Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana

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Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana
l’inchiostro rosso
Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana - Giugno 2010 - Anno 9 N° 6 “La teoria diventa una forza materiale non appena conquista le masse”. Karl Marx
“Voglio condannare dal profondo delle mie viscere l’azione del governo di Tel Aviv: viva il popolo palestinese!” (Hugo Chavez)
vs.
All’interno di questo numero
I sindacati per il salario minimo: una
proposta con varie lacune
Medio Oriente: la soluzione due popoli due stati è ancora realizzabile?
L’esercito svizzero entra nelle università per rifarsi il look
PER UNA SVOLTA ECO-SOCIALISTA
2 - l’inchiostro rosso
I marxisti nella costruzione di un’alternativa al consociativismo Davide Rossi riflette su crisi del capitalismo occidentale, necessità di una decrescita ecologica e critica del corporativismo elvetico.
Di fronte alle crescenti crisi internazionali che si riverberano nel
quadro europeo e quindi anche
svizzero, il Partito Comunista (e
di conseguenza il Partito Svizzero del Lavoro - PSdL) è chiamato
a promuovere un’alternativa, a
partire dal Ticino, per il superamento dell’organizzazione consociativa di gestione del potere,
tipicamente svizzera; creare
dunque situazioni di scardinamento dello “status quo”, per
superare la partitocrazia e la collegialità che obbligano la società ad un consenso immobile. È
questo l’invito che questo Congresso avanza agli organi dirigenti del Partito.
La situazione globale da comprendere e analizzare
Se si pensa che nel 1930 i cittadini della terra erano due miliardi e nel 1990 cinque miliardi,
balza con facilità agli occhi il valore delle tesi sostenute dai più
importanti e riconosciuti organi
di analisi internazionale dell’ecosistema, come ad esempio il
World Watch Institute di New
York, i quali impongono al sistema occidentale la necessità di
una decrescita e, al contempo, di
una re-invenzione dell’accesso
alle fonti energetiche, incentivando l’auto-sussistenza energetica, nazionale e locale, attraverso fonti rinnovabili. Tali tesi,
peraltro, sono state riprese negli
ultimi mesi anche dalla stampa
economica liberista, come ad
esempio “The Economist” e “Wall
Street Journal”, a dimostrazione
di un ritardo del sistema capitalistico e dell’urgenza di azioni concrete. È l’evidente conferma che
il tracollo del sistema consumistico - capitalistico e il suo declino
non reversibile impongono una
revisione totale dell’approccio
politico ai temi locali, nazionali, e
internazionali.
Non si può infatti fingere di non
conoscere come il risultato che
scaturisce:
• dall’appropriazione violenta
delle materie prime da parte
dell’Occidente,
• dall’insostenibilità per il pianeta di garantire a 7 miliardi
di persone livelli di consumi
energetici e alimentari quali
quelli praticati in Occidente
e ugualmente neppure garantire tali livelli di consumi a
quel nuovo miliardo di cittadini dei paesi emergenti che
si sta affiancando al primo
miliardo di iper - consumatori
dell’Occidente,
• dall’inevitabilità dei flussi migratori, come elemento non
estinguibile della mobilità sociale planetaria,
• delle crescenti tensioni sociali dentro l’Occidente per
l’aumento della disoccupazione e della marginalità economica e sociale
• dalle crescenti tensioni internazionali che l’Occidente
intende del tutto impropriamente risolvere attraverso
conflitti militari
credibile e quindi guidare i percorsi di ricomposizione politica.
È del tutto evidente che compito dei comunisti è di poter operare in questo senso, partendo
da posizioni progressiste, contrastando culturalmente e politicamente tutte le già oltremodo
evidenti posizioni anticapitaliste,
antiliberiste, anticonsumiste che
si stanno sviluppando a destra,
fondandosi però, non come nel
nostro caso, su una attenta analisi marxiana della realtà e dello
stato di cose presenti, ma da una
ideologia che ha le sue radici e
si sostanzia in una pericolosissima deriva fascista, corporativa,
razzista e xenofoba.
Anzi
la
costruzione
di
un’alternativa deve nutrirsi in
forma sostanziale dei valori di
massima apertura agli stranieri, a
cui si devono riconoscere i diritti
civili e politici, senza esclusioni e
reticenze. Una politica di dialogo
e apertura che nasce dalla convinta condivisione degli ideali
internazionalisti di solidarietà, reciproca comprensione e amicizia
tra i popoli che non può essere
una semplice dichiarazione di
intenti, ma la concreta azione
per la trasformazione del Ticino,
della Svizzera, dell’Europa.
Peraltro questo quadro internazionale rende superata la discussione in merito all’adesione
della Svizzera all’Unione Europea
(UE). Infatti, per prima cosa, l’UE
non è riformabile dall’interno;
secondariamente la Svizzera è
gia recettrice in forma totale di
tutta la normativa proveniente
dall’UE, ma salvaguarderà la sua
sarà uno revisione totale e radi- autonomia (poco sostanziale e
cale del modello di sviluppo e di molto formale) per garantire la
vita dell’Occidente capitalista e permanenza del franco svizzero,
del metodo imperialista di ges- che è la valuta di rifugio di tutti i
tione delle materie prime e en- poteri forti della terra.
ergetiche.
In questo contesto il sistema Come costruire l’alternativa
consociativo svizzero è inade- secondo una prospettiva
guato. Chi avrà la capacità, per consapevolmente comunista
primo, di far conoscere ai citta- Il maggiore partito della sinistra
dini qual è questa nuova realtà ticinese e svizzera, il Partito Soin cui viviamo, nostro malgrado, cialista (PS) cerca di essere compsarà colui che potrà risultare più rensivo, universalistico, interclas-
sista, pronto al compromesso
sociale, dialogante, concertativo,
…. Farsi sostenitori, più o meno
direttamente o indirettamente,
di questo modello di progetto
politico, riconoscendoci di fatto
unicamente quale “ala sinistra”
di una socialdemocrazia che
per certi versi nemmeno si può
più classificare quale “riformista”
sarebbe deleterio e ci porterebbe all’ininfluenza totale nei processi sociali. Noi, invece, come
marxisti, abbiamo un compito
diverso, cioè quello di rappresentare una cultura che sia gramscianamente egemonica dentro la
sinistra ticinese ed elvetica, con
la consapevolezza della necessità di un impegno forte e concreto per costruire rapporti tali
che determinino l’affermazione
di un pensiero capace di interpretare il presente avendo chiaro
il futuro.
Le crescenti tensioni sociali,
politiche ed economiche imporranno de facto il superamento
dell’attuale schema politico che
vede - dalle amministrazioni locali all’esecutivo nazionale - il
formarsi di strutture di governo
che accolgono elementi provenienti dall’intero (o quasi) schieramento politico. Si pone cosi
la necessità di iniziare la costruzione di una effettiva alternativa
all’attuale sistema. Tale compito
non può che essere assolto da
un vasto raggruppamento che
raccolga intelligenze e sensibilità diverse e che si riconosca
specificatamente nell’alternativa
al quadro attuale. Di questo processo il Partito Comunista deve
essere interprete e protagonista.
Compito del Partito Comunista è
quindi quello di farsi promotore
di una maggiore consapevolezza dell’attuale realtà fra i cittadini
e nel contempo di costruire nella società quella capacità aggregativa che renda possibile tale
alternativa.
Documento approvato al XX
Congresso Cantonale del Partito
Comunista - 9 giugno 2009
LO SCUDO SOCIALE
l’inchiostro rosso - 3
Iniziaziva sul salario minimo? Andiamoci piano con l’entusiasmo!
Giusto il salario minimo, ma come lo propongono l’Unione Sindacale Svizzera e il PS le lacune non mancano proprio... volutamente?
Tesi della Segreteria Cantonale del Partito Comunista
L’iniziativa
popolare
per
l’introduzione di un salario minimo che verrà lanciata in autunno
dall’USS e dal PS, evidentemente
condivisibile nei suoi intenti
generali, parte però con il piede
sbagliato: non ricordiamo infatti
nessun assemblea di base fra i
lavoratori per discuterne il testo
e le rivendicazioni: prendiamo
quindi atto che la discussione è
avvenuta a livello di vertice e di
apparato. Il problema - al di là di
una democrazia sindacale su cui,
anche dopo quanto avvenuto
in UNIA Ticino, non ci illudiamo
ormai più - è che se un’iniziativa
popolare di questo genere non è
preparata e “sentita” dai lavoratori
stessi, sarà più facile per il padronato convincerli di votare contro:
la storia sindacale svizzera degli
ultimi tempi è infatti piena di fal- è un’altra cosa rispetto a quanto
limenti decretati dai sindacaliz- viene fatto credere.
zati stessi!
Il dumping non sarà risolto!
L’iniziativa proposta riguarda tutti
Sindacalisti ...francescani
L’obiettivo principale dell’USS i rapporti di lavoro, siano essi ine della socialdemocrazia sono determinati, determinati, parziali
400mila lavoratori che in Svizzera o altro. Ciò è sicuramente giusto,
ricevono un salario lordo infe- tuttavia esiste una lacuna giuriore ai 45mila franchi all’anno. ridica: la formulazione del testo
Aiutare queste persone a miglio- di iniziativa si basa infatti sul luorare la loro condizioni salariale è go in cui si è firmato il contratto
giusto, certo, ma un’iniziativa di lavoro, e non sul luogo dove
popolare come quella presen- si lavora effettivamente (e dove
tata andrebbe lanciata per porre quindi si entra in concorrenza
una modifica strutturale nel con altri operai). Non è solo una
mercato del lavoro, non solo questione di forma, questa situcome opera di “beneficienza” azione potrebbe creare seri probper chi è malpagato, in tal caso lemi per chi lavora in Svizzera ma
infatti essa si riduce ad essere un attraverso delle aziende interi“paracadute sociale”, una sorta di nali frontaliere. Insomma: il sala“reddito minimo garantito”, che rio minimo che dovrebbe essere
uno strumento per combattere
il dumping salariale, per assurdo
potrebbe in questo caso non
servire a nulla!
