Choraliter n.32

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Choraliter n.32
n. 32 - maggio-agosto 2010
n. 32 - maggio-agosto 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
50 cori da tutta Italia
50 cori da tutta Italia
le ragioni
dell’espressione
gilberto bosco
CANTARE
Insieme
insieme per cantare
gorizia
percorsi
italiani
40 concerti
con diversi repertori
1400 partecipanti
1400
partecipanti
40 concerti
con diversi repertori
39º florilege
vocal di tours
un microcosmo
di emozioni
Il programma completo su www.feniarco.it
Comune
di Atrani
Comune
di Baronissi
Comune
di Cava
dei Tirreni
Comune
di Fisciano
Comune
di Minori
Feniarco
Provincia
di Salerno
Comune
di Vallo
della Lucania
a più voci
confronto sulla
vocalità del coro
Associazione
Cori della
Toscana
Anno XI n. 32 - maggio-agosto 2010
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Alvaro Vatri, Paolo Loss,
Vera Marenco, Walter Coppola, Paolo Zaltron,
Giulio Monaco, Dario Tabbia, Piero Caraba,
Sergio Bianchi, Mario Lanaro, Stefano Klamert,
Fabiana Gatti, Simone Scerri, Luisa Antoni,
Rossana Paliaga, Carlo Berlese
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
In copertina: Festival di Primavera 2010
(foto Renato Bianchini)
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
Editoriale
Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un
anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco,
hanno contribuito a dare più informazione, a far
conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il
nostro senso di appartenenza a un movimento
culturale importante?
Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli
apprezzamenti che ci giungono da più parti,
dall’interno della nostra associazione ma anche
dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo
corale. L’attività editoriale e pubblicistica di
Feniarco dimostra che l’amatorialità è una
dimensione giuridico-economica, non un livello
qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse
economiche disponibili.
Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio
alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti,
talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre
ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in
ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui
esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando
che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd.
Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno:
l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sopportare costi che, è facile intuirlo, sono
più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la
quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun
numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le
tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto
incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e recando così un
duro colpo alle associazioni.
I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a
favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne
altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del
Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla
quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco che di musica
c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che
qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde
riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica
d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre.
C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare
sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
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Regione Toscana
6/9 aprile 2011
scuole medie
Provincia di Pistoia
Comune di
Montecatini Terme
13/16 aprile 2011
scuole superiori
Italiafestival
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c
legge 662/96 dci Pordenone
Autorizzazione Tribunale di Pordenone
del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
www.feniarco.it
n. 32 - maggio-agosto 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DossieR
La vocalità del coro
2
l’approccio del direttore alla vocalità
intervista incrociata
5
vocalità e stile
Alvaro Vatri
fragmentA
Vera Marenco
39 ave maria di caccini…
Dossier compositore
Gilberto Bosco
14 le ragioni dell’espressione
intervista a gilberto bosco
Paolo Zaltron
20 Una questione di mestiere e di maestria
la cantata quest’è il giorno
di gilberto bosco
Giulio Monaco
Mario Lanaro
macché caccini!
Attività dell’Associazione
40 un grande festival per giovani voci
Stefano Klamert
43 Cantare insieme o insieme per cantare
il direttore di coro come
gestore di dinamiche relazionali
Fabiana Gatti e Simone Scerri
49 una preziosa fucina per la musica corale
Nova et veterA
24 il teatro prima del teatro
monteverdi e la verità musicale
Dario Tabbia
27 La fuga
Dalla terminologia all’analisi
Piero Caraba
il seminario per giovani compositori di aosta
Luisa Antoni
cronacA
50 l’edizione dei grandi numeri
44º concorso nazionale corale
trofei città di vittorio veneto
52 percorsi italiani
al 49º concorso internazionale Seghizzi
Rossana Paliaga
55 Un microcosmo di emozioni
canto popolare
il 39º florilège vocal di tours
Rossana Paliaga
30 il rapporto tra testo e musica
59 il garda in coro
nell’interpretazione
di un canto popolare
Sergio Bianchi
portrait
36 un’eco tra le valli
Mario Zuccante
INDICE
intervista ad armando corso
Mauro Zuccante
2º concorso internazionale per cori
di voci bianche
61 marco crestani, in memoriam
62
Notizie dalle regioni
Rubriche
66 Discografia&Scaffale
68 Mondocoro
l’approccio
del direttore
alla vocALITà
appro
INTERVISTA INCROCIATA
a cura di Alvaro Vatri
La vocalità di un coro è certamente uno dei fattori che lo identificano, un elemento importante
per definirne la “personalità”, un “connotato” particolare e in qualche modo unico che è il
risultato di un lungo e paziente lavoro di cesello, tanto più pregevole se si considera
l’eterogeneità del “materiale” canoro offerto dai cantori amatoriali. Come il “suono” di
un’orchestra, così la vocalità di un coro identifica e qualifica anche il lavoro e la personalità del
direttore, motivo per cui la conoscenza delle problematiche connesse alla gestione di tale
aspetto è un requisito essenziale nella sua formazione professionale. Ricchissimo è il panorama
delle metodologie e delle esperienze che si offrono alla nostra riflessione, altrettanto variegata e
capillarmente diffusa è l’offerta formativa (corsi, seminari, convegni ecc.) per coloro che sentono
la curiosità prima ancora che l’esigenza di essere adeguatamente in-formati su questa materia.
Per fornire un bandolo della matassa abbiamo sollecitato alcuni direttori a darci alcuni spunti
desumendoli dalle loro significative esperienze. Si tratta di uno scambio di opinioni
necessariamente sintetico e non esaustivo di una materia così complessa e ricca di
dossIER
sfaccettature, ma sicuramente istruttivo e stimolante,
soprattutto perché molti direttori vi vedranno riflesse le
proprie problematiche, in alcuni casi le stesse soluzioni
adottate, gli stessi dubbi o gli stessi punti fermi. Ci auguriamo
pertanto che questa “sventagliata” si arricchisca di altri
apporti e che si possa allargare e approfondire lo scambio di
opinioni.
Tra i direttori interpellati il maestro Fabrizio Barchi ha colto
l’occasione per sviluppare il tema in un articolo sistematico e
dettagliato, che sarà oggetto di una prossima pubblicazione,
dalla cui bozza ci ha autorizzato a desumere i concetti
sintetici funzionali alla nostra mini-inchiesta.
Curi tu stesso la preparazione vocale o ti avvali della
collaborazione di un “preparatore”? (e in questo caso
come lo hai individuato)
Fabrizio Barchi: Agli inizi si è avvalso della collaborazione
di cantanti lirici, poi ha cercato autonomamente la strada
che lo portasse a realizzare un “bel suono corale”. Cura
personalmente la preparazione vocale dei suoi cori.
Franca Floris: «Approdo alla direzione corale con un
diploma di canto artistico che, senza alcun dubbio, mi è
servito nella cura della preparazione vocale del coro ma che è
stato solo il punto di partenza di un percorso lungo, difficile e
non ancora concluso; la frequenza a seminari specifici,
incontri con musicisti che si sono rivelati preziosi nel corso di
questi anni, il continuo studio sulla mia persona, la
sperimentazione costante sui cantori mi aiutano in questo
cammino.»
Mauro Marchetti: «Ho cercato in passato qualcuno che
potesse lavorare vocalmente con i miei cantori ma ho visto
che non funzionava. Seppur con buone capacità vocali e
didattiche ho notato che un insegnante esterno non sempre
raggiunge quel tipo di vocalità che si ha nella testa, che si
immagina per il proprio coro. Cantanti con una “vocalità
corale”, adatta quindi al nostro modo di cantare, reperiti
nell’ambito di solisti di canto cameristico, ma, ripeto, non
hanno mai portato giovamenti al coro.»
Fabiana Noro: «Curo personalmente la vocalità del mio coro e,
solo raramente in occasione di nuovi coristi che non avevano
mai cantato in precedenza, ho interpellato un insegnante di
canto scelto tra i cantanti lirici con cui normalmente
collaboro.»
Silvana Noschese: «Solitamente curo io stessa la
preparazione vocale dedicando un tempo prima delle prove,
durante le prove e fuori dalle prove attraverso incontri
individuali o a sezioni o con tutto il coro. Ciclicamente
facciamo incontri o con una logopedista o con esperti di
vocalità esponenti di metodi diversi.»
3
“curiosità” e sulla “sperimentazione”. Ascolto di tutto,
esperienze personali, sperimentazioni pratiche e analisi dei
risultati.
FF: «Non seguo un metodo preciso, ma ne costruisco uno mio
anzi, nostro, giorno per giorno.»
MM: «Con gli anni si impara molto dall’ascolto. Sì, bisogna
seguire dei corsi, di diversi stili e metodi, e approfondire le
proprie conoscenze in tema di vocalità. Ma credo che dopo
aver fatto tesoro di tutti gli “incontri didattici” bisogna
costruirsi un modello tecnico che si disegni sui propri cantori
e soprattutto sul tipo di repertorio che si va ad affrontare e
che diventa poi una caratteristica personale, un suono
personale, legato al gusto personale, del direttore e del
La vocalità di un coro
è uno dei fattori
che lo identificano.
cantore. Una buona respirazione è alla base di una buona
vocalità e anche di una buona resa vocale senza trascurare
l’importanza che ha anche sulla intonazione. Non sempre
vocalizzare per vocalizzare è utile per una buona vocalità. A volte costruire elementi vocali sui passaggi di una partitura
è molto più utile che usare vocali sparse cantate nella noia e
ripetute meccanicamente. Bisogna sempre trovare quei
sistemi utili al proprio gruppo, non sempre tutto è buono per
tutti.»
FN: «Avendo lavorato moltissimo con cantanti molto bravi e
avendo studiato io stessa con loro, cerco di trasmettere ai
coristi gli elementi di tecnica vocale da me appresi e che non
sono tipici della lirica ma sono basilari per cantare in modo
corretto (giusta respirazione, emissione corretta del suono
ecc).»
SN: «A parte i diversi corsi fatti in Italia (compresi alcuni sul
metodo funzionale) ho seguito una scuola in Francia di
psicofonia che più che un metodo viene definito un percorso
autosperimetale. La psicofonia nasce nel 1960 dagli studi di
Marie Louise Aucher, professoressa di canto e cantante. È la
disciplina che studia le corrispondenze vibratorie tra i suoni e
il corpo per mezzo della voce. La voce è il gesto vitale che
imprime ed esprime l’essere umano su differenti piani:
costituzionale, funzionale e simbolico. La voce è strumento di
armonizzazione del tono vitale, è modello dell’equilibrio
nervoso ed emozionale, è esperienza sonora di
riconoscimento di sé. Lo strumento vocale può diventare un
mezzo utile nella ricerca dell’equilibrio energetico e di
conseguenza psicofisico. Oggi il mio approccio si basa su una
sintesi che deriva dalle diverse esperienze fatte, dei risultati
ottenuti: il rilassamento corporeo come presupposto di un
corretto uso dell’organo vocale; voce e risonanza corporea;
occio
Segui un “metodo” (se sì quale e perché lo hai scelto) o hai
elaborato un “percorso” personale? (in questo caso quali
sono i “fondamentali” su cui ti basi)
FB: Il percorso personale del maestro Barchi si basa sulla
4
Il canto dell’essere: il metodo Wilfart
Il metodo di canto che va sotto il nome di Metodo Wilfart e i cui
principi sono descritti nel libro Il Canto dell’essere, nasce dallo
studio e dall’esperienza del maestro belga Serge Wilfart.
Le idee e le esperienze che tengono incatenato il lettore del libro
girano attorno ad alcuni temi che, a un occidentale, formato alla
cultura scolastica e universitaria tradizionali, possono sembrare
incomprensibili o strani. Si parla infatti di corazza caratteriale del
corpo secondo le teorie dello psicanalista austriaco Wilhelm Reich
e dei suoi seguaci; di analisi energetica del corpo secondo la teoria
indiana dei Chakra; delle teorie mediche cinesi e giapponesi
secondo le quali il centro energetico del corpo risiede nell’addome
(Tan tien per i cinesi, hara per i giapponesi), e altro.
Jacques Deperne, discepolo del maestro zen Taisen Deshimaru,
nella prefazione al libro ci dice: «Tutta l’arte di Serge Wilfart
consiste nel permetterci di ritrovare, o meglio di rivelare, la vera
voce del nostro essere profondo, autentico, attraverso un processo
graduale e globale di ricostruzione». E più avanti: «Il metodo del
nostro autore si basa sul respiro… e insegnando a respirare, nutre
la vita risvegliando forze latenti in noi. Queste forze si
esprimeranno nella bellezza del suono.» Non a caso il maestro
Wilfart cita, nella scarna bibliografia, due testi considerati classici
dai cultori occidentali dello zen: Hara, il centro vitale dell’uomo
secondo lo zen e Lo zen e il tiro con l’arco.
Da dove è partito il lavoro di questo “professore di voce” e quali
sono i passi necessari che egli propone per conquistare una voce
vera e giusta? Individuato il problema, il nostro autore analizza il
divenire della voce dal primo grido del neonato alla voce adulta e
scopre che ogni attentato alla respirazione profonda prima e alla
verticalità della postura poi, sfocia in marcati disturbi psicofisici
che si concretizzano nel formarsi di rigidità nel corpo a vari livelli
impedendo in questo modo la crescita di una sicura e libera
identità vocale. La strada del ricupero vocale che egli propone
passa attraverso il lavoro sul corpo con l’esercizio fisico unito al
suono di alcune formule simili a dei mantra che permettono al
respiro e alla voce di trovare la propria forza e la propria strada.
Una delle formule più usate è quella di ye - yi - yu - ya (non a caso
simile ad Alleluya o Yerushalayim). Un altro dei punti di forza del
suo lavoro è quello di far partire il suono dal basso dell’addome
senza sforzo e per ottenere ciò fa scoprire all’allievo la bellezza di
cantare con il centro di gravità molto basso e senza intervenire con
alcuna intenzione muscolare.
Lo stesso Wilfart pensa così del suo lavoro: «Come si può
ricostruire una voce, un uomo? …esercitando la voce attraverso il
canto in un giusto atteggiamento che richiede al tempo stesso
respirazione addominale, decontrazione di uno schema corporeo
correttamente riallineato e neutralizzazione di ogni interferenza
affettiva e mentale.»
Paolo Loss
Serge Wilfart, Il canto dell’essere, editrice Servitium, Gorle (Bg),
1999 - 2006
http://www.wilfart.fr/it/index2.php
esercizi di rilassamento, di stiramento, di
attivazione muscolare, di distensione di
tonificazione; esercizi di respirazione, di
sviluppo e amplificazione del respiro; vocalizzi
di risveglio e di accomodamento posturale;
attivazione dei diversi “punti del cantore”
(definiti così dalla fondatrice della psicofonia)
attraverso vari tipi di vocalizzi; ascolto delle
risonanze dei suoni emessi. Uno degli obiettivi
è ascoltare la propria voce, la propria voce nel
corpo. Il corpo è uno strumento vibrante prima
ricevente e poi emittente dunque l’ascolto di
suoni “giusti”, il riconoscimento di essi diventa
il presupposto anche per una corretta
emissione. Nel corpo dell’approccio mi avvalgo
anche di un lavoro di “risveglio sensoriale”:
voce e udito, voce e tatto, voce e olfatto…»
Come hai impostato il lavoro sulla vocalità:
a - lavoro individuale o di gruppo (quanto deve
essere numeroso il gruppo perché il lavoro
sia efficace)
b - inserito nelle normali prove (quanto tempo/
percentuale del tempo dedicato alla prova)
c - corso dedicato (durata e strutturazione)
d - altro (descrivere)
FB: Il lavoro sulla vocalità viene svolto all’inizio
della prova. Gli esercizi sono studiati e
approntati dal maestro Barchi per sviluppare la
sensibilità dei suoi cantori, ma anche per
motivare e tenere desta l’attenzione a seconda
della varie fasce d’età con cui lavora.
FF: «Naturalmente utilizzo il lavoro individuale
con i nuovi cantori (come potrei altrimenti
entrare in contatto diretto con loro se non ne
conosco la voce?) e, quando se ne presenta il
bisogno e ne ho l’opportunità, con tutti gli altri,
ma anche il lavoro di gruppo per settori o con
quartetti/quintetti a seconda del repertorio che
il coro sta studiando dà risultati sempre utili ai
fini dell’acquisizione di una omogeneità vocale
corale oltre che interessanti perché permettono
al direttore di capire di quali progressi o
regressi siano capaci i cantori. L’abitudine a
iniziare le prove riscaldando la voce con
l’esecuzione di un salmo o un inno tratti dal
repertorio del canto gregoriano hanno
contribuito, con il tempo, all’acquisizione di una
vocalità ricca e calda oltre che abbastanza
omogenea; le voci che salmodiano si muovono
a loro agio in registri vocali naturali, esercitano
l’ascolto consapevole del vicino e del gruppo
senza preoccuparsi troppo dell’esecuzione
prettamente musicale (cosa più difficile da farsi
quando si esegue un brano di polifonia),
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imparano a fondersi mantenendo ciascuna la propria
personalità e imparano il legato. Il cantare per quartetti,
quintetti, ottetti cambiando gruppo per abituarsi a sentire il
maggior numero di colleghi è un altro esercizio che ha dato
risultati inaspettati e sorprendenti ed è utile per il colore
sonoro ma anche per la rafforzare la sicurezza nei cantori,
anche in quelli più timidi e farli sentire più protagonisti,
responsabili del risultato finale e meno direttore-dipendenti.
