Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana
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Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana
l’inchiostro rosso Mensile di critica sociale della Svizzera Italiana - Giugno 2010 - Anno 9 N° 6 “La teoria diventa una forza materiale non appena conquista le masse”. Karl Marx “Voglio condannare dal profondo delle mie viscere l’azione del governo di Tel Aviv: viva il popolo palestinese!” (Hugo Chavez) vs. All’interno di questo numero I sindacati per il salario minimo: una proposta con varie lacune Medio Oriente: la soluzione due popoli due stati è ancora realizzabile? L’esercito svizzero entra nelle università per rifarsi il look PER UNA SVOLTA ECO-SOCIALISTA 2 - l’inchiostro rosso I marxisti nella costruzione di un’alternativa al consociativismo Davide Rossi riflette su crisi del capitalismo occidentale, necessità di una decrescita ecologica e critica del corporativismo elvetico. Di fronte alle crescenti crisi internazionali che si riverberano nel quadro europeo e quindi anche svizzero, il Partito Comunista (e di conseguenza il Partito Svizzero del Lavoro - PSdL) è chiamato a promuovere un’alternativa, a partire dal Ticino, per il superamento dell’organizzazione consociativa di gestione del potere, tipicamente svizzera; creare dunque situazioni di scardinamento dello “status quo”, per superare la partitocrazia e la collegialità che obbligano la società ad un consenso immobile. È questo l’invito che questo Congresso avanza agli organi dirigenti del Partito. La situazione globale da comprendere e analizzare Se si pensa che nel 1930 i cittadini della terra erano due miliardi e nel 1990 cinque miliardi, balza con facilità agli occhi il valore delle tesi sostenute dai più importanti e riconosciuti organi di analisi internazionale dell’ecosistema, come ad esempio il World Watch Institute di New York, i quali impongono al sistema occidentale la necessità di una decrescita e, al contempo, di una re-invenzione dell’accesso alle fonti energetiche, incentivando l’auto-sussistenza energetica, nazionale e locale, attraverso fonti rinnovabili. Tali tesi, peraltro, sono state riprese negli ultimi mesi anche dalla stampa economica liberista, come ad esempio “The Economist” e “Wall Street Journal”, a dimostrazione di un ritardo del sistema capitalistico e dell’urgenza di azioni concrete. È l’evidente conferma che il tracollo del sistema consumistico - capitalistico e il suo declino non reversibile impongono una revisione totale dell’approccio politico ai temi locali, nazionali, e internazionali. Non si può infatti fingere di non conoscere come il risultato che scaturisce: • dall’appropriazione violenta delle materie prime da parte dell’Occidente, • dall’insostenibilità per il pianeta di garantire a 7 miliardi di persone livelli di consumi energetici e alimentari quali quelli praticati in Occidente e ugualmente neppure garantire tali livelli di consumi a quel nuovo miliardo di cittadini dei paesi emergenti che si sta affiancando al primo miliardo di iper - consumatori dell’Occidente, • dall’inevitabilità dei flussi migratori, come elemento non estinguibile della mobilità sociale planetaria, • delle crescenti tensioni sociali dentro l’Occidente per l’aumento della disoccupazione e della marginalità economica e sociale • dalle crescenti tensioni internazionali che l’Occidente intende del tutto impropriamente risolvere attraverso conflitti militari credibile e quindi guidare i percorsi di ricomposizione politica. È del tutto evidente che compito dei comunisti è di poter operare in questo senso, partendo da posizioni progressiste, contrastando culturalmente e politicamente tutte le già oltremodo evidenti posizioni anticapitaliste, antiliberiste, anticonsumiste che si stanno sviluppando a destra, fondandosi però, non come nel nostro caso, su una attenta analisi marxiana della realtà e dello stato di cose presenti, ma da una ideologia che ha le sue radici e si sostanzia in una pericolosissima deriva fascista, corporativa, razzista e xenofoba. Anzi la costruzione di un’alternativa deve nutrirsi in forma sostanziale dei valori di massima apertura agli stranieri, a cui si devono riconoscere i diritti civili e politici, senza esclusioni e reticenze. Una politica di dialogo e apertura che nasce dalla convinta condivisione degli ideali internazionalisti di solidarietà, reciproca comprensione e amicizia tra i popoli che non può essere una semplice dichiarazione di intenti, ma la concreta azione per la trasformazione del Ticino, della Svizzera, dell’Europa. Peraltro questo quadro internazionale rende superata la discussione in merito all’adesione della Svizzera all’Unione Europea (UE). Infatti, per prima cosa, l’UE non è riformabile dall’interno; secondariamente la Svizzera è gia recettrice in forma totale di tutta la normativa proveniente dall’UE, ma salvaguarderà la sua sarà uno revisione totale e radi- autonomia (poco sostanziale e cale del modello di sviluppo e di molto formale) per garantire la vita dell’Occidente capitalista e permanenza del franco svizzero, del metodo imperialista di ges- che è la valuta di rifugio di tutti i tione delle materie prime e en- poteri forti della terra. ergetiche. In questo contesto il sistema Come costruire l’alternativa consociativo svizzero è inade- secondo una prospettiva guato. Chi avrà la capacità, per consapevolmente comunista primo, di far conoscere ai citta- Il maggiore partito della sinistra dini qual è questa nuova realtà ticinese e svizzera, il Partito Soin cui viviamo, nostro malgrado, cialista (PS) cerca di essere compsarà colui che potrà risultare più rensivo, universalistico, interclas- sista, pronto al compromesso sociale, dialogante, concertativo, …. Farsi sostenitori, più o meno direttamente o indirettamente, di questo modello di progetto politico, riconoscendoci di fatto unicamente quale “ala sinistra” di una socialdemocrazia che per certi versi nemmeno si può più classificare quale “riformista” sarebbe deleterio e ci porterebbe all’ininfluenza totale nei processi sociali. Noi, invece, come marxisti, abbiamo un compito diverso, cioè quello di rappresentare una cultura che sia gramscianamente egemonica dentro la sinistra ticinese ed elvetica, con la consapevolezza della necessità di un impegno forte e concreto per costruire rapporti tali che determinino l’affermazione di un pensiero capace di interpretare il presente avendo chiaro il futuro. Le crescenti tensioni sociali, politiche ed economiche imporranno de facto il superamento dell’attuale schema politico che vede - dalle amministrazioni locali all’esecutivo nazionale - il formarsi di strutture di governo che accolgono elementi provenienti dall’intero (o quasi) schieramento politico. Si pone cosi la necessità di iniziare la costruzione di una effettiva alternativa all’attuale sistema. Tale compito non può che essere assolto da un vasto raggruppamento che raccolga intelligenze e sensibilità diverse e che si riconosca specificatamente nell’alternativa al quadro attuale. Di questo processo il Partito Comunista deve essere interprete e protagonista. Compito del Partito Comunista è quindi quello di farsi promotore di una maggiore consapevolezza dell’attuale realtà fra i cittadini e nel contempo di costruire nella società quella capacità aggregativa che renda possibile tale alternativa. Documento approvato al XX Congresso Cantonale del Partito Comunista - 9 giugno 2009 LO SCUDO SOCIALE l’inchiostro rosso - 3 Iniziaziva sul salario minimo? Andiamoci piano con l’entusiasmo! Giusto il salario minimo, ma come lo propongono l’Unione Sindacale Svizzera e il PS le lacune non mancano proprio... volutamente? Tesi della Segreteria Cantonale del Partito Comunista L’iniziativa popolare per l’introduzione di un salario minimo che verrà lanciata in autunno dall’USS e dal PS, evidentemente condivisibile nei suoi intenti generali, parte però con il piede sbagliato: non ricordiamo infatti nessun assemblea di base fra i lavoratori per discuterne il testo e le rivendicazioni: prendiamo quindi atto che la discussione è avvenuta a livello di vertice e di apparato. Il problema - al di là di una democrazia sindacale su cui, anche dopo quanto avvenuto in UNIA Ticino, non ci illudiamo ormai più - è che se un’iniziativa popolare di questo genere non è preparata e “sentita” dai lavoratori stessi, sarà più facile per il padronato convincerli di votare contro: la storia sindacale svizzera degli ultimi tempi è infatti piena di fal- è un’altra cosa rispetto a quanto limenti decretati dai sindacaliz- viene fatto credere. zati stessi! Il dumping non sarà risolto! L’iniziativa proposta riguarda tutti Sindacalisti ...francescani L’obiettivo principale dell’USS i rapporti di lavoro, siano essi ine della socialdemocrazia sono determinati, determinati, parziali 400mila lavoratori che in Svizzera o altro. Ciò è sicuramente giusto, ricevono un salario lordo infe- tuttavia esiste una lacuna giuriore ai 45mila franchi all’anno. ridica: la formulazione del testo Aiutare queste