Esclusi gli apprendisti
Un’altra grave lacuna è la formulazione generica per quanto
concerne lavoratori a statuto
particolare, come gli apprendisti
e gli stagisti: l’USS lascia libertà
al parlamento - in caso di approvazione dell’iniziativa - di
elaborare una regolamentazione
dettagliata, che quindi - visti i
rapporti di forza - certamente
non penserà di risolvere l’annoso
problema dei salari da fame per
i contratti di tirocinio. Un regalo
che la socialdemocrazia fa alla
destra, senza che gli elettori lo
sappiano.
Elezioni 2011: i comunisti devono avere un progetto credibile
Il Partito Comunista inizia a riflettere alle elezioni cantonali di aprile come tappa del proprio processo di riorganizzazione
Massimiliano Ay
L’obiettivo di tappa per il 2011
del Partito Comunista in Ticino è
quello di rientrare in Gran Consiglio dopo la pausa forzata nella
legislatura iniziata nel 2007. In
quel frangente l’allora Partito del
Lavoro, nonostante avesse visto
una crescita di consensi con circa 200 elettori in più rispetto al
2003 (attestandosi a 963 schede),
non era riuscito a riconfermare il
seggio conquistato quattro anni
prima grazie alla congiunzione
con il PS, oggi non più possibile.
Le elezioni, però, non devono
essere viste come il fine ultimo
dell’azione politica dei comunisti: esse sono, al contrario,
uno dei tanti strumenti di lotta
a disposizione della sinistra di
trasformazione per poter incidere nella realtà. Se i comunisti
partecipassero alle corsa elettorale standosene poi in disparte
nelle lotte, rinunciando ad essere
in qualche modo ispiratori delle
rivendicazioni più combattive
del movimento, sarebbero come
tutti gli altri, malati di una patologia che ha distrutto molta parte
della Sinistra, il “cretinismo parlamentare”, il porsi cioè nell’ottica
di addomesticare il capitalismo
e non di abbatterlo, pensando
che anche la più banale delle riforme possa avvenire solamente
sedendo in parlamento, senza
nel contempo costruire rapporti
di forza sul territorio, nei posti di
studio e di lavoro e nelle piazze.
Chi non si pone in questa ottica
conflittuale, non vuole di fatto
il superamento del capitalismo
(anche se lo afferma ai quattro
venti), e non può essere né realmente ecologista né operare per
una effettiva costruzione del socialismo come sistema economico e politico e non solo come
ideale “umanitario”.
Per questo motivo il Comitato
Cantonale ha deciso che il Partito Comunista si doti di una Commissione speciale che elabori
un programma politico d’azione
rinnovato, da cui estrapolare alcuni temi forti, che possano suscitare interesse nel popolo della
sinistra rimasto orfano di un PS
ormai irriformabile nella sua scel-
ta consociativa con la borghesia
e pure dei Verdi che guardano
per loro scelta al centro.
Sarà quindi importante anche
unire ai comunisti, militanti
indipendenti della sinistra ecosocialista che vogliano contribuire a un progetto di lotta per
la giustizia sociale, contro il clientelismo partitocratico e che si
riconoscano in una linea di superamento del capitalismo e di
riorganizzazione dell’economia
in senso socialista per garantire
la salvaguardia delle risorse naturali e umane.
In quest’ottica il PC lavora prima
di tutto per cercare un’alleanza
con il resto della sinistra di classe
ticinese, per costruire così una
credibile alternativa alla socialdemocrazia in tutti i sensi e
questo non dall’interno del PS,
per portare acqua ai moderati
che hanno l’egemonia e che si
compiacciono di una opposizione interna che indirettamente li legittima, ma creando al
di fuori di esso, delle dinamiche
favorevoli al movimento operaio.
SI MUOVE A SINISTRA
4 - l’inchiostro rosso
Sindacati italiani si uniscono
Il PS: viva l’UE (e abbasso la Cina)!
Creare un’alternativa credibile al sindacalismo concertativo
Il dirigente socialista Fehr chiude gli occhi e disinforma
In un paese come l’Italia dove la sinistra politica, di fronte ai problemi,
si divide all’infinito, c’è almeno una sinistra sindacale che fa il percorso opposto. Alla fine di maggio alcuni sindacati di base italiani si
sono riuniti formando una sola organizzazione. E’ nata così l’Unione
Sindacale di Base (USB, come le porte di connessione dei computer)
grazie allo sforzo congiunto delle Rappresentanze Sindacali di Base
(RdB) di Pierpaolo Leonardi (legate alla Federazione Sindacale Mondiale e di ispirazione marxista), il Sindacato dei Lavoratori Intercategoriale (SdL) sorta dall’esperienza troskista del “SinCobas” e presente
a Bellinzona al fianco degli operai delle Officine FFS nel 2008 e «parti
consistenti» della Confederazione Unitaria di Base (CUB), la quarta
realtà sindacale italiana dopo le tre storiche sigle concertative. Osservano da più o meno vicino il processo anche l’ORSA (presente
in ambito ferroviario) e il sindacato autogestionario “duro e puro” di
ispirazione leninista dello SLAI-Cobas attivo fra gli operai FIAT più irriducibili. La Confederazione COBAS del troskista Piero Bernocchi per
ora sta in disparte ma non esclude future adesioni. Organizzazioni,
queste, in cui è partito un dibattito interno su opportunità, modalità,
tempi di una fusione; oppure anche dubbi, che non bloccano però
iniziative comuni.
Una strada «voluta dai lavoratori», precisano, «non un’operazione di
vertice». Era ormai diventata insostenibile una polverizzazione organizzativa che mette da sempre in discussione la credibilità stessa di
qualsiasi soggetto attivo. Un percorso unitario cominciato ben prima
che la crisi economica facesse la sua comparsa, costringendo ogni
sigla sindacale a interrogarsi sul proprio senso. Le modifiche strutturali alla legislazione sul lavoro - l’unico punto su cui il governo Berlusconi mostra un attivismo sfrenato - stanno poi cancellando ogni
possibilità residua per il sindacalismo di «nicchia» (sia «di base» che
corporativo). Questo insieme nasce come «fusione per incorporazione», in modo di mantenere tutti i diritti sindacali conquistati nel
tempo dai singoli soggetti storici. Nasce già forte di circa 250.000 iscritti «veri», tengono a precisare. Qui si guarda con molto scetticismo
al meccanismo di «iscrizione a vita» in vigore nei sindacati confederali di “sinistra”. La struttura organizzativa scelta è confederale, con
due «macro-aree»: pubblico e privato. Naturalmente in entrambe
c’è un’articolazione categoriale che corrisponde ai perimetri contrattuali. Ma soprattutto si è esteso un radicamento nel terziario in senso
lato: cooperative, grande distribuzione, call center, ecc. «C’è una richiesta tale di intervento che sta portando sulla scena del conflitto sociale molti giovani e migranti». Sono i settori della frammentazione,
sconquassati dalla precarietà, i più difficili da organizzare in modo
stabile. «Ma anche i più ricchi di energia e di voglia di difendersi».
Un’articolazione piena di problemi differenti, che richiede di «tenere
insieme la massima autonomia di lavoro» nel mentre «si cerca di dare
senso alla ricomposizione della polverizzazione contrattuale».
Già da anni sono attivi anche servizi come l’assistenza fiscale e legale,
o i patronati. Come deve essere per ogni sindacato, il conflitto è funzionale alla costruzione di un rapporto di forza tale da raggiungere
un risultato migliore. E quando lo si raggiunge «si firmano accordi e
contratti». Altrimenti no. Una particolare importanza viene data al
«sindacato metropolitano», una forma «sperimentale» che ha il suo
baricentro nelle strutture che da anni si occupano del problema degli inquilini, dei disoccupati, dei migranti, ecc. La sigla scelta, non a
caso, viene declinata anche come «uguaglianza, solidarietà, bisogni»,
a indicare ambiti di rappresentanza sociale non ristretta al solo lavoro
dipendente. Non manca il momento di riflessione e ricerca, con un
centro studi e una rivista teorica di economia e diritti del lavoro.
Hans-Jürg Fehr, ex-presidente
del Partito Socialista Svizzero e
redattore della bozza di nuovo
programma politico risponde a un’intervista di “Prospettive Socialiste”. Il tema è quello
dell’Unione Europea: il suo giudizio è decisamente positivo,
addirittura, senza il senso del ridicolo, la definisce “un progetto socialdemocratico”. Il dirigente socialista ritiene che a favore dell’UE
parlino i suoi presunti “successi
di pace”. Quali siano non è dato a
sapersi, anche perché l’esempio
balcanico non appare esaltante.