La cura della vocalità è sempre inserita nelle prove in maniera
del tutto naturale e a volte può anche diventare
preponderante sullo studio del repertorio in particolar modo
quando non ci sono scadenze immediate. Provo a spiegarmi:
talvolta il repertorio diventa il mezzo per arrivare a ottenere
quell’ideale di suono che ho in mente e non il fine per il quale
si fanno le prove. Nel mio lavoro artigianale, perché di questo
si tratta, dedico un ampio spazio alla cura dell’emissione
vocale, all’intelligibilità del testo proposto dall’autore,
qualsiasi sia la lingua usata. Possedere il testo, recitarlo
anche su una stessa corda, “masticarne” le singole parole, la
lunga gestazione delle consonanti hanno come risultato a
lungo termine brillantezza di suono e un colore che
difficilmente si ottengono usando come ginnastica vocale solo
ripetitivi e talvolta estenuanti vocalizzi.
Nel corso di questi anni abbiamo avuto l’opportunità di
fungere da coro laboratorio in numerosi corsi di vocalità,
interpretazione e direzione corale incontrando persone che,
ognuna con il proprio bagaglio culturale di esperienze diverse
per formazione e provenienza, hanno senz’altro contribuito
alla crescita musicale oltreché umana del coro. In particolare
mi piace ricordare la persona che più di ogni altro con la sua
carica umana, la competenza culturale e lo straordinario
gusto musicale ha maggiormente contribuito alla mia
formazione di direttore di coro: Piergiorgio Righele.»
MM: «Devo ammettere che spesso ho trascurato il “momento
vocalità”, che di solito è all’inizio della prova. Ultimamente
riesco a trovare più spazio all’interno della prova, spesso
lavorando vocalmente sulla frase musicale, sulla battuta. Non
ho mai lavorato sui singoli, il tempo non ci sarebbe. Una
buona cosa sarebbe lavorare sulla sezione e a volte ci siamo
presi del tempo per farlo ma non potrei chiedere un terzo
giorno alla settimana per gli incontri vocali. È già un miracolo
se arrivano 1-2 volte a settimana per le prove regolari!»
FN: «Normalmente inizio le prove con dei vocalizzi mirati a
sviluppare l’estensione, l’agilità e la tenuta del suono (spesso
Il Metodo Feldenkrais
Il Metodo Feldenkrais è un metodo di apprendimento sensomotorio, che prende il nome dallo scienziato, fisico e ingegnere
Moshé Feldenkrais (1904-1984). L’esplorazione del corpo in movimento viene usata come mezzo per accedere alla globalità della
persona, cioè al suo modo di sentire, pensare e agire. È una tecnica che permette di prendere coscienza delle proprie abitudini e
dei limiti che ci auto-imponiamo inconsapevolmente. Sviluppare un “vocabolario” motorio più ricco e differenziato significa poter
abbandonare strade troppo battute o inefficaci. A un livello più profondo la consapevolezza di ciò che facciamo e di come lo
facciamo ci libera da un comportamento compulsivo e ci mette in grado di scegliere.
Il Metodo Feldenkrais si rivolge a tutti coloro che desiderano stare meglio con se stessi, ampliare le proprie risorse e il proprio
modo di muoversi. Inoltre, come tecnica di raffinamento sensomotorio, è di specifico interesse per musicisti, ballerini, atleti, cioè
per chiunque svolga un’attività che esige grande precisione motoria, in quanto permette di rendere un movimento più efficace e
più leggero, con minore impiego di forza.
M. Feldenkrais, Il corpo e il comportamento maturo, sul sesso, l’ansia e la forza di gravità, Roma, Astrolabio, 1996.
M. Feldenkrais, Conoscersi attraverso il movimento, Milano, Celuc libri, 1978.
M. Feldenkrais, Il caso di Nora, un’avventura nella giungla del cervello, Roma, Astrolabio, 1996.
M. Feldenkrais, Le basi del metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori, Roma, Astrolabio, 1991.
M. Feldenkrais, Lezioni di movimento - sentire e sperimentare il metodo Feldenkrais, Milano, Edizioni Mediterranee, 2003.
M. Feldenkrais, L’io potente, uno studio sulla spontaneità e la compulsione, Roma, Astrolabio, 2007.
6
i problemi di intonazione derivano dal fatto di non riuscire a
cantare “sul fiato” e dipendono quindi da mancanza di tecnica
più che di orecchio). All’inizio della prova gli esercizi sono
collettivi. Poi però, lavorando molto spesso con i singoli coristi
nelle prove di sezione, mi soffermo su ognuno di loro ogni
qualvolta vi sia una particolare difficoltà legata a un problema
tecnico. Insisto quindi sul punto preciso nel quale la vocalità è
fonte di problemi, cercando di trovare uno studio mirato a
quella specifica difficoltà.»
SN: «Lavoro individuale o di gruppo: non più di 6 per volta;
inserito nelle normali prove: in un’ora prova di due ore, se
fatto regolarmente almeno 20 minuti per prova; corso
dedicato: due giornate, con lavori individuali, solo voci
femminili, solo voci maschili, a corde, insieme; altro: momenti
di training sul corpo, di ascolto, di lavoro sul parlato.»
Quali sono le difficoltà, le “resistenze”, le problematiche?
FB: All’inizio ci sono resistenze di carattere psicologico, ma poi
arriva al punto che sono gli stessi cantori a voler dedicare il
tempo iniziale delle prove alla vocalità, con esercizi mirati
riguardanti le varie difficoltà dei brani che si accinge a
studiare.
FF: «I problemi sono tanti, vari e spesso in relazione al diverso
repertorio in studio, sono principalmente miei e non sempre
sono in grado di risolverli: questo mi amareggia non poco
perché mi piacerebbe arrivare alle prove con la ricetta giusta,
Il coro è una grande
occasione per
conoscere se stessi.
ma così non è… L’inserimento di giovani voci che nel nostro
coro avviene a cadenza quasi annuale, può per un certo
periodo quasi destabilizzare l’omogeneità vocale
faticosamente conquistata dal gruppo più maturo ma, ma
essendo necessario per il coro (finite le superiori i giovani
cantori si trasferiscono in altre città per frequentare
l’università) i cantori più esperti si armano di pazienza,
accolgono le nuove voci con disponibilità e prova dopo prova,
ripercorrendo insieme la strada già tracciata, si arriva… per poi
ricominciare. Resistenze no, anzi i cantori sopportano con
umana rassegnazione le mie sperimentazioni sulle loro
pazienti ugole… almeno così credo!»
MM: «Non ho mai riscontrato vere e proprie difficoltà. Ci sono
tempi che bisogna rispettare, tempi di apprendimento, di
elasticità vocale, e ognuno ha i suoi. Ovvio che lavorare su
una voce giovane richiede meno tempo, apprende più in fretta
e la si può modellare più facilmente al proprio gusto vocale,
quello che si ha in mente. Non snaturo il suo colore, ma cerco
di dare a ognuno lo stesso metodo, lo stesso sistema. Per una
persona più anziana i tempi sono più larghi, la voce è più
stanca e chiaramente ne risente anche il suono. Ovviamente
stiamo parlando di amatori, di cantori che non hanno avuto
una educazione vocale. Ma la mia politica di reclutamento
oggi prevede solo cantori giovani, questo per dare una
uniformità anche nel suono e nei tempi di apprendimento.»
FN: «Le difficoltà sono quelle legate a ogni coro formato da
amatori. Spesso il momento dei vocalizzi non è certo quello
preferito, ma solitamente si riesce comunque a lavorare con
positività. Ho notato che i miei coristi affrontano meglio il
lavoro vocale fatto direttamente su un particolare problema
tecnico precisamente individuato (ad esempio un acuto
stridulo oppure una vocale troppo “indietro” nell’ambito di una
frase musicale) piuttosto che una serie troppo lunga di
vocalizzi.»
SN: «Il cantore spesso ha difficoltà a mettersi in gioco
individualmente; investe poco e poco tempo sulla propria
voce; solo se incentivato sceglie di seguire percorsi di
logopedia o di lavoro individuale, spesso ha problemi di
tempo.»
Hai un “ideale vocale” o una “vocalità ideale”?
FB: Negli anni il suo gusto vocale si è un po’ modificato,
ritiene comunque la scuola inglese sempre eccellente per la
facilità con la quale emettono suoni belli, acuti mai forzati.
FF: «Non so rispondere a questa domanda, ma so che mi
piace sentire un suono morbido, chiaro ma non schiarito, che
dia il giusto risalto al testo e che sia rispettoso delle
peculiarità dei singoli, rispettoso del carattere dei cantori, che
dia all’ascoltatore la sensazione che la voce venga fuori con
7
naturalezza e faccia percepire il coinvolgimento totale del coro
e del direttore all’esecuzione.»
MM: «Ognuno dovrebbe avere un ideale vocale, guai se non
fosse così. Tutti noi abbiamo dei modelli di coro che abbiamo
seguito in concerti, nei cd. Si hanno degli esempi che si cerca
di seguire, ma poi si cade nella consapevolezza che quel tipo
di cantori noi non li abbiamo (qui apriremmo un discorso
troppo ampio che riguarda gli studenti di canto, i conservatori,
gli insegnanti di canto ecc.). Meglio quindi basarsi sui propri
gusti personali, sui propri cantori e cercare di arrivare a un
modello proprio, che abbia caratteristiche proprie, bisogna
cercare di ottenere “musica” dalla vocalità del proprio coro.
Una buona vocalità se non indirizzata nella sensibilità
musicale difficilmente coinvolge chi ascolta. Molti cori hanno
buone vocalità ma trasmettono poco. Il rispetto per chi ascolta
è alla base del proprio lavoro di musicista.»
FN: «La mia vocalità ideale è quella in cui vi è una totale
uniformità di colori e di timbri tra le varie sezioni. Amo la
morbidezza del suono, in cui gli acuti hanno la stessa
pastosità dei suoni gravi, seppure mantenendo la loro
brillantezza. Per ottenere questa morbidezza nella vocalità,
cerco e cercherò sempre di esaltare le singole qualità vocali di
ogni corista, dal più bravo al meno bravo, affinché ognuno di
loro possa diventare un tasto migliore di quella unica
meravigliosa tastiera “strumentale” chiamata coro.»
SN: « Sì anche se a volte questo potrebbe diventare un
limite. Ci si costruisce una propria idea di suono. La
vocalità, l’emissione vocale dal mio punto di vista più che
un risultato tecnico deve essere il frutto di un lavoro di
consapevolezza che il cantore fa a partire da se stesso. Per questa ragione il coro è una grande occasione per
conoscere se stessi, i propri punti di forza e di debolezza
attraverso la conoscenza del proprio personale strumento,
la voce. Attuare percorsi che aiutino a ottenerne una
corretta emissione fa sì che si possano raggiungere diverse
obbiettivi, avere un coro di persone ben individuate che
cantano sapendo quello fanno, provando piacere in quello
che fanno e proponendo con gioia il frutto del proprio
lavoro. Insieme scoprire e sperimentare il piacere di cantare
in gruppo…“libera-mente”. »
Il metodo funzionale
Il metodo si rivolge a tutti gli operatori che si interessano al
suono: cantanti, strumentisti, attori; ma anche a quanti lavorano
usando spesso la voce, come insegnanti, addetti alla comunicazione, professionisti legali e tutti coloro che vogliono entrare in un
contatto migliore con se stessi.
La sua pedagogia si dedica alla funzione vocale attraverso
stimolazioni e non tramite la più comune manipolazione degli
organi fonatori. In questo scenario è il suono stesso a indicare al
cantante e allo strumentista le modalità del proprio sviluppo.
Ideato da Gisela Rohmert, il metodo prese le mosse da studi
compiuti presso l’Istituto di Ergonomia dell’Università Tecnica di
Darmstadt, dove nel 1979-80 vennero condotti approfonditi studi
sull’impegno fisico e psichico sostenuto dal cantante durante una
prestazione artistica.
Nel 1982 Gisela Rohmert e l’ingegnere Walter Rohmert fondarono
in Germania Lichtenberger® Institut für angewandte Stimmphysiologie (Istituto di fisiologia vocale applicata di Lichtenberg) per
sperimentare, nella prassi del canto, nella pedagogia della voce e
nella didattica degli strumenti, i risultati di questa ricerca
scientifica. In tale contesto si formò un gruppo di lavoro interdisciplinare (ergonomi, ingegneri, foniatri, otorinolaringoiatri, fisici
acustici, informatici, insegnanti di musica, terapeuti corporei,
cantanti, strumentisti) che attraverso molteplici metodologie di
misurazione fisiologica, psicologica, acustica, analizzò la funzione
della voce cantata.
Lo studio si incentrò, nella prima fase, sulle problematiche
ergonomiche del corpo. Successivamente, con un ampio lavoro di
misurazione fisiologica e acustica, sono state trovate connessioni
tra corpo e voce, che hanno portato ad approfondire le tecniche
corporee (in relazione anche a metodi come Feldenkrais, Alexan-
der, Eutonia, Gindler ecc.). Sono stati inoltre applicati i risultati
delle ricerche sul cervello umano (es. Pribram, Eccles) e non
ultimo si è tenuto conto delle leggi elaborate dalla Sinergetica (H. Haken), tentando di determinare la loro influenza sul suono
vocale.
Nel corso del tempo, rapportandosi alle conoscenze della
sinergetica (la scienza che approfondisce l’auto-organizzazione
della struttura indipendentemente dai singoli elementi), il campo
della comprensione della voce e della pedagogia della musica si è
ampliato enormemente e ha condotto a una nuova comprensione
del suono. Questa nuova pedagogia sviluppa dunque la percezione di tutti gli aspetti del suono. È la percezione del suono-corpoenergia che ne regola la trasformazione, e non un principio
motorio-muscolare a comandarla.
Questo nuovo tipo di comprensione della funzione vocale mette in
grado oggi di postulare le seguenti qualità per una funzione sana
della laringe:
- libertà e leggerezza del cantare;
- grande resa vocale;
- indipendenza dall’età;
- limitazione dell’usura e dell’affaticamento degli organi vocali.
E. Rabine e G. Rohmert, Grundzuge des Funktionalen Stimmtrainings
G. Rohmert, Der Sanger auf dem Weg zum Klang, ora tradotto in
italiano per le edizioni Diastema con il titolo Il cantante in
cammino verso il suono.
www.lichtenberger-institut.de
vocalità
e stile
di Vera Marenco
cantante
e direttrice di coro
voca
Se in musica è vero che ogni epoca, ogni
genere, persino ogni brano richiedono
approcci peculiari a livello di tecnica e di
gusto, come è possibile adeguare la vocalità
di un ensemble o di un coro a diversi stili
musicali? Con lo stesso gruppo si riesce a
interpretare in maniera convincente un
conductus medievale o un gospel, un
madrigale o un coro d’opera, un brano
popolare o uno jazz? Quanto incidono
questioni tecniche o quanto è un fatto di
orecchio e di istinto?
Le idee che espongo nascono da una lunga
esperienza nel settore della musica vocale,
sia come cantante solista e componente del
Ring Around Quartet, sia come maestra di
coro e docente di canto a vari livelli. Ognuno
di questi ruoli mi ha portato a sperimentare
direttamente problemi e difficoltà: dover
garantire esibizioni a un tempo impeccabili e
affascinanti, accontentare le esigenze del
compositore e del pubblico senza dover
annullarsi come interpreti, ottenere un’idea
comune di suono e d’interpretazione da un
gruppo eterogeneo per livello tecnico, età,
estrazione popolare, conoscenze musicali e
ambizioni… A questo aggiungo esperienze
altrettanto formative: l’esplorazione della mia
voce e di quella dei miei allievi, attraverso
percorsi individuali e laboratori non
necessariamente finalizzati a produzione
artistica e l’osservazione dei bambini e del
loro apprendimento senza filtri. I laboratori
sono una vera e propria palestra per
sviluppare un ascolto attento che parte dal
suono ma investe tutta la persona,
arricchendo l’insegnante di sfumature e
strumenti che contribuiscono a formare un
“bagaglio” a cui attingere al momento
opportuno, mentre il lavoro con i bambini, per
i quali eseguire una frase musicale bene o
male presenta lo stesso livello di difficoltà,
offre la possibilità di ottenere risultati
meravigliosi se si porge loro un esempio
corretto e completo fin dal primo istante.