persone a miglio- di iniziativa si basa infatti sul luorare la loro condizioni salariale è go in cui si è firmato il contratto giusto, certo, ma un’iniziativa di lavoro, e non sul luogo dove popolare come quella presen- si lavora effettivamente (e dove tata andrebbe lanciata per porre quindi si entra in concorrenza una modifica strutturale nel con altri operai). Non è solo una mercato del lavoro, non solo questione di forma, questa situcome opera di “beneficienza” azione potrebbe creare seri probper chi è malpagato, in tal caso lemi per chi lavora in Svizzera ma infatti essa si riduce ad essere un attraverso delle aziende interi“paracadute sociale”, una sorta di nali frontaliere. Insomma: il sala“reddito minimo garantito”, che rio minimo che dovrebbe essere uno strumento per combattere il dumping salariale, per assurdo potrebbe in questo caso non servire a nulla! Esclusi gli apprendisti Un’altra grave lacuna è la formulazione generica per quanto concerne lavoratori a statuto particolare, come gli apprendisti e gli stagisti: l’USS lascia libertà al parlamento - in caso di approvazione dell’iniziativa - di elaborare una regolamentazione dettagliata, che quindi - visti i rapporti di forza - certamente non penserà di risolvere l’annoso problema dei salari da fame per i contratti di tirocinio. Un regalo che la socialdemocrazia fa alla destra, senza che gli elettori lo sappiano. Elezioni 2011: i comunisti devono avere un progetto credibile Il Partito Comunista inizia a riflettere alle elezioni cantonali di aprile come tappa del proprio processo di riorganizzazione Massimiliano Ay L’obiettivo di tappa per il 2011 del Partito Comunista in Ticino è quello di rientrare in Gran Consiglio dopo la pausa forzata nella legislatura iniziata nel 2007. In quel frangente l’allora Partito del Lavoro, nonostante avesse visto una crescita di consensi con circa 200 elettori in più rispetto al 2003 (attestandosi a 963 schede), non era riuscito a riconfermare il seggio conquistato quattro anni prima grazie alla congiunzione con il PS, oggi non più possibile. Le elezioni, però, non devono essere viste come il fine ultimo dell’azione politica dei comunisti: esse sono, al contrario, uno dei tanti strumenti di lotta a disposizione della sinistra di trasformazione per poter incidere nella realtà. Se i comunisti partecipassero alle corsa elettorale standosene poi in disparte nelle lotte, rinunciando ad essere in qualche modo ispiratori delle rivendicazioni più combattive del movimento, sarebbero come tutti gli altri, malati di una patologia che ha distrutto molta parte della Sinistra, il “cretinismo parlamentare”, il porsi cioè nell’ottica di addomesticare il capitalismo e non di abbatterlo, pensando che anche la più banale delle riforme possa avvenire solamente sedendo in parlamento, senza nel contempo costruire rapporti di forza sul territorio, nei posti di studio e di lavoro e nelle piazze. Chi non si pone in questa ottica conflittuale, non vuole di fatto il superamento del capitalismo (anche se lo afferma ai quattro venti), e non può essere né realmente ecologista né operare per una effettiva costruzione del socialismo come sistema economico e politico e non solo come ideale “umanitario”. Per questo motivo il Comitato Cantonale ha deciso che il Partito Comunista si doti di una Commissione speciale che elabori un programma politico d’azione rinnovato, da cui estrapolare alcuni temi forti, che possano suscitare interesse nel popolo della sinistra rimasto orfano di un PS ormai irriformabile nella sua scel- ta consociativa con la borghesia e pure dei Verdi che guardano per loro scelta al centro. Sarà quindi importante anche unire ai comunisti, militanti indipendenti della sinistra ecosocialista che vogliano contribuire a un progetto di lotta per la giustizia sociale, contro il clientelismo partitocratico e che si riconoscano in una linea di superamento del capitalismo e di riorganizzazione dell’economia in senso socialista per garantire la salvaguardia delle risorse naturali e umane. In quest’ottica il PC lavora prima di tutto per cercare un’alleanza con il resto della sinistra di classe ticinese, per costruire così una credibile alternativa alla socialdemocrazia in tutti i sensi e questo non dall’interno del PS, per portare acqua ai moderati che hanno l’egemonia e che si compiacciono di una opposizione interna che indirettamente li legittima, ma creando al di fuori di esso, delle dinamiche favorevoli al movimento operaio. SI MUOVE A SINISTRA 4 - l’inchiostro rosso Sindacati italiani si uniscono Il PS: viva l’UE (e abbasso la Cina)! Creare un’alternativa credibile al sindacalismo concertativo Il dirigente socialista Fehr chiude gli occhi e disinforma In un paese come l’Italia dove la sinistra politica, di fronte ai problemi, si divide all’infinito, c’è almeno una sinistra sindacale che fa il percorso opposto. Alla fine di maggio alcuni sindacati di base italiani si sono riuniti formando una sola organizzazione. E’ nata così l’Unione Sindacale di Base (USB, come le porte di connessione dei computer) grazie allo sforzo congiunto delle Rappresentanze Sindacali di Base (RdB) di Pierpaolo Leonardi (legate alla Federazione Sindacale Mondiale e di ispirazione marxista), il Sindacato dei Lavoratori Intercategoriale (SdL) sorta dall’esperienza troskista del “SinCobas” e presente a Bellinzona al fianco degli operai delle Officine FFS nel 2008 e «parti consistenti» della Confederazione Unitaria di Base (CUB), la quarta realtà sindacale italiana dopo le tre storiche sigle concertative. Osservano da più o meno vicino il processo anche l’ORSA (presente in ambito ferroviario) e il sindacato autogestionario “duro e puro” di ispirazione leninista dello SLAI-Cobas attivo fra gli operai FIAT più irriducibili. La Confederazione COBAS del troskista Piero Bernocchi per ora sta in disparte ma non esclude future adesioni. Organizzazioni, queste, in cui è partito un dibattito interno su opportunità, modalità, tempi di una fusione; oppure anche dubbi, che non bloccano però iniziative comuni. Una strada «voluta dai lavoratori», precisano, «non un’operazione di vertice». Era ormai diventata insostenibile una polverizzazione organizzativa che mette da sempre in discussione la credibilità stessa di qualsiasi soggetto attivo. Un percorso unitario cominciato ben prima che la crisi economica facesse la sua comparsa, costringendo ogni sigla sindacale a interrogarsi sul proprio senso. Le modifiche strutturali alla legislazione sul lavoro - l’unico punto su cui il governo Berlusconi mostra un attivismo sfrenato - stanno poi cancellando ogni possibilità residua per il sindacalismo di «nicchia» (sia «di base» che corporativo). Questo insieme nasce come «fusione per incorporazione», in modo di mantenere tutti i diritti sindacali conquistati nel tempo dai singoli soggetti storici. Nasce già forte di circa 250.000 iscritti «veri», tengono a precisare. Qui si guarda con molto scetticismo al meccanismo di «iscrizione a vita» in vigore nei sindacati confederali di “sinistra”. La struttura organizzativa scelta è confederale, con due «macro-aree»: pubblico e privato. Naturalmente in entrambe c’è un’articolazione categoriale che corrisponde ai perimetri contrattuali. Ma soprattutto si è esteso un radicamento nel terziario in senso lato: cooperative, grande distribuzione, call center, ecc. «C’è una richiesta tale di intervento che sta portando sulla scena del conflitto sociale molti giovani e migranti». Sono i settori della frammentazione, sconquassati dalla precarietà, i più difficili da organizzare in modo stabile. «Ma anche i più ricchi di energia e di voglia di difendersi». Un’articolazione piena di problemi differenti, che richiede di «tenere insieme la massima autonomia di lavoro» nel mentre «si cerca di dare senso alla ricomposizione della polverizzazione contrattuale». Già da anni sono attivi anche servizi come l’assistenza fiscale e legale, o i patronati. Come deve essere per ogni sindacato, il conflitto è funzionale alla costruzione di un rapporto di forza tale da raggiungere un risultato migliore. E quando lo si raggiunge «si firmano accordi e contratti». Altrimenti no. Una particolare importanza viene data al «sindacato metropolitano», una forma «sperimentale» che ha il suo baricentro nelle strutture che da anni si occupano del problema degli inquilini, dei disoccupati, dei migranti, ecc. La sigla scelta, non a caso, viene declinata anche come «uguaglianza, solidarietà, bisogni», a indicare ambiti di rappresentanza sociale non ristretta al solo lavoro dipendente. Non manca il momento di riflessione e ricerca, con un centro studi e una rivista teorica di economia e diritti del lavoro. Hans-Jürg Fehr, ex-presidente del Partito Socialista Svizzero e redattore della bozza di nuovo programma politico risponde a un’intervista di “Prospettive Socialiste”. Il tema è quello dell’Unione Europea: il suo giudizio è decisamente positivo, addirittura, senza il senso del ridicolo, la definisce “un progetto socialdemocratico”. Il dirigente socialista ritiene che a favore dell’UE parlino i suoi presunti “successi di pace”. Quali siano non è dato a sapersi, anche perché l’esempio balcanico non appare esaltante. Per Fehr l’UE avrebbe anche “grandi meriti nella democratizzazione dell’Europa”. Caspita: vorremmo sapere come un’entità quale l’UE il cui parlamento è un organo solamente consultivo senza potere legislativo possa insegnare la democrazia agli stati membri! La democrazia, grazie all’UE, sarebbe giunta anche dove prima c’erano le “dittature comuniste nella parte orientale”. Se già si potrebbe disquisire sul termine semplicistico di “dittatura”, anche ammettendo che la vera democrazia sia giunta solo nel 1989/1991 e che essa sia arrivata proprio grazie all’UE (tesi abbastanza azzardata), come si fanno a definire democrazie dei paesi come la Cechia in cui vogliono vietare il Partito Comunista (il terzo più forte del paese!)