.
Lei si stringeva a lui, vicina e distante, non come la sua donna, ma come una bambina in
cerca di protezione, spaventata dai suoi stessi sentimenti. Lui si sorprese nell’addormentarsi sereno di offrire quella protezione tacitamente, dolcemente richiesta.
Sereno ed allegro fu il risveglio il mattino dopo con il bivacco dapprima inondato dalla
luce dell’alba e poi investito dal primo sole.
La camminata fino alla cima si svolse veloce nel fresco di quel limpido giorno. Sulla vetta
sostarono a guardare il maestoso paesaggio delle montagne che intorno a loro li facevano sentire così piccoli, ma la cima era talmente a punta che a stento ci stavano in cinque
per cui fu deciso il ritorno, con un altro pasto consumato insieme sulla riva del lago.
48
DICEMBRE 2015
Giunto il momento dei saluti, tutti furono concordi nel dire che era stato bello incontrarsi
e conoscersi e che sarebbe stato ancora più bello ritrovarsi di nuovo. Fu lui, a quel punto
a prendere l’iniziativa, come decano del gruppo, uscendo dal ruolo di spettatore per
ricuperare quello di protagonista, con addosso la strana certezza che questa volta non si
sbagliava, faceva la cosa più giusta. Cercati nello zaino un pezzo di carta ed una penna,
scrisse un numero di telefono e lo diede, piegato in modo che non lo si potesse leggere,
al ragazzo con lo sguardo languido e più maturo rispetto alla sua età, come se lo consegnasse a se stesso di circa trent’anni prima.
Durante il ritorno, capì che i pensieri di lei non erano accanto a lui, ma un po’ più lontano, erano rimasti indietro perché loro due erano partiti per primi.
Tornati in città, passarono alcuni giorni, qualche settimana, ma quella gita era servita ad
entrambi per capire. Sentì che toccava a lui prendere l’iniziativa. Una sera incominciò a
parlare, partendo da lontano prima di arrivare al punto in questione. Ci furono lacrime,
ci fu dolore, ma alla fine convennero che era meglio separarsi, forse per un periodo, per
una pausa di riflessione.
In realtà, come aveva previsto già durante la gita, la separazione fu definitiva, ma lui era
tranquillo perché su quel pezzo di carta aveva scritto il numero del cellulare di lei.
Forse aveva saputo già dal principio che lui sarebbe stato una tappa nella vita di lei,
importante sì, ma sempre solo una tappa. Per lui, invece, quella tappa era stata la corsa
della sua vita. Quando i giochi sembravano fatti e la partita si avviava verso la fine, il
risultato ormai deciso, lui era salito sul podio dove non si rimane mai a lungo. Questo lo
sapeva, ma adesso lo sentiva.
Seppe più tardi che lei era andata a vivere altrove. Per molto tempo non ne seppe più
nulla.
Si incontrarono una volta per caso, erano passati diversi anni. Presero qualcosa insieme
seduti al tavolino di un bar all’aperto. Lei non era cambiata, era sempre bella, dea o
mortale, dolce e ribelle.
Di lui non c’era molto da raccontare, era ancora presto per andare in pensione, ma incominciava ad abituarsi all’idea e poi, no, di relazioni importanti dopo di lei non ne aveva
più avute ed era vero, non mentiva per farla contenta.
Lei ora aveva una relazione stabile, sì, proprio con quel ragazzo che aveva conosciuto
quella volta in montagna. Un po’ sorpresa gli chiese come faceva a ricordarlo dopo tanti
anni. Lui borbottò qualcosa tossendo, lasciandole continuare il racconto. Si, era vero, si
erano rivisti, si erano frequentati e innamorati ed era iniziata una relazione da cui era nata
una bambina che adesso incominciava ad andare a scuola. Il loro rapporto, dopo qualche
burrasca ed una breve separazione, ora procedeva sereno: si, vivevano come una bella
famiglia. Già da tempo parlavano di matrimonio ed ora si sentivano pronti.
Non ricordava più molto di quello che avevano detto dopo, avevano parlato del più e del
meno, quello che importava era già stato detto.