Le premesse sono molte perché credo che
l’argomento sia ricco e complesso, e vada
affrontato da più punti di vista: quello del
singolo cantante alle prese con diversi
repertori, quello del direttore di coro, a vari
livelli, e infine quello dei piccoli gruppi vocali
stabili, per i quali il discorso è ancor più
delicato.
Buon orecchio e libertà di emissione sono
requisiti fondamentali per gestire le differenze
di vocalità a seconda del repertorio esplorato.
Quasi tutti ne siamo dotati fin dall’infanzia,
poi, per vari motivi, ne perdiamo in parte
9
l’uso: ciò nonostante per cantare bene non dovrebbe essere un grosso problema ritrovare da
adulti quella naturalezza e ripartire da lì, piuttosto che da tecniche imposte. Cantare in pubblico
a un livello professionale significa intonare, articolare, fraseggiare, respirare, sostenere,
controllare con massima concentrazione rimanendo però rilassati: quasi impossibile se pensiamo
che l’uomo, per la concentrazione o l’ansia della prestazione, si contrae. Vincere questo riflesso
potentissimo richiede tempo, ore di studio e maturazione personale, ma se osserviamo quelle
persone che cantano “per natura”, senza aver studiato, con musicalità squisita e perfetta,
dovremmo prendere atto che se c’è un lavoro da fare è soprattutto nel rimuovere blocchi e
recuperare naturalezza.
Senza dilungarmi sulle mie idee in proposito,
voglio solo ricordare che le tecniche di canto
sono molte e assai diverse tra loro, e possono
essere compatibili, con alcune eccezioni, se
costruite sulla base di una decostrizione laringea
e di una raggiunta capacità di rilassare corpo e
mente nell’atto fonatorio: cosa che tutti, anche i
dilettanti o le voci non coltivate, possono realizzare in determinate condizioni psico-fisicoemotive, spesso inconsciamente, ma che con uno studio serio e piacevole sul proprio sistema di
controllo si possono riprodurre consapevolmente. Oltre a duttilità e assenza di tensioni a livello
laringeo e corporeo, occorre raggiungere una totale libertà dai meccanismi di controllo estetico,
spesso veri antagonisti a una vocalità spontanea. Il lavoro è introspettivo e richiede tempo e
buon rapporto con un insegnante che diventa quasi un terapeuta. Chi ha la fortuna di compiere
un percorso del genere e di raggiungere la libertà vocale può divertirsi a cantare di tutto… In
alternativa ci si dota di una tecnica fissa che diventa un appiglio sicuro, ma che non sempre
consente adattamenti a stili e repertori diversi.
Inoltre è indispensabile partire sempre dalla musica anziché dalla tecnica: le sfumature che ci
permettono di avvicinare questo o quello stile le percepiamo a orecchio e le riproduciamo a
istinto: può esserci poi la necessità di allenare il nostro strumento a un tipo di suono, a un
passaggio, a una diversa emissione, ma normalmente siamo già capaci di trovare in noi stessi il
modo di gestire le differenze. Orecchie aperte sui suoni, sul mondo, sugli altri, ci portano a
catturare ogni singola sfumatura e di selezionarla per poi imitarla o respingerla.
Per un cantante quindi la capacità di destreggiarsi rendendosi credibile in più stili dipende da un
percorso personale incentrato su curiosità e capacità di ascolto, supportato dalla conoscenza
profonda dei meccanismi di controllo psico-acustico e delle grandi potenzialità che ogni voce
possiede, il tutto inquadrato in una tecnica base di decostrizione laringea e di esplorazione delle
risonanze. Non è affatto poco!
Se però adottiamo come punto di partenza ciò che considero la base del fare musica, ovvero
che il canto, il suono e la musica legata al repertorio vocale e corale sono fatti fisici, materiali,
corporei, e per questo istintivi, alla portata di tutti, in certo modo “facili” e, ancor più
importante, precedenti la loro codifica attraverso la/una scrittura, possiamo avere fiducia nelle
nostre capacità di avvicinarci al risultato desiderato.
Lo spartito che utilizziamo per imparare un brano musicale, il cui valore risiede nell’avere fissato
mediante una codifica visiva fenomeni fisici che di fatto sfuggono, da utile strumento può
diventare un ostacolo al fluire della vena interpretativa, specie quando si sposta l’attenzione
sulla pagina scritta piuttosto che sulla musica che vi è riportata. La musica non è nello spartito,
ma vive al di là di esso: dallo spartito dobbiamo prendere tutti gli spunti necessari ma non
dobbiamo fermarci alla sola corretta lettura. Gli spartiti non sono tutti uguali, anche e
soprattutto nella loro funzione, e non chiedono di essere eseguiti allo stesso modo emettendo
suoni con intonazione e misura del tempo. Ogni spartito nasconde e riporta un mondo sonoro,
legato alla consuetudine di un momento e di un luogo, ad abitudini, convenzioni, strumenti in
uso. Per trovare la vocalità adeguata a uno stile occorre saper leggere il messaggio musicale di
cui lo spartito è mera riduzione, canovaccio, e cercare nel proprio bagaglio di potenziali suoni il
giusto timbro, l’ingrediente, il “cuore” con cui ridare vita, rinnovare la pagina scritta in una
interpretazione personale ma coerente con l’ambiente e il momento creativo da cui è scaturita.
Occorre aprire una parentesi per distinguere il repertorio che esisteva prima e che esiste
È indispensabile partire
sempre dalla musica anziché
dalla tecnica.
alità
10
La Tecnica Alexander
La Tecnica Alexander non è una tecnica vocale in senso stretto, quanto un metodo
per accrescere la consapevolezza di sé. Scopo del metodo è ritrovare quel
comportamento motorio corretto per cui l’uomo è naturalmente predisposto, ma
che si è andato perdendo nel corso della vita a causa delle pressioni emotive e
fisiche a cui siamo costantemente sottoposti. Si tratta quindi di una disciplina che
riguarda la postura e il rilassamento nel loro insieme.
Se si tiene conto che la Tecnica Alexander è nata alla fine dell’Ottocento per
risolvere i problemi vocali del suo ideatore, il giovane Frederick Matthias Alexander
(1869 - 1955), attore teatrale alle prese con una penosa esperienza personale di
“attore disfonico”, si capisce quanto sia stato importante l’aver intuito il rapporto
di causa effetto fra le abitudini posturali e motorie scorrette e le patologie vocali
conseguenti.
Finalità del metodo è quindi quella di eliminare ogni elemento superfluo
nell’esecuzione del movimento, anche di quello implicato nella fonazione e nel
canto, ripristinando e ritornando a una naturalità motoria perduta.
Questo avviene attraverso delle lezioni individuali in cui il soggetto è guidato dalle
mani dell’insegnante (delicata manipolazione delle masse muscolari) e da istruzioni
verbali al fine di accrescere la consapevolezza corporea e imparare a distinguere le
tensioni necessarie da quelle inutili e dannose.
Pur avendo un campo di applicazione molto ampio, nell’ambito del canto la Tecnica
Alexander si occupa degli aspetti posturali e delle abitudini motorie che
determinano le caratteristiche della voce e dello sforzo che si rende necessario per
emetterla. Il metodo si occupa inoltre dei problemi vocali che spesso sono correlati
a irrigidimenti e a tensioni che inibiscono il corretto e naturale funzionamento degli
organi vocali stessi.
Paolo Frigoli, insegnante di Tecnica Alexander, scrive a proposito delle relazioni fra
canto e metodo: «...Il sostegno elastico del tronco che si ottiene con la Tecnica
Alexander libera il movimento naturale della gabbia toracica e permette alla
respirazione di rispondere alle richieste vocali attivando, senza forzature, i
meccanismi di controllo del fiato. Con un migliore rapporto tra la testa, il collo e il
tronco, la laringe compie più liberamente i movimenti necessari alla produzione del
suono. L’articolazione e la modulazione dei suoni nel tratto vocale migliorano
grazie al rilasciamento consapevole delle tensioni non necessarie. Tutto il corpo
partecipa alla produzione vocale in modo armonioso.»
Gli insegnanti si formano frequentando un corso triennale riconosciuto dalla STAT (The Society of Teachers of the Alexander Technique), la Società degli Insegnanti di
Tecnica Alexander, di Londra, o da una società affiliata.
Efisio Blanc
In italiano, oltre ad articoli apparsi su vari quotidiani e riviste, sono stati pubblicati
i seguenti volumi:
Frederick Matthias Alexander, Il controllo cosciente e costruttivo di se stessi, Casa
Editrice Astrolabio, 1994 (1ª ed. 1923)
Frederick Matthias Alexander, La Tecnica Alexander, Scritti scelti e introdotti da
Edward Maisel, Casa Editrice Astrolabio, 1998 (1ª ed. 1967)
Wilfred Barlow, Il principio di Alexander, Celuc Libri, 1981 (1ª ed. 1973)
Sarah Barker, Metodo Alexander, Edizioni Red., 1982 (1ª ed. 1978)
Richard Brennan, La Tecnica Alexander, Armenia, 1994 (1ª ed. 1992)
John Gray, Guida alla Tecnica Alexander, Ed. Mediterranee, 1995 (1ª ed. 1990)
Ailsa Masterton, Metodo Alexander per vivere bene, Piccole Guide, Armenia, 1999
(1ª ed. 1998)
Walter Carrington, Imparando a dire no, Mornum Time Press, California, 2005
dossIER
indipendentemente dalla scrittura da quello che è stato
concepito espressamente come atto compositivo, non sempre
con piena consapevolezza di quale ingrediente sonoro fosse
richiesto per la sua migliore realizzazione. A seconda che una
pagina appartenga all’uno o all’altro tipo di repertorio il nostro
approccio deve tenerne conto, non solo nel senso di “rispettare
il gusto di un’epoca o di uno stile”, ma andando alle sue
origini, alla pre-scrittura. Nel caso di un repertorio antico
occorre cercare di trarre dalle fonti manoscritte la maggiore
quantità d’informazioni sulla prassi esecutiva, con la musica
popolare è bene provare a immaginare il sapore di una
vocalità dalle tracce che ne restano in chi ne ha memoria,
mentre quando si ha a che fare con una pagina d’autore le
suggestioni scaturiscono dall’immaginare il contesto, i suoni
degli strumenti accompagnatori, gli ambienti e le occasioni
per cui quella data musica era stata scritta.
Prendiamo il caso del repertorio medievale e
quattrocentesco: un ambito poco frequentato, forse per la
difficoltà d’approccio o per la scarsità d’indicazioni precise,
che obbligano il maestro ad approfondire e sperimentare.
Questo repertorio affascina solo se cantato con una vocalità
libera, generosa, aperta, in una parola “giusta”; altrimenti
rischia di perdere significato e divenire addirittura noioso. Per
capire come cantare si esamini la scrittura: la necessità del
suono generoso di un bordone, l’abbinamento a strumenti che
erano impiegati a sostegno delle voci, la liquidità di un
Ring Around Quartet
melisma, la chiarezza della pronuncia perché le diverse vocali
facciano brillare nell’aria gli armonici. Questo è davvero il
mondo dove il suono inteso come materia fisica è sovrano, e
dove i procedimenti compositivi sfruttano appieno le leggi
fisiche della sua produzione e propagazione. Se viene a
mancare l’ingrediente del suono, nel nostro caso il corpo della
voce nella sua interezza (intonazione, timbro, direzione,
pronuncia), si perde gran parte del fascino di questo
repertorio.
Chi si misura con questa sfida si rende presto conto di come
la vocalità corretta sia un elemento indispensabile per dare
senso a un’esecuzione. Alla stessa conclusione si può
giungere percorrendo altre strade: anche nella musica leggera
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o nel jazz è indispensabile trovare un modo di rendere la voce
adatta a ciò che si sta cantando, anche se la maggiore facilità
di fruizione, la piacevolezza di una melodia possono trarre in
inganno e indurre a lasciar correre. In musica il Trecento e il
Quattrocento non ammettono mezze misure, mentre le
epoche successive non sempre hanno tenuto conto della
sovranità del suono-materia sugli altri aspetti, a partire dalla
necessità di rinunciare all’intonazione naturale per ampliare il
panorama degli strumenti da affiancare al canto, arrivando a
chiedere alla voce di adattarsi alle più disparate situazioni
La musica
non è nello spartito,
ma vive al di là di esso.
intonative e acustiche, fino al paradosso di scrivere
composizioni per voce e strumenti che risultano antitetiche al
cantare.
Tra i compositori contemporanei solo alcuni conoscono a
fondo il circuito orecchio-voce e la storia della vocalità, la
maggior parte segue principi guida diversi e ignora l’essenza
stessa dello strumento per cui scrive. Quando è richiesto
insistentemente di intonare certi intervalli o accordi in ambiti
armonici o tonali scomodi, mettendo in difficoltà gli esecutori
e procurando fastidio agli ascoltatori, alla musica si
sostituisce un’esibizione d’abilità, talvolta ulteriormente
mascherata con richieste di una particolare vocalità “imposta”
dall’esterno… ma la musica “non abita là”.
Un direttore di coro deve essere in grado innanzitutto di
capire quale vocalità sia appropriata a un certo brano, quindi
realizzarla con i propri coristi. Superata la fase in cui
l’esplorazione dei vari linguaggi musicali porta a prendere
atto della complessità dell’argomento, credo che la scelta più
seria e responsabile sia impegnarsi a capire lo spartito. Segue
poi la difficoltà di insegnare ai coristi a realizzare le
differenze. A mio avviso il metodo più efficace è non
disgiungere la vocalità dagli altri aspetti di cui è intrisa una
linea melodica, ma di trasmetterla assieme. L’insegnamento
della musica vocale dovrebbe misurarsi di più con la prassi
della tradizione orale popolare, dove si insegna a memoria,
per dirlo con i francesi par coeur, “con il cuore”. Questo
metodo andrebbe esteso a ogni repertorio perché permette al
corista di cogliere il “fatto musicale” e farlo proprio. È questo
che accade nella fruizione della musica leggera, dove si
imitano le melodie di successo con tanto di timbro, vezzi e
difetti. Il corista “incolto” che si appresta a imparare la
propria linea in un brano di tradizione popolare non distingue
tra melodia, ritmo o timbro richiesto, il suo è un approccio
spontaneo e immediato, come quello del bambino.
Oggi invece si tende a procedere per compartimenti stagni:
prima le note, poi il ritmo, la dizione, e (a parte) la vocalità,
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Il metodo VoiceCraft
Il metodo VoiceCraft è nato dal lavoro della ricercatrice e
cantante americana Jo Estill e si basa sul presupposto che ogni
identità vocale si sviluppa pienamente solo dopo avere acquisito
la chiara consapevolezza dell’anatomia e della funzionalità dello
“strumento voce”. L’idea base del metodo è che lo stile si possa
sviluppare pienamente e liberamente solo una volta che si
conosca lo “strumento”.
Altro presupposto su cui si fonda il metodo è la convinzione che
alcune strutture del meccanismo vocale possono essere
controllate individualmente, indipendentemente l’una dall’altra,
all’interno di due posizioni estreme. La tecnica si basa quindi su
esercizi di addestramento chiamati “figure obbligatorie”, che
mirano al controllo di parti specifiche del meccanismo vocale
nel modo più indipendente possibile.
Secondo l’autrice del metodo non esiste il “bel suono” o il
“brutto suono”. Esiste solo il suono “cattivo” ed è quello che fa
male e che provoca delle tensioni nella laringe. Si tratta quindi
di una tecnica vocale che prescinde da qualsiasi valutazione
estetica o imposizione stilistica: tutti i generi possono essere
accessibili e sperimentabili in egual modo.
Una delle differenze fondamentali del VoiceCraft rispetto ai
metodi di insegnamento vocale più tradizionali è quindi la
fondamentale importanza assegnata all’addestramento
muscolare, nella constatazione che ogni lavoro sui muscoli
coinvolge non solamente quelli direttamente interessati, ma
anche altri. Ecco allora che, se nel metodo classico di canto
quello che si osserva è il fiato, nel metodo VoiceCraft si
studiano ad esempio il controllo delle parti mobili della laringe.
È per questo che il metodo prevede anche degli esercizi che
non comportano l’esecuzione di suoni (silenziosi) nell’intento di
“ascoltare” prima i muscoli coinvolti nella fonazione e poi di
percepire il suono.
Il metodo VoiceCraft suddivide l’approccio allo studio
dell’emissione sonora in tre livelli: controllo indipendente delle
parti fondamentali del meccanismo vocale; qualità fondamentali
della voce, problemi, cause, soluzioni; individuazione delle
molteplici qualità vocali che si possono gestire e riprodurre.
L’obiettivo principale del metodo è quello di rendere l’allievo
consapevole del proprio potenziale e dei propri limiti.