? O l’Ungheria che reprime sindacalisti e comunisti o altri paesi dove si erigono statue in onore delle SS naziste? E come può una persona di sinistra definire democrazie dei regimi retti da un sistema di oligopoli mafiosi e corrotti che hanno svenduto i loro stessi paesi alle multinazonali? L’UE ha infine un altro pregio, secondo Fehr: gli standard inerenti “la protezione dei consumatori” che sarebbero “progressisti”, idem per quelli sociali ed economici. Ma se l’UE favorisce smantellamento sociale, principi deleteri come il Cassis de Dijon, e gli accordi liberisti come il GATS, ecc. come si può chiudere gli occhi di fronte F. Piccioni (adattato dalla redazione) Redazione a questi aspetti dichiaranodisi socialisti? E il fatto che il “governo” dell’UE riconosca un solo sindacato, la CES, l’unica che ha reali diritti di concertazione? Sarà mica democrazia sociale ed economica, questa! Finito di osannare l’UE imperialista e liberale, l’eroico socialista Fehr, affronta il tema Cina. Non pretendiamo che egli si metta a lodare Pechino come fa con Bruxelles, però almeno che eviti i luoghi comuni! Secondo Fehr la Cina è “sotto la conduzione di un partito unico comunista”. Falso! In Cina c’è un partito comunista al governo con otto partiti democratici non comunisti a tutti i livelli istituzionali. Poi: gli standard ecologici della Cina sono bassi: lo erano anche in Europa quando si stava industrializzando, ma questo Fehr, che vorrebbe forse che la Cina rimanesse un paese povero e sottomesso all’Occidente, non lo dice. Inoltre la Cina “investe molto poco nel miglioramento della situazione dei propri lavoratori”. Nel 2008 la Cina ha varato una nuova legge del lavoro che prevede fra le altre cose contratti collettivi (che in Svizzera sono pochi) e salari minimi (che in Svizzera non abbiamo!). Pechino proprio di recente ha poi annunciato una riforma sanitaria finanziata con 124 miliardi di dollari, che entro il 2020 darà un’assistenza medica “sicura, efficace, conveniente e accessibile” ad oltre 1,3 miliardi di cittadini. Entro il 2011 fornirà un “nuovo sistema medico cooperativo” al 90% della popolazione urbana e rurale (non proprio quattro gatti!). Inoltre agli ospedali arriveranno i farmaci essenziali a prezzi calmierati. Entro i prossimi 3 anni, 5.000 cliniche e 2.000 ospedali saranno costruiti nei distretti rurali. Negli ultimi 30 anni i salari medi inoltre sono sestuplicati e stando ai dati ONU in Cina la povertà è diminuita del 45% rispetto ai tempi di Mao. Ma Hans-Jührg Fehr la finisce di raccontare fesserie o cosa? l’inchiostro rosso - 5 SOLIDARIETÀ CON CUBA anti-comunismo di sinistra La CTC sta dalla parte degli operai Marx va bene ma il socialismo no! Lettera della CTC ai sindacalisti amici di Cuba nel mondo Offensiva culturale per evitare il pensiero rivoluzionario La Centrale dei Lavoratori di Cuba (CTC) ha trasmesso un messaggio alle organizzazioni amiche del mondo, nel quale denuncia i tentativi all’interno dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) di screditare le bontà dei benefici nel settore lavorativo della Rivoluzione cubana. Il messaggio è stato inviato per la Svizzera in particolare ai seguenti sindacalisti: Massimiliano Ay (SISA); Hans Kern (Comedia); Eugenio Lopez (UNIA); ecc. Nella lettera del sindacato cubano si afferma come questa manovra forma parte della campagna mediatica sviluppata dall’Unione Europea e dal governo USA per screditare davanti al mondo la Rivoluzione e le sue conquiste. Nel documento, la CTC segnala che, ancora una volta, un selezionato gruppo di persone, pagate dagli USA, ha determinato una quantità di paesi che potrebbero essere chiamati a rendere conto di fronte alla Commissione di Norma della OIT, fra di essi predominano paesi che tentano di emanciparsi mentre figurano solo alcune nazioni del mondo altamente sviluppato. Per gli autori della lista, sottolinea la CTC, non sono importanti i forti tagli dei salari e delle pensioni, dei bilanci sociali con i licenziamenti di massa che si applicano ai lavoratori per decreto in molti dei paesi della civile e democratica Europa ed in altre nazioni sviluppate. A coloro che vogliono porre Cuba sul banco degli accusati, non interessa la brutale repressione che soffrono migliaia di sindacalisti e lavoratori che nel mondo protestano contro le ingiustizie sociali e tantomeno merita considerazione, e non costituisce una violazione ai diritti sindacali ed umani la folla di milioni di danneggiati dall’attuale crisi globale, precisa il messaggio. Il gruppo di demagoghi include nella sua lista un paese come Cuba, che pur essendo una piccola nazione sottosviluppata, vessata da un forte blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti da cinquant’anni, ha creato molteplici meccanismi reali di ampio dialogo e partecipazione dei lavoratori e dei sindacati nella vita economica, politica e sociale del paese. La CTC segnala che in questa dura realtà in cui la crisi economica impone forti limitazioni nell’Isola, si lavora con creatività e flessibilità, per affrontare questo fenomeno, ponendo enfasi per la protezione dei lavoratori. È provato che la popolazione cubana mantiene un appoggio di massa al suo Governo Rivoluzionario, fatto constatato da migliaia di sindacalisti di tutto il mondo, che hanno accompagnato il popolo dell’Isola nelle celebrazioni del 1º maggio. Sin dai primi mesi dal trionfo della Rivoluzione, sostiene la CTC, l’amministrazione degli USA fabbrica, organizza, finanzia e dirige un’opposizione controrivoluzionaria dentro e fuori da Cuba, con l’appoggio di forti somme di denaro: quest’anno si superano i venti milioni di dollari. Questi lacchè dell’impero attuano con le risorse finanziarie e materiali ed eseguendo gli orientamenti del governo degli USA, trasmessi dal loro Ufficio d’Interesse (SINA) l’ambasciata degli Stati Uniti a L’Avana. La CTC segnala che alcuni di questi elementi, anche se non sono vincolati a centri di lavoro nell’Isola e non sono nemmeno conosciuti da collettivi di lavoratori, attuano con presunti titoli di “dirigenti sindacali”, con l’obiettivo di mettere in pratica gli ordini del “Piano Bush” che include l’utilizzo dell’ OIT per promuovere il discredito del sistema cubano. Per tutto questo risulta doloroso per i lavoratori cubani che il Comitato degli Esperti della Organizzazione Internazionale del Lavoro, ignorando gli ampli argomenti e le ragioni presentate dalle organizzazioni rappresentative di Cuba, assuma la difesa di attivisti politici che attuano conto gli interessi dell’Isola, e che la OIT presti il suo prestigio a manovre di proselitismo di tali elementi contro uno Stato membro. “La vulgata sostiene che con Marx, come con tutti i profeti e i predicatori, non ci possono essere vie di mezzo: o si sta con lui o contro di lui indipendentemente dalla statura intellettuale degli interlocutori. Ma non è vero, le cose non stanno in questo modo né in generale nei confronti dei profeti e dei predicatori ma tanto meno nei confronti di Marx, nel quale allo spirito profetico che indubbiamente gli spirò dentro con soffio vigoroso, si accompagnò uno studioso attento, munito d’un intelletto eccezionale e d’una capacità intuitiva fuori dalla norma”. È questa la premessa con cui Eugenio Scalfari apre il capitolo dedicato a Marx nel suo ultimo libro, “Per l’alto mare aperto”. Una premessa che gli serve per dimostrare una tesi tanto impossibile quanto furbetta: che si può accettare del pensiero di Marx il suo metodo scientifico di indagine della storia e la sua analisi della società capitalistica, ma solo come pure categorie astratte, rifiutandone le conseguenze pratiche che sono la lotta di classe come motore della storia, la rivoluzione, il socialismo come fase successiva alla società capitalistica. Giunto al termine della sua lunga carriera di intellettuale, iniziata da giovane nei Gruppi universitari fascisti, passata nel dopoguerra per tutte le varianti possibili del liberalismo “laico”, azionista, liberale, radicale, socialdemocratico e repubblicano, fino ad approdare in questi ultimi anni a un antiberlusconismo di tipo costituzionalista, il fondatore de “La Repubblica” sente