Per Fehr l’UE avrebbe anche
“grandi meriti nella democratizzazione dell’Europa”. Caspita: vorremmo sapere come un’entità
quale l’UE il cui parlamento è un
organo solamente consultivo
senza potere legislativo possa insegnare la democrazia agli stati
membri! La democrazia, grazie
all’UE, sarebbe giunta anche
dove prima c’erano le “dittature
comuniste nella parte orientale”.
Se già si potrebbe disquisire sul
termine semplicistico di “dittatura”, anche ammettendo che la
vera democrazia sia giunta solo
nel 1989/1991 e che essa sia arrivata proprio grazie all’UE (tesi
abbastanza azzardata), come si
fanno a definire democrazie dei
paesi come la Cechia in cui vogliono vietare il Partito Comunista (il terzo più forte del paese!)? O
l’Ungheria che reprime sindacalisti e comunisti o altri paesi dove
si erigono statue in onore delle
SS naziste? E come può una persona di sinistra definire democrazie dei regimi retti da un sistema
di oligopoli mafiosi e corrotti
che hanno svenduto i loro stessi
paesi alle multinazonali? L’UE ha
infine un altro pregio, secondo
Fehr: gli standard inerenti “la
protezione dei consumatori” che
sarebbero “progressisti”, idem per
quelli sociali ed economici. Ma
se l’UE favorisce smantellamento
sociale, principi deleteri come il
Cassis de Dijon, e gli accordi liberisti come il GATS, ecc. come si
può chiudere gli occhi di fronte
F. Piccioni (adattato dalla redazione)
Redazione
a questi aspetti dichiaranodisi
socialisti? E il fatto che il “governo” dell’UE riconosca un solo
sindacato, la CES, l’unica che ha
reali diritti di concertazione? Sarà
mica democrazia sociale ed economica, questa!
Finito di osannare l’UE imperialista e liberale, l’eroico socialista
Fehr, affronta il tema Cina. Non
pretendiamo che egli si metta
a lodare Pechino come fa con
Bruxelles, però almeno che eviti i
luoghi comuni! Secondo Fehr la
Cina è “sotto la conduzione di un
partito unico comunista”. Falso!
In Cina c’è un partito comunista
al governo con otto partiti democratici non comunisti a tutti i
livelli istituzionali. Poi: gli standard ecologici della Cina sono
bassi: lo erano anche in Europa
quando si stava industrializzando, ma questo Fehr, che vorrebbe forse che la Cina rimanesse
un paese povero e sottomesso
all’Occidente, non lo dice. Inoltre
la Cina “investe molto poco nel
miglioramento della situazione
dei propri lavoratori”. Nel 2008 la
Cina ha varato una nuova legge
del lavoro che prevede fra le altre cose contratti collettivi (che
in Svizzera sono pochi) e salari
minimi (che in Svizzera non abbiamo!). Pechino proprio di recente ha poi annunciato una
riforma sanitaria finanziata con
124 miliardi di dollari, che entro il
2020 darà un’assistenza medica
“sicura, efficace, conveniente e
accessibile” ad oltre 1,3 miliardi
di cittadini. Entro il 2011 fornirà
un “nuovo sistema medico cooperativo” al 90% della popolazione urbana e rurale (non proprio
quattro gatti!). Inoltre agli ospedali arriveranno i farmaci essenziali a prezzi calmierati. Entro
i prossimi 3 anni, 5.000 cliniche
e 2.000 ospedali saranno costruiti nei distretti rurali. Negli ultimi
30 anni i salari medi inoltre sono
sestuplicati e stando ai dati ONU
in Cina la povertà è diminuita del
45% rispetto ai tempi di Mao.
Ma Hans-Jührg Fehr la finisce di
raccontare fesserie o cosa?
l’inchiostro rosso - 5
SOLIDARIETÀ CON CUBA
anti-comunismo di sinistra
La CTC sta dalla parte degli operai Marx va bene ma il socialismo no!
Lettera della CTC ai sindacalisti amici di Cuba nel mondo
Offensiva culturale per evitare il pensiero rivoluzionario
La Centrale dei Lavoratori di Cuba (CTC) ha trasmesso un messaggio
alle organizzazioni amiche del mondo, nel quale denuncia i tentativi all’interno dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) di
screditare le bontà dei benefici nel settore lavorativo della Rivoluzione cubana. Il messaggio è stato inviato per la Svizzera in particolare
ai seguenti sindacalisti: Massimiliano Ay (SISA); Hans Kern (Comedia);
Eugenio Lopez (UNIA); ecc. Nella lettera del sindacato cubano si afferma come questa manovra forma parte della campagna mediatica
sviluppata dall’Unione Europea e dal governo USA per screditare davanti al mondo la Rivoluzione e le sue conquiste. Nel documento, la
CTC segnala che, ancora una volta, un selezionato gruppo di persone, pagate dagli USA, ha determinato una quantità di paesi che
potrebbero essere chiamati a rendere conto di fronte alla Commissione di Norma della OIT, fra di essi predominano paesi che tentano
di emanciparsi mentre figurano solo alcune nazioni del mondo altamente sviluppato.
Per gli autori della lista, sottolinea la CTC, non sono importanti i forti
tagli dei salari e delle pensioni, dei bilanci sociali con i licenziamenti
di massa che si applicano ai lavoratori per decreto in molti dei paesi
della civile e democratica Europa ed in altre nazioni sviluppate. A coloro che vogliono porre Cuba sul banco degli accusati, non interessa
la brutale repressione che soffrono migliaia di sindacalisti e lavoratori
che nel mondo protestano contro le ingiustizie sociali e tantomeno merita considerazione, e non costituisce una violazione ai diritti
sindacali ed umani la folla di milioni di danneggiati dall’attuale crisi
globale, precisa il messaggio. Il gruppo di demagoghi include nella
sua lista un paese come Cuba, che pur essendo una piccola nazione
sottosviluppata, vessata da un forte blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti da cinquant’anni, ha creato
molteplici meccanismi reali di ampio dialogo e partecipazione dei
lavoratori e dei sindacati nella vita economica, politica e sociale del
paese. La CTC segnala che in questa dura realtà in cui la crisi economica impone forti limitazioni nell’Isola, si lavora con creatività e
flessibilità, per affrontare questo fenomeno, ponendo enfasi per la
protezione dei lavoratori.
È provato che la popolazione cubana mantiene un appoggio di
massa al suo Governo Rivoluzionario, fatto constatato da migliaia di
sindacalisti di tutto il mondo, che hanno accompagnato il popolo
dell’Isola nelle celebrazioni del 1º maggio. Sin dai primi mesi dal trionfo della Rivoluzione, sostiene la CTC, l’amministrazione degli USA
fabbrica, organizza, finanzia e dirige un’opposizione controrivoluzionaria dentro e fuori da Cuba, con l’appoggio di forti somme di denaro: quest’anno si superano i venti milioni di dollari. Questi lacchè
dell’impero attuano con le risorse finanziarie e materiali ed eseguendo gli orientamenti del governo degli USA, trasmessi dal loro Ufficio d’Interesse (SINA) l’ambasciata degli Stati Uniti a L’Avana. La CTC
segnala che alcuni di questi elementi, anche se non sono vincolati a
centri di lavoro nell’Isola e non sono nemmeno conosciuti da collettivi di lavoratori, attuano con presunti titoli di “dirigenti sindacali”, con
l’obiettivo di mettere in pratica gli ordini del “Piano Bush” che include
l’utilizzo dell’ OIT per promuovere il discredito del sistema cubano.
Per tutto questo risulta doloroso per i lavoratori cubani che il Comitato degli Esperti della Organizzazione Internazionale del Lavoro, ignorando gli ampli argomenti e le ragioni presentate dalle organizzazioni rappresentative di Cuba, assuma la difesa di attivisti politici che
attuano conto gli interessi dell’Isola, e che la OIT presti il suo prestigio
a manovre di proselitismo di tali elementi contro uno Stato membro.
“La vulgata sostiene che con Marx, come con tutti i profeti e i predicatori, non ci possono essere vie di mezzo: o si sta con lui o contro di lui
indipendentemente dalla statura intellettuale degli interlocutori. Ma
non è vero, le cose non stanno in questo modo né in generale nei
confronti dei profeti e dei predicatori ma tanto meno nei confronti
di Marx, nel quale allo spirito profetico che indubbiamente gli spirò
dentro con soffio vigoroso, si accompagnò uno studioso attento,
munito d’un intelletto eccezionale e d’una capacità intuitiva fuori
dalla norma”. È questa la premessa con cui Eugenio Scalfari apre il
capitolo dedicato a Marx nel suo ultimo libro, “Per l’alto mare aperto”.
Una premessa che gli serve per dimostrare una tesi tanto impossibile
quanto furbetta: che si può accettare del pensiero di Marx il suo metodo scientifico di indagine della storia e la sua analisi della società
capitalistica, ma solo come pure categorie astratte, rifiutandone le
conseguenze pratiche che sono la lotta di classe come motore della
storia, la rivoluzione, il socialismo come fase successiva alla società
capitalistica.
Giunto al termine della sua lunga carriera di intellettuale, iniziata da
giovane nei Gruppi universitari fascisti, passata nel dopoguerra per
tutte le varianti possibili del liberalismo “laico”, azionista, liberale, radicale, socialdemocratico e repubblicano, fino ad approdare in questi
ultimi anni a un antiberlusconismo di tipo costituzionalista, il fondatore de “La Repubblica” sente il bisogno di fare i conti con il marxismo
sapendo di non poterlo ignorare in questo che ha anche la pretesa di
essere un “viaggio” nel pensiero occidentale moderno, da Diderot a
Nietzsche, ed ecco perché egli tenta di aggirarlo riconoscendone sì
la grandezza come filosofo ed economista, ma negandogliela come
padre del socialismo scientifico. Non a caso Scalfari parla di Marx
senza mai nominare Engels, cosa che gli avrebbe reso più difficoltoso separare il teorico dall’uomo di azione immerso nella storia del
suo tempo, dedito insieme al suo stretto compagno di pensiero e di
lotta non solo a costruire l’edificio teorico del materialismo dialettico
e del socialismo scientifico ma anche a gettare le fondamenta del
movimento di classe e del partito politico che avrebbero dovuto
condurre il proletariato all’abbattimento della società capitalistica e
all’instaurazione del socialismo. E sempre non a caso Scalfari usa per
questo secondo aspetto della figura di Marx, impossibile da scindere
dal primo, i termini (dispregiativi) di “predicatore” e di “profeta”; tentando con questa scissione artificiosa e del tutto arbitraria di annettere
il Marx filosofo al filone “nobile” del pensiero borghese occidentale e
di svilire invece il Marx rivoluzionario al rango “plebeo” di utopista visionario. Questo tentativo furbesco viene allo scoperto allorquando
Scalfari, forzando la verità storica, tenta di spacciare un’improbabile
“empatia intellettuale e congenialità di pensiero” di Marx con uno dei
padri del pensiero liberale borghese, Alexis De Toqueville, nonché
addirittura con Napoleone. Come se il fatto che Marx si sia servito
ampiamente dei pensatori borghesi della sua epoca per elaborare le
sue analisi rivoluzionarie, significasse che della sua opera sopravvive
oggi solo quel che è legato a quel pensiero borghese, mentre tutto
ciò che se ne discosta si è dimostrato caduco. E’ la teoria dei “due
Marx” di bertinottiana memoria: vale a dire il presunto Marx “libertario” da contrapporre al Marx rivoluzionario che ha aperto la strada
alle dittature proletarie in Russia e in Cina.
E qui l’intellettuale liberale di “sinistra” lascia il campo al borghese e
basta, con l’atavico anticomunismo e che gli fa abbandonare la flemma professorale per sbottare in una filippica degna del più scontato
repertorio berlusconiano.
“Il Bolscevico” 20/2010 - con adattamenti della redazione
DAL TERRITORIO
6 - l’inchiostro rosso
Calo di fiducia per il Municipio di Bellinzona
Lettera aperta
Relazioni contrarie, dibattiti aspri e referendum in continuazione: a Bellinzona la protesta cresce
Redazione
Ente regionale di sviluppo del
Bellinzonese e Valli
Pavimentazione di Piazza Collegiata e Viale Stazione
La maggioranza del Consiglio
comunale di Bellinzona e di tutti
i partiti storici ha approvato lo
statuto del Nuovo Ente Regionale di Sviluppo del Bellinzonese.
La Commissione della legislazione aveva però dato preavviso
negativo: fra i firmatari contrari
anche il rappresentate del Partito Comunista.
Il nuovo ente risulta essere - secondo il consigliere comunale
comunista - troppo vago e poco
concreto negli obiettivi, antidemocratico nella modalità di
elezione del presidente, nonché
poco chiaro il ruolo dei cosiddetti “membri sostenitori”. Totalmente negativa la presenza poi
dei Patriziati al suo interno, simbolo del potere localista, nonché
realtà esclusiviste, in quanto non
tutti i cittadini abitanti vi possono aderire e dunque privi di reale
controllo democratico.
La minoranza del PS e del movimento Il Noce si sono uniti con
i Verdi e Bellinzona Vivibile votando contro il progetto municipale di risistemazione della parte
bassa di Viale Stazione e di Piazza
Collegiata, che prevedeva la sostituzione del porfido rosa con dei
cubotti di granito. Il progetto, dal
costo di 6 milioni di franchi, presenta analogie con quello bocciato dai 3/4 della popolazione nel
2003 e che aveva sancito lo status quo. In un periodo di vacche
magre viene strano pensare che
esso sia di prioritaria importanza
per la Città. L’ipotesi però di sostituire le tubature e di rendere
attrattivo il centro cittadino dal
lato turistico ha creato dibattito. La sezione bellinzonese del
Partito Comunista - nonostante
l’astensione del suo consigliere
comunale - ha deciso di sostenere il referendum.
Cari compagni di “Prospettive Socialiste”, vado subito al dunque:
con tutta la stima politica che
posso avere nei vostri confronti,
mi chiedo in tutta franchezza quali
spazi di agibilità politica si riescano ancora a ricercare nel Partito
Socialista. Vi sarete infatti accorti
che – oltre a varie altre questioni
programmatiche che avete anche
giustamente sollevato inascoltati – il vostro Partito ha invitato sul
Ceneri, per lo storico convegno, il
dirigente ex-diessino Piero Fassino,
leader dell’associazione italiana
“Sinistra per Israele”, un’associazione
che nei suoi obiettivi ha quello di
sdoganare a sinistra il “sionismo”,
che è a tutti gli effetti un’ideologia
razzista e imperialista. Piero Fassino,
oltre ad essere uno dei responsabili
politici dello smantellamento di
ogni riferimento lontanamente
socialdemocratico nel PD, è colui
che lo scorso anno si arrampicava
sui vetri per tentare di giustificare
l’operazione criminale “Piombo fuso”
contro la popolazione civile di Gaza
da parte del governo e dell’esercito
di Tel Aviv, contro cui anche voi
eravate scesi in piazza nella manifestazione promossa da Matteo
Gianini a Bellinzona l’11 gennaio
2009. Sono certo che non è questa
linea politica, quella di Fassino (evidentemente ritenuto un valido interlocutore dalla Direzione del PS)
che vorrete avvallare. Non è quindi
scolastici troppo costosi, sulla
il caso che la sinistra anti-sionista
solidarietà internazionale che e amica del popolo palestinese
dovrà organizzare un viaggio a trovi voce ferma all’interno di tutti
Cuba per incontrare i giovani i partiti progressisti, PS compreso?
dell’isola socialista. Pure il tema Non è forse il caso di evitare che
delle mense non sarà dimen- Fassino intervenga al Ceneri? Soticato. Durante l’estate il SISA prattutto dopo la tragica situazione
sarà presente all’ONU di Ginevra venutasi a creare con il recente arper le attività organizzate dalla rembaggio terroristico dell’esercito
Federazione Sindacale Mondiale. sionista contro la Freedom Flottilla
(sul quale Fassino – come peraltro Calmy-Rey - ha preso una posizione all’acqua di rose per non offendere i suoi amici)? Il PS è libero
di fare quello che meglio crede
e non sta certo a me giudicare le
tremista”. La lezione, molto inter- sue scelte, però consentitemi di
attiva e partecipata, arriva dopo non capire come, per chi intende
il corso di analisi del Manifesto riscoprire un’azione anti-capitalista
Comunista di Marx e Engels e e quindi anti-imperialista e realdi introduzione alle categorie di mente socialista, si possano ancora
analisi del marxismo-leninismo vedere spiragli di trasformazione.
che quest’anno è stato organiz- Con i miei migliori saluti
« Il SISA è da 7 anni l’avanguardia studentesca del Canton Ticino
Il Sindacato Indipendente degli
Studenti e Apprendisti (SISA) si è
riunito nella sua XVIII Assemblea
Generale per celebrare la fine del
7° anno di attività fra i giovani in
formazione. Con un numero
crescente di membri (oltre 300),
questo sindacato atipico che
vuole unire il movimento studentesco con il movimento op-
eraio è riuscito a consolidarsi e a
farsi riconoscere per la sua linea
combattiva. L’assemblea ha stabilito di valutare l’ipotesi di lanciare in futuro un’iniziativa per
il diritto di voto ai 16enni e ha
deciso il sostegno all’abolizione
della leva militare obbligatoria.
Gli studenti hanno pure lanciato
alcuni gruppi di lavoro sui libri
« Un’introduzone all’economia per i giovani comunisti
La Gioventù Comunista ha organizzato un momento di formazione per i suoi militanti sul tema
dell’economia capitalista.
Analizzare il sistema produttivo
nel quale viviamo risulta essere
fondamentale infatti per poter
ragionare sulle alternative di società.
L’ausilio di un metodo didat-
tico semplice e intuitivo rigorsamente basato però sulla
teoria economica e poi politica
di Marx permette di avvicinare
anche i più giovani a questo
complesso tema, dimostrando
anche l’estrema pragmaticità e
serietà del metodo marxista in- zato per la terza volta nelle varie
giustamente considerato come sezioni locali della Gioventù Coqualcosa di “utopico” o di “es- munista.
Massimiliano Ay
Segretario del Partito Comunista
INTERNAZIONALE
l’inchiostro rosso - 7
Uno o due Stati in Palestina? Se ne discuta apertamente
Dopo l’atto terroristico del governo d’Israele si deve riaprire una seria discussione strategica fra anti-imperialisti e anti-sionisti
Redazione
Parlando della necessità della
pace tra Israele e Palestina si
pone spesso come garanzia
che “Israele possa esistere come
stato ebraico”. I vari processi di
pace nelle intenzioni di chi li promuove dovrebbero portare ad
un accordo “per due Stati sovrani, contigui ed indipendenti per
i due popoli che si affacciano in
queste terre”. L’Unione europea
riprope stancamente la soluzione “due stati, due popoli”, il progetto che prevede la creazione
di uno Stato palestinese sovrano
in Cisgiordania e Gaza, su appena il 22% del territorio storico della Palestina, accanto allo
Stato di Israele. Una soluzione
che stando a parte della sinistra
avalla però nei fatti il progetto
sionista di annettere tutta Gerusalemme Est e gran parte della
Cisgiordania, lasciando ai palestinesi il controllo, parziale, dei loro
principali centri abitati. Un sistema di apartheid, reso ancora più
evidente dalla costruzione del
“muro di separazione”. Lo Stato
di Palestina sarebbe a sovranità
limitata e controllato da Israele.
Dopo la cacciata dei laici di Al
Fatah e la presa del controllo di
Gaza da parte degli islamisti di
Hamas sono spuntate persino
ipotesi di una Cisgiordania indipendente sotto l’autorità del presidente amico dell’Occidente Abu
Mazen e con la striscia di Gaza
di Hamas sigillata e totalmente
dipendente dagli aiuti umanitari. Le proposte per una soluzione della questione palestinese
avanzate dall’imperialismo e riportate negli accordi di Oslo del
1993, o le varianti riportate in
tutti i piani successivi, compresa
la “road map”, si sono dimostrate
funzionali agli interessi dei sionisti e una negazione dei diritti dei
palestinesi. Si fa spazio una diversa ipotesi per una soluzione che
prevede un solo Stato in Palestina, discussa e sostenuta anche
tra i progressisti ebrei.
La decisione dell’Onu nel 1947
Lo storico israeliano Ilan Pappe
ha ricordato che dopo la seconda
guerra mondiale “uno stato unitario avrebbe dovuto sostituire il
protettorato palestinese, come
auspicato da parte di alcuni
membri dell’Onu. Tuttavia questi
membri dovettero ritirare il proprio sostegno a questa soluzione
di fronte alla forte pressione degli USA e della lobby sionista” e
che con la risoluzione adottata
dall’Assemblea dell’Onu il 29 novembre del 1947 si dava il via alla
spartizione della Palestina che
portava alla nascita dello Stato di
Israele. Quando “Sharon e Bush si
sono dichiarati favorevoli e fedeli
alla soluzione con due stati - ha
sostenuto - questa è diventata
un cinico mezzo che ha permesso ad Israele di conservare il proprio regime di discriminazione
all’interno dei confini del 1967,
l’occupazione in Cisgiordania e
la ghettizzazione della Striscia
di Gaza. (...) Chiunque impedisca
il dibattito sui possibili modelli
politici alternativi autorizza Israele a farsi scudo della soluzione
con due stati per continuare a
commettere crimini in Palestina.
Inoltre, non solo nei territori non
ci sono più neanche le pietre per
costruire questo stato dopo sei
anni di distruzione delle infrastrutture da parte di Israele ma
se anche si applicasse una partizione sensata i palestinesi non
otterrebbero più che un misero
29% della propria terra natìa”.
Quando per la mappa relativa
alla decisione dell’Onu nel 1947
i palestinesi “avrebbero diritto ad
almeno metà della propria terra
originaria”. Pappe ritiene pure
che “il problema, nella sua reale
essenza, è Israele come Stato
Sionista. È impossibile cambiare
queste essenza fintanto che lo
Stato esiste. Nessun cambiamento è possibile dall’interno, perché
in Israele non c’è differenza reale
tra Destra e Sinistra. Entrambe
sono complici in una politica
il cui vero scopo è la pulizia etnica, l’espulsione dei palestinesi
non solo dai territori occupati,
ma anche dallo stesso Israele. Di
conseguenza, chi anela ad una
soluzione giusta deve mirare
alla creazione di un solo Stato,
al quale i rifugiati del 1948 e del
1967 saranno invitati a ritornare.
Sarà uno Stato unico ed egualitario, come è oggi il Sud Africa.
Non ha senso cercare di cambiare
Israele dall’interno. La salvezza
verrà dall’esterno: un boicottaggio di Israele su scala mondiale,
che costringerà lo Stato a cedere
e convincerà l’opinione pubblica
israeliana che non c’è altra via oltre la Soluzione-Uno-Stato”.
“Palestina-israele, un paese
uno stato”
Con Pappe anche Leila Farsakh,
docente all’Università del Massachusetts ha sostenuto che “dobbiamo ripartire con la resistenza
all’occupazione e al colonialismo,
formulando una nuova strategia che si basi sul concetto di
cittadinanza, non più ancorata
all’idea di partizione della Palestina storica. Quaranta anni di
lotta, dall’occupazione dei Territori nel 1967, meritano forse uno
stato che non sarebbe altro che
un insieme di bantustan in territorio israeliano, senza continuità
territoriale?”. A questo punto due
sono le ipotesi: stato binazionale
o stato unico. “Nello stato binazionale i gruppi, nel nostro caso israeliani e arabi, mantengono una
serie di istituzioni, ad esempio
il sistema educativo, separate.
Separate e garantite dalla costituzione. Per stato unico s’intende
invece uno stato laico e democratico in cui, per legge, non viene protetta alcuna identità particolare. Riconoscere che lo stato
non è omogeneo, ma mettere al
centro del discorso il cittadino,
non le etnie. Tra chi, come noi,
considera ormai impossibile la
partizione della Palestina, ci sono
ancora divergenze su quale di
questi due modelli, o loro variazioni, sarebbe più opportuno
adottare”. Pure Ali Abunimah,
palestinese-americano e autore
del libro “One country”, concorda: “lo stato unico è una vecchia
proposta
dell’Organizzazione
per la liberazione della Palestina
ma anche di alcuni membri del
movimento sionista prima della
nascita d’Israele, come il filosofo Martin Buber e l’ex presidente dell’università ebraica
Judah Magnes. La novità oggi
sta nella necessità di rimetterla
al centro dell’agenda politica.
La realtà che si è creata sul terreno rende impossibile uno stato palestinese funzionante. Allo
stesso tempo l’idea di uno stato
etnico è insostenibile: a 60 anni
dalla nascita d’Israele, lo Stato
ebraico ha fallito sia nell’ottenere
legittimazione da parte della
sua popolazione - mi riferisco ai
palestinesi che occupa e quelli
all’interno dei confini statali, che
insieme rappresentano circa la
metà degli abitanti e diventeranno rapidamente la maggioranza - sia nel fermare la resistenza
palestinese. Inoltre moralmente
è inaccettabile che in uno stato
i diritti di cittadinanza dipendano dall’etnia o dalla religione”.
Va ricordato che La creazione di
uno stato in Palestina era stata
la proposta iniziale dell’Olp di
Yasser Arafat. Nel 1969 Al Fatah,
l’organizzazione di Arafat che
non accettava la presenza ebraica in Palestina, rilanciò la proposta della costituzione di uno
stato democratico in Palestina.
Questo stato avrebbe dovuto
mettere fine alle ingiustizie causate dalla creazione d’Israele e
dall’espulsione di 750.000 palestinesi dai loro villaggi. Benché
invitasse a distruggere le strutture dello stato d’Israele, considerato come un’entità coloniale,
Al Fatah difendeva la nozione
d’uno stato unico laico per tutti
i suoi cittadini, musulmani, cristiani ed ebrei. Negli anni successivi sotto la pressione dei paesi
imperialisti l’Olp però dovette
accettare la spartizione della Palestina e rinunciare all’ipotesi di
distruggere Israele. Gli islamisti
di Hamas e i comunisti del FPLP
rifiutarono invece questa opzione.
8 - l’inchiostro rosso
engels dixit
Micheline Calmy-Rey dove sei?
E i giovani comunisti criticano il PS per voler sdoganare l’associazione “Sinistra per Israele”
Comunicato stampa della Gioventù Comunista Ticinese
La Gioventù Comunista esprime il
proprio sconcerto per il vile attacco perpetrato dall’esercito israeliano nei confronti di una nave che,
come unica colpa, aveva quella
di trasportare aiuti umanitari al
popolo palestinese assediato. La
cosiddetta Freedom Flotilla, con a
bordo pacifisti ed attivisti pro-palistenesi, si stava dirigendo verso
Gaza con lo scopo di portare medicinali, materiali di sopravvivenza
e cemento per ricostruire gli edifici distrutti dagli attacchi israeliani.
Nell’assalto sono rimasti uccisi una
quindicina di volontari. Si tratta
dell’ennesimo atto barbaro commesso dal governo sionista che
in questo modo si pone (ancora
una volta) al di fuori del diritto internazionale.
Il minimo che paesi democratici e civili possano fare a questo
punto è interrompere subito le
relazioni diplomatiche con Tel
Aviv: invitiamo quindi Berna a
espellere l’ambasciatore israeliano! La diplomazia elvetica
si impegni inoltre a favore del
popolo palestinese, chiedendo
che Israele sia condannato per
crimini di guerra dal tribunale in-
ternazionale.
Prossimamente alla tradizionale
Festa del Ceneri, come se non
bastasse, il Partito Socialista ticinese avrà quale ospite d’”onore”
il leader dell’assocazione “Sinistra per Israele” e dirigente del PD
italiano Piero Fassino. Viste le posizioni apertamente filo-sioniste
di Fassino crediamo che la sua
presenza non sia affatto opportuna!
Le prove false di Israele sull’abbordaggio
Le fotografie sulle presunte “armi” dei volontari assaliti sono dei falsi. Israele vuole ingannarci!
Redazione
Il regime israeliano ha pubblicato sulla sua pagina Flickr una serie di foto “spaventose” che incrimenerebbero la nave Marmara, dove sono state uccise almeno 10 persone. Secondo la versione israeliana, a
bordo della nave sarebbero state trovate numerose armi. Un vero arsenale, e le foto sarebbero le prove
certe delle intenzioni violente dei “pacifisti”. Eppure, a uno sguardo più attento, qualcosa non quadra.
Flickr infatti registra automaticamente tutti i dettagli sulle foto che vengono pubblicate e offre agli utenti
la possibilità di consultare questi dati. Si chiamano dettagli EXIF: marca della fotocamera, data e ora esatte dello scatto, è tutto scritto. Compare persino un eventuale ritocco fatto tramite Photoshop, che è
segnalato dettagliatamente come modifica. Sfortunatamente per il regime israeliano, la maggior parte
delle foto pubblicate risalgono addirittura al 2003. Altre, più recenti tra queste, non sono che del 2006.
La foto che dovrebbe mostrare dei giubbotti antiproiettili stando alla scheda EXIF è stata scattata il 7
febbraio 2006. Stessa storia per i sofisticati visori infrarossi che i pacifisti della Freedom Flotilla avrebbero
utilizzato durante gli scontri, e per una sega circolare. Ancora più assurde le foto che risalgono al 2003,
dove ci viene mostrata un’ascia e delle bombe lacrimogene. Se si è trattato di un errore di settaggio della
data di memorizzazione degli apparecchi, come mai l’errore riguarda non una bensì quattro macchine
fotografiche?
Esempio di una fotografia falsa: http://www.flickr.com/photos/israel-mfa/4662343871/meta/
Maggiori informazioni su: http://www.agoravox.it
Grecia: esponente del KKE a Zurigo e Losanna
Ospite dei comunisti zurighesi e vodesi un dirigente del Partito Comunista di Grecia
Redazione)
Kostas Papadakis è stato fino allo
scorso anno segretario generale
della Gioventù Comunista di Grecia (KNE), l’organizzazione leader
fra le masse giovanili di sinistra
che guida le rivolte fra studenti
e giovani lavoratori in questi momenti di forte conflitto sociale
contro le imposizioni dell’Unione
Europea sullo stato ellenico e
contro i tagli previsti dal governo
socialdemocratico al potere ad
Atene. Dopo questo importante
compito alla testa dei giovani Ko-
satas Papadakis è stato eletto
membro del Comitato Centrale
del Partito Comunista di Grecia
(KKE). Mercoledì 23 giugno 2010
alle ore 19.30 presso gli uffici di
UNIA in Strassburgstrasse 11, a
Zurigo (fermata del tram: Stauffacher) il dirigente greco sarà
ospite del Partei der Arbeit, a dimostrazione delle buone relazioni che intercorrono fra i comunisti svizzeri organizzati nel Partito
Svizzero del Lavoro e il KKE. Con
Kostas Papadakis la serata si svi-
lupperà con una storia politica
del paese e con una panoramica
sulla sua situazione odierna greca e sul ruolo assolutamente non
progressista dell’Unione Europea.
L’esponente comunista spiegherà anche la linea del KKE che ha
recentemente parlato esplicitamente - di “presa del potere” e le
prospettive della lotta e in cosa
si distanzia dall’opportunismo di
altri movimenti della sinistra ellenica. Un altro momento di confronto è previsto a Losanna.
Classi in lotta... ...fanno evolvere la storia umana
Federico Engels
«La produzione economica e la
struttura che necessariamente ne
consegue formano, in qualunque
epoca storica, la base della storia
politica e intellettuale dell’epoca
stessa... Conforme a ciò, dopo il
dissolversi della primitiva proprietà comune, tutta la storia è stata
una storia di lotta di classi, di lotte
tra classi sfruttate e classi sfruttatrici, tra classi dominate e classi
dominanti, in diversi gradi dello
sviluppo sociale... Questa lotta
ha ora raggiunto un grado in cui
la classe sfruttata e oppressa (il
proletariato) non può più liberarsi dalla classe che la sfrutta e la
opprime (la borghesia) senza liberare anche ad un tempo e per
sempre, tutta la società dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalle
lotte fra le classi...»
(Friedrich
Engels,
“Prefazione
all’edizione tedesca del Manifesto
del Partito Comunista“, 1883)
www.partitocomunista.ch
www.gioventucomunista.ch
www.comunisti.ch
www.redflagtv.ch
RIFLESSIONE TEORICA
l’inchiostro rosso - 9
“Rileggere Lenin!” - parola d’ordine dei comunisti portoghesi
Articolo tratto da “O Militante”, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, Marzo/Aprile 2010
Traduzione a cura di Massimo Marcori
L’89° anniversario del PCP si svolge
in una situazione molto complessa
e pericolosa sia sul piano nazionale
che internazionale, ma anche piena
di potenzialità trasformatrici e rivoluzionarie. Creazione della classe
operaia portoghese, il PCP è nato
sotto l’influenza della Rivoluzione
d’Ottobre e deve a Lenin e al leninismo i tratti fondamentali della sua
identità comunista. E’ una ragione
in più per leggere e studiare Lenin,
non pensandone ad un’illusoria e
impossibile ripetizione ma come
fonte d’ispirazione per la realizzazione dei compiti che si pongono
oggi ai comunisti portoghesi per
rafforzare il partito e nella lotta per
la rottura e il cambiamento patriottico e di sinistra che la situazione
del paese rende necessario.
Per coloro che sono impegnati
nella comprensione della società
e nella sua trasformazione rivoluzionaria, leggere e studiare Lenin è
sempre fonte di scoperta e di soddisfazione. Lenin ha un pensiero
così vicino alla vita e un discorso
così chiaro e incisivo, che i suoi testi
– libri, pamphlets, lettere, telegrammi – scritti più di un secolo fa sembrano sempre tornare d’attualità e
ritrovare una seconda giovinezza,
fornendoci armi con analisi, esperienze e insegnamenti di grande valore per la lotta che oggi conduciamo contro il capitale in condizioni
profondamente diverse da quelle
del suo tempo. Ed è per questo che
è così importante trovare il tempo
per leggere e studiare Lenin. Oppure se è necessario, “inventarlo”. Le
esigenze del lavoro pratico militante sono particolarmente impegnative, ma questo non può essere una
scusa per dispensarsi dalla lettura e
studio del fondatore del primo partito rivoluzionario di nuovo tipo e
del primo Stato degli operai e dei
contadini.
Naturalmente, non è solo con
Lenin che si trovano nuove fonti
d’energia militante e convinzioni
nella superiorità del progetto comunista, qualità che dobbiamo
curare particolarmente in questi
tempi di contro-rivoluzione e di
lotta estremamente aspra sul piano delle idee. E’ la stessa cosa con
l’opera di Marx, di Engels, di Alvaro
Cunhal e di altri rivoluzionari che,
dominando con maestria il materi-
alismo e la dialettica marxista, sono
stati all’avanguardia della loro epoca, hanno visto più chiaro e più
lontano, hanno svelato e aperto le
strade dell’avvenire. Ma poiché è di
Lenin che parliamo, dobbiamo riconoscere la sua lungimiranza particolare, l’attualità e anche l’utilità
immediata di un’opera nella quale
teoria e pratica, intervento congiunturale e prospettiva rivoluzionaria, fermezza dei principi e flessibilità tattica, camminano mano nella
mano.
Come per tutti i giganti del pensiero rivoluzionario, l’eredità teorica di
Lenin è profondamente legata alla
vita, alla difesa degli sfruttati e degli
oppressi, all’attività trasformatrice.
Le grandi opere di Lenin, dal celebre “Che fare?” (che ha come tema
centrale la concezione del partito
rivoluzionario della classe operaia)
a “L’imperialismo, fase suprema del
capitalismo” (che analizza la fase
monopolista del capitalismo offrendo così alla lotta del proletariato prospettive di vittoria più nette),
passando per “Un passo avanti, due
passi indietro”, “Le due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica”, “Materialismo ed
empirio-criticismo”, “L’estremismo,
malattia infantile del comunismo”,
o “Stato e rivoluzione”, sono scritti
nel fuoco della lotta per apportare
risposte ai nuovi problemi della rivoluzione e della lotta ideologica. La
celebre immagine di Lenin nel suo
capanno-rifugio sulle rive del lago
Razliv mentre redige “Stato e rivoluzione” alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, è ben rappresentativa del modo d’essere di Lenin
nella rivoluzione e del modo con
cui concepiva e viveva il legame indissolubile tra teoria e prassi.
Con Lenin – come con Alvaro Cunhal, come dimostrano i due volumi già pubblicati delle sue Opere
Scelte – si ritrovano famose massime del nostro filosofo materialista
come “il marxismo non è un dogma, ma una guida per l’azione”, “la
pratica è il criterio di verità”, “senza
teoria rivoluzionaria, non esiste
movimento rivoluzionario”, che trovano applicazione in ogni sua azione rivoluzionaria. E’ uno dei motivi
che rendono la sua opera talmente
attraente, e fonte d’ispirazione, tanto più che le grandi questioni che
essa affronta sono questioni che,
benché sotto forma modificata,
sono di palese attualità sul piano
della filosofia, dell’economia politica, della teoria e della pratica della
rivoluzione socialista.
140 anni sono trascorsi dalla nascita
di Lenin e 86 dal suo decesso prematuro nel 1924, mentre c’era ancora tanto da attendersi dalla sua
intelligenza, dal suo lavoro infaticabile e dalla sagacia di dirigente e
di uomo di Stato comunista. Molto
importante è ormai l’esperienza accumulata dal movimento operaio
nella sua lotta contro il capitalismo
e per l’edificazione della società
nuova, società che corrisponde giustamente a quella di cui Lenin e il
partito bolscevico hanno posto le
prime basi. Ma vivendo in un momento storico analogo a quello in
cui viveva Lenin, l’epoca inaugurata dalla Rivoluzione d’Ottobre
del passaggio dal capitalismo al
socialismo, le grandi questioni che i
comunisti incontrano oggi, diverse
nella forma, sono sostanzialmente
le stesse riguardo al loro contenuto. Ciò ci rinvia alla lettura e allo
studio di Lenin, non solo fruttuosa
dal punto di vista storico, ma utile
in termini di attività pratica concreta. Questioni di un’attualità bruciante come: il partito comunista e
le sue fondamentali caratteristiche;
il ruolo e le alleanze della classe
operaia; l’intransigenza nella lotta
contro l’opportunismo di destra e
“di sinistra”; l’imperialismo e la sua
essenza; la questione dello Stato
e della sua natura di classe, la teoria della rivoluzione; la dittatura del
proletariato e la transizione verso
il socialismo; l’internazionalismo;
la questione nazionale; la lotta
per la pace e la coesistenza pacifica, sono trattati in profondità
nell’opera di Lenin. Correttamente
assimilate rifiutandone ogni trasposizione meccanica, esse sono
fonti d’ispirazione per le lotte del
nostro tempo.
Non si tratta evidentemente di
recitare Lenin e di pretendere di
trovare nei suoi scritti, come in
quelli di altri classici del marxismoleninismo, una risposta immediata
ai problemi attuali, ma di capire
e assimilare la sua opera. La lotta
più risoluta contro i detrattori di
Lenin e del marxismo-leninismo
presuppone ugualmente il rifiuto
della sua interpretazione dogmatica,
a proposito della quale il compagno
Alvaro Cunhal ha scritto: “Uno degli
aspetti più correnti di questo spirito
dogmatico è la sacralizzazione dei
testi del comunismo, la sostituzione
dell’analisi delle situazioni e dei fenomeni con la trascrizione sistematica
e schiacciante dei testi classici posti
come risposte che solo l’analisi concreta della situazione concreta può
permettere.”1
I compiti che si pone il PCP sono
esigenti e il ritmo del lavoro pratico
intenso. E non si tratta solo della necessità imperiosa di rispondere con la
lotta all’offensiva violenta del capitale
delle politiche di destra che servono
i suoi interessi. Si tratta di verificare,
tutto attorno a noi, l’esistenza delle
immense possibilità per il rafforzamento del Partito che devono attirare l’attenzione e rendere necessario
l’impegno militante dei comunisti.
Per allargare l’influenza del Partito, per
rafforzarlo nelle imprese e sui luoghi
di lavoro, per radicarlo ancora di più
tra le masse, per dotarlo di una base
finanziaria ancora più solida, condizione necessaria al suo intervento
indipendente, per attirare più operai,
donne e giovani per gli ideali e il progetto emancipatore del comunismo.
E, a tal proposito, abbiamo bisogni
di maggiori quadri che si assumano
responsabilità e che elevino l’insieme
dei militanti del partito. Un comunista che padroneggi la teoria marxista,
con una visione chiara del processo
storico, è capace di agire meglio nella
sua attività militante, con maggiore
iniziativa e creatività nella risposta ai
problemi posti dalla lotta, la costruzione del Partito e il suo legame con le
masse.
Occorre leggere, studiare, visitare
e rivisitare l’opera di Lenin. Per tutti
coloro che si iniziano alla conoscenza della sua opera, o ad apprendere
contatti con i principi fondamentali
del marxismo-leninismo, la collezione di articoli di Lenin “Karl Marx e lo
sviluppo storico del marxismo” pubblicata dalle edizioni “Avante!”2 può
costituire un buon punto di inizio.
Conoscere e far conoscere questo
meraviglioso libro di volgarizzazione
marxista è anche un modo di rendere
omaggio al dirigente immortale comunista internazionale in occasione
del 140° anniversario della nascita.
la CULTURA MILITARista entra all’
10 - l’inchiostro rosso
L’esercito spiegato agli studenti...
L’università a disposizione dello Stato Maggiore Generale dell’Armata svizzera
Massimiliano Ay
“Nel cuore della Svizzera...”. No,
non è un prospetto turistico, ma
l’inizio delle indicazioni per recarsi al Gst S di Kriens. Cosa sia
il Gst S fino a poco tempo fa
non lo sapevo nemmeno io, ma
quando in Svizzera si incontrano
sigle del genere (e senza punti
fra le lettere) si ha per forza a che
fare con la grammatica adattata
ai militari. La sigla sta per Generalstabsschule. Già, sono tornato
...nell’esercito!
Nel luglio di nove anni fa avevo
sperato che, voltando le spalle
alla piazza d’armi di La Poya, con
quei pochi giorni di scuola reclute assolti finisse per sempre
ogni mio legame con la milizia.
Mi sbagliavo... adesso, tanto per
racimolare qualche credito (si
perché ormai anche la scuola è
una compravendita di nozioni
dove le lezioni vengono “retribuite” con dei crediti), mi iscrivo
a un seminario speciale offerto
dall’Università: “Vecchi e nuovi
conflitti nella prospettiva delle
relazioni internazionali”. La cosa
sembra interessante e adatta a
un curricolo di scienze sociali
e politiche... Poi mi arriva però
il programma definitivo e la
cosa diventa un po’ meno idilliaca: “Limiti dell’etica”; “Il Darfur:
spaventi a non finire”; “Responsabilità di comando”; “I valori
nell’esercito”; “ruolo delle forze
armate nei conflitti moderni”.
Qualcosa non torna... ma basta
vedere l’intestazione del corso
per capire dove sono andato a
parare. Il logo dell’Università è
sparito, c’è solo lo scudo svizzero
e le famigerate parole che indicano il Dipartimento che fu di
Samuel Schmid.
Il seminario speciale si svolgerà
appunto nel Gst S, ossia la scuola quadri dello Stato Maggiore
Generale dell’Esercito. E i relatori? una docente di diritto, una
docente di scienze politiche e
soltanto ...dieci ufficiali. Uno di
essi si chiama Michael Arnold,
Colonello dello Stato Maggiore,
laureato in geografia e direttore
di un ufficio del Dipartimento
federale della difesa dal nome
poco rassicurante: DOKTRINSTELLE, insomma l’Ufficio preposto alla difesa della ...dottrina.
Il primo giorno
Se già entrare in un’area militare
col soldatino di guardia che ti
tratta come se fossi un graduato
mi lascia un’impressione strana,
entrare nell’edificio fra decine e
decine di “Uniformierten” - come
dicono loro - mi mette addosso
un’angoscia che non vivevo più
dai tempi in cui ad essere “uniformiert” ero io. Il seminario non
è destinato infatti solo agli studenti, ma anche agli ufficiali. Mi
ritrovo così in un ambiente surreale dove campeggia la bandiera nazionale. Alle 7.57 in aula
ci sono 11 studenti dispersi fra
oltre una trentina di militari. Con
il passare del tempo la situazione si fa più equilibrata: mentre
i soldati sono fermi in posizione
di riposo in piedi dietro la propria sedia, gli studenti entrano
scialli approfittando del quindici
minuti accademico. Fra i presenti
in grigioverde abbiamo un alto
ufficiale della Bundeswehr tedesca, cinque ufficiali di milizia e
il resto ufficiali professionisti dal
grado di capitano in sù. Dietro
di me si siede un colonnello ticinese, tanto per farmi sentire più
a mio agio.
Il seminario inizia con il saluto
di un brigadiere che ha studiato teologia, il quale spiega (agli
universitari, perché gli altri già lo
sanno) cosa sia la scuola quadri,
come è formata, di quali offerte
didattiche dispone... insomma
pensavo di seguire un seminario
di scienze politiche, mi ritrovo
ad una presentazione su uno
edificio che avrei fatto a meno
di visitare. Poi l’alto ufficiale esalta il sistema di milizia, ed arriva ad esclamare una frase che
politicamente - in un ambiente
normale - porrebbe qualche
problema: “abbiamo imparato
il mestiere all’estero!”. La costituzione federale vieta il servizio
mercenario, ma evidentemente
i quadri dell’esercito lo considerano come un valido passato.
Il brigadiere non si ferma: “In
Svizzera c’è libertà!” - caspita! - e
con un’espressione facciale non
proprio rassicurante: “possiamo
anche votare di abolire l’esercito
come abbiamo già fatto due
volte”.
Un docente di filosofia (che
mette in chiaro di essere per un
esercito professionista) inizia a
questo punto a fare la sua relazione tirando in ballo Tucidide,
Platone, poi Kant, Hobbes fino
al cosiddetto “neomarxismo” di
Habermas. E’ la parte più interessante, più significativa e anche
più critica. Ma i soldati dimostrano una ristrettezza mentale incredibile e dalla filosofia riescono a porre domande sul perché
i civili non capiscano che le pallottole dum-dum siano una buona cosa per la sicurezza.
Il capo della dottrina dell’esercito
prende la parola e pronuncia
qualche chicca che nella loro
assurdità e nel loro semplicismo ben dimostrano il livello
di banalità che la propaganda
ha raggiunto (sintomo che
l’alienazione è totale): “le regioni
come il Kosovo hanno bisogno
dei militari esteri che danno speranza ai bambini affamati”. Sconvolgente! Poi dimenticandosi
della laicità dell’esercito tira fuori
una rivista di un gruppo missionario e loda l’intervento delle
missioni cattoliche in Africa che
portano sviluppo (glom!). Parla
del conflitto nel Darfour e naturalmente la morale della favola è:
i cinesi sono responsabili di tutti
i mali del mondo. Gli imperialisti
invece, loro no, anzi, chi sono?
Com’è strana la libertà accademica nelle scuole militari della
neutrale Svizzera!
E poi ecco il relatore più brillante,
l’idiota di materia, uno storico
d’altri tempi che sbraita una conferenza sulla storia del diritto internazionale di guerra. Mi ricorda
tanto un mio ufficiale, il primo
giorno di servizio, non l’ho mai
sentito parlare normalmente:
sbraitava anche quando taceva!
Il secondo tragico giorno
Il mattino seguente, sabato,
l’esercito ci convoca nuovamente al secondo piano del Gst
S. L’orario è fuori da ogni abitudine di noi studenti delle scienze
umane abituati a orari comodi e
mi riporta la mente a giorni infausti di molti anni prima: la lezione inizia puntualissima a Kriens
alle ore 7.45 e senza il quarto
d’ora accademico. I militari sono
già lì, gli studenti si trascinano
dalla fermata del bus alla caserma. Questo secondo giorno è in
mano completamente ai militari: i relatori sono tutti ufficiali
e il programma fa parte della
formazione specifica degli ufficiali di carriera. Gli studenti sono
lì solo come soprammobili per
far vedere loro quanto è bello
l’esercito.
Dal politecnico di Zurigo (che
si occupa di costruire i vertici della nostra armata) arriva
un maggiore della milizia che
dopo aver lavorato nel settore
bancario negli USA (proprio la
gente migliore!) ora insegna
all’accademia militare. Ecco la
prima affermazione: “L’esercito
funziona benissimo, non è mai
successo niente alle ambasciate,
in Kosovo, all’ONU, ecc.”. Come
dire? un senso della realtà degno
di un bambino o di un bugiardo.
Poi spiega come guidare i subalterni e come trattare le reclute.
Come è fatto un buon ufficiale?
Risposta: “Tutti noi diciamo qualche bugia, e tutti noi un po’ truffiamo gli altri” - belle frasi per
un seminario sull’etica nel conflitto! - e continua: “nelle prime
tre settimane di scuola reclute
non bisogna giocare troppo
sull’autoritarismo altrimenti demotiviamo i ragazzi, bisogna far
credere loro che l’esercito funziona con altri metodi”. Ecco una
bella lezione di moralità: come
truffare le reclute! E un comandante, invece, come deve essere?
“Il comandante è come un venditore: deve convincere a com-
università di lucerna: evviva !!!
l’inchiostro rosso - 11
prare” e “la moralità si limita nel
vendere qualcosa ad un prezzo
onesto”.
A tutto c’è un limite, queste fesserie le raccontino a chi accetta
di farsi omologare, non a liberi
studenti: mi rifiuto di continuare
ad ascoltare!
sorio.
Il messaggio più toccante arriva più tardi: “Un abitante del
Ruhanda mi ha detto - continua
il tenente colonnello - che noi
svizzeri siamo stati la luce della
civilizzazione” (Urka!). E per poco
non si commuove... Notiamo che
il nostro esercito ha ufficiali che
ragionano come conquistadores
del ‘500, e credono di civilizzare il
mondo con eroici eserciti.
Quello che si dimentica spesso di
dire è che gli eserciti occidentali si
recano in tali luoghi non per chissà
quale spirito umanitario da eterni
benefattori (le fiabe le si racconta solo ai militari!). Si spostano le
truppe per controllare delle zone
geopoliticamente
importanti
dopo che proprio le ingenerenze
occidentali hanno fatto scoppiare
conflitti fratricidi perché dissanguati e indeboliti quei paesi sono
più facilmente assoggettabili.
Il nostro eroe non si lascia scappare due parole anche sullo Zimbabwe: l’economia non regge ed
è colpa di un pessimo governo.
Eh già... guarda caso il “pessimo”
governo è antimperialista e ha
espulso dal paese i capitalisti occidentali che prima depredavano
le risorse affamando gli indigeni,
ma questo è un particolare su cui
si può soprassedere per gli educatori militari. E poi rabbioso urla:
“Robert Mugabe può fare tutto
quello che vuole e noi glielo permettiamo!”. Ma è normale che sia
così: Mugabe è il presidente dello
Zimbabwe, lo ha liberato dal Commonwealth e noi non c’entriamo
nulla perché siamo una nazione
estera!
Uno che pensa diversamente si
deve chiamare con il giusto titolo:
“colonialista!”.
Sono schifato dalla chiara propaganda a favore degli impieghi
imperialisti esteri e - incredibile
- per finire in bellezza interviene
il capo della dottrina: “Propongo
di ringraziare il dottore con una
standing-ovation!”. Nientemeno!
Non mi sono conformizzato quando ero sotto le armi, non lo farò di
certo ora: non applaudo e resto
seduto, l’unico!
L’ultimo fatidico giorno
Dopo aver scambiato di buon’ora
una battuta con un militare ticinese di stanza al Gst S che
dice di andare a Carnevale con
l’uniforme d’ordinanza, faccio il
mio ritorno nell’aula di formazione. Sono uno dei primi civili e
gli “Uniformierten” mi salutano...
uno di loro ha l’Edelweiss sulle
spalline e uno strano senso
d’angoscia da caserma mi assale.
Il momento clou della giornata
sono i gruppi di lavoro misti: uno
psicologo dell’Accademia militare del’ETH ci propone delle simulazioni. Sono - proprio io! - un
comandante di un commando
della nostra gloriosa milizia e
sono posto di fronte a gravi problemi in una missione coi caschi
blu. A scandalizzarmi non sono
i militari, questa volta, ma i civili:
nella simulazione molti di loro si
trasformano in pazzi guerrafondai che vorrebbero far esplodere
ordigni nucleari ogni due metri.
Gli “Uniformierten” si dimostrano
invece un po’ più diplomatici, io
- per compensare - mi metto invece a fare ...Gandhi (e gli altri a
strabuzzare gli occhi).
Terminata la simuazione ritorna
la teoria: il relatore è questa volta
un tenente colonello nonché
medico che dal 1989 partecipa
a missioni “umanitarie” in giro
per il mondo. Prorompe con una
affermazione che mi fa venire
l’orticaria: “Ai tempi del colonialismo c’era ordine!”. Già, anche ai
tempi del nazimo c’era ordine!
Ma che razza di ragionamento
è?! E continua: “noi svizzeri non
contiamo niente nell’area NATO
perché mandiamo troppe poche
truppe nei luoghi che necessitano la pace”. Ora, che il nostro
paese non sia parte della NATO
non conta, che il nostro paese sia
“neutrale” e dovrebbe sviluppare
altrimenti il proprio contributo C’è ben poco da concludere
“umanitario” pare altrettanto irri- Quello che si può dire con una
certa evidenza è come l’esercito,
nella necessità di legittimazione,
adesso organizza anche corsi
universitari per i civili e lo fa regalando crediti con il benestare
di una “libertà accademica” che
ormai è sparita. E’ un modo per
lavorare sulla propria immagine,
bypassando le situazioni meno
comprensibili delle vita militare:
il rapporto fra divisionario e ufficiali-allievi, di fronte a noi civili,
ad esempio, è sempre stato privo della formalità del protocollo
militare, ma ciò era anche frutto
di una tattica, come degli ufficiali ticinesi mi hanno spiegato:
nessun attenti, nessuna mano
alla tempia, nessun presentarsi
al momento di porre domande,
ecc. tutto questo per rendere il
soldato più vicino allo studente.
Insomma: far passare un quadro
generale positivo e “normale” a
quella che sarà la futura “élite” del
paese. Quello che Max Frisch 30
anni fa definiva: “un esercito di
padroni della patria, che dice di
essere il nostro esercito” deve insomma nuovamente dimostrare di essere il “nostro” esercito
e l’università, e in futuro forse
la scuola stessa, serve a questo
scopo, appunto a “normalizzare”
l’anormale.
Interessantissimo
conoscere
le modalità dell’inculcamento
delle nozioni dottrinarie agli ufficiali, che sono poi coloro che
sono preposti alla formazione
delle reclute, quindi di una buona fetta della popolazione di
questo paese! La scuola reclute
quindi come elemento del controllo sociale soprattutto della
gioventù da parte del governo,
adattata con formule e scelte
anche psicologiche per convincere i giovani coscritti non solo
al fatto che “l’esercito paga bene”
ma soprattutto che “in fin dei
conti non è così drammatico”,
costruzione mentale alla base di
quella necessità di lealismo e di
conformismo su cui si basa il dominio politico.
Un altro motivo insomma, per
tutti noi, studenti progressisti,
per voltare le spalle a questo
sistema, rifiutare il servilismo militare, sfruttare ogni spazio legale
per rifiutare il servizio e mettere
un sassolino nell’ingranaggio
che perpetua in eterno questo
ordine di cose che dal sistemaesercito raggiunge il sistema politico nel suo complesso.
IMPRESSUM
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12 - l’inchiostro rosso
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