Secondo il metodo, con il controllo indipendente delle strutture
del meccanismo si possono ottenere otto diverse qualità vocali,
intendendo per “qualità vocale” una modalità base di
emissione, con caratteristiche timbriche proprie.
Il metodo VoiceCraft ritiene poi che le lezioni collettive siano più
efficaci rispetto a quelle individuali in quanto consentono ai
singoli partecipanti di sentire con maggior chiarezza le voci degli
altri rispetto alla propria e quindi di imparare ascoltando gli altri.
Efisio Blanc
In italiano:
Franco Fussi, Elisa Turlà, Il trattamento delle disfonie. Una
prospettiva per il metodo Estill VoiceCraft, Omega, 2008
spesso ricorrendo a un insegnante esterno che
viene percepito dai coristi come una sorta di
preparatore, distinto dal direttore. Spesso poi si
cerca di ottenere dal coro un suono “somigliante” a
quello sentito in una certa registrazione imponendo
modifiche innaturali alla libera vocalità:
aggiustamenti, come ad esempio “arrotondare le
A”, o staccare un passaggio in agilità, o esasperare
la pronuncia di certe consonanti. L’allievo crede che
questo sia fare musica e assimila un modo di
cantare “da corista”; un ascoltatore può patire
fisicamente la tensione e la poca naturalezza di chi
canta. Accade sovente di ascoltare esecuzioni che
lasciano a desiderare proprio per la mancanza di
spontaneità, di freschezza nel suono,
indispensabile per rendere la musica viva, per non
annoiare. Le orecchie di chi da decenni pratica
musica corale, se da un lato sono ipersensibili a
cogliere la minima sbavatura nell’intonazione o
nella giusta pasta di un accordo, dall’altro si
entusiasmano sempre meno dinnanzi ad ascolti per
lo più piatti e privi di nerbo soprattutto nell’aspetto
del suono, che in un gruppo vocale o in un coro
deve essere protagonista.
La didattica musicale a compartimenti stagni non
fa parte né della spontaneità delle tradizioni
popolari né della pratica colta: è un surrogato
inventato nei nostri tempi per lo più in ambiti
semi-professionali. I direttori di coro hanno grandi
responsabilità a vari livelli: artistico, didattico,
psico-acustico, estetico, e se è vero che la realtà
corale è preziosa perché ottimo mezzo per
avvicinare alla musica migliaia di persone, è
altrettanto vero che andrebbe gestita da maestri
perfettamente formati e consapevoli. Oggi senza un
direttore è impensabile cantare, ma la gran parte
del repertorio tuttora eseguito dai gruppi corali
originariamente non prevedeva affatto una figura
“esterna”: il controllo del risultato d’assieme era
demandato al buon senso comune e a molte
orecchie attente, ben funzionanti e non “deleganti”.
Un maestro di coro oggi dovrebbe puntare proprio
a risvegliare questo senso perduto.
I piccoli ensembles vocali sono probabilmente la
migliore occasione per mettere in pratica un ascolto
attivo. Spesso i componenti non sono professionisti
ma sono molto più che semplici amatori e riescono
a fare musica in maniera incantevole. Se il gruppo
è stabile, col tempo le voci si compattano e si
ottiene un timbro comune che diviene un tratto
caratteristico. Ognuno, con il proprio contributo
personale, stimola negli altri componenti piccoli
cambiamenti timbrici, rispondenti all’esigenza di
amalgamarsi, e condivide il suo retroterra
d’esperienze musicali. Come conciliare il proprio
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suono peculiare con la versatilità che serve al nostro scopo? Ancora una volta partendo dalla musica. Il Ring Around Quartet,
gruppo vocale del quale faccio parte, nato negli anni ’90 all’interno di un coro giovanile qualunque, senza maestri, senza lezioni
di canto, all’inizio senza solide basi musicali, dopo anni densi d’esperienze varie e diverse, è riuscito a compiere una carriera
professionale in Italia, paese dove non esiste una tradizione consolidata di piccoli ensemble vocali stabili. Il sound del gruppo è
venuto prima, anche temporalmente, rispetto a quello dei singoli cantanti e la matrice non accademica ha permesso di trovare
una forte identità e gestire in autonomia lo studio e il metodo. Nell’affrontare stili ed epoche diverse l’ensemble cerca di
differenziare il tipo di suono soprattutto a livello di emissione (più denso e legato nella polifonia sacra, colorato e consonantico
nel repertorio antico profano, arioso e morbido in certe composizioni di musica leggera…) partendo dal suono della lingua in cui
si canta, ma tutto ciò avviene nel rispetto delle tessiture che mantengono salda la compattezza del suono comune.
Quasi tutti gli ensemble d’alto livello o compiono una scelta univoca sul repertorio o sacrificano altri aspetti. Gli Hilliard hanno
affrontato medioevo, rinascimento e contemporanea senza alcuna modifica nella vocalità, il che può dare adito a qualche critica,
pur riconoscendo loro il merito di essere stati per un periodo molto lungo compatti e perfetti. I King’s Singers, loro colleghi e
rivali, hanno saputo essere più versatili pur non avendo lo stesso impatto sonoro…
In conclusione ribadisco che gli ingredienti indispensabili per gestire la varietà dei repertori e degli stili sono vocalità libera,
orecchie funzionanti, apertura mentale e senso critico, insieme con una conoscenza del repertorio che naturalmente aumenta
con l’esperienza, tutto ciò al servizio di una lettura consapevole dello spartito. Misurarsi con stili differenti è funzionale a
decidere quali valga la pena di approfondire e quali lasciar eseguire ad altri, nel rispetto della propria cultura e dei propri limiti.
Il Metodo Tomatis
L’audio-psico-fonologia è una disciplina scientifica nata dal
lavoro di ricerca del medico e scienziato francese Alfred Tomatis
(1920-2001). Essa trova il suo elemento fondamentale in quella
facoltà propria dell’essere umano chiamata ascolto, che
consente di utilizzare il proprio udito nel modo più completo e
consapevole. Gli studi di Tomatis hanno evidenziato come i vari
ambiti concernenti l’emissione vocale, quello uditivo, quello
neurologico-emozionale e quello foniatrico, siano in realtà
strettamente correlati e strutturati in un ambito di assoluta
consequenzialità. Intorno agli anni Cinquanta elabora una teoria
secondo cui i problemi vocali che non hanno una causa organica
derivano da un ascolto disturbato. Nel 1957 la sua ipotesi
scientifica viene provata sperimentalmente dall’equipe del prof.
Raoul Husson nei laboratori di Fisiologia delle Funzioni alla
Sorbonne di Parigi, e viene certificata come “Effetto Tomatis”.
Le tre leggi che sono alla base della sua teoria si possono così
riassumere:
– la voce contiene solo le frequenze che l’orecchio è in grado
di percepire;
– se l’ascolto viene modificato, si modifica immediatamente e
inconsciamente anche la voce;
– quando la stimolazione uditiva viene mantenuta per un certo
tempo, la fonazione si modifica in modo duraturo.
A sostegno della sua tesi elabora quindi un’apparecchiatura
chiamata “Orecchio Elettronico”, basata su di una serie di
amplificatori, filtri e bascule, che riceve il suono emesso da una
fonte sonora, lo elabora e lo restituisce al soggetto mediante una
speciale cuffia dotata, oltre ai normali auricolari, di un dispositivo
trasduttore della vibrazione ossea. La rieducazione avviene
tramite la “microginnastica” indotta ai muscoli della staffa e del
martello, facenti parte dell’orecchio medio, la cui riacquistata
tonicità permette una migliore “sintonizzazione” sulle frequenze
indispensabili a una corretta emissione. Ciò si realizza sia in
ambito cocleare, con una marcata ricerca delle frequenze acute,
sia in ambito vestibolare, con tutto quello che concerne la
motricità muscolare e la propriocettività corporea. Si mette così
in moto quello che Tomatis chiama il circuito audiovocale, che
impone, in ambito posturale, una spiccata ricerca della verticalità,
una decontrazione dei muscoli diaframmatici e una loro naturale
estensione grazie alla dilatazione della gabbia toracica, un
assetto della testa che permetta alla laringe di trasmettere la
vibrazione alla colonna vertebrale e quindi a tutto il sistema
scheletrico, nella ricerca della voce ossea, dove tutto il corpo
entra in risonanza, con l’ottenimento del massimo risultato con il
minimo sforzo. Tutti gli aspetti tecnici dell’emissione che da
sempre assillano pedagoghi e studenti di canto, con suggestioni
applicative fra loro anche antitetiche, trovano così una fisiologica
spiegazione e la loro naturale attuazione.
Secondo Tomatis la respirazione, i movimenti muscolari laringei,
l’articolazione, la ricerca dell’appoggio e della risonanza, sono
delle funzioni che ci appartengono profondamente. Non
dobbiamo “applicarle”, bensì farle emergere progressivamente
attraverso l’affinamento dell’ascolto e delle controreazioni a
esso legate, esercitando meccanismi innati e liberando le
potenzialità naturali che ognuno possiede. Solo riappropriandosi
della naturalità della propria fisiologia l’essere umano è così in
grado di trasmettere l’autenticità delle emozioni e il messaggio
universale della musica attraverso il canto.
Walter Coppola
A. Tomatis, L’oreille et la vie, Parigi, R. Laffont, 1977, 1990, trad.
it. L’orecchio e la vita, Milano, Baldini e Castoldi, 1992, 1999.
A. Tomatis, L’oreille et la voix, Parigi, R. Laffont, 1987, trad. it.
L’orecchio e la voce, Milano, Baldini e Castoldi, 1993.
le ragioni
dell’espressione
gilber
intervista a gilberto bosco
a cura di Paolo Zaltron
direttore dell’associazione
per le attività musicali degli studenti
universitari del piemonte
Inizierei questa chiacchierata con lei, caro Maestro, chiedendole innanzitutto
qual è il suo rapporto con il coro e con il canto da studente. Ha mai cantato in
un coro?
In realtà ho fatto poche esperienze corali, e quasi esclusivamente nel coro del
conservatorio da allievo. Da esterno mi è capitato di frequentare però,
soprattutto in giovane età, molti cori e di parlare con molti miei compagni e
colleghi che praticavano la direzione di coro. Avendo poi studiato musica corale
ho potuto avere una pratica, per così dire, più interna dell’attività. In queste
occasioni sono rimasto sempre affascinato dall’aspetto umano e collaborativo
del cantare in coro.
compositorE
15
Come è nata la sua voglia di scrivere musica? Qual è stata la “scintilla”?
Quando iniziai a scrivere l’esigenza nacque, soprattutto, da riflessioni sulla musica strumentale. Ero
affascinato dal discorso strumentale e dalle suggestioni del repertorio da Mahler e Schönberg in poi, fino
ovviamente a Stravinskji e, tra gli altri, Berio. Questi autori del ’900 e la loro musica strumentale furono
la principale suggestione che mi spinse a confrontarmi con la composizione. Il rapporto con il testo e
quindi la musica corale, o teatrale, è diventato più importante solo in epoca successiva.
All’inizio ero affascinato dall’aspetto speculativo e architettonico della composizione. Non vorrei che
questa frase fosse interpretata attribuendomi una vicinanza all’avanguardismo e al formalismo di certe
scuole dell’epoca. In realtà questo aspetto, per così dire, strutturalista, lo individuavo già in Mahler e
Schönberg giovane, in autori che avevano cioè mantenuto una forte comunicatività. Non a caso trovai
molto affinità con lo stile di Berio e anche di
Petrassi, con cui ebbi modo di parlare e studiare,
ricevendo da lui degli stimoli che riguardavano
anche la musica corale.
La musica
ha molte similitudini
con l’architettura.
Dal suo catalogo leggo che la prima opera che lei
riconosce è un brano per flauto e pianoforte del
1973. Qual era l’atmosfera musicale di quel periodo
e di quella stagione compositiva?
In quell’epoca c’era per tutti noi, studenti di composizione, la necessità di confrontarsi con l’avanguardia, e
soprattutto con la scuola di Darmstadt, cosa che feci anche io. Anzi, ricordo che volevo andare a studiare
lì, ma ero assolutamente senza soldi. Allora presi qualcuna delle mie primissime partiture e la spedì in
Germania scrivendo una lettera alla direzione della scuola nella quale precisavo che non avevo soldi per
studiare e che scrivevo “quella musica”; loro mi risposero concedendomi una borsa di studio che mi
permise non solo di studiare un anno con i loro maestri ma anche di conoscere molti giovani che hanno
poi frequentato con successo i principali festival internazionali di composizione. Pochissimi anni dopo,
però, alla fine degli anni ’70, mi trovai molto stretto in questa armatura dell’avanguardia e cercai una
strada che recuperasse le ragioni dell’espressione all’interno della composizione musicale. Forse questo mi
permise di riflettere su un tema che divenne per me fondamentale: non tanto la ricerca di “che cosa la
musica esprime?”, bensì se non si possa creare un’espressione altra facendo frizionare ciò che dice un
testo con ciò che dice la musica. Quasi tutti i miei lavori che utilizzano dei testi giocano sulle simpatie e
contrasti tra ciò che dice il testo e ciò che dice la musica. In questo senso il primo lavoro veramente
importante fu la Cantata su un testo di Rimbaud per soprano e orchestra. Da quel momento, che reputo
nel mio percorso compositivo davvero importante, l’interesse verso la musica vocale crebbe notevolmente.
rto
Quando compone quale tecnica segue, da cosa si fa principalmente influenzare e guidare, in particolare
nel caso della musica vocale?
Soprattutto da due cose. La prima è definibile come un approccio emozionale determinato dalle prime
parole di un testo; trassi quest’idea da uno scritto proprio di Schönberg il quale racconta come, nel
musicare un testo di Stephan George, l’impatto con i primi versi (in quel caso: “Sento l’aria di un altro
pianeta”) fu determinante e generò una spinta che gli permise, a suo parere, di comprendere assai
meglio l’intera composizione poetica rispetto a un’eventuale analisi del testo.
Il secondo stimolo, che mi ha sempre molto influenzato, deriva dall’architettura. Io sono convinto che la
musica abbia molte similitudini con questa disciplina, e nei testi con cui mi confronto vedo molta
architettura, a partire dagli spazi bianchi tra un verso e un altro fino, ovviamente, ai rimandi testuali, alle
cesure tra i versi, alla metrica che determina un ritmo tra le parole, anche visivo. La cosa che mi
affascina di un testo, quindi, è la possibilità che intravedo di poterlo inserire in una qualche architettura
musicale e farlo dialogare con essa.
E rispetto a testi non poetici, come ad esempio estratti giornalistici o letteratura in prosa?
Mi è capitato di confrontarmi due volte con questo tipo di testi, in occasione della cantata Quest’è il
giorno scritta per i 600 anni dell’Università di Torino e nella realizzazione del brano Pagine, su testi di
Salvatore Niffoi. Nel primo caso una parte di quei testi derivano da estratti dello statuto albertino, che
ho scelto, ritagliandoli, quasi per ricreare una sorta di “poesia inespressa”. Confesso però che i testi in
prosa mi creano sempre più problemi.
16
Esiste un caso che, forse sarà paradossale citare parlando di
musica vocale, perché pur essendo esclusivamente
strumentale lo considero primariamente come composizione
su un testo. È Fumo e cenere che ho scritto basandomi sulle
e-mail che i cittadini di New York si scambiavano per
l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre. Sono dei testi
terribili: l’unico contatto con il mondo, dato che le linee
telefoniche saltarono in gran parte, furono le e-mail, per tutti
coloro che avevano dei collegamenti wireless. I messaggi che
ho potuto leggere, terribilmente coinvolgenti, avevo ipotizzato
di inserirli facendoli recitare e cantare; alla fine preferì non
utilizzarli se non come Inner Program per un brano che è
rimasto unicamente strumentale, forse perché il testo mi
apparve troppo esplicito e mi turbò troppo.
Ha vissuto, studiato e lavorato in una città che è stata a
lungo la culla della cultura corale e anche della didattica,
grazie alla presenza di maestri quali Roberto Goitre e Sergio
Liberovici. Può ricordare le figure dei due maestri in relazione
alla sua carriera e attività di compositore?
A entrambi devo molto, anche se in modo assai diverso.
Roberto Goitre fu uno straordinario amico e compagno di
conservatorio. Mi parlò del “cantar leggendo” che andava
elaborando in quegli anni e di altri metodi di didattica corale,
che mi influenzarono molto, soprattutto in maniera indiretta.
Mi suggerirono infatti degli approcci a dei tipi di scrittura (non
solo per le voci) differenti. Per esempio stimolandomi a
ricercare, in ogni composizione, una “proprietà di scrittura”.