il bisogno di fare i conti con il marxismo sapendo di non poterlo ignorare in questo che ha anche la pretesa di essere un “viaggio” nel pensiero occidentale moderno, da Diderot a Nietzsche, ed ecco perché egli tenta di aggirarlo riconoscendone sì la grandezza come filosofo ed economista, ma negandogliela come padre del socialismo scientifico. Non a caso Scalfari parla di Marx senza mai nominare Engels, cosa che gli avrebbe reso più difficoltoso separare il teorico dall’uomo di azione immerso nella storia del suo tempo, dedito insieme al suo stretto compagno di pensiero e di lotta non solo a costruire l’edificio teorico del materialismo dialettico e del socialismo scientifico ma anche a gettare le fondamenta del movimento di classe e del partito politico che avrebbero dovuto condurre il proletariato all’abbattimento della società capitalistica e all’instaurazione del socialismo. E sempre non a caso Scalfari usa per questo secondo aspetto della figura di Marx, impossibile da scindere dal primo, i termini (dispregiativi) di “predicatore” e di “profeta”; tentando con questa scissione artificiosa e del tutto arbitraria di annettere il Marx filosofo al filone “nobile” del pensiero borghese occidentale e di svilire invece il Marx rivoluzionario al rango “plebeo” di utopista visionario. Questo tentativo furbesco viene allo scoperto allorquando Scalfari, forzando la verità storica, tenta di spacciare un’improbabile “empatia intellettuale e congenialità di pensiero” di Marx con uno dei padri del pensiero liberale borghese, Alexis De Toqueville, nonché addirittura con Napoleone. Come se il fatto che Marx si sia servito ampiamente dei pensatori borghesi della sua epoca per elaborare le sue analisi rivoluzionarie, significasse che della sua opera sopravvive oggi solo quel che è legato a quel pensiero borghese, mentre tutto ciò che se ne discosta si è dimostrato caduco. E’ la teoria dei “due Marx” di bertinottiana memoria: vale a dire il presunto Marx “libertario” da contrapporre al Marx rivoluzionario che ha aperto la strada alle dittature proletarie in Russia e in Cina. E qui l’intellettuale liberale di “sinistra” lascia il campo al borghese e basta, con l’atavico anticomunismo e che gli fa abbandonare la flemma professorale per sbottare in una filippica degna del più scontato repertorio berlusconiano. “Il Bolscevico” 20/2010 - con adattamenti della redazione DAL TERRITORIO 6 - l’inchiostro rosso Calo di fiducia per il Municipio di Bellinzona Lettera aperta Relazioni contrarie, dibattiti aspri e referendum in continuazione: a Bellinzona la protesta cresce Redazione Ente regionale di sviluppo del Bellinzonese e Valli Pavimentazione di Piazza Collegiata e Viale Stazione La maggioranza del Consiglio comunale di Bellinzona e di tutti i partiti storici ha approvato lo statuto del Nuovo Ente Regionale di Sviluppo del Bellinzonese. La Commissione della legislazione aveva però dato preavviso negativo: fra i firmatari contrari anche il rappresentate del Partito Comunista. Il nuovo ente risulta essere - secondo il consigliere comunale comunista - troppo vago e poco concreto negli obiettivi, antidemocratico nella modalità di elezione del presidente, nonché poco chiaro il ruolo dei cosiddetti “membri sostenitori”. Totalmente negativa la presenza poi dei Patriziati al suo interno, simbolo del potere localista, nonché realtà esclusiviste, in quanto non tutti i cittadini abitanti vi possono aderire e dunque privi di reale controllo democratico. La minoranza del PS e del movimento Il Noce si sono uniti con i Verdi e Bellinzona Vivibile votando contro il progetto municipale di risistemazione della parte bassa di Viale Stazione e di Piazza Collegiata, che prevedeva la sostituzione del porfido rosa con dei cubotti di granito. Il progetto, dal costo di 6 milioni di franchi, presenta analogie con quello bocciato dai 3/4 della popolazione nel 2003 e che aveva sancito lo status quo. In un periodo di vacche magre viene strano pensare che esso sia di prioritaria importanza per la Città. L’ipotesi però di sostituire le tubature e di rendere attrattivo il centro cittadino dal lato turistico ha creato dibattito. La sezione bellinzonese del Partito Comunista - nonostante l’astensione del suo consigliere comunale - ha deciso di sostenere il referendum. Cari compagni di “Prospettive Socialiste”, vado subito al dunque: con tutta la stima politica che posso avere nei vostri confronti, mi chiedo in tutta franchezza quali spazi di agibilità politica si riescano ancora a ricercare nel Partito Socialista. Vi sarete infatti accorti che – oltre a varie altre questioni programmatiche che avete anche giustamente sollevato inascoltati – il vostro Partito ha invitato sul Ceneri, per lo storico convegno, il dirigente ex-diessino Piero Fassino, leader dell’associazione italiana “Sinistra per Israele”, un’associazione che nei suoi obiettivi ha quello di sdoganare a sinistra il “sionismo”, che è a tutti gli effetti un’ideologia razzista e imperialista. Piero Fassino, oltre ad essere uno dei responsabili politici dello smantellamento di ogni riferimento lontanamente socialdemocratico nel PD, è colui che lo scorso anno si arrampicava sui vetri per tentare di giustificare l’operazione criminale “Piombo fuso” contro la popolazione civile di Gaza da parte del governo e dell’esercito di Tel Aviv, contro cui anche voi eravate scesi in piazza nella manifestazione promossa da Matteo Gianini a Bellinzona l’11 gennaio 2009. Sono certo che non è questa linea politica, quella di Fassino (evidentemente ritenuto un valido interlocutore dalla Direzione del PS) che vorrete avvallare. Non è quindi scolastici troppo costosi, sulla il caso che la sinistra anti-sionista solidarietà internazionale che e amica del popolo palestinese dovrà organizzare un viaggio a trovi voce ferma all’interno di tutti Cuba per incontrare i giovani i partiti progressisti, PS compreso? dell’isola socialista. Pure il tema Non è forse il caso di evitare che delle mense non sarà dimen- Fassino intervenga al Ceneri? Soticato. Durante l’estate il SISA prattutto dopo la tragica situazione sarà presente all’ONU di Ginevra venutasi a creare con il recente arper le attività organizzate dalla rembaggio terroristico dell’esercito Federazione Sindacale Mondiale. sionista contro la Freedom Flottilla (sul quale Fassino – come peraltro Calmy-Rey - ha preso una posizione all’acqua di rose per non offendere i suoi amici)? Il PS è libero di fare quello che meglio crede e non sta certo a me giudicare le tremista”. La lezione, molto inter- sue scelte, però consentitemi di attiva e partecipata, arriva dopo non capire come, per chi intende il corso di analisi del Manifesto riscoprire un’azione anti-capitalista Comunista di Marx e Engels e e quindi anti-imperialista e realdi introduzione alle categorie di mente socialista, si possano ancora analisi del marxismo-leninismo vedere spiragli di trasformazione. che quest’anno è stato organiz- Con i miei migliori saluti « Il SISA è da 7 anni l’avanguardia studentesca del Canton Ticino Il Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) si è riunito nella sua XVIII Assemblea Generale per celebrare la fine del 7° anno di attività fra i giovani in formazione. Con un numero crescente di membri (oltre 300), questo sindacato atipico che vuole unire il movimento studentesco con il movimento op- eraio è riuscito a consolidarsi e a farsi riconoscere per la sua linea combattiva. L’assemblea ha stabilito di valutare l’ipotesi di lanciare in futuro un’iniziativa per il diritto di voto ai 16enni e ha deciso il sostegno all’abolizione della leva militare obbligatoria. Gli studenti hanno pure lanciato alcuni gruppi di lavoro sui libri « Un’introduzone all’economia per i giovani comunisti La Gioventù Comunista ha organizzato un momento di formazione per i suoi militanti sul tema dell’economia capitalista. Analizzare il sistema produttivo nel quale viviamo risulta essere fondamentale infatti per poter ragionare sulle alternative di società. L’ausilio di un metodo didat- tico semplice e intuitivo rigorsamente basato però sulla teoria economica e poi politica di Marx permette di avvicinare anche i più giovani a questo complesso tema, dimostrando anche l’estrema pragmaticità e serietà del metodo marxista in- zato per la terza volta nelle varie giustamente considerato come sezioni locali della Gioventù Coqualcosa di “utopico” o di “es- munista. Massimiliano Ay Segretario del Partito Comunista INTERNAZIONALE l’inchiostro rosso - 7 Uno o due Stati in Palestina? Se ne discuta apertamente Dopo l’atto terroristico del governo d’Israele si deve riaprire una seria discussione strategica fra anti-imperialisti e anti-sionisti Redazione Parlando della necessità della pace tra Israele e Palestina si pone spesso come garanzia che “Israele possa esistere come stato ebraico”. I vari processi di pace nelle intenzioni di chi li promuove dovrebbero portare ad un accordo “per due Stati sovrani, contigui ed indipendenti per i due popoli che si affacciano in queste terre”. L’Unione