Al momento di accomiatarsi si salutarono ancora con un ultimo, lungo abbraccio senza
parole.
Poi lei si voltò e si allontanò camminando svelta. Lui la seguì con lo sguardo fino a che
non si confuse fra la folla e per la prima volta avvertì che qualcosa della vita se ne stava
andando. Si sentì improvvisamente più vecchio, vecchio come in realtà era, ma come non
aveva mai pensato di essere fino a quel momento, nemmeno quando si erano lasciati.
Sarebbe dovuto andare nella stessa direzione di lei, ma svoltò dalla parte opposta.
Improvvisamente si sentiva strano, con un senso di vuoto, tanto che non riusciva più a
ricordare bene quei ragazzi, nemmeno il viso di Chantal che pure aveva appena visto. La
sua attenzione fu attratta da una pubblicità dove il volto di una bambina sorrideva felice.
Poteva essere nell’età di chi sta iniziando ad andare a scuola. Si domandò se poteva assomigliare alla figlia di Chantal. Dopo tutto quella bambina doveva la vita un po’ anche
a lui, a quel numero di telefono scritto su un pezzo di carta passato da una mano ad
un’altra al ritorno da una gita in montagna.
DICEMBRE 2015
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le nostre radici
Grande Guerra e follia
Franco Lupano
Il 15 ottobre 1918 il sottotenente Michelangelo Cornalis veniva ricoverato nel manicomio
di Collegno. Aveva con sé una relazione clinica particolareggiata che si concludeva così: “Al
suo ingresso al Centro psichiatrico di Reggio Emilia il Cornalis si mostrò agitatissimo; poscia
subentrò una fase di calma e di depressione a cui seguì un periodo in cui furono osservati
fatti di decadimento mentale abbastanza imponenti, per trarre la seguente conclusione: è
fuor di dubbio che nei riguardi del S.T. Cornalis si sia trattato di una forma di eccitamento
ebefrenico in forma di confusione mentale protratta, con grave agitazione e clamorosità,
cui residua un evidente grado di decadenza mentale in forma dissociativa schizofrenica”.
La sua storia, insieme a quella di altri 94 militari, è raccolta in un faldone nell’archivio manicomio, ed è particolarmente interessante per la sua evoluzione successiva. Ma tra giugno
1915 e dicembre 1918 sono stati centinaia i soldati ricoverati a Collegno per disturbi psichiatrici: per la maggior parte di loro la documentazione disponibile è scarsa, ma sufficiente
a dare un’idea di ciò che la guerra poteva causare sulla mente umana.
In questo campo sono numerose le ricerche effettuate in varie parti d’Italia e già pubblicate,
grazie alla progressiva catalogazione degli archivi manicomiali ma nulla finora è stato fatto
a Collegno. (vedi www.cartedalegare.san.beniculturali.it accedi dal Qr a lato)
È per questo che il CISO (Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospedaliera) ha iniziato ad
analizzare tutta la documentazione relativa al periodo della I° guerra mondiale. Sono emerse tre principali linee di ricerca: 1) I soldati: misura del fenomeno, cause, evoluzione; 2) Le
donne: la guerra come causa di patologia psichiatrica nelle donne e nella famiglia; 3) Gli
psichiatri: la scienza medica di fronte a un fenomeno “nuovo”, perché “nuova” è la guerra
che si combatte.
L’ultimo argomento ci riporta al caso del sottotenente. All’ingresso venne preso in carico
dal dottor Socrate Raimondi il quale, avendo capito le ragioni della sua crisi mentale, cercò
di guarirlo mediante una terapia di derivazione psicoanalitica, cioè attraverso la scrittura di
un memoriale per portare al livello di coscienza il conflitto interiore causa della nevrosi in
cui era caduto. Una tecnica simile quindi a quella utilizzata dagli analisti, ma ben diversa
da quella di altri psichiatri che miravano a ricondurre il paziente al suo ruolo di soldato mediante terapie violente come l’uso di stimolazioni elettriche dolorose, punizioni disciplinari,
isolamento, comandi urlati, e che erano diffuse presso i servizi psichiatrici degli eserciti
europei dell’epoca.