Scrivere per coro non è molto semplice, a meno che non ci si
dimentichi qual è lo strumento per cui si sta scrivendo. Così
come quando si scrive per strumenti con particolare esigenze
esecutive (penso alla chitarra, o all’arpa, ad esempio), quando
si scrive per un coro bisogna rendersi conto che si dovranno
prevedere, ad esempio, i respiri, i tempi per prendere
determinate intonazioni, e così via. Ricordo un brano per coro
che all’inizio prevede un cluster di 12 note, cosa difficilissima
da realizzare senza nessuna nota di riferimento. Per me
scrivere per coro ha sempre significato il dover confrontare la
mia idea musicale con uno strumento che non realizzerà ogni
cosa che ti passa per la testa e che abbisogna, invece, di una
riflessione tecnica specifica. Questo tipo di riflessioni sono
nate parlando proprio con Roberto.
Con Sergio Liberovici invece ebbi un rapporto molto
stimolante in un ambito che fino ad allora ritenevo del tutto
negato alle mie possibilità, e cioè quello del teatro musicale.
Egli propose a me e ad altri giovani compositori torinesi
un’opera collettiva destinata a un pubblico di bambini, con
evidenti caratteri didattici. Con lui parlai a lungo del genere
teatrale e mi stimolò a fare maggiori, e credo riuscite,
incursioni in esso: proprio le chiacchierate fatte con Sergio mi
tornarono utili quando volli confrontarmi con alcune
composizioni pensate, in qualche modo, per la scena.
Gilberto Bosco___________
Gilberto Bosco (Torino 1946) ha compiuto gli studi musicali a Torino,
frequentando in seguito i Ferienkurse di Darmstadt. Ha insegnato
Composizione presso il conservatorio di Torino e Teoria musicale al Dams
(Università di Torino).
Suoi lavori sono stati premiati in concorsi nazionali e internazionali. Sue
composizioni sono state eseguite in molte sedi di prestigio: dal Teatro alla
Scala al Comunale di Firenze, dalla Rai di Torino e di Roma a Settembre
Musica, dall’Ircam di Parigi alla Fondazione Gulbenkian di Lisbona,
dall’Académie de France à Rome al Cantiere d’Arte di Montepulciano, dal
Campus Internazionale di Musica-Festival Pontino al Festival delle Nazioni di
Città di Castello.
All’interno della sua produzione uno spazio di rilievo hanno lavori in cui si affronta il problema del rapporto con il testo. Dal
Bateau Ivre di Arthur Rimbaud al Cantico del gallo silvestre, cantata terza su testo di Giacomo Leopardi, dalla lontana Dedica
– che utilizza frammenti di Gaspara Stampa – ai più recenti Deja ese sueño – su testo di Rafael Alberti – e in Traume – su una
poesia di Heinrich Heine con cui Schumann costruì uno dei suoi capolavori – il tema di come un testo possa suggerire e
determinare, per simpatie e tradimenti, strutture formali e procedimenti compositivi è stato affrontato in molti modi e sotto
diverse prospettive. Un caso limite è dato da Fumo e cenere in cui il testo (una serie di lettere e di messaggi e-mail scambiati
tra i cittadini di New York l’11 settembre) è assente e costituisce una sorta di “programma nascosto”.
Un’altra serie cui l’autore si è dedicato con continuità negli ultimi anni è quello del confronto-ricostruzione con testi musicali
della grande tradizione. Bach e Gesualdo, Mendelssohn e lo Schumann già citato, hanno prodotto delle “ricomposizioni” molto
lontane dagli originali, eppure forse non del tutto infedeli. La Rai, Radiotre, gli ha commissionato ed eseguito un lavoro,
Grazioso, ispirato a Haendel per il 250° anniversario della morte, da poco eseguito nella stagione del Quirinale.
compositorE
Le sue partiture, che ho avuto modo di conoscere
direttamente, presentano quasi sempre una ampia legenda
per l’esecutore, per cui è importante che lo strumentista
conosca nei dettagli tutte le caratteristiche di emissione
dello strumento. Lo stesso vale per il coro? Che tipo di
scrittura usa?
Per il coro ho usato sempre una scrittura abbastanza
“tradizionale”, che non mi ha costretto a spiegare in maniera
specifica gli effetti che intendevo realizzare. Rispetto a
Luciano Berio, ad esempio, uso il coro e le voci in maniera
assai meno sperimentale. Non sono mai stato tentato da
questa dimensione, anche perché mi sembra che sposterebbe
quell’interesse verso il testo che ho in altre direzioni che mi
sono meno congeniali. Il tipo di scrittura corale che ho usato
nasce innanzitutto dalla frequentazione con Petrassi (che ha
scritto per coro, a mio parere, delle cose davvero
fondamentali), poi dallo studio di partiture di Dallapiccola,
Berio e soprattutto Ligeti. Questi autori mi hanno indotto a
pormi domande molto specifiche sulle caratteristiche della
scrittura per coro: cosa c’è in una scrittura che la rende
assolutamente vocale? Alcune risposte credo di averle trovate
proprio in questi autori.
Questi sono, a suo parere, i compositori che hanno
maggiormente influenzato la musica corale contemporanea?
Direi proprio di sì. Petrassi e Dallapiccola per la generazione
attiva negli anni ’40, e Berio e Ligeti successivamente. Ho
scoperto tardi, però (e grazie a Roberto Goitre) tutta una serie
di autori di musica corale molto interessanti, attivi nell’Europa
dell’Est, i quali spesso trovano delle soluzioni (timbriche ma
anche strutturali) assolutamente straordinarie con metodi
semplicissimi. Si tratta però di una scoperta davvero tardiva e
fino a ora ho provato a inserire soltanto qualche frammento,
di questo interessante vocabolario, nei miei lavori.
Quale possibilità vede per la musica contemporanea
nell’utilizzo del coro? È uno strumento adatto all’esecuzione
della musica “di repertorio” o è adatto a interpretare anche
le esigenze dei compositori di oggi?
Non credo che il coro sia uno “strumento antiquato”; credo
sia soltanto molto difficile insegnare a dei giovani compositori
a usarlo. Torno al discorso sulla proprietà di scrittura fatto
poc’anzi: non è difficilissimo insegnare a scrivere per
quartetto d’archi se noi pensiamo al Quartetto Arditti, o
scrivere per pianoforte e orchestra se immaginiamo che gli
esecutori saranno Pollini e i Berliner! Se noi pensiamo di
scrivere per coro, e desideriamo che il brano possa avere una
qualche speranza di venir eseguito, non possiamo non
conoscere tutta una serie di difficoltà tecniche che
vincoleranno molto la nostra fantasia compositiva. Forse
bisognerebbe incentivare le occasioni di studio e
insegnamento (soprattutto in Italia) di queste tecniche per i
giovani compositori, così che essi sappiano come rendere
sempre estremamente viva la scrittura corale, senza che
risulti terribilmente difficile da eseguire.
17
Lei dice soprattutto in Italia perché ha avuto modo di
verificare che questo è un nostro deficit specifico?
Sì, temo proprio che nel campo della musica corale l’Italia sia
ancora in arretrato rispetto al resto dell’Europa o, ad esempio,
agli Stati Uniti o a Israele, dove ho constato di persona che
esiste una specie di partecipazione alla vita corale che
garantisce la presenza di tanti gruppi amatoriali di ottimo
livello. Ciò rappresenta anche una notevole spinta per la
creatività.
Lei ritiene quindi proficua la collaborazione con realtà corali
amatoriali. Siccome so che ha avuto modo di scrivere sia per
professionisti che per amatori (come nel caso della Corale
Universitaria che dirigo e con la quale ho avuto il piacere di
confrontarmi con la sua musica), quale sono le differenze tra
i due ambiti, a suo parere?
Personalmente ritengo estremamente interessante il livello, per
così dire, “amatoriale alto”, sia nel coro che nella musica da
camera. Senza di esso la vita musicale normale, quella dei
concerti e delle grandi manifestazioni, rimarrà sempre un poco
asfittica poiché le mancherà un rapporto con un pubblico
coinvolto a un qualche livello nella musica stessa. Per quanto
riguarda la mia esperienza professionale confesso di essermi
sempre trovato meglio a lavorare con i cori amatoriali. Il mio
primo brano per coro, Espressivo, mi venne commissionato da
Hans Werner Henze per il coro dell’Università di Cambridge, che
Henze stesso mi chiarì essere un coro amatoriale, seppure di
buon livello. Ho un ricordo davvero bello di quell’esecuzione; i
coristi e il direttore mi trasmisero un entusiasmo e una
partecipazione nel cercare di risolvere i problemi tecnici della
partitura e nell’interpretare il brano che, successivamente, con
cori professionali, avvertì molto di meno. Con ensembles di
professionisti, talvolta l’esecuzione può risultarne accresciuta dal
punto di vista tecnico, ma il calore e la capacità comunicativa
(anche in sede di concerto) ho constatato che spesso viene a
mancare. In questo senso fu veramente una lezione, per me,
scoprire che se si scrive in modo da coinvolgere l’esecutore si
raggiunge uno di quei tipi di espressione che spesso, invece,
nella musica manca. Bisogna, forse, saper toccare il sentimento
intimo dell’esecutore per accrescere la capacità comunicativa di
un’esecuzione, di qualsivoglia brano. Un esecutore, per
definizione, è un professionista in grado di prendere qualsiasi
tipo di musica e risolverlo per eseguirlo. Un amatore, invece,
non riuscirà a risolvere tutti i problemi e ciò crea, in qualche
modo, una frizione bellissima tra la musica scritta sulla carta e il
momento in cui essa viene fatta vivere in concerto.
Se è vero, allora, che esiste un problema di capacità
comunicativa rispetto alla musica contemporanea, lei
pensa che questo percorso, che passa necessariamente
dall’esecutore per arrivare all’ascoltatore, sia uno dei modi
per risolverlo?
Senz’altro. Io credo che la comunicazione col pubblico non si
trovi attraverso il recupero di tecniche compositive antiche,
quanto piuttosto attraverso la capacità (o possibilità) di
18
Composizioni di Gilberto Bosco
Musica vocale con orchestra
Allelujah (1994), per baritono e orchestra (Trani, Incontri di
Musica Sacra Contemporanea, 9.10.1995; bar. A. Stragapede, dir. P. Lepore)
Cantata (1984), per voce e orchestra su frammenti da
A. Rimabud (Torino, teatro Regio, 12.7.1985; sopr. L. Castellani, dir. C. Thielemann)
Quest’è il giorno, cantata seconda (2004), per cori e
orchestra su testo di C. Pavese e da uno statuto
universitario del XVIII secolo (Torino, Teatro Nuovo,
15.6.2004; Cori e orch. dell’Università di Torino,
Corale Universitaria di Torino, direttori dei cori S. Pasteris e P. Zaltron, dir. C. Manzo)
Musica vocale con strumenti
Allelujah (1988), per baritono e strumenti (Lugano,
13.3.1988; Gruppo Musica Insieme, bar. G. Sarti, dir. P. Antonini)
Aria delle carte (Varianti e melodia) (1985), per soprano,
flauto e percussioni su testi di Meilhac e Halevy
(Siena, Settimana Musicale, 5.8.1987; sopr. L. Castellani, Gruppo Octandre)
Cantico del gallo silvestre (2004-05), cantata terza per
due voci femminili, voce recitante e dodici strumenti
su testo di G. Leopardi (Torino, Settembre Musica,
Teatro Carignano, 9.9.2005; sopr. L. Castellani e A. Caiello, voce rec. L. Fontana, dir. A. Tamayo)
Dedica (1982), per soprano, flauto, clarinetto e corno su
testi di Gaspara Stampa (Roma, Teatro Ghione,
17.12.1982)
Deja ese sueño (2008), per soprano, violino, violoncello e
pianoforte su testo di R. Alberti (Napoli, Istituto
Cervantes; sopr. A. Caiello, Ars Trio)
Due liriche (1991), per voce, flauto e pianoforte su testi di
G. Zaccaro (Roma, Festa Musica d’Oggi, 8.4.1991;
Torino, Festival Identità e differenza, 19.10.1996)
‘…Icone del passato’ (2000), tre poesie di Emilio Jona
come un melologo per voce recitante, flauto,
clarinetto in sib, violoncello e percussione (Torino,
Conservatorio, 6.4.2000)
…Im Traume (2007), per voce e pianoforte su testo di
H. Heine (Trani, Incontri di Musica Sacra
Contemporanea, 9.10.1995; Berlino, 29.1.2008; Duo Alterno)
La notte (2009), melologo per voce recitante, 3 voci
femminili, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte
su testo di C. Pavese (Torino, MiTo, 18.9.2009)
Last Blues (2008) per voce, violoncello e pianoforte su
testo di C. Pavese (Torino, MiTo, 18.9.2008)
Lettura (1992), per voce recitante e strumenti su un testo
di Umberto Saba (Rende, Festival, 2.12.1992;
Versione per voce, flauto, clarinetto, tromba, viola e
pianoforte; Terni, 24.1.1999)
O sorrow (2001), per voce e clavicembalo su testo di
A. Tennyson (Roma, Festival di Nuova Consonanza,
17.11.2001; sopr. S. Rigacci, clav. M. de Robertis)
Pagine (2007), per voce recitante e 7 voci cantate su testo
di S. Niffoi (Cagliari, 4.12.2007)
Serenata terza (…O ew’ ge nacht) (1985), per soprano e
strumenti su testo da Il Flauto Magico di Mozart
(Milano, Teatro alla Scala, 21.4.1985; sopr. D. Dorow,
dir. G. Taverna)
Zwei Brecht-Lieder (2005), per voce e pianoforte su testi di
B. Brecht (Manta, S. Maria del Monastero, 11.6.2005;
sopr. L. Campanella, pf. M. Tarenghi)
Coro con o senza strumenti
Espressivo, varianti sull’aria della Follia (1978), per coro a
cappella ovvero sei voci sole, su testi di L. de Argote
y Gongors, C. Smart, F.H. Hölderlin, P.P. Pasolini
(Montepulciano, Cantiere Internazionale d’arte,
3.8.1978; Coro Università di Cambridge, dir. R. Marlow)
Interludio (1985), per coro femminile (ovvero voci bianche)
e strumenti, su testo di J. Von Eichendorff
(Montepulciano, Cantiere Internazionale d’arte,
27.7.1985; Ens. Concentus Politianus, dir. J. Latham-Koenig)
Il mattino, estratto a cappella da “Quest’è il giorno”
(2004), per coro con percussione ad libitum
(Perugia, 16.4.2005)
Teatro musicale
Il gioco delle sorti (2002), azione teatrale per soprano,
attori e strumenti su testo di S. Rebershak (Torino, Piccolo Regio Laboratorio, 6.2.2003; sopr. F. Francalanci, Fiarì Ensemble, dir. M. Solavagione)
Opere radiofoniche
Sogni di sogni (1994), racconto in musica per voce
recitante, baritono e clarinetto basso su testi di
Antonio Tabucchi (Roma, RAI III, 1.11.1994; bar. A. Jona, rec. P. Baldini, clb. R. Parisi)
compositorE
emozionare l’esecutore il quale si farà, a quel punto, perfetto
strumento della propria composizione. Non dipende tanto dal
linguaggio utilizzato, quindi: si potrebbe scrivere con qualsiasi
tecnica delle avanguardie storiche oppure scegliendo di
scrivere con un’armonia classica, purché si persegua questo
obiettivo.
Sarà per una mia predilezione stilistica, ma mi sembra che
queste sue asserzioni richiamino un modello di lavoro tipico
del Rinascimento, per cui il contatto tra chi compone e chi
esegue è alla base della composizione musicale.
È possibile. D’altronde tutta l’epoca dei miei studi musicali fu
percorsa – e sto per dire una banalità – dall’analisi e
dall’ascolto dei grandi maestri del Rinascimento. Li scoprì
soprattutto all’interno del corso di storia della musica che
facevo con Massimo Mila, ma del tutto autonomamente
dall’insegnamento scolastico mi resi conto che dedicare del
tempo a cercare di capire l’arte musicale del Rinascimento era
una continua lezione di composizione, tanto più per me in
quanto mi sembrava soddisfare perfettamente il mio bisogno
di architettura musicale. E forse fu proprio questo lavoro di
analisi della musica vocale del Quattro-Cinquecento che mi
spinse a confrontarmi poi con dei testi poetici in età più
avanzata. “Il bianco e dolce cigno che cantando more”: cosa
ci avrà visto Arcadelt in queste parole? Pormi domande del
genere e confrontarmi con le soluzioni trovate da autori come
Monteverdi, Palestrina o Gesualdo ha sicuramente stimolato
la composizione di musiche corali e vocali.
In base alle sue scelte e alla sua esperienza, quali
caratteristiche ha constatato nell’utilizzo, per le sue
composizioni, del coro a cappella o del coro accompagnato?