europea riprope stancamente la soluzione “due stati, due popoli”, il progetto che prevede la creazione di uno Stato palestinese sovrano in Cisgiordania e Gaza, su appena il 22% del territorio storico della Palestina, accanto allo Stato di Israele. Una soluzione che stando a parte della sinistra avalla però nei fatti il progetto sionista di annettere tutta Gerusalemme Est e gran parte della Cisgiordania, lasciando ai palestinesi il controllo, parziale, dei loro principali centri abitati. Un sistema di apartheid, reso ancora più evidente dalla costruzione del “muro di separazione”. Lo Stato di Palestina sarebbe a sovranità limitata e controllato da Israele. Dopo la cacciata dei laici di Al Fatah e la presa del controllo di Gaza da parte degli islamisti di Hamas sono spuntate persino ipotesi di una Cisgiordania indipendente sotto l’autorità del presidente amico dell’Occidente Abu Mazen e con la striscia di Gaza di Hamas sigillata e totalmente dipendente dagli aiuti umanitari. Le proposte per una soluzione della questione palestinese avanzate dall’imperialismo e riportate negli accordi di Oslo del 1993, o le varianti riportate in tutti i piani successivi, compresa la “road map”, si sono dimostrate funzionali agli interessi dei sionisti e una negazione dei diritti dei palestinesi. Si fa spazio una diversa ipotesi per una soluzione che prevede un solo Stato in Palestina, discussa e sostenuta anche tra i progressisti ebrei. La decisione dell’Onu nel 1947 Lo storico israeliano Ilan Pappe ha ricordato che dopo la seconda guerra mondiale “uno stato unitario avrebbe dovuto sostituire il protettorato palestinese, come auspicato da parte di alcuni membri dell’Onu. Tuttavia questi membri dovettero ritirare il proprio sostegno a questa soluzione di fronte alla forte pressione degli USA e della lobby sionista” e che con la risoluzione adottata dall’Assemblea dell’Onu il 29 novembre del 1947 si dava il via alla spartizione della Palestina che portava alla nascita dello Stato di Israele. Quando “Sharon e Bush si sono dichiarati favorevoli e fedeli alla soluzione con due stati - ha sostenuto - questa è diventata un cinico mezzo che ha permesso ad Israele di conservare il proprio regime di discriminazione all’interno dei confini del 1967, l’occupazione in Cisgiordania e la ghettizzazione della Striscia di Gaza. (...) Chiunque impedisca il dibattito sui possibili modelli politici alternativi autorizza Israele a farsi scudo della soluzione con due stati per continuare a commettere crimini in Palestina. Inoltre, non solo nei territori non ci sono più neanche le pietre per costruire questo stato dopo sei anni di distruzione delle infrastrutture da parte di Israele ma se anche si applicasse una partizione sensata i palestinesi non otterrebbero più che un misero 29% della propria terra natìa”. Quando per la mappa relativa alla decisione dell’Onu nel 1947 i palestinesi “avrebbero diritto ad almeno metà della propria terra originaria”. Pappe ritiene pure che “il problema, nella sua reale essenza, è Israele come Stato Sionista. È impossibile cambiare queste essenza fintanto che lo Stato esiste. Nessun cambiamento è possibile dall’interno, perché in Israele non c’è differenza reale tra Destra e Sinistra. Entrambe sono complici in una politica il cui vero scopo è la pulizia etnica, l’espulsione dei palestinesi non solo dai territori occupati, ma anche dallo stesso Israele. Di conseguenza, chi anela ad una soluzione giusta deve mirare alla creazione di un solo Stato, al quale i rifugiati del 1948 e del 1967 saranno invitati a ritornare. Sarà uno Stato unico ed egualitario, come è oggi il Sud Africa. Non ha senso cercare di cambiare Israele dall’interno. La salvezza verrà dall’esterno: un boicottaggio di Israele su scala mondiale, che costringerà lo Stato a cedere e convincerà l’opinione pubblica israeliana che non c’è altra via oltre la Soluzione-Uno-Stato”. “Palestina-israele, un paese uno stato” Con Pappe anche Leila Farsakh, docente all’Università del Massachusetts ha sostenuto che “dobbiamo ripartire con la resistenza all’occupazione e al colonialismo, formulando una nuova strategia che si basi sul concetto di cittadinanza, non più ancorata all’idea di partizione della Palestina storica. Quaranta anni di lotta, dall’occupazione dei Territori nel 1967, meritano forse uno stato che non sarebbe altro che un insieme di bantustan in territorio israeliano, senza continuità territoriale?”. A questo punto due sono le ipotesi: stato binazionale o stato unico. “Nello stato binazionale i gruppi, nel nostro caso israeliani e arabi, mantengono una serie di istituzioni, ad esempio il sistema educativo, separate. Separate e garantite dalla costituzione. Per stato unico s’intende invece uno stato laico e democratico in cui, per legge, non viene protetta alcuna identità particolare. Riconoscere che lo stato non è omogeneo, ma mettere al centro del discorso il cittadino, non le etnie. Tra chi, come noi, considera ormai impossibile la partizione della Palestina, ci sono ancora divergenze su quale di questi due modelli, o loro variazioni, sarebbe più opportuno adottare”. Pure Ali Abunimah, palestinese-americano e autore del libro “One country”, concorda: “lo stato unico è una vecchia proposta dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina ma anche di alcuni membri del movimento sionista prima della nascita d’Israele, come il filosofo Martin Buber e l’ex presidente dell’università ebraica Judah Magnes. La novità oggi sta nella necessità di rimetterla al centro dell’agenda politica. La realtà che si è creata sul terreno rende impossibile uno stato palestinese funzionante. Allo stesso tempo l’idea di uno stato etnico è insostenibile: a 60 anni dalla nascita d’Israele, lo Stato ebraico ha fallito sia nell’ottenere legittimazione da parte della sua popolazione - mi riferisco ai palestinesi che occupa e quelli all’interno dei confini statali, che insieme rappresentano circa la metà degli abitanti e diventeranno rapidamente la maggioranza - sia nel fermare la resistenza palestinese. Inoltre moralmente è inaccettabile che in uno stato i diritti di cittadinanza dipendano dall’etnia o dalla religione”. Va ricordato che La creazione di uno stato in Palestina era stata la proposta iniziale dell’Olp di Yasser Arafat. Nel 1969 Al Fatah, l’organizzazione di Arafat che non accettava la presenza ebraica in Palestina, rilanciò la proposta della costituzione di uno stato democratico in Palestina. Questo stato avrebbe dovuto mettere fine alle ingiustizie causate dalla creazione d’Israele e dall’espulsione di 750.000 palestinesi dai loro villaggi. Benché invitasse a distruggere le strutture dello stato d’Israele, considerato come un’entità coloniale, Al Fatah difendeva la nozione d’uno stato unico laico per tutti i suoi cittadini, musulmani, cristiani ed ebrei. Negli anni successivi sotto la pressione dei paesi imperialisti l’Olp però dovette accettare la spartizione della Palestina e rinunciare all’ipotesi di distruggere Israele. Gli islamisti di Hamas e i comunisti del FPLP rifiutarono invece questa opzione. 8 - l’inchiostro rosso engels dixit Micheline Calmy-Rey dove sei? E i giovani comunisti criticano il PS per voler sdoganare l’associazione “Sinistra per Israele” Comunicato stampa della Gioventù Comunista Ticinese La Gioventù Comunista esprime il proprio sconcerto per il vile attacco perpetrato dall’esercito israeliano nei confronti di una nave che, come unica colpa, aveva quella di trasportare aiuti umanitari al popolo palestinese assediato. La cosiddetta Freedom Flotilla, con a bordo pacifisti ed attivisti pro-palistenesi, si stava dirigendo verso Gaza con lo scopo di portare medicinali, materiali di sopravvivenza e cemento per ricostruire gli edifici distrutti dagli attacchi israeliani. Nell’assalto sono rimasti uccisi una quindicina di volontari. Si tratta dell’ennesimo atto barbaro commesso dal governo sionista che in questo modo si pone (ancora una volta) al di fuori del diritto internazionale. Il minimo che paesi democratici e civili possano fare a questo punto è interrompere subito le relazioni diplomatiche con Tel Aviv: invitiamo quindi Berna a espellere l’ambasciatore israeliano! La diplomazia elvetica si impegni inoltre a favore del popolo palestinese, chiedendo che Israele sia condannato per crimini di guerra dal tribunale in- ternazionale. Prossimamente alla tradizionale Festa del Ceneri, come se non bastasse, il Partito Socialista ticinese avrà quale ospite d’”onore” il leader dell’assocazione “Sinistra per Israele” e dirigente del PD italiano Piero Fassino. Viste le posizioni apertamente filo-sioniste di Fassino crediamo che la sua presenza non sia affatto opportuna! Le prove false di Israele sull’abbordaggio Le fotografie sulle presunte “armi” dei volontari assaliti sono dei falsi. Israele vuole ingannarci! Redazione Il regime israeliano ha pubblicato sulla sua pagina Flickr una serie di foto “spaventose” che incrimenerebbero la nave Marmara, dove sono state uccise almeno 10 persone. Secondo la versione israeliana, a bordo della nave sarebbero state trovate numerose armi. Un vero arsenale, e le foto sarebbero le prove certe delle intenzioni violente dei “pacifisti”. Eppure, a uno sguardo più attento, qualcosa non quadra. Flickr infatti registra automaticamente tutti i dettagli sulle foto che vengono pubblicate e offre agli utenti la possibilità di consultare questi dati. Si chiamano dettagli EXIF: marca della fotocamera, data e ora esatte dello scatto, è tutto scritto. Compare persino un eventuale ritocco fatto tramite Photoshop, che è segnalato dettagliatamente come modifica. Sfortunatamente per il regime israeliano, la maggior parte delle foto pubblicate risalgono addirittura al 2003. Altre, più recenti tra queste, non sono che del 2006. La foto che dovrebbe mostrare dei giubbotti antiproiettili stando alla scheda EXIF è stata scattata il 7 febbraio 2006. Stessa storia per i sofisticati visori infrarossi che i pacifisti della Freedom Flotilla avrebbero utilizzato durante gli scontri, e per una sega circolare. Ancora più assurde le foto che risalgono al 2003, dove ci viene mostrata un’ascia e delle bombe lacrimogene. Se si è trattato di un errore di settaggio della data di memorizzazione degli apparecchi, come mai l’errore riguarda non una bensì quattro macchine fotografiche? Esempio di una fotografia falsa: http://www.flickr.com/photos/israel-mfa/4662343871/meta/ Maggiori informazioni su: http://www.agoravox.it Grecia: esponente del KKE a Zurigo e Losanna Ospite dei comunisti zurighesi e vodesi un dirigente del Partito Comunista di Grecia Redazione) Kostas Papadakis è stato fino allo scorso anno segretario generale della Gioventù Comunista di Grecia (KNE), l’organizzazione leader fra le masse giovanili di sinistra che guida le rivolte fra studenti e giovani lavoratori in questi momenti di forte conflitto sociale contro le imposizioni dell’Unione Europea sullo stato ellenico e contro i tagli previsti dal governo socialdemocratico al potere ad Atene. Dopo questo importante compito alla testa dei giovani Ko- satas Papadakis è stato eletto membro del Comitato Centrale del Partito Comunista di Grecia (KKE). Mercoledì 23 giugno 2010 alle ore 19.30 presso gli uffici di UNIA in Strassburgstrasse 11, a Zurigo (fermata del tram: Stauffacher) il dirigente greco sarà ospite del Partei der Arbeit, a dimostrazione delle buone relazioni che intercorrono fra i comunisti svizzeri organizzati nel Partito Svizzero del Lavoro e il KKE. Con Kostas Papadakis la serata si svi- lupperà con una storia politica del paese e con una panoramica sulla sua situazione odierna greca e sul ruolo assolutamente non progressista dell’Unione Europea. L’esponente comunista spiegherà anche la linea del KKE che ha recentemente parlato esplicitamente - di “presa del potere” e le prospettive della lotta e in cosa si distanzia dall’opportunismo di altri movimenti della sinistra ellenica. Un altro momento di confronto è previsto a Losanna. Classi in lotta... ...fanno evolvere la storia umana Federico Engels «La produzione economica e la struttura che necessariamente ne consegue formano, in qualunque epoca storica, la base della storia politica e intellettuale dell’epoca stessa... Conforme a ciò, dopo il dissolversi della primitiva proprietà comune, tutta la storia è stata una storia di lotta di classi, di lotte tra classi sfruttate e classi sfruttatrici, tra classi dominate e classi dominanti, in diversi gradi dello sviluppo sociale... Questa lotta ha ora raggiunto un grado in cui la classe sfruttata e oppressa (il proletariato) non può più liberarsi dalla classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia) senza liberare anche ad un tempo e per sempre, tutta la società dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalle lotte fra le classi...» (Friedrich Engels, “Prefazione all’edizione tedesca del Manifesto del Partito Comunista“, 1883) www.partitocomunista.ch www.gioventucomunista.ch www.comunisti.ch www.redflagtv.ch RIFLESSIONE TEORICA l’inchiostro rosso - 9 “Rileggere Lenin!” - parola d’ordine dei comunisti portoghesi Articolo tratto da “O Militante”, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, Marzo/Aprile 2010 Traduzione a cura di Massimo Marcori L’89° anniversario del PCP si svolge in una situazione molto complessa e pericolosa sia sul piano nazionale che internazionale, ma anche piena di potenzialità trasformatrici e rivoluzionarie. Creazione della classe operaia portoghese, il PCP è nato sotto l’influenza della Rivoluzione d’Ottobre e deve a Lenin e al leninismo i tratti fondamentali della sua identità comunista. E’ una ragione in più per leggere e studiare Lenin, non pensandone ad un’illusoria e impossibile ripetizione ma come fonte d’ispirazione per la realizzazione dei compiti che si pongono oggi ai comunisti portoghesi per rafforzare il partito e nella lotta per la rottura e il cambiamento patriottico e di sinistra che la situazione del paese rende necessario. Per coloro che sono impegnati nella comprensione della società e nella sua trasformazione rivoluzionaria, leggere e studiare Lenin è sempre fonte di scoperta e di soddisfazione. Lenin ha un pensiero così vicino alla vita e un discorso così chiaro e incisivo, che i suoi testi – libri, pamphlets, lettere, telegrammi – scritti più di un secolo fa sembrano sempre tornare d’attualità e ritrovare una seconda giovinezza, fornendoci armi con analisi, esperienze e insegnamenti di grande valore per la lotta che oggi conduciamo contro il capitale in condizioni profondamente diverse da quelle del suo tempo. Ed è per questo che è così importante trovare il tempo per leggere e studiare Lenin. Oppure se è necessario, “inventarlo”. Le esigenze del lavoro pratico militante sono particolarmente impegnative, ma questo non può essere una scusa per dispensarsi dalla lettura e studio del fondatore del primo partito rivoluzionario di nuovo tipo e del primo Stato degli operai e dei contadini. Naturalmente, non è solo con Lenin che si trovano nuove fonti d’energia militante e convinzioni nella superiorità del progetto comunista, qualità che dobbiamo curare particolarmente in questi tempi di contro-rivoluzione e di lotta estremamente aspra sul piano delle idee. E’ la stessa cosa con l’opera di Marx, di Engels, di Alvaro Cunhal e di altri rivoluzionari che, dominando con maestria il materi- alismo e la dialettica marxista, sono stati all’avanguardia della loro epoca, hanno visto più chiaro e più lontano, hanno svelato e aperto le strade dell’avvenire. Ma poiché è di Lenin che parliamo, dobbiamo riconoscere la sua lungimiranza particolare, l’attualità e anche l’utilità immediata di un’opera nella quale teoria e pratica, intervento congiunturale e prospettiva rivoluzionaria, fermezza dei principi e flessibilità tattica, camminano mano nella mano. Come per tutti i giganti del pensiero rivoluzionario, l’eredità teorica di Lenin è profondamente legata alla vita, alla difesa degli sfruttati e degli oppressi, all’attività trasformatrice. Le grandi opere di Lenin, dal celebre “Che fare?” (che ha come tema centrale la concezione del partito rivoluzionario della classe operaia) a “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo” (che analizza la fase monopolista del capitalismo offrendo così alla lotta del proletariato prospettive di vittoria più nette), passando per “Un passo avanti, due passi indietro”, “Le due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica”, “Materialismo ed empirio-criticismo”, “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, o “Stato e rivoluzione”, sono scritti nel fuoco della lotta per apportare risposte ai nuovi problemi della rivoluzione e della lotta ideologica. La celebre immagine di Lenin nel suo capanno-rifugio sulle rive del lago Razliv mentre redige “Stato e rivoluzione” alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, è ben rappresentativa del modo d’essere di Lenin nella rivoluzione e del modo con cui concepiva e viveva il legame indissolubile tra teoria e prassi. Con Lenin – come con Alvaro Cunhal, come dimostrano i due volumi già pubblicati delle sue Opere Scelte – si ritrovano famose massime del nostro filosofo materialista come “il marxismo non è un dogma, ma una guida per l’azione”, “la pratica è il criterio di verità”, “senza teoria rivoluzionaria, non esiste movimento rivoluzionario”, che trovano applicazione in ogni sua azione rivoluzionaria. E’ uno dei motivi che rendono la sua opera talmente attraente, e fonte d’ispirazione, tanto più che le grandi questioni che essa affronta sono questioni che, benché sotto forma modificata, sono di palese attualità sul piano della filosofia, dell’economia politica, della teoria e della pratica della rivoluzione socialista. 