La lettura del memoriale ripercorre tutta la sua vita militare dall’arruolamento il 21 aprile
1917. Ecco come descrive la ritirata di Caporetto:
“Volgevano i tristi giorni di ottobre in cui la virtù italiana fu sommamente provata. Il mio
reggimento, mentre meno ce lo aspettavamo, fu richiamato in trincea. (…) Io ero ammalato, ma mi sembrava una viltà in quei momenti insistere sui miei malesseri ed il 20 ottobre
partii col mio reggimento alla volta della linea delle quote sul dosso Faiti. Qui trovammo
l’inferno; bombardamenti scuotevano la terra e l’aria incessantemente; io per resistere alla
fatica e alle veglie dovevo ricorrere spesso a caffè ed a liquori (cognac, marsala). Resistetti
fino al giorno 27, in cui fui assalito da forte febbre (39 gradi) e chiesi visita. Riconosciuto,
fui inviato alla dolina grande per attendere l’ambulanza che mi doveva portare all’ospedale.
Cominciavano a circolare voci allarmanti, però la verità ci fu abilmente nascosta”.
Verità che però divenne drammaticamente evidente nelle successive 24 ore: “Era il 28 ottobre la pioggia continuava a cadere dirottamente le strade erano ingombre di camion, arti-
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Una scena dal film
“Torneranno i prati”
di Ermanno Olmi,
il racconto di una notte
sul fronte Nord-Est dopo
gli ultimi sanguinosi
scontri del 1917 sugli
Altipiani.
glierie, carri, muli ecc. ecc.; io un po’ a piedi un po’ salendo su camion, un po’ facendomi
trasportare da carri riuscii a raggiungere prima Cervignano, poi il Tagliamento e finalmente
il 29 ottobre sera l’ospedaletto da campo di San Paolo del Tagliamento. La febbre oltrepassava i 40 gradi (…) Erano momenti di gran confusione e minacciando l’ospedaletto di
essere preso dagli Austriaci, il 1° novembre 1917 ci diedero il si salvi chi può, cosicché fui
costretto di nuovo a fuggire”.
I mesi successivi passano tra ricovero, convalescenza e servizi nelle retrovie, ma il 1° maggio
1918 viene inviato al fronte. Qui è nuovamente colto da febbre e ricoverato, dimesso l’8
giugno, in tempo per partecipare all’offensiva del Piave, il 13 e 14 giugno. Il 15 giugno la
situazione precipita: “Fui preso da una crisi nervosa: mi morsicai un dito, saltai per un prato
lì vicino e mi presero una specie di convulsioni. Fui portato semisvenuto all’infermeria del
battaglione dove l’aspirante medico mi fece rinvenire con dei sali. Fu allora che sentii che il
reggimento doveva spostarsi per andare all’assalto e mi proposi di far valere i miei mali per
andare all’ospedale; quindi esagerai fingendo di non capire più nulla ed il dottore definì il
mio male come uno choc nervoso e mi inviò in barella all’infermeria reggimentale”. Segue
un tentato suicidio con la baionetta, probabilmente simulato, e ripetuti tentativi da parte
dei superiori di farlo “rinsavire” con minacce varie a cui egli oppone un ostinato mutismo,
finché chiede di parlare col suo generale, al quale “gridai che se avevo mancato mi fucilassero pure al petto non alla schiena poiché non ero né un vile né un traditore, e di morire
non avevo paura. Fui legato più stretto da quel momento 15 giugno 1918 di sera io non
fui più padrone di me stesso”.
Michelangelo Cornalis fu dimesso da Collegno il 4 dicembre 1918 in quanto non affetto
da malattia mentale, ma con la proposta di una licenza di sei mesi. La guerra intanto era
finita. Lui aveva appena compiuto vent’anni.
Nel centenario dell’entrata in guerra dell’Italia,
il CISO Piemonte ha deciso di dedicare, il 6 novembre 2015 a Torino, il suo II° Congresso a “La
prima guerra mondiale: salute, malattie, sanità e
assistenza”, che si svolgerà a, e nel quale verranno presentati i risultati delle ricerche in atto e di
altre riguardanti altri aspetti della storia sanitaria dell’epoca, come la grande epidemia dell’influenza “spagnola” del 1918-19.
Per info: www.cisopiemonte.it
Bibliografia
Giacomo L. Vaccarino – Paura, nevrosi, onore: esperienze di guerra di un giovane ufficiale
torinese, Bollettino storico-bibliografico subalpino, 1997, pp. 659-675
DICEMBRE 2015
51
rubriche
Pianeta solidarietà
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DICEMBRE 2015
Mentre stiamo
chiudendo in
redazione questo
numero di Torino
Medica è scaduto
il tempo per
l’iscrizione al Master
universitario di 1°
livello della COI
“SALUTE ORALE
NELLE COMUNITÀ
SVANTAGGIATE E
NEI PAESI A BASSO
REDDITO ”,
7a edizione a.a.
2015/16 che
prenderà avvio nel
prossimo gennaio.
Pubblichiamo
ugualmente il
programma in PDF
per dare notizia di
un evento formativo
importante sia a
livello culturale che
di cooperazione
sanitaria
internazionale,
gestita secondo
parametri di qualità
ottimale.
Programma di studio:
Modulo 1: Cooperazione internazionale e attori. Sistemi sanitari nei PVS.
Modulo 2: Le comunità svantaggiate e la fragilità sociale in Italia e in Europa.
Modulo 3: Promozione della salute orale nei PVS e nei Paesi sviluppati.
Modulo 4: Primary Oral Health Care.
Modulo 5: Progettazione degli interventi di salute orale nei PVS.
DICEMBRE 2015
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rubriche
Pianeta solidarietà
Nella foto sotto, da sinistra:
Luisa Mondo Coordinatrice Commissione Volontariato
dell’Ordine;
Matteo Ballesio di “SOS SALUTE E SSVILUPPO”;
Eva Mesturino di “CUTE PROJECT”;
Costanzo Bellando di “NUTRIAID”
Il volontariato è di casa
all’Ordine
Costanzo Bellando
I referenti delle associazioni che si occupano di cooperazione in PVS (Paesi in Via di Sviluppo), di assistenza
ai migranti in Italia, e di assistenza ai malati ed ai loro
famigliari, sono stati invitati il 18 novembre scorso nella sede dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri
della provincia di Torino, Villa Raby, Corso Francia 8 per
un incontro di presentazione delle attività associative.
“L’obiettivo dell’iniziativa – come hanno scritto nell’invito il prof. Giuseppe Costa, Coordinatore della Commissione Ordinistica Solidarietà Nazionale e Internazionale ed equità dell’accesso alle cure e la d.ssa Luisa
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DICEMBRE 2015
Mondo, Coordinatrice della Commissione Ordinistica
Associazione di malati e volontari- è stato quello mettere in relazione le varie Associazioni tra loro e con
l’Ordine dei Medici nell’ottica di una maggior collaborazione con i Medici operanti sul territorio”.
A tutti gli invitati all’incontro è stato chiesto di presentare una scheda compilata per un censimento delle realtà associative presenti nella nostra provincia e
dell’attività svolta.
NiFe
Anche chi frequenta da tanti anni il mondo del volontariato non può non essere rimasto colpito dalla quantità e dalla varietà delle Associazioni che hanno risposto a questa proposta dell’Ordine dei Medici di Torino.
Le tematiche a cui si rivolgono le varie Associazioni
spaziavano dall’aiuto ai migranti alla assistenza per
specifiche patologie, dalle attività nei Paesi in Via di
Sviluppo all’aiuto alle donne in difficoltà, a mille altre
problematiche in cui il volontariato può concorrere a
coprire dei bisogni che non sempre trovano una risposta adeguata.
È emersa una grande disponibilità dei volontari (sanitari, pazienti, familiari di malati, comuni cittadini) ad
intraprendere attività impegnative per tentare di risolvere i problemi più svariati: spesso però le Associazioni
stentano a farsi conoscere e solitamente non esiste un
coordinamento o anche solo un contatto tra le diverse realtà, che rischiano così di sprecare risorse, di non
usufruire di esperienze altrui e di non avere quell’effetto di “massa critica” che può portare a farsi meglio valere nel rapporto con le istituzioni. L’Ordine dei
Medici di Torino si è quindi proposto di creare questo
tipo di collegamento, realizzando inoltre un registro
delle associazioni che agiscono sul nostro territorio e
favorendo il contatto tra gli operatori che si occupano
di aree comuni. Per quanto riguarda ad esempio l’assistenza a determinate patologie, può essere estremamente utile per il medico poter usufruire di un portale
in cui reperire le Associazioni che forniscono assistenza
al paziente e alla sua famiglia. Allo stesso modo un
potenziale volontario può venire a conoscenza di tutte
le sfaccettature di un mondo spesso sconosciuto in cui
trovare l’attività più confacente alle propie attitudini.
Le esperienze fin qui realizzate di creazione di una rete
tra entità affini sono estremamente positive, con scambi che migliorano grandemente la qualità del lavoro
e le ricadute per i beneficiari: ne sono un esempio le
stesse Commissioni Ordinistiche che hanno organizzato l’incontro o il COP (Consorzio Ong Piemontesi che si
occupano di sanità).
Il ruolo dell’Ordine per favorire questa modalità di lavoro in rete si conferma centrale.
DICEMBRE 2015
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rubriche
in libreria
STORIE DI CURA AL
DOMICILIO SUL DECLINARE
DELLA VITA
Frammenti di specchio
MARIA MILANO,
GIULIANA BONDIELLI
Franco Angeli Edizioni
(Laboratorio Sociologico, Ricerca empirica ed intervento
sociale)
Pagine 173, € 23,00
La morte rappresenta una delle
molte irrisolte contraddizioni culturali dell’Occidente.
Dagli anni Ottanta dell’altro secolo,
votati all’edonismo consumistico, la
morte è diventata progressivamente un oggetto tanto misterioso da
essere negato nella sua stessa essenza e rimosso in una realtà che,
tra l’altro, ben pochi conoscono.
Eppure… Eppure forse perché tutti sappiamo, di sicuro dall’età della
ragione, che rappresenta l’epilogo
naturale della vita (di ogni vita) la
morte è diventata anche un’ossessione difficilissima da gestire, con
cui fare i conti sempre più spesso
complessi e difficili da gestire.
Si parla sempre più spesso di morte
senza magari aver mai visto morire
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DICEMBRE 2015
un essere vivente con il quale eravamo legati da affetto, amicizia,
conoscenza più o meno approfondita. Dei problemi legati alla fine
sono pieni giornali, TV, libri, Internet… E dal momento che la morte è un argomento che riguarda
personalmente in maniere diretta
ognuno di noi, tutti pretendiamo
di esprimere la nostra opinione
senza sentire, molto spesso, il bisogno di confrontarci prima con
le nostre reali conoscenze. Quanti
favorevoli all’eutanasia conoscono
ad esempio lo stato dell’arte della
terapia del dolore e quanti si sono
domandati se esista un rapporto tra
richiesta di eutanasia e attuazione
efficace della terapia del dolore?
Il libro di Maria Milano e Giuliana
Bondielli muove da una prospettiva
culturale che è, di fatto, un ribaltamento della situazione di conoscenza della morte che caratterizza
l’Italia. Per fotografare la situazione
le autrici hanno selezionato cinquantadue storie di cura inerenti il
fine vita, scritte da Medici di Medicina Generale e dai “caregivers”:
ovvero la rete di persone, professioni, competenze medico-assistenziali, e affetti, che assicurano la cura,
l’accudimento e la tutela dei malati
terminali.
Un insieme di racconti che hanno a volte la capacità narrativa,
sempre sorprendente, espressa
da un’istantanea e a volte le promesse sintetiche e suggestive racchiuse in “corto” o in un trailer di
un film. Nel mosaico che le autrici
compongono, la conoscenza della
fine della vita e le modalità con cui
questa si presenta tra le mura domestiche (concepite e progettate,
spesso, come esercizio architettonico più o meno militante di una
vita senza fine e senza difficoltà fisiche) costituisce molto più di una
testimonianza e qualcosa di meno
(risultato assolutamente previsto
dalle autrici) di un documento. Si
potrebbe definire uno strumento di
conoscenza, a beneficio della consapevolezza che tutti dovremmo
possedere, messo a disposizione da
medici di famiglia, medici palliativisti, infermieri domiciliari, assistenti
sociali, famigliari e “caregivers”
formali.
La consapevolezza consiste nel delineare, rispetto alla fine della vita
vissuta a casa propria, gli ostacoli,
le incongruenze, le perplessità di
tutte le figure umane che si muovono nell’orizzonte esistenziale di
un malato terminale. Ostacoli, incongruenze, perplessità che possono tradursi in una domanda che
a due donne (le autrici che hanno
come valore esistenziale aggiunto
l’esercizio della Medicina Generale)
viene probabilmente in modo quasi
istintivo: quali sono le emozioni che
emergono nella rete malato/familiari/medico?
Ma è nel capitolo a pagina 149,
intitolato “Fuoriscena: la visione
del filosofo”, uno degli aspetti di
conoscenza più importanti da rivendicare a gran voce da parte di
noi medici: “Di volta in volta occorre stabilire l’equilibrio tra medico e
paziente, non soltanto nei casi più
estremi, per esempio di fronte a
una richiesta di suicidio assistito. In
ogni caso l’autonomia del paziente, le sue scelte, le sue aspettative
e i suoi valori non possono ridurre il medico a puro strumento dei
propri desideri, soprattutto quando
il rapporto medico e paziente si è
stabilito e consolidato nel tempo,
come è per lo più il caso dei medici
di medicina generale, né il medico
può ridurre il paziente a mera argilla da plasmare”.
Questa rivendicazione di autenticità
professionale e di cittadinanza (nel
senso più pieno che l’Educazione
Civica ci ha insegnato durante l’arco di studi della Scuola dell’Obbligo) è forse il concetto meno diffuso
e praticato dai media che affrontano i passaggi esistenziali della fine
con piglio ideologico, teologico ma
mai di profilo deontologico così
complesso e completo che tale citazione comporta.
Letto da Guido Giustetto
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rubriche
AVVISO DI SELEZIONE PER TUTOR VALUTATORI PER LO SVOLGIMENTO DELLA PROVA PRATICA DEI LAUREATI
CANDIDATI ALL’ESAME DI STATO ABILITANTE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI MEDICO-CHIRURGO
avvisi e comunicati
ORARIO UFFICI
Orario degli Uffici amministrativi dell’Ordine in
vigore dall’1 settembre 2015
Lunedì
8.30-13.30 14.00-17.30
Martedì
8.30-13.30 14.00-17.30
Mercoledì
8.30-13.30 14.00-17.30
Giovedì
8.30-13.30 14.00-17.30
Venerdì
8.30-13.30 14.00-17.30
Si comunica anche che l’Ufficio Previdenza (pratiche Enpam) dall’1 settembre 2015 osserva il
seguente orario:
Lunedì
8.30-13.30
Martedì
8.30-13.30
Mercoledì8.30-13.30
Giovedì
8.30-12.30
Venerdì
8.30-12.30
LA SEGRETARIA DELL’ORDINE
D.ssa Rosella Zerbi
I CORSI FAD DELLA
FNOMCEO
Ricordiamo ai nostri iscritti che sul Portale della
FNOMCeO (www.fnomceo.it), seguendo il percorso che ora indichiamo, potranno acquisire
tutte le informazioni relative ai Corsi di Formazione a Distanza (FAD) attivi e seguendo le indicazioni potranno anche iscriversi e svolgerli.
LA FEDER.S.P.EV PER GLI
ISCRITTI ALL’OMCeO DI TORINO
La “Federazione Sanitari Pensionati e Vedove”
si occupa della risoluzione dei problemi economico-sociali dei medici, farmacisti, veterinari che
godono di una pensione e dei loro famigliari.
Per maggiori informazioni o per accedere ai
servizi dell’Ente, si può telefonare alla signora
Teresa Gariglio, 333/8440475, Presidente provinciale dell’Ente, o al dott. Giorgio Cappitelli,
348/6703250, Presidente regionale.
La redazione di TM
PER COMUNICARE
UN CAMBIO DI INDIRIZZO
Si chiarisce agli iscritti che la procedura corretta
per la segnalazione all’ordine di un cambio di
residenza o di indirizzo prevede obbligatoriamente la compilazione dell’apposito modulo
scaricabile all’indirizzo:
www.omeco.to.it à modulistica à modulo
variazione indirizzo
Questo modulo deve essere inviato via mail
all’indirizzo:
[email protected]
o inviato tramite fax al numero: 011505323
Inoltre si pregano gli iscritti di segnalare alla
segreteria amministrativa eventuali disguidi di
spedizione della rivista Torino Medica.
Entrati nell’homepage dall’indirizzo www.
fnomceo.to.it occorre scorrere col puntatore
del mouse, verso il basso, la prima colonna a
sinistra. Arrivati al blocco di link cliccabili denoLa Redazione di Torino Medica (RTM)
minato “NOTIZIE” scorrere col puntatore sino
a “Corsi di formazione”. Cliccandovi sopra si
I CORSI
accede alla pagina dedicata ai Corsi FAD che
ha FAD DELLA FNOMCeO
Ricordiamo ai nostri iscritti che sul Portale della FNOMCeO (www.fnomceo.it), seguendo il
percorso
che
ora
indichiamo,
potranno
acquisire tutte le informazioni relative ai Corsi di
l’indirizzo: http://www.fnomceo.it/fnomceo/
Formazione a Distanza (FAD) attivi e seguendo le indicazioni potranno anche iscriversi e svolgerli.
Entrati
nell’homepage
dall’indirizzo
www.fnomceo.to.it
occorre scorrere col puntatore del mouse,
showVoceMenu.2puntOT?id=112
verso il basso, la prima colonna a sinistra. Arrivati al blocco di link cliccabili denominato
“NOTIZIE” scorrere col puntatore sino a “Corsi di formazione”. Cliccandovi sopra si accede alla
Di seguito pubblichiamo anche
il codice
Qrcheche
pagina dedicata
ai Corsi FAD
ha l’indirizzo:
http://www.fnomceo.it/fnomceo/showVoceMenu.2puntOT?id=112
permette l’accesso diretto da
smartphone.
Di seguito
pubblichiamo anche il codice Qr che permette l’accesso diretto da smartphone.
L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Torino ha sottoscritto una Convenzione con
l’Università di Torino per gli adempimenti previsti dal Regolamento concernente gli esami di Stato di abilitazione
all’esercizio della professione di medico-chirurgo modificato con decreto n. 445 del 19 ottobre 2001 e pubblicato sulla G.U. n. 299 del 27 dicembre 2001 e reso applicativo dall’Ordinanza ministeriale del 23 febbraio
2004.
Le sopra citate norme prevedono che l’esame di Stato di abilitazione alla professione consista in una prova pratica e in una prova scritta. Alla prova scritta si accede solo dopo il superamento di una prova pratica a carattere
continuativo consistente in una prova clinica pratica della durata complessiva di tre mesi articolati in un mese
svolto presso un reparto di medicina, un mese presso un reparto di chirurgia e per un mese presso un medico
di medicina generale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale e realizzati, dopo il conseguimento
della laurea (art. 1 DM 19.10.2001, n. 445).
In forza alla Convenzione con l’Università, il Consiglio Direttivo dell’Ordine è tenuto a predisporre un elenco di
medici operanti in qualità di dirigente medico in reparti di medicina generale, medicina d’urgenza o geriatria,
medici operanti in qualità di dirigente medico in reparti di chirurgia generale, chirurgia d’urgenza, ortopedia,
otorinolaringoiatria, urologia o ginecologia e medici di medicina generale convenzionati con il SSN, che possano dichiarare, sotto la propria responsabilità, di possedere i requisiti minimi di seguito elencati per ciascuna
categoria.
Medici operanti in qualità di dirigente medico in reparto di medicina generale e chirurgia generale
1. essere iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Torino
2. assenza di provvedimenti disciplinari sanzionati con provvedimento definitivo di sospensione dall’esercizio
della professione nei dodici mesi precedenti
3. possedere almeno cinque anni di anzianità di servizio in un reparto ospedaliero o universitario di medicina
o chirurgia
4. svolgere normalmente sia attività di reparto che ambulatoriale
5. avere congrua disponibilità di tempo per tale impegno
6. impegnarsi a frequentare il corso di formazione previsto
Medici di medicina generale convenzionati con il SSN
1. essere iscritti all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Torino
2. assenza di provvedimenti disciplinari sanzionati con provvedimento definitivo di sospensione dall’esercizio
della professione nei dodici mesi precedenti
3. possedere almeno dieci anni di anzianità di convenzione per la Medicina Generale con il SSN
4. avere in carico al momento della domanda un numero di scelte superiore a 750
5. disporre di un sistema informativo adeguato
6. avere congrua disponibilità di tempo per tale impegno
7. impegnarsi a frequentare il corso di formazione previsto
L’elenco così costituito, formato da tutti gli aspiranti alla attività di Tutore in possesso dei requisiti minimi, verrà
sottoposto alla Commissione Paritetica composta dai membri dell’Università e dell’Ordine per l’individuazione
dei Tutori.
La Commissione Paritetica Ordine-Università, preso atto dell’elenco dei Medici che sono in possesso dei requisiti
minimi, dovrà procedere alla formazione di un elenco che verrà trasmesso alla Regione (combinato art.1, comma 2 Tirocinio, DM n. 445 del 19 ottobre 2001 e art. 27, comma 3, DL n. 368 del 17 agosto 1999)
Per la validità della domanda farà fede la data di protocollo della stessa, che può essere inoltrata o per lettera
raccomandata (C.so Francia 8 – cap.10143) o per raccomandata a mano direttamente agli uffici dell’Ordine o
per fax al numero 011- 505323 o per e-mail [email protected].
Il candidato dovrà consegnare la domanda, come da modelli allegati, attestante il possesso dei requisiti minimi.
Torino, 30/10/2015
Il Presidente dell’Omceo
della provincia di Torino
Guido Giustetto
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DICEMBRE 2015
DICEMBRE 2015
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rubriche
corsi e congressi in pillole
I corsi ECM organizzati dall’OMCeO di Torino e gli eventi
congressuali di cui viene pubblicato gratuitamente titolo, data
e luogo in cui si tengono (dopo segnalazione alla redazione
e la successiva approvazione per la pubblicazione) sono
consultabili in Rete sul sito istituzionale www.omceo.to.it
Ente di Formazione Giuridica
con sede a Torino
e sul portale www.torinomedica.com
Provider per la erogazione di crediti ECM
con accreditamento provvisorio n. 4914
Certificazione di Qualità ISO 9001:2008
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congressi
Pubblicazione di programma a pagamento
Ottenuta l’autorizzazione preventiva alla pubblicazione da parte della Direzione della rivista, gli inserzionisti possono rivolgersi direttamente a SGI Srl (sig.ra Daniela Cazzaro), al
numero telefonico 011.359908 per informazioni preliminari sulle condizioni economiche.
XVI Convegno A.M.I.A. R.
Agopuntura e Medicina non
Convenzionale nei disturbi del
Sistema Nervoso
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via Fanti 17, Torino, ore 9,00-18,15
Iscrizione gratuita
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Presidente: dott. Piero Ettore Quirico
Segretaria Scientifica: G.B. Allais, G. Lupi, A. Magnetti
Iscrizioni presso segreteria organizzativa CSTNF:
tel. 011.3042857; e-mail: [email protected]
Patrocini richiesti:
Regione Piemonte
Città di Torino
Ordine dei Medici di Torino
F.I.S.A.
F.I.A.M.O.
S.I.R.A.A.
Contenuti ed aggiornamenti del programma dell’evento saranno pubblicati
non appena disponibili sul sito web: www.agopuntura.to.it
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