A mio parere il coro “solo” è una formazione straordinaria, e
in qualche modo perfetta, come il quartetto d’archi; ha una
sua compiutezza e permette quasi qualunque esperimento e
realizzazione. Se dovessi argomentare per quale motivo forse
non ne sarei capace. Credo però che sia il repertorio che ce lo
dimostra. In realtà io ho preferito, con poche eccezioni, l’uso
del coro con gli strumenti, e ciò per due motivi. Il primo è che
questa scelta mi ha permesso di realizzare dei giochi di echi e
di rimbalzi fra sorgenti sonore diverse che mi è sempre molto
piaciuto, che tra l’altro possono assumere una dimensione
anche spaziale e non solo musicale. In secondo luogo l’uso
degli strumenti permette di appoggiare il coro su uno sfondo
che, in qualche modo, lo fa diventare solista. È, questo, un
tema affascinante che credo abbia stimolato molti miei
colleghi e che, di nuovo, ha una forte valenza architettonica: il
confronto tra la superficie e ciò che gli sta dietro. I brani
musicali devono, secondo me, avere sempre due o tre livelli
di profondità uditiva, come una specie di stereofonia della
profondità, o come se volessimo ottenere, dipingendo un
quadro, una serie di prospettive diverse; è più facile ottenere
questi livelli se dispongo di risorse timbriche e sorgenti del
suono differenti.
19
Esiste, per lei, una predilezione nella scelta degli strumenti
da affiancare al coro?
No; credo davvero che un impasto interessante, secondo le
prospettive di cui raccontavo prima, si possa avere unendo al
coro qualsivoglia tipo di ensemble strumentale: dai fiati agli
strumenti a percussione più svariati. Mi è capitato infatti di
trascrivere degli episodi corali di mie composizioni
ipotizzando notevoli variazioni nell’organico strumentale
previsto in origine; ciascuna variazione mi ha permesso di
aumentare la distanza tra il fronte e lo sfondo, nell’ottica della
ricerca di più livelli di profondità di cui si parlava.
Concluderei questa chiacchierata con lei parlando di didattica
della composizione. Innanzitutto è cambiato il suo modo di
scrivere con l’attività dell’insegnamento?
Devo ammettere di sì. Io, di indole, sono un compositore
solitario, che ama la riflessione astratta e la speculazione
individuale, pur cercando di coniugarla con la comunicazione.
Mi accorsi prestissimo, però, che imparavo molto dai miei
studenti; non tanto suggerendomi delle “soluzioni”
compositive, ma perché ponendomi dei problemi – talvolta, se
vogliamo, banali – mi inducevano a riflettere su delle
questioni per così dire basiche, fondamentali, che spesso mi
hanno aiutato a trovare delle risposte ai problemi che
riguardavano le mie composizioni.
Ha avuto modo di confrontarsi con altre scuole compositive
internazionali sulla scrittura per coro?
Confesso di non essermi mai confrontato molto con altre
scuole compositive, anche perché negli anni in cui studiavo,
subito dopo il conservatorio, frequentai a lungo Petrassi col
quale ebbi modo di discutere a lungo dei miei lavori. Proprio
durante uno di questi incontri mi raccontò che fra i due
atteggiamenti fondamentali di chi insegna composizione – il
trasmettere un metodo ritenendolo il migliore per affrontare i
problemi compositivi ovvero insegnare delle “cose sulla
musica” lasciando all’allievo il modo per risolvere i problemi
– lui perseguiva da sempre il secondo. Il risultato è che i
musicisti che hanno studiato con Petrassi hanno scritto e
possono aver scritto in stili immediatamente differenti, mentre
con altri insegnanti questa diventa un’acquisizione più lenta.
Avendo io sposato questa idea petrassiana, non sono mai
riuscito a interessarmi di didattica compositiva, preferendo
fornire sempre ai miei allievi dei supporti tecnici e
professionali e qualche esempio basato sulla mia esperienza.
Mi capita ascoltando talvolta musiche di miei studenti, di
accorgermi quanto siano diverse dalle mie, come se ognuno
fosse cresciuto esplorando proficuamente il proprio giardino
piuttosto che attingere, imitandolo, a quello degli altri.
20
una questione di mestiere e di maestria
La cantata Quest’è il giorno di Gilberto Bosco
di Giulio Monaco
docente di esercitazioni corali al conservatorio di novara
La musica, diversamente dal linguaggio parlato, è espressione
meno definita, densa di meta-significati, di simbolismi inconsci,
di tensioni inesprimibili. In essa si rivela, maggiormente
evidente, quel legame con la parte profonda di ogni uomo, con
ciò che ne caratterizza il suo essere unico. La musica è
descrizione del divenire di tensioni e distensioni, è arte che più
di ogni altra descrive il “tempo”, ciò che era, è… e sarà: in
sintesi la storia stessa di ogni uomo, dalla nascita alla morte.
Se questa può essere la chiave (una delle chiavi possibili,
beninteso) di lettura della musica, certamente quanto
riportato può riferirsi in parte alla poesia, anche quest’ultima
tesa a descrivere ciò che è celato, piuttosto che la pura
evidenza. Anche nella poesia il problema tra il messaggio
evidente e quello “altro”, risulta questione complessa e
sfuggente, proprio per il continuo intersecarsi tra i vari livelli
di possibile significato.
Questa questione sul problema del “significato”, questa
ricerca sulle possibilità che la comunicazione offre, ha
caratterizzato da sempre le riflessioni degli artisti, dei filosofi
e anche quella di coloro che si sono occupati dei meccanismi
del pensiero. Si può anzi affermare che, proprio da queste
riflessioni, abbia preso l’avvio lo studio della psicoanalisi e di
tutte le discipline connesse.
Laddove la voce comunicante il sentimento si fa canto e
musica, non ci si potrà sottrarre dal constatare che (per usare
le parole di Nietzsche) «la musica è arte dionisiaca e la sua
differenza dalle altre arti (apollinee) è radicale nel senso che,
mentre queste ultime trasfigurano le forme dell’apparenza
(ciò che appare ed è tangibile), la musica si riferisce
all’essenza, la sua voce proviene dal profondo delle cose da
una misteriosa unità originaria.»
È ciò che tanto spaventava Freud, che della musica aveva
timore, considerata da lui tanto vicina all’Es, alle strutture più
arcaiche (rettiliformi) del nostro cervello.
La voce cantata, quando trascende la parola, diventa
“magica” e attiene all’inconscio, sublima il linguaggio verbale,
non ha alcun riferimento immediato alla realtà, non è
significante di un significato, non traduce cose o relazioni tra
cose, non è al servizio di nessuna condotta o codice di
comportamento, è puro linguaggio dell’emozione e il suo
potere simbolico è intimamente legato alla vita affettiva.
Lingua primordiale, che esprime le verità essenziali della vita
e la terribilità del mondo notturno, simbolo archetipo in senso
psicoanalitico, ferro del mestiere dello sciamano, veicolo di
comunicazione elettivo con l’inconoscibile, con Dio…
La musica e il suo più sensibile strumento – la voce cantata – che tentano, insieme, di recuperare tutte quelle
cose vetuste e polverose di cui la mente razionale ha creduto
di poter fare a meno, relegando l’inconscio alla sfera del
linguaggio onirico…
Il canto che diventa, insieme al sogno, il mezzo per ristabilire
l’equilibrio tra conscio e inconscio e, per dirla con il
linguaggio di Jung, «per recuperare la mente originaria che, in
età antichissima, costituiva l’intera personalità dell’uomo, poi
a poco a poco sommersa e dimenticata dalla progressiva
prevalenza della coscienza sull’inconscio.»
E se l’arte è propria d’ogni epoca, e le arti figurative apollinee
si frantumano in espressioni dionisiache, non ci si dovrà
stupire che il linguaggio della musica sia così mutato
nell’ultimo secolo (si pensi all’immaterialità delle espressioni
contemporanee). Conseguentemente, è mutata la modalità
con cui si utilizza la parola in musica, il suono della voce, il
timbro del coro, accentuandone la sua dimensione onirica e
inconscia, abbandonando la “materialità” di un linguaggio
codificato e fatto di norme.
Questo ribaltamento di valori nei confronti dei linguaggi è
bene descritto da De Chirico quando teorizza la “Pittura
Metafisica”, ricordandoci che ogni oggetto, ogni opera d’arte
richiama un aspetto che non si manifesta nella forma visibile
dell’oggetto rappresentato…
In questa chiave lo scrivente interpreta, a suo modo, la
poetica di Gilberto Bosco e il suo rapporto con la scrittura
vocale e corale, anche confortato in questa personale visione
da alcuni momenti di confronto con il compositore che, a
proposito degli atteggiamenti e delle scelte compositive
messe in atto nel momento in cui affronta o sceglie un testo,
afferma di essere influenzato spesso da «un approccio
emozionale determinato dalle prime parole del testo»
ricordando che anche per Schönberg, in alcune occasioni,
«l’impatto con i primi versi (…) fu determinante e generò una
spinta che gli permise, a suo parere, di comprendere assai
meglio l’intera composizione poetica».
Bosco tenta non di evitare, ma di superare il livello del
messaggio diretto che il componimento poetico tramanda, per
tentare un’interpretazione che assume e fa proprio anche il
peso del suono stesso della parola (con tutte le sue
implicazioni onomatopeiche profonde), una parola che è
formata da vocali e consonanti che suonano con un proprio
timbro, che non andrà mai ignorato ma al contrario
valorizzato, perché diventa parte della struttura timbrica della
scrittura musicale: la parola che si fa suono, quasi avulsa dal
contesto ma che, per il fatto di essere stata scelta e di essere
compositorE
21
presente in quel momento non lo è, come insegna la scuola psicoanalitica. Ma proprio come in
un’architettura ben calibrata possiamo individuare diversi livelli strutturali, il suono della vocale
e delle consonanti genera la parola che si organizza in frasi, così la gestione delle cellule
musicali successive obbedisce sempre a un criterio di massima attenzione all’impianto formale
della composizione. A questo proposito, sono ancora illuminanti le parole del compositore che
dice: «il secondo stimolo, che mi ha sempre molto influenzato, deriva dall’architettura. (…) La
cosa che mi affascina di un testo, quindi, è la possibilità che intravedo di poterlo (il testo)
inserire in una qualche architettura musicale e farlo dialogare con essa.»
Come non riconoscere in tutte queste osservazioni una figura di musicista vicino a quella
mentalità artigiana tipica del compositore rinascimentale. Anche Stefano Leoni riporta, in una
breve nota a un catalogo delle composizioni di Bosco: «Compito, scomodo destino, fatica d’arte
e d’artigiano, impegno etico e intellettuale, comporre è per Gilberto Bosco una questione di
Mestiere e di Maestria (…)»
La cantata Quest’è il giorno è opera particolarmente esemplificativa di questo maturato
percorso; edita da Suvini Zerboni, fu scritta su commissione per celebrare i seicento anni
dell’Università di Torino.
Bosco ha operato in questo caso un’interessante scelta, avvicinando due testi apparentemente
assai diversi: alcuni frammenti risalenti al XVIII sec., tratti dagli statuti dell’Università di Torino
(parte in italiano e parte in francese) e dei componimenti di Cesare Pavese (paesaggio VI, da
Lavorare stanca).
Appare evidente che i testi scelti obbediscono a una necessità profonda: la scrittura di Cesare
Pavese è quanto di più appropriato ai bisogni del compositore, una poetica fatta di evocazioni
crepuscolari, di strutture sintattiche che disegnano emozioni, di parole che pesano, dense di
significati archetipi. In qualche modo si può trovare una similitudine con la poetica dell’Haiku,
che bene spiega il bisogno di espressione dell’inespresso che Bosco tanto ricerca.
La struttura della cantata prevede un’articolazione in alcuni episodi
collegati fra loro, di cui diamo breve e sintetica descrizione.
La prima parte, N° 1 “molto vivo e teso”, si apre a pieno organico
con un disegno ostinato affidato agli archi e con il ritmo di base
sottolineato dalle trombe, il tutto immerso in un denso gioco di
colori affidato alle percussioni. L’esordio del coro sulla trama
orchestrale è imponente nella sua semplicità: sembra un grido
l’invocazione “quest’è il giorno” dettata, forse, anche dalla
necessità di un ingresso a effetto. Presto il tutto si stempera per
disegnare e descrivere, quasi con dei madrigalismi, le varie parti
del testo. Il disegno ostinato e ritmico riprende nelle ultime battute
e chiude l’episodio. L’episodio N° 5 “molto vivo e teso”, posto a
chiusa della cantata, costituisce, in senso formale, una sorta di
ripresa di questo stesso numero, sia pure molto variato.
Il N° 2 “Camminando, ma senza fretta” è introdotto dalle
percussioni, al coro è affidato un episodio ritmico contrapposto al
melodizzare del soprano solo, a poco a poco tutti gli strumenti
intervengono a dare spessore e pienezza alla partitura. Alle parole
chiave “fiorire” e poi più avanti a “nostra regia possanza e piena
autorità”, lo stile e la scrittura della parte corale si modifica ancora
in senso espressivo.
Il N° 3 “Omaggio a Guillaume Dufay” è momento strumentale
d’una stupenda delicatezza: su una eterea trama di tremoli e
sonorità evanescenti si libra, verso la fine, il canto dell’oboe, unico
prezioso elemento melodico riconoscibile. Emerge, forse, “tra le
nebbie” precedentemente evocate dal testo? Una pausa dalle
tensioni precedenti? Una preparazione al numero successivo?
N° 1 “molto vivo e teso”
22
Se l’episodio N° 3 è omaggio alla straordinaria figura
dell’autore fiammingo, e ai suoi legami con l’università
torinese, il N° 4 “Adagio con espressione” è denso di
riferimenti alla scrittura dell’ultimo Rinascimento e del primo
Barocco. Si ravvisa all’analisi il tentativo di attualizzare la
scrittura imitativa fugata e un’influenza degli autori dell’ultimo
periodo madrigalistico, in particolare Gesualdo e Monteverdi,
nel trattamento e nella scelta significativa degli intervalli
prevalenti.
Traspare evidente l’intenzione di dar vita a un episodio intriso
di espressività, giustificato dal testo che riesce a conchiudere,
nella sua brevità, tutta la centralità del pensiero poetico di
Cesare Pavese.
Occorre mettere a conoscenza il lettore del fatto che, di
questo episodio, il compositore ne ha dato due versioni: una,
nel contesto della cantata, si avvale dell’uso degli strumenti
dell’orchestra; l’altra ne costituisce un “estratto a cappella per
coro con percussione ad libitum” che consente una
esecuzione anche in un contesto diverso.
Per tutte queste ragioni diamo, di questo episodio, una
descrizione maggiormente esaustiva.
Il mattino
si sarà spalancato in un largo silenzio
attutendo ogni voce (perfino il pezzente,
che non ha una città né una casa, l’avrà respirato,
come aspira il bicchiere di grappa a digiuno).
Val la pena aver fame o essere stato tradito
dalla bocca più dolce, pur di uscire a quel cielo
ritrovando al respiro i ricordi più lievi.
Il testo tra parentesi non viene musicato ma è presente,
incombente… e sembra confermi in Bosco la certezza di avere
bene inteso che, da una frase o da una parola, possono
scaturire significanze e significati ulteriori.
Ma tanto evidente è la carica espressiva quanto, forte,
emerge una sorta di sentimento opposto, quasi di pudore,
che impone al compositore di costruire una struttura formale
rigorosissima e controllata.
Una sorta di esposizione presenta il testo “il mattino si sarà
spalancato”, con il soggetto affidato ai tenori a cui
rispondono, dopo tre battute, i bassi. Questa banale
descrizione non è però esemplificativa della ricchezza di
contenuti che si possono evincere. Intanto la scelta
dell’intervallo di sesta minore discendente a cui ne segue uno
di quarta eccedente in senso contrario sottolinea la pienezza
del mattino, che ancora, poi, “si sarà spalancato”,
ampliandosi a un intervallo di settima (tenori mis. 5).
Volendo proseguire nella ricerca di affinità con la scrittura
della fuga, come non notare che la risposta dei bassi presenta
una sorta di “mutazione” dell’elemento melodico (mis. 6),
dove il precedente intervallo di seconda “spalancato” si muta
in una terza… ma, ancora, tutto ciò non per sottolineare una
pedante adesione al modello scolastico. Ciò che è invece
interessante è il fatto che anche solo una modifica marginale
di questo elemento intervallare non fa che sottolineare, in
modo assai più evidente di quanto potrebbe apparire alla
semplice osservazione, quanto la parola “spalancato” possa
beneficiarne in senso madrigalistico.
Le due voci proseguono con alcune vocali esclamative, sorta
di elemento statico che, calmando il flusso del melodismo
precedente, contemplano, riassorbono, evocano… nella
versione originale, a partire questo punto, (mis. 8-12) due
clarinetti e un fagotto danno vita a un disegno articolato,
mentre gli archi sostengono le parti vocali.
I rimandi psicologico/evocativi che si possono individuare
nelle parole “il mattino… spalancato” guidano il compositore
che nel musicare la frase successiva “in un largo silenzio”,
richiama gli stessi elementi intervallari in un gioco a rovescio.
Tutto ciò completa una sorta di episodio espositivo. Si rilevi
come la parola “silenzio” sia resa con diversi artifici, che
vanno dalla interruzione repentina seguita da pause (soprano
mis. 13-14) a un richiamo di scolastica e autoritaria memoria
(soprano mis. 17).
L’unica differenza significativa tra le versioni si rileva qui, a
partire dalla misura 23 dove, nella versione con orchestra, si
compositorE
23
apre un importante episodio strumentale di tre misure,
cassato nella versione a cappella che prosegue poi invariata
(da quella che diventa la nuova misura 23).
percussione “ad libitum” (crotali) che sottolinea la chiarezza
dell’elemento aereo con il suo argentino vibrare e la
complessa gamma timbrico/armonica che ne scaturisce.
Il parallelismo con il modello imitativo tradizionale può ancora
proseguire e, a partire da questo punto, si può individuare
una combinazione degli elementi precedenti, diretti e
rovesciati, enuncianti il testo “val la pena” in uno “stretto”,
che crea tensione ritmica e crescendo e porta a un primo
culmine espressivo alle parole “esser stati traditi” dove, per la
prima volta, si crea una sorta di episodio omoritmico/
recitativo di grande effetto e pathos.
Anche le voci si calmano e si fanno ora luminose, reiterando
insistentemente la lunga nota acuta fa, dalla quale prendono
forma sottili ornamenti discendenti che, dolcemente,
muovendosi in un soffio terso di vento, si dipanano…
“ritrovando al respiro i ricordi più lievi” e concludendo la
composizione con un suono grave cantato a “bocca
semichiusa” dai contralti.
La tensione espressiva cede poi un poco, lasciando spazio
ancora al caratteristico soggetto melodico imitato, che si
ammorbidisce e si stempera alla “dolcezza” imposta dal testo.
È, infine, ancora il soprano che si eleva, per la seconda volta,
alla nota più alta richiesta “pur di uscire a quel cielo” dove,
nella misura 33 della versione a cappella, esordisce la
il teatro
prima del teatro
mont
Monteverdi e la verità musicale
di Dario Tabbia
direttore di coro e docente
di esercitazioni corali
al conservatorio di torino
Innumerevoli sono gli studi che, negli ultimi
decenni, musicisti e musicologi hanno
dedicato a Claudio Monteverdi e alle sue
opere. Oggi disponiamo di una grande
quantità di materiali, analisi, saggi e revisioni
critiche che consentono all’interprete o allo
studioso di avvicinarsi alla sua musica con
sufficiente consapevolezza. Eppure, chiunque
abbia avuto occasione di eseguire le sue
composizioni non ha potuto evitare un impatto
emozionale talmente forte da creare un
coinvolgimento non solo estetico, in certi casi
addirittura fisico. Molte persone, musicisti e
non, mi hanno confidato di restare talmente
coinvolti dall’ascolto o dall’esecuzione di certi
brani al punto di non poter controllare la
propria emozione.
Monteverdi stesso, nella prefazione al
Combattimento di Tancredi e Clorinda afferma
che in occasione della prima esecuzione il
pubblico fu quasi «per gettare le lagrime»,
non diversamente dal pianto di pochi mesi fa
di una giovane allieva al suo primo ascolto
dell’opera, senza che la stessa riuscisse a
darsene ragione. Cercare di spiegare perché la
sua musica riesca a emozionarci così tanto a
distanza di secoli è tanto ambizioso quanto
inutile, ma rimane un fatto indiscutibile.
Eppure i suoi madrigali, da un punto di vista
puramente tecnico, non presentano novità
assolute: non c’è un uso della dissonanza
diverso o più ardito rispetto ad altri autori e
neppure novità strutturali che prima non
fossero già state sperimentate. Tuttavia c’è un
qualcosa di apparentemente non spiegabile
che riesce a entrare in contatto con la nostra
componente emotiva e nervosa più nascosta.
Ma perché?
In realtà quanto prima affermato circa la non
assoluta originalità è, ovviamente, in parte
inesatto. Con Monteverdi si apre una strada
nuova (quella da lui stesso indicata come
seconda prattica) che vede nel testo poetico la
più autentica forza ispiratrice, ma anche
quest’ultima caratteristica non può essere
attribuibile al solo Monteverdi. Ciò che
cambia, invece, è la sua capacità unica di
leggere il testo nelle sue implicazioni reali,
sceniche, teatrali appunto. In molti dei suoi
madrigali è possibile riconoscere piccoli
quadri, “scene liriche” nelle quali i personaggi
vivono e agiscono come uomini veri e propri.
Si può quindi ben comprendere la scelta di
privilegiare testi che offrano già in partenza
queste soluzioni. Si veda, a proposito, la
grande attenzione dedicata alle opere del
nova et vetera
25
Guarini e, in particolare, al suo Il Pastor fido da cui moltissimi passi sono stati estrapolati e
musicati. Figure quali Amarilli e Mirtillo, Silvio e Dorinda nella commedia pastorale, Armida e
Rinaldo, Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme del Tasso acquistano nella musica monteverdiana
vita propria: parlano, soffrono e amano come veri esseri umani e non come arcadiche figure
appartenenti a un mondo ideale.
La realizzazione musicale è attentissima a rispettare il carattere di questi personaggi: melodie,
ritmi e alterazioni sono in ogni momento sorprendentemente coerenti con l’espressione poetica.
Nulla è gratuito, superfluo o generico. Amarilli per convincere Mirtillo del proprio amore non può
che dire quelle parole e quindi non può cantare altre note. Ciò che prova realmente si rivela
grazie a un’inflessione melodica o a un’alterazione inattesa. Quando nel celebre O Mirtillo del
quinto libro Amarilli si preoccupa di rassicurare l’amato della sincerità e intensità del proprio
amore, in corrispondenza del passo “se vedessi qui dentro come sta il cor di questa” Monteverdi
sceglie di alterare in senso ascendente e quindi rafforzativo una nota del cantus proprio in
corrispondenza della parola “dentro”. Una semplice alterazione, nulla di più, ma che arriva nel
momento giusto, all’apice dell’espressione e diventa proprio ciò di cui Mirtillo ha necessità. Egli
non deve temere: quella nota, quella parola è
sinceramente ricca e piena d’amore. È questo
un classico esempio di quella che viene
definita alteratio causa pulchritudinis, non
necessaria al contrappunto, indispensabile
invece alla verità musicale che, per Monteverdi
in primis, diventa importante tanto quanto il
mezzo tecnico usato per realizzarla.
In cosa consiste dunque la straordinaria forza
espressiva della sua musica? Personalmente
ritengo che la capacità di sintesi fra testo e
realizzazione musicale rappresenti uno degli aspetti più interessanti. Raccogliendo un’ eredità
espressiva che egli stesso faceva risalire a Cipriano de Rore, Monteverdi evita accuratamente le
trappole che immagini testuali e poetiche offrono al compositore più superficiale e ingenuo. Molti
sarebbero gli spunti che si presterebbero a una pittura musicale, a un’enfasi, a un madrigalismo,
ma cedere al virtuosismo contrappuntistico potrebbe distrarre l’attenzione dell’ascoltatore dal
climax espressivo, dall’autentico significato cui tende il testo poetico, dalla verità insomma. Con
grande sicurezza egli punta dritto al cuore dell’espressione musicale e la raggiunge con mezzi
tanto semplici quanto efficaci. È pittura a tinte forti quella di Monteverdi, senza sfumature o
macchie, ricca di colori accesi come quelli che caratterizzano gran parte della pittura veneziana
della fine del Cinquecento nella quale il colore, appunto, è considerato mezzo espressivo e non
più decorativo, al pari della disposizione prospettica delle figure o del loro significato simbolico.
Nella sua musica grande importanza acquista poi il ritmo, utilizzato anch’esso come strumento di
grande possibilità comunicativa. Partendo dal concetto di pulsazione come equivalente del battito
cardiaco, egli elabora questo concetto alterando i valori ritmici in corrispondenza di altrettanti
mutamenti emozionali contenuti nel testo. Sa bene che le emozioni più vere, i sentimenti più
intensi quali la pena amorosa, il dolore, la gioia, la sofferenza alterano la frequenza dei nostri
battiti. Una musica che tenda a una sincera rappresentazione della vita affettiva e materiale non
può quindi essere rappresentata da una pulsazione regolare. I ritmi puntati, sincopati, irregolari,
fino ai famosi concitati impiegati così efficacemente nell’ottavo libro (vedi in particolare il
Combattimento di Tancredi e Clorinda) sono utilizzati per aderire alle diverse situazioni emotive.
La coerenza si spingerà fino ai limiti estremi come dimostrano le declamazioni libere di Sfogava
con le stelle (quarto libro di madrigali) nel quale lo slancio amoroso non può essere
rappresentato con una serie di figure ritmiche precise perché significherebbe “controllare” il
fervore declamatorio dell’amante appassionato; nel celebre Lamento della ninfa (ottavo libro di
madrigali) egli stesso avverte che la necessità di mettere in partitura il brano (e non, come d’uso,
a parti separate) deriva dal fatto che esso «va cantato a tempo dell’affetto dell’animo»: la
complessità emozionale del personaggio non può consentire di cantare “a tempo” e i pastori
devono poter accompagnare la ninfa nel suo sfogo inquieto. Monteverdi non è uomo che ama
ipocrisie o compromessi. La pena d’amore, quella autentica, schianta e brucia, provoca in egual
La distanza che intercorre
tra il madrigale rappresentativo
e la scena d’opera
è molto breve.
teverdi
26
misura dolore, gioia, affanno: il cuore non rimane indifferente di fronte a
sentimenti così intensi e le alterazioni del nostro battito ne sono una prova. In
altre parole egli rappresenta una poetica musicale che tende alla vera
rappresentazione del mondo esterno alla coscienza: non solo amori ma anche
guerre e battaglie (vedi il titolo dell’ottavo libro Madrigali guerrieri et amorosi)
poiché esse fanno parte del quotidiano e non è possibile ignorarle. La musica deve descrivere il mondo circostante, nelle sue espressioni gioiose e
drammatiche, senza limitarsi ad accarezzarne la superficie ma scavando nelle
pieghe dell’animo, andando al cuore della verità musicale.
La distanza che intercorre tra il madrigale rappresentativo e la scena d’opera è
dunque molto breve. Si pensi al trittico Vattene pur, crudel contenuto nel terzo
libro di madrigali nel quale la maga Armida maledice l’amato Rinaldo che la
abbandona per tornare alla guerra contro i saraceni. In esso troviamo un uso
del madrigalismo che appare nuovo nella sua applicazione. Il passo Gli scogli e
l’onde non è la solita pittura musicale caratterizzata da scale ascendenti e
discendenti che evocano alle orecchie il moto ondoso, ma acquista una forza
rappresentativa tale da evocare davanti a noi la tempesta vera e propria che la
maga intende scatenare contro il traditore: non è più l’elemento mare che tanti
compositori avevano già descritto con melodie flessuose a essere
rappresentato ma l’azione che si svolge direttamente sotto i nostri occhi.
Come pure il passo cromatico che accompagna lo svenimento di Armida, nel
quale non è tanto importante il moto discendente della melodia, ma
l’indeterminatezza tonale che rappresenta la perdita della percezione della
luce, l’offuscamento, la debolezza del tono muscolare. La forza della sua
musica, quella che arriva dritta al nostro sistema nervoso, consiste in questa
inscindibile unione fra semplicità del mezzo tecnico compositivo e significato
testuale. Non c’è spazio per fronzoli, abbellimenti o dilatazioni formali: egli ha
a cuore la descrizione fedele della realtà, non di qualcosa che le assomiglia. A dimostrazione di questo si veda come egli sia uno dei primi autori a non
lasciare tanta libertà nell’esecuzione delle diminuzioni vocali, che sempre più
frequentemente sono realizzate dallo stesso Monteverdi: il rischio, infatti, è che
un abbellimento eseguito per semplice sfoggio virtuosistico possa togliere
forza ed efficacia alla musica. Anche per questi motivi egli privilegiava voci
espressive, prima ancora che belle nel senso moderno. Per Monteverdi i due
termini coincidono: la voce bella è quella capace di essere espressiva, di
commuovere. Non sarà fuori luogo ricordare che quando fu costretto a
sostituire la giovanissima Caterina Martinelli, morta precocemente di vaiolo, la
quale avrebbe dovuto essere la protagonista della Arianna, egli scelse non una
cantante capace di recitare bensì un’attrice che sapesse cantare. Verrebbe da
chiedersi a questo punto se uno dei motivi per cui la sua musica ci è ancora
così vicina non consista proprio nel fatto che essa dia voce ai sentimenti
dell’animo umano, senza finzioni, senza censure. Le sue melodie così vicine
all’inflessione recitata, i suoi ritmi energici articolati su armonie costruite sui
gradi forti della scala danno vita a una musica fortemente espressiva, umana.
Quando la forma del madrigale diventerà stretta, quando l’estratto da un dramma
pastorale sarà troppo breve allora bisognerà ricorrere a veri e propri libretti,
avremo bisogno di spazi più grandi, trasferiremo le nostre vicende in un luogo che
le rappresenterà e il teatro diventerà così lo spazio nel quale gli uomini
sceglieranno di mettere in scena le proprie passioni, fino a deformarle. Monteverdi ci ha insegnato ad accettare la vita in tutte le sue espressioni, creando
un linguaggio che partendo dal cuore arriva al cuore. Di questo, di questa musica
avremo sempre bisogno.
nova et vetera
27
la fuga
Dalla terminologia all’analisi
di Piero Caraba
compositore e docente presso il conservatorio di perugia
Il Kyrie del Requiem di Mozart
Dopo aver chiarito la terminologia che individua gli
elementi di una fuga e cercato di sgombrare il campo
dai luoghi comuni e dagli errori, spesso terminologici,
con cui di frequente la fuga viene trattata,1 passiamo
ora all’analisi di quel particolare capolavoro che è il
Kyrie del Requiem KV 626 di Mozart.
È bene dire subito che si tratta di una doppia fuga, in
quanto il controsoggetto invece di presentarsi assieme
alla risposta, entra da subito, quasi insieme al soggetto.
Prassi, questa, molto frequente e prevista come
variante della fuga in tutta la trattatistica
settecentesca.2 In tal caso questa seconda entrata, in
luogo di controsoggetto, viene chiamata secondo
soggetto, definizione che meglio determina la parità di
importanza tra i due elementi, mai così evidente come
in questa circostanza.
Il soggetto, enunciato dai bassi sulle parole “Kyrie
eleison”, prende avvio dalla nota dominante della
tonalità di impianto, e pone immediatamente in
evidenza l’intervallo di settima diminuita si bem-do
diesis, su cui torneremo tra poco. Le successive due
battute non sono altro che una scala di re minore per
grado congiunto dalla sensibile do diesis alla dominante
la, alla quale le crome ribattute prima e le semicrome di
volta poi, imprimono una progressiva spinta dinamica.
La quarta battuta è risolutoria della precedente
tensione, con l’immediata discesa, sempre per grado
congiunto, a partire dalla dominante appena raggiunta.
Ma torniamo all’intervallo di settima diminuita, e alla
tonalità di impianto: re minore. È la tonalità del Don
Giovanni, e l’intervallo di settima diminuita, con
l’accordo che lo prevede, caratterizza i due momenti
fondamentali su cui l’opera si tende: la morte del
Commendatore all’inizio del primo atto, e la sua fatale
ricomparsa “da morto” nella resa dei conti finale con il
protagonista. La settima diminuita nel tono di re minore
nel Don Giovanni è per Mozart la porta di entrata e di
uscita dagli inferi; qui, nel Kyrie, ogni volta, e con
sempre maggiore efficacia, è come un sipario che si
spalanca per dare spazio al secondo soggetto.
Questo, nelle parole “Christe eleison”, prende avvio
dalla ripercussione di tre crome, poi un inarrestabile
roteare di semicrome fino al conclusivo precipitare della
scala discendente (battuta 3) che, con il suo arco teso
ancora una volta tra gli estremi dell’intervallo di settima
diminuita si bem-do diesis va a chiudere quella porta in
precedenza aperta di salto dal primo soggetto con lo
stesso intervallo e le medesime note. Brevissime
codette, nel primo e nel secondo soggetto, consentono
di volta in volta i collegamenti con il tono delle entrate
successive.
Alla quarta battuta entrano i soprani e cantano la
risposta al primo soggetto. Si tratta di risposta tonale.
Ne è conferma la mutazione 3 dell’intervallo tra le sillabe
“ri-e” della parola “Kyrie”: alla terza maggiore del
soggetto (la-fa) corrisponde sulle stesse sillabe della
risposta la seconda maggiore (re-do).
I tenori entrano alla battuta 5, e cantano la risposta al
secondo soggetto. Qui la risposta è reale, in quanto
tutta alla dominante rispetto alla prima comparsa del
La settima diminuita
è come un sipario
che si spalanca.
secondo soggetto. Ci troviamo ora nella tonalità di la
minore, e in questo tono, sulla battuta ottava possiamo
intendere conclusa l’esposizione della fuga.
A questo punto ci aspetteremmo dei divertimenti o
almeno degli episodi di collegamento per consentire
nuove esposizioni dei soggetti. La caratteristica di
questa fuga è invece quella di essere costruita su una
sequenza inarrestabile di continue riesposizioni dei due
soggetti. La tecnica è questa: delle quattro voci, due
sono sempre impegnate a presentare i soggetti, mentre
le restanti due si producono in un contrappunto sempre
diverso in ciascuna delle riesposizioni. Sono queste due
voci, in pratica, a costruire i divertimenti, ma
sovrapposti alle riesposizioni dei soggetti nelle diverse
tonalità affini al re minore d’impianto.
Nel corso della composizione il primo soggetto viene
riproposto quasi consecutivamente ben dodici volte, con
quell’autorevole e severo intervallo di settima diminuita
che solo per due volte si stempera in una settima
minore. Ciò accade nelle sole due esposizioni in tonalità
maggiore: a battuta 16 (nel tono di fa maggiore) e a
battuta 27 (nel tono di si bem maggiore), e sono i
soprani a presentarle. Con il tono maggiore certamente
28
permane l’autorevolezza del soggetto, ma una rassicurante
speranza e, se possibile, un gesto di magnificenza ancora più
ampio pervade i due episodi e altrettanti respiri offrono
conforto all’inflessibile progredire delle tonalità minori.
Dalla battuta 33 si entra nella lunga pagina conclusiva,
organizzata in poderosi stretti costruiti sul secondo soggetto,
quello sul “Christe eleison”, per intenderci, con quel
rocambolesco roteare di semicrome che nello stringersi delle
entrate diviene letteralmente inarrestabile.
C’era stato in precedenza un accenno di “stretto” del primo
soggetto, quando, a battuta 29, i bassi erano entrati prima
che i soprani avessero terminato la loro esposizione nel tono
di si bem maggiore, costringendo i tenori alla ripresa daccapo
del secondo soggetto di cui avevano appena cantato il
frammento iniziale (vedi tenori, battute 28-31).
Ora, nel finale, tra i tanti elementi geniali, c’è lo stretto
organizzato per quinte ascendenti. L’effetto già in sé
grandiosamente efficace delle entrate in successione
ascendente a partire dai bassi fino ai soprani, è amplificato in
modo esponenziale dall’attacco per quinte, sulle note do
(bassi), sol (tenori), re (contralti), la (soprani), peraltro contro
ogni regola stabilita.
Un altro stretto condurrà alla cadenza conclusiva, ma con
diversi intervalli di attacco. Siamo alla battuta 44, e le entrate
in successione, sempre sul secondo soggetto, saranno
W.A. Mozart, Kyrie da Requiem KV 626.
bassi-soprani-contralti-soprani, rispettivamente sulle note
la-la-mi-mi, proponendo quindi la quinta entro cui è racchiusa
la tonalità dominante di quel re minore cui il finale della fuga
è diretto. Finale che è preparato dalla massima sospensione
possibile, concretizzata nell’accordo sul battere della misura
50. L’efficacia è data dal fatto che tale accordo, oltre a
costituire cadenza evitata, 4 è un accordo di settima diminuita,
quindi concentra in sé due elementi marcatamente sospensivi.
La pausa di semiminima che segue fa il resto, e porta al
parossismo la necessità di una risoluzione. E la risoluzione
arriva, tanto liberatoria quanto priva di confini rassicuranti,
con l’accordo finale a quinte vuote che spalanca l’immaginario
sull’ignoto di cui è significante.
1 Vedi La Fuga, dalla terminologia all’analisi, Choraliter n° 31, gennaio
aprile 2010, pp 29-31.
2 Ad esempio cfr J.G. Albrechtsberger, Gründliche Anweisungen zur
Komposition, Vienna 1790.
3 Per le ragioni di tale risposta, e dunque della mutazione si veda
l’articolo di Choraliter già citato in nota.
4 Ricordiamo che per cadenza evitata si intende la successione di un
accordo di quinto grado di una certa tonalità seguito da accordo
appartenente ad altra tonalità.
nova et vetera
29
30
IL RAPPORTO TRA TESTO E MUSICA
nell’interpretazione di un canto popolare
di Sergio Bianchi
direttore del coro val tinella e docente al conservatorio di como
Capita talvolta di ascoltare esecuzioni precise
nell’intonazione e nel ritmo, equilibrate nella
realizzazione degli accordi, attente alla dinamica indicata,
ma che sono poco coinvolgenti, ci lasciano indifferenti. Al contrario altre interpretazioni riescono a emozionarci e
trascinarci nel flusso dei suoni. Come può uno stesso
brano determinare reazioni così differenti?
Evidentemente la situazione psicologica di chi è coinvolto
come esecutore o come ascoltatore o quella determinata
da una particolare circostanza non possono essere prese
in considerazione, perché sono variabili imprevedibili.
Concentreremo quindi la nostra attenzione su elementi
esclusivamente musicali.
Innanzitutto un brano vocale propone un testo letterario
e quindi la sua analisi, la sua comprensione e la
comprensione dei rapporti con la melodia e l’armonia
sono passaggi indispensabili per uno studio serio della
composizione musicale.
Troppe volte il testo viene trattato come un ausilio su cui
intonare una serie di suoni (quasi fosse un tropo o una
sequenza di origine medioevale), oppure si canta senza
capire il significato delle parole (se il testo è in lingua
straniera o è scritto in un dialetto non familiare). Il risultato è che le parole vengono enunciate come se ci
si trovasse davanti a un seguito di nomi, quasi fosse un
elenco telefonico.
Può essere un utile esperimento chiedere ai coristi (e
talvolta anche ai maestri) il significato, il valore, le
sfumature di un testo tante volte cantato. Risulterà
interessante valutare le risposte.
Occorre quindi comprendere il testo, e per far questo,
per dare il giusto valore al “clima” generale e alle singole
espressioni occorre individuarne le origini.
A volte un testo è di autore ignoto… La maggior parte
della gente ama pensare che questo tipo di musica sia
cresciuta, come Topsy (personaggio del famoso romanzo
di H.B. Stowe La capanna dello zio Tom), in modo
spontaneo, senza un compositore. È un’idea sbagliata,
perché anche una canzone o una danza popolare sono
state scritte da qualcuno; il fatto è che in genere non
sappiamo chi sia. Qualcuno le ha scritte – o almeno le
ha inventate – poi sono passate di padre in figlio e di
madre in figlia per centinaia di anni, senza
necessariamente essere state messe nero su bianco”. 1
Altre volte il testo subisce modifiche, rielaborazioni nello
scorrere del tempo o nelle trasmigrazioni in aree
geografiche diverse. Si pensi a quanto è successo a un
famosissimo canto degli alpini, Il testamento del
capitano.
La vera e sicura origine di quello che potremmo definire il più
classico, il più nobile fra i canti degli alpini si riscontra nel canto
funebre cinquecentesco Il testamento spirituale del Marchese di
Saluzzo.
Il Nigra ce ne tramanda le versioni in piemontese arcaico, ritenute più
originali (Canti Popolari del Piemonte, Torino 1888) e già nel 1858
traccia dettagliatamente la vicenda storica a cui è legato.
Michele Antonio, undicesimo marchese di Saluzzo, capitano generale
delle armi francesi nel reame di Napoli, mortalmente ferito da un
obice durante la difesa della fortezza di Aversa assediata dalle
truppe borboniche, nel 1528, così esprime le sue ultime volontà ai
soldati riuniti intorno al letto di morte:
“V’aricomand la vita mia che di quat part na debie fè.
L’è d’una part mandela in Fransa e d’una part sul Munferà.
Mandè la testa a la mia mama, ch’a s’aricorda del so prim fiol.
Mandè ’l corin a Margarita ch’a s’aricorda d’so prim amur”.2
Attraverso oscure vie il canto aveva intanto attecchito nel Trentino e
nel Veneto con diversi titoli (Il capitano della Salute, Il capitano della
Marina), così che nel 1886 il colonnello garibaldino N. Bolognini,
ignorando il vero iter del testamento, ne pubblicò una versione
grottesca, ritenuta originale del trentino, nell’Annuario della Società
Alpinisti Tridentini. Ma la canzone non godrebbe dell’attuale notorietà
se durante la Grande Guerra gli Alpini non se ne fossero
impossessati adattandola ai loro casi, e se ancora nell’ultimo
conflitto non fosse stata ripresa dai soldati. Attraverso i successivi
adattamenti, ai poveri resti del Capitano furono attribuite le più
disparate destinazioni (per esempio: Un part mandèla in Franza
divenuta poi volta a volta: La prima parte al Re di Francia, Il primo
pezzo al Re d’Italia, e ancora Il primo pezzo alla mia Patria).3
testo
Non sempre il testo che cantiamo è nato
contestualmente a una certa melodia. Possiamo ricordare
i canti O Tannenbaum e Au Mont Blanc.
La genesi del canto natalizio è interessante:
– il testo della prima strofa fu composto nel 1820 da
August Zarnack, con parole tratte dal canto popolare
del XVI secolo: Ach Tannebaum;
– il testo della seconda e terza strofa è invece opera di
Ernst Anschutz, che lo scrisse nel 1824
aggiungendolo alla strofa di Zarnack;
– la melodia è la stessa sulla quale, nel 1700, i goliardi
tedeschi cantavano la leggenda popolare “Lauriger
Horatius” che nel 1820 fu unita alla strofa di Zarnack
e, più tardi, a quella di Anschutz.
È curioso scoprire che nella Val d’Aosta la stessa melodia
è stata utilizzata per magnificare le bellezze del monte
Bianco.
canto popolare
O Tannenbaum
Au Mont Blanc (Val d’Aosta)
O Tannenbaum, o Tannenbaum,
wie treu sind deine Blätter!
Du grünst nicht nur Sommerszeit,
nein, auch im Winter, wenn es schneit,
O Tannenbaum, o Tannenbaum
wie treu sind deine Blätter!
ecc.
O fier mont Blanc, roi des sommets,
salut à ta puissance;
ta flèche au dessus des guérets
des pavillons de nos forêts,
et des glaciers aux bleus reflets
dans le grand ciel s’élance.
ecc.
Vi è stata quindi una trasmigrazione, attraverso chissà quali
vie, di una melodia e l’adattamento di un nuovo testo.
L’autore, o gli autori, di tale operazione agirono probabilmente
istintivamente. La solennità della melodia tedesca sembrò
loro adatta a esprimere la grandiosità e la “potenza” della
vetta ritenuta la più alta d’Europa.
In questo caso la musica ricrea il clima generale anche
perché, trattandosi di un canto strofico, non può focalizzare
espressioni o momenti particolari del testo.
Questo ultimo aspetto crea un problema è particolarmente
importante, perché la maggior parte delle composizioni
popolari adotta un testo strofico e il compito dell’esecutore,
meglio ancora dell’interprete, è quello di evitare una
ripetizione sostanzialmente identica e quindi monotona.
Può essere ancora interessante osservare la varietà di testi
che nello scorrere del tempo sono stati inseriti su una stessa
melodia. Ascoltando un famoso canto della prima guerra
mondiale intitolato Ta-pum siamo portati a pensare a un
inscindibile legame tra testo e musica.
o
Venti giorni sull’Ortigara
senza cambio per dismontar
ta-pum ta-pum ta-pum.
E domani si va all’assalto
soldatino non farti ammazzar
ta-pum, ta-pum, ta-pum.
ecc.
L’onomatopeico “ta-pum” sta a imitare il colpo di fucile
seguito dall’eco dello sparo nella valle e l’andamento calmo
della linea melodica, il suo costante ripiegarsi bene si
adattano al testo mesto e sconsolato. In realtà la sua origine
risale a un vecchio canto di minatori, nato durante i lavori di
scavo della galleria ferroviaria del Gottardo, tra il 1872 e 1880
(il “ta-pum” in quel caso si riferiva allo scoppio delle mine):
31
Dalle sei e mezza
minatori che và a lavorà;
’pena giunti all’esercizio
sette colpi son scoppià.
Maledetto sia il Gottardo
gli ingegneri che l’hanno traccià:
ecc.
Sulla stessa melodia sono nati in seguito una filastrocca
infantile
Eravamo in quindici
siamo rimasti in dodici
sette per fare musica
e cinque per fare “ta-pum”.
E un canto della resistenza
Questa sera si va in azione,
siamo rimasti in dodici
partigiano non farti ammazzar…
sette per fare musica
ta-pum, ta-pum, ta-pum…
e cinque per fare “ta-pum”
ta-pum, ta-pum, ta-pum…
ecc.
Come comportarsi in questi casi? Occorre prendere in
considerazione non solo il testo ma l’armonizzazione proposta
confidando nell’abilità del musicista. 4
Il testo di riferimento è ovviamente quello preso in
considerazione nel brano che si sta studiando anche perché è
quello tenuto presente dal musicista che ne ha creato
l’armonizzazione.
Questo fenomeno (l’utilizzo di più testi su un’unica melodia)
32
I canti più antichi o di origine certamente popolare si
ritrovano soprattutto nella prima categoria in cui è presente
un unico modello melodico e armonico (La cieseta de
Transacqua), mentre le composizioni più recenti, in cui si
diversificano i parametri musicali per aderire maggiormente al
testo, nella seconda e terza categoria (Rifugio bianco di Bepi
De Marzi e Fiabe di Marco Maiero).
Prendiamo in considerazione un canto strofico: La cieseta de
Transacqua proposta nella armonizzazione Cauriol. Il testo
così recita:
As tu vis la cieseta de Transacqua
col Cimon de la Pala sòra i copi? *
Te g’ha i oci ciàri come l’acqua
e i cavei è rizi e senza sgropi.
Mi g’ho vis la cieseta de Transacqua
ma ’l Cimon de la Palo no xera; *
sòra i copi lustri de tant’acqua
gh’era solo ’na nuvolona nera.
non deve meravigliare, perché affonda le sue radici in una
prassi antichissima che risale al corale luterano. Martin Lutero,
per favorire la partecipazione del popolo alla liturgia
attraverso il canto, adatta il testo sacro a melodie preesistenti
conosciute in modo che tutti potessero intervenire con facilità.
È significativo ricordare che la melodia utilizzata da Bach sui
versi di Paul Gerhart in una stupenda pagina della Passione
secondo Matteo, tanto bella da farci pensare a una
inscindibile unione e a una creazione originaria per illustrare
quel testo, è in realtà una trasformazione della melodia creata
da Hans Leo Hassler per una canzone d’amore: Mein Gmuth.
Ecco i testi della canzone e del corale:
Nella ciesa canta Messa ’l prete
sul Cimon de la Pala fischia il vento. *
Cossa importa se g’ho le scarpe rote
se nel fondo del cor mi son contento.
La mia anima si è smarrita per colpa di una tenera ragazza.
Sono completamente turbato, il mio cuore è duramente ferito.
Non ho pace né di giorno né di notte. Continuamente erompo
in lamenti, sospiro e a lungo piango; mi perdo d’animo nei
vincoli del dolore.
Oh Capo coperto di ferite e di sangue, chino sotto il peso del
dolore e dello scherno!
Oh Capo incoronato di spine e deriso! Oh Capo, così alto
nella gloria e travolto dall’ingiuria. Io ti saluto!
Entrando nel vivo del rapporto tra testo letterario e musica
occorre tener presente che fondamentalmente la casistica è
riconducibile a tre modelli, gli stessi adottati per la
classificazione dei Lieder:
– il Lied strofico semplice in cui melodia e
accompagnamento (nel nostro caso: armonizzazione) sono
uguali per tutte le strofe;
– il Lied strofico variato in cui melodia e accompagnamento
(armonizzazione) cambiano in alcune strofe;
– il Lied in cui una melodia e un accompagnamento
(armonizzazione) sempre nuovi seguono fedelmente il
testo (durkcomponiertes Lied).
Osservando la parte letteraria si può cogliere la presenza di
due testi combinati fra loro (uno descrive l’ambiente, l’altro è
più personale e riguarda la bellezza di una fanciulla e i
sentimenti del “protagonista”) e la presenza di un punto di
domanda alla conclusione del secondo verso della prima
strofa. Nelle strofe successive non solo non vi è traccia del
punto interrogativo, ma al contrario il testo suggerisce una
situazione compiuta e ben definita. 5
canto popolare
L’analisi della melodia ci permette di cogliere l’attenzione
dedicata al punto di domanda evidenziato da un innalzamento
della linea melodica in corrispondenza del monosillabo “oh”.
L’armonizzatore opportunamente ha inserito il passaggio in un
contesto tonale e armonico conclusivo utilizzando un accordo di
do maggiore impiegato nella posizione melodica di terza, cioè in
una disposizione che comunica un senso di apertura. (*)
Risolto in modo appropriato il verso nella prima strofa, rimane
il problema delle successