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LUNEDÌ, 16 FEBBRAIO 2009
Pagina 32 - Cultura
LE MILLE FACCE DELL´AVANGUARDIA
Dopo Milano e Parigi anche Roma celebra il centenario del movimento con la grande rassegna alle Scuderie
del Quirinale
Le analogie e le differenze tra l´esposizione di oggi e quella famosa del 1912
Tra i tanti, Carrà Boccioni, Balla e gli "invitati" parigini Duchamp Picasso e Delaunay
CESARE DE SETA
Il Futurismo è tra i pochi eventi del Novecento che pone l´Italia in prima fila e il centenario ha dato la stura a
molte mostre. Una moneta, quella del futurismo, che il nostro paese avrebbe dovuto saper spendere da
protagonista: sia perché i maggiori studiosi del movimento sono italiani, sia perché avevamo un "diritto di
prelazione" da far valere. Il Centre Pompidou ha preceduto tutti con la mostra "Le Futurisme à Paris", ora alle
Scuderie del Quirinale (in apertura il 20 febbraio). La mostra, per la cura di Didier Ottinger, fin dal titolo "Avanguardia - Avanguardie" - ha un´articolazione saccente e debole per il modo in cui i futuristi vengono
affogati in un cubismo+futurismo=cubofuturismo, come Ottinger titola il saggio d´apertura. Marinetti, Boccioni,
Severini e Carrà, girando per la mostra, si torcerebbero dalla rabbia: perché non sopportarono d´esser
giudicati epigoni dei cubisti e in effetti non lo furono.
Non a caso la mostra si apre nel nome di Picasso e Braque, di Delaunay e Metzinger, di Léger e Gleizes. Ciò
non toglie che gli amici francesi abbiano messo assieme, con apprezzabile tempestività, una selezione
eccellente di tele di Boccioni, Severini, Carrà, Russolo, mentre Balla è mortificato con solo due tele. Nessuno
nega che i futuristi si inseriscono in un terreno già arato dal cubismo, ma la mostra alla galleria
Bernheim-Jeune del febbraio 1912 fu solo un momento dell´articolata politica di lancio orchestrata da
Marinetti con gran talento. Che le opere futuriste fossero una novità assoluta lo testimonia il fatto che esse
scandalizzarono i parigini e i giornali francesi contemporanei dicono delle reazioni violente sia di pubblico che
di critica. La rivoluzionaria serie de Gli stati d´animo di Boccioni sono del 1911, e scarse relazioni hanno con
l´Adamo-cubista: le radici stesse della pittura di Boccioni sono radicalmente diverse (Officine a Porta
Romana, L´idolo moderno, 1910-1911), come quelle di Carrà (Il funerale dell´anarchico Galli, Sobbalzi di
carrozza, La donna al caffè, Ciò che mi ha detto il tram degli stessi anni). Le tematiche futuriste della città,
della velocità, della simultaneità sono per larga parte estranee al milieu parigino: sono una tale novità che
creano disagio anche a uno spregiudicato occhio come quello di Apollinaire.
L´edizione delle Scuderie, commissario Ester Coen, ha il merito di aver eliminato molte tele non pertinenti e
di aver puntato decisamente sul futurismo col qualificato serto di tele già ricordate. Complessivamente una
settantina di opere, con preziose aggiunte, su 115 esposte a Parigi: un freddo dato notarile, significativo. In
premessa al catalogo (Electa) Antonio Paolucci saggiamente scrive che per il futurismo «più che di arte
italiana è giusto parlare di varianti italiane di fenomeni globali e policentrici»: tra gli invitati parigini, riuniti al
secondo piano, i Delaunay con la Tour Eiffel e su tutti il geniale Marcel Duchamp del Nu descendant
l´escalier: questi sì strettamente collegati alla ricerca sul moto dinamico.
Una periodizzazione completamente diversa ha la mostra milanese al Palazzo Reale, a cura di Giovanni
Lista e Ada Masoero (catalogo Skira), che si spinge agli anni Trenta, con il capitolo dell´Aereopittura (Tato,
Prampolini, Diulgheroff, Dottori) e un finale dedicato a "L´eredità del futurismo" (Fontana, Burri, Dorazio,
Schifano). La mostra milanese è una sventagliata a tutto campo e ha il vantaggio, rispetto e contro la mostra
parigina e romana, di avere una sezione introduttiva dedicata alla grande tradizione lombarda di fine
Ottocento. È pure vero che i futuristi sbeffeggiarono i pittori «montagnisti e laghettisti», ma per capire le radici
di Carrà, ma dello stesso Boccioni e di Balla, è impossibile prescindere dalla pittura simbolista e divisionista
(Previati, Segantini, Pellizza) che ebbe peso ben maggiore dei cubisti nella formazione dei futuristi. Perché, e
la mostra lo ribadisce, Marinetti ebbe sì un´indelebile formazione francese, ma operò sempre a Milano e la
metropoli dell´industria e della tecnica fu il grande crogiolo della modernità. Gino Severini a Parigi fin dal
1906, con puntate di Soffici e Boccioni, fu più direttamente influenzato dal cubismo, ma con un´originalità
compositiva e cromatica di sicura tenuta.
Scandita in diverse sezioni la mostra milanese sfiora anche "Metafisica" - a cui approdò Carrà intorno al 1916
- che fu il vero controcanto al futurismo. Si fatica a inserire Sironi tra i futuristi, ma pure l´esordio fu in quel
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solco, come per Funi: poi entrambi approdarono sulle rive limacciose di "Novecento". Il movimento irradiò i
suoi tentacoli fino a Firenze ("Lacerba" è un nodo essenziale), a Roma, Torino, Napoli, ma anche in centri
minori e aree di ricerca che vanno emergendo, come il caso Bologna con la mostra a Palazzo Saraceni a
cura di Beatrice Buscaroli.
La grande vitalità dell´avanguardia futurista fu quella di aver pervaso la fotografia e il cinema (i Bragaglia), la
musica e il teatro (Pratella, Russolo, Cangiullo), le arti decorative, la pubblicità e la moda (Balla, Depero,
Prampolini, Dottori). Al paroliberismo concorsero letterati (Paolo Buzzi, Palazzeschi, Cavacchioli, Govoni,
Altomare, Folgore) e pittori sia del primo che del secondo futurismo: a questa ricerca sperimentale è dedicata
un´altra mostra, a cura di Luigi Sansone (catalogo Motta), alla Fondazione Stelline di Milano. Essa pone in
prima linea Marinetti su cui è appena uscita una densa monografia (Mondadori) di Giordano Bruno Guerri e il
volume di Vladimir Pavloviè nella bella collana Mart inediti.
Il museo d´arte di Lugano fa eco con una mostra dedicata a "La dinamo futurista": un omaggio a Boccioni nei
disegni del toscano Primo Conti per la Donna che venne dal mare. Un profilo del movimento sul versante
ideologico e politico è quello di Emilio Gentile edito da Laterza.
Il grande assente nei fuochi d´artificio futuristi (se si escludono una decina di acquerelli a Milano) è Antonio
Sant´Elia, e davvero non si spiega visto ché l´architetto comasco fu per i futuristi una bandiera e uscì persino
un periodico col suo nome: le immagini santeliane sono icone fondamentali della modernità a cui Le
Corbusier attinse a piene mani, ma mai lo citò nei suoi scritti. More parisiano!
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