140 anni sono trascorsi dalla nascita di Lenin e 86 dal suo decesso prematuro nel 1924, mentre c’era ancora tanto da attendersi dalla sua intelligenza, dal suo lavoro infaticabile e dalla sagacia di dirigente e di uomo di Stato comunista. Molto importante è ormai l’esperienza accumulata dal movimento operaio nella sua lotta contro il capitalismo e per l’edificazione della società nuova, società che corrisponde giustamente a quella di cui Lenin e il partito bolscevico hanno posto le prime basi. Ma vivendo in un momento storico analogo a quello in cui viveva Lenin, l’epoca inaugurata dalla Rivoluzione d’Ottobre del passaggio dal capitalismo al socialismo, le grandi questioni che i comunisti incontrano oggi, diverse nella forma, sono sostanzialmente le stesse riguardo al loro contenuto. Ciò ci rinvia alla lettura e allo studio di Lenin, non solo fruttuosa dal punto di vista storico, ma utile in termini di attività pratica concreta. Questioni di un’attualità bruciante come: il partito comunista e le sue fondamentali caratteristiche; il ruolo e le alleanze della classe operaia; l’intransigenza nella lotta contro l’opportunismo di destra e “di sinistra”; l’imperialismo e la sua essenza; la questione dello Stato e della sua natura di classe, la teoria della rivoluzione; la dittatura del proletariato e la transizione verso il socialismo; l’internazionalismo; la questione nazionale; la lotta per la pace e la coesistenza pacifica, sono trattati in profondità nell’opera di Lenin. Correttamente assimilate rifiutandone ogni trasposizione meccanica, esse sono fonti d’ispirazione per le lotte del nostro tempo. Non si tratta evidentemente di recitare Lenin e di pretendere di trovare nei suoi scritti, come in quelli di altri classici del marxismoleninismo, una risposta immediata ai problemi attuali, ma di capire e assimilare la sua opera. La lotta più risoluta contro i detrattori di Lenin e del marxismo-leninismo presuppone ugualmente il rifiuto della sua interpretazione dogmatica, a proposito della quale il compagno Alvaro Cunhal ha scritto: “Uno degli aspetti più correnti di questo spirito dogmatico è la sacralizzazione dei testi del comunismo, la sostituzione dell’analisi delle situazioni e dei fenomeni con la trascrizione sistematica e schiacciante dei testi classici posti come risposte che solo l’analisi concreta della situazione concreta può permettere.”1 I compiti che si pone il PCP sono esigenti e il ritmo del lavoro pratico intenso. E non si tratta solo della necessità imperiosa di rispondere con la lotta all’offensiva violenta del capitale delle politiche di destra che servono i suoi interessi. Si tratta di verificare, tutto attorno a noi, l’esistenza delle immense possibilità per il rafforzamento del Partito che devono attirare l’attenzione e rendere necessario l’impegno militante dei comunisti. Per allargare l’influenza del Partito, per rafforzarlo nelle imprese e sui luoghi di lavoro, per radicarlo ancora di più tra le masse, per dotarlo di una base finanziaria ancora più solida, condizione necessaria al suo intervento indipendente, per attirare più operai, donne e giovani per gli ideali e il progetto emancipatore del comunismo. E, a tal proposito, abbiamo bisogni di maggiori quadri che si assumano responsabilità e che elevino l’insieme dei militanti del partito. Un comunista che padroneggi la teoria marxista, con una visione chiara del processo storico, è capace di agire meglio nella sua attività militante, con maggiore iniziativa e creatività nella risposta ai problemi posti dalla lotta, la costruzione del Partito e il suo legame con le masse. Occorre leggere, studiare, visitare e rivisitare l’opera di Lenin. Per tutti coloro che si iniziano alla conoscenza della sua opera, o ad apprendere contatti con i principi fondamentali del marxismo-leninismo, la collezione di articoli di Lenin “Karl Marx e lo sviluppo storico del marxismo” pubblicata dalle edizioni “Avante!”2 può costituire un buon punto di inizio. Conoscere e far conoscere questo meraviglioso libro di volgarizzazione marxista è anche un modo di rendere omaggio al dirigente immortale comunista internazionale in occasione del 140° anniversario della nascita. la CULTURA MILITARista entra all’ 10 - l’inchiostro rosso L’esercito spiegato agli studenti... L’università a disposizione dello Stato Maggiore Generale dell’Armata svizzera Massimiliano Ay “Nel cuore della Svizzera...”. No, non è un prospetto turistico, ma l’inizio delle indicazioni per recarsi al Gst S di Kriens. Cosa sia il Gst S fino a poco tempo fa non lo sapevo nemmeno io, ma quando in Svizzera si incontrano sigle del genere (e senza punti fra le lettere) si ha per forza a che fare con la grammatica adattata ai militari. La sigla sta per Generalstabsschule. Già, sono tornato ...nell’esercito! Nel luglio di nove anni fa avevo sperato che, voltando le spalle alla piazza d’armi di La Poya, con quei pochi giorni di scuola reclute assolti finisse per sempre ogni mio legame con la milizia. Mi sbagliavo... adesso, tanto per racimolare qualche credito (si perché ormai anche la scuola è una compravendita di nozioni dove le lezioni vengono “retribuite” con dei crediti), mi iscrivo a un seminario speciale offerto dall’Università: “Vecchi e nuovi conflitti nella prospettiva delle relazioni internazionali”. La cosa sembra interessante e adatta a un curricolo di scienze sociali e politiche... Poi mi arriva però il programma definitivo e la cosa diventa un po’ meno idilliaca: “Limiti dell’etica”; “Il Darfur: spaventi a non finire”; “Responsabilità di comando”; “I valori nell’esercito”; “ruolo delle forze armate nei conflitti moderni”. Qualcosa non torna... ma basta vedere l’intestazione del corso per capire dove sono andato a parare. Il logo dell’Università è sparito, c’è solo lo scudo svizzero e le famigerate parole che indicano il Dipartimento che fu di Samuel Schmid. Il seminario speciale si svolgerà appunto nel Gst S, ossia la scuola quadri dello Stato Maggiore Generale dell’Esercito. E i relatori? una docente di diritto, una docente di scienze politiche e soltanto ...dieci ufficiali. Uno di essi si chiama Michael Arnold, Colonello dello Stato Maggiore, laureato in geografia e direttore di un ufficio del Dipartimento federale della difesa dal nome poco rassicurante: DOKTRINSTELLE, insomma l’Ufficio preposto alla difesa della ...dottrina. Il primo giorno Se già entrare in un’area militare col soldatino di guardia che ti tratta come se fossi un graduato mi lascia un’impressione strana, entrare nell’edificio fra decine e decine di “Uniformierten” - come dicono loro - mi mette addosso un’angoscia che non vivevo più dai tempi in cui ad essere “uniformiert” ero io. Il seminario non è destinato infatti solo agli studenti, ma anche agli ufficiali. Mi ritrovo così in un ambiente surreale dove campeggia la bandiera nazionale. Alle 7.57 in aula ci sono 11 studenti dispersi fra oltre una trentina di militari. Con il passare del tempo la situazione si fa più equilibrata: mentre i soldati sono fermi in posizione di riposo in piedi dietro la propria sedia, gli studenti entrano scialli approfittando del quindici minuti accademico. Fra i presenti in grigioverde abbiamo un alto ufficiale della Bundeswehr tedesca, cinque ufficiali di milizia e il resto ufficiali professionisti dal grado di capitano in sù. Dietro di me si siede un colonnello ticinese, tanto per farmi sentire più a mio agio. Il seminario inizia con il saluto di un brigadiere che ha studiato teologia, il quale spiega (agli universitari, perché gli altri già lo sanno) cosa sia la scuola quadri, come è formata, di quali offerte didattiche dispone... insomma pensavo di seguire un seminario di scienze politiche, mi ritrovo ad una presentazione su uno edificio che avrei fatto a meno di visitare. Poi l’alto ufficiale esalta il sistema di milizia, ed arriva ad esclamare una frase che politicamente - in un ambiente normale - porrebbe qualche problema: “abbiamo imparato il mestiere all’estero!”. La costituzione federale vieta il servizio mercenario, ma evidentemente i quadri dell’esercito lo considerano come un valido passato. Il brigadiere non si ferma: “In Svizzera c’è libertà!” - caspita! - e con un’espressione facciale non proprio rassicurante: “possiamo anche votare di abolire l’esercito come abbiamo già fatto due volte”. Un docente di filosofia (che mette in chiaro di essere per un esercito professionista) inizia a questo punto a fare la sua relazione tirando in ballo Tucidide, Platone, poi Kant, Hobbes fino al cosiddetto “neomarxismo” di Habermas. E’ la parte più interessante, più significativa e anche più critica. Ma i soldati dimostrano una ristrettezza mentale incredibile e dalla filosofia riescono a porre domande sul perché i civili non capiscano che le pallottole dum-dum siano una buona cosa per la sicurezza. Il capo della dottrina dell’esercito prende la parola e pronuncia qualche chicca che nella loro assurdità e nel loro semplicismo ben dimostrano il livello di banalità che la propaganda ha raggiunto (sintomo che l’alienazione è totale): “le regioni come il Kosovo hanno bisogno dei militari esteri che danno speranza ai bambini affamati”. Sconvolgente! Poi dimenticandosi della laicità dell’esercito tira fuori una rivista di un gruppo missionario e loda l’intervento delle missioni cattoliche in Africa che portano sviluppo (glom!). Parla del conflitto nel Darfour e naturalmente la morale della favola è: i cinesi sono responsabili di tutti i mali del mondo. Gli imperialisti invece, loro no, anzi, chi sono? Com’è strana la libertà accademica nelle scuole militari della neutrale Svizzera! E poi ecco il relatore più brillante, l’idiota di materia, uno storico d’altri tempi che sbraita una conferenza sulla storia del diritto internazionale di guerra. Mi ricorda tanto un mio ufficiale, il primo giorno di servizio, non l’ho mai sentito parlare normalmente: sbraitava anche quando taceva! Il secondo tragico giorno Il mattino seguente, sabato, l’esercito ci convoca nuovamente al secondo piano del Gst S. L’orario è fuori da ogni abitudine di noi studenti delle scienze umane abituati a orari comodi e mi riporta la mente a giorni infausti di molti anni prima: la lezione inizia puntualissima a Kriens alle ore 7.45 e senza il quarto d’ora accademico. I militari sono già lì, gli studenti si trascinano dalla fermata del bus alla caserma. Questo secondo giorno è in mano completamente ai militari: i relatori sono tutti ufficiali e il programma fa parte della formazione specifica degli ufficiali di carriera. Gli studenti sono lì solo come soprammobili per far vedere loro quanto è bello l’esercito. Dal politecnico di Zurigo (che si occupa di costruire i vertici della nostra armata) arriva un maggiore della milizia che dopo aver lavorato nel settore bancario negli USA (proprio la gente migliore!) ora insegna all’accademia militare. Ecco la prima affermazione: “L’esercito funziona benissimo, non è mai successo niente alle ambasciate, in Kosovo, all’ONU, ecc.”. Come dire? un senso della realtà degno di un bambino o di un bugiardo. Poi spiega come guidare i subalterni e come trattare le reclute. Come è fatto un buon ufficiale? Risposta: “Tutti noi diciamo qualche bugia, e tutti noi un po’ truffiamo gli altri” - belle frasi per un seminario sull’etica nel conflitto! - e continua: “nelle prime tre settimane di scuola reclute non bisogna giocare troppo sull’autoritarismo altrimenti demotiviamo i ragazzi, bisogna far credere loro che l’esercito funziona con altri metodi”. Ecco una bella lezione di moralità: come truffare le reclute! E un comandante, invece, come deve essere? “Il comandante è come un venditore: deve convincere a com- università di lucerna: evviva !!! l’inchiostro rosso - 11 prare” e “la moralità si limita nel vendere qualcosa ad un prezzo onesto”. A tutto c’è un limite, queste fesserie le raccontino a chi accetta di farsi omologare, non a liberi studenti: mi rifiuto di continuare ad ascoltare! sorio. Il messaggio più toccante arriva più tardi: “Un abitante del Ruhanda mi ha detto - continua il tenente colonnello - che noi svizzeri siamo stati la luce della civilizzazione” (Urka!). E per poco non si commuove... Notiamo che il nostro esercito ha ufficiali che ragionano come conquistadores del ‘500, e credono di civilizzare il mondo con eroici eserciti. Quello che si dimentica spesso di dire è che gli eserciti occidentali si recano in tali luoghi non per chissà quale spirito umanitario da eterni benefattori (le fiabe le si racconta solo ai militari!). Si spostano le truppe per controllare delle zone geopoliticamente importanti dopo che proprio le ingenerenze occidentali hanno fatto scoppiare conflitti fratricidi perché dissanguati e indeboliti quei paesi sono più facilmente assoggettabili. Il nostro eroe non si lascia scappare due parole anche sullo Zimbabwe: l’economia non regge ed è colpa di un pessimo governo. Eh già... guarda caso il “pessimo” governo è antimperialista e ha espulso dal paese i capitalisti occidentali che prima depredavano le risorse affamando gli indigeni, ma questo è un particolare su cui si può soprassedere per gli educatori militari. E poi rabbioso urla: “Robert Mugabe può fare tutto quello che vuole e noi glielo permettiamo!”. Ma è normale che sia così: Mugabe è il presidente dello Zimbabwe, lo ha liberato dal Commonwealth e noi non c’entriamo nulla perché siamo una nazione estera! Uno che pensa diversamente si deve chiamare con il giusto titolo: “colonialista!”. Sono schifato dalla chiara propaganda a favore degli impieghi imperialisti esteri e - incredibile - per finire in bellezza interviene il capo della dottrina: “Propongo di ringraziare il dottore con una standing-ovation!”. Nientemeno! Non mi sono conformizzato quando ero sotto le armi, non lo farò di certo ora: non applaudo e resto seduto, l’unico! L’ultimo fatidico giorno Dopo aver scambiato di buon’ora una battuta con un militare ticinese di stanza al Gst S che dice di andare a Carnevale con l’uniforme d’ordinanza, faccio il mio ritorno nell’aula di formazione. Sono uno dei primi civili e gli “Uniformierten” mi salutano... uno di loro ha l’Edelweiss sulle spalline e uno strano senso d’angoscia da caserma mi assale. Il momento clou della giornata sono i gruppi di lavoro misti: uno psicologo dell’Accademia militare del’ETH ci propone delle simulazioni. Sono - proprio io! - un comandante di un commando della nostra gloriosa milizia e sono posto di fronte a gravi problemi in una missione coi caschi blu. A scandalizzarmi non sono i militari, questa volta, ma i civili: nella simulazione molti di loro si trasformano in pazzi guerrafondai che vorrebbero far esplodere ordigni nucleari ogni due metri. Gli “Uniformierten” si dimostrano invece un po’ più diplomatici, io - per compensare - mi metto invece a fare ...Gandhi (e gli altri a strabuzzare gli occhi). Terminata la simuazione ritorna la teoria: il relatore è questa volta un tenente colonello nonché medico che dal 1989 partecipa a missioni “umanitarie” in giro per il mondo. Prorompe con una affermazione che mi fa venire l’orticaria: “Ai tempi del colonialismo c’era ordine!”. Già, anche ai tempi del nazimo c’era ordine! Ma che razza di ragionamento è?! E continua: “noi svizzeri non contiamo niente nell’area NATO perché mandiamo troppe poche truppe nei luoghi che necessitano la pace”. Ora, che il nostro paese non sia parte della NATO non conta, che il nostro paese sia “neutrale” e dovrebbe sviluppare altrimenti il proprio contributo C’è ben poco da concludere “umanitario” pare altrettanto irri- Quello che si può dire con una certa evidenza è come l’esercito, nella necessità di legittimazione, adesso organizza anche corsi universitari per i civili e lo fa regalando crediti con il benestare di una “libertà accademica” che ormai è sparita. E’ un modo per lavorare sulla propria immagine, bypassando le situazioni meno comprensibili delle vita militare: il rapporto fra divisionario e ufficiali-allievi, di fronte a noi civili, ad esempio, è sempre stato privo della formalità del protocollo militare, ma ciò era anche frutto di una tattica, come degli ufficiali ticinesi mi hanno spiegato: nessun attenti, nessuna mano alla tempia, nessun presentarsi al momento di porre domande, ecc. tutto questo per rendere il soldato più vicino allo studente. Insomma: far passare un quadro generale positivo e “normale” a quella che sarà la futura “élite” del paese. Quello che Max Frisch 30 anni fa definiva: “un esercito di padroni della patria, che dice di essere il nostro esercito” deve insomma nuovamente dimostrare di essere il “nostro” esercito e l’università, e in futuro forse la scuola stessa, serve a questo scopo, appunto a “normalizzare” l’anormale. Interessantissimo conoscere le modalità dell’inculcamento delle nozioni dottrinarie agli ufficiali, che sono poi coloro che sono preposti alla formazione delle reclute, quindi di una buona fetta della popolazione di questo paese! La scuola reclute quindi come elemento del controllo sociale soprattutto della gioventù da parte del governo, adattata con formule e scelte anche psicologiche per convincere i giovani coscritti non solo al fatto che “l’esercito paga bene” ma soprattutto che “in fin dei conti non è così drammatico”, costruzione mentale alla base di quella necessità di lealismo e di conformismo su cui si basa il dominio politico. Un altro motivo insomma, per tutti noi, studenti progressisti, per voltare le spalle a questo sistema, rifiutare il servilismo militare, sfruttare ogni spazio legale per rifiutare il servizio e mettere un sassolino nell’ingranaggio che perpetua in eterno questo ordine di cose che dal sistemaesercito raggiunge il sistema politico nel suo complesso. IMPRESSUM “l’Inchiostro rosso”- pubblicazione mensile di critica sociale edita dal Partito Comunista (PC), sezione del Canton Ticino del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL). Abbonamento annuo: Fr. 25.-Sostenitore: Fr. 50.-Estero: EUR 20.-CCP 69-4018-1 Amministrazione: Via Gemmo 5b 6924 Sorengo Tel.: 0919672572 [email protected] Editore responsabile: Partito Comunista [email protected] Direttore: Davide Rossi (Tel.: 0774473522) [email protected] 12 - l’inchiostro rosso LE NOSTRE CASSE SONO SEMPRE IN ROSSO: AIUTA IL NOSTRO MENSILE A CONTINUARE LA SUA OPERA DI CONTROINFORMAZIONE DI SINISTRA! FA CONOSCERE QUESTO GIORNALE E DACCI UNA MANO: VERSANDO L’ABBONAMENTO AL CCP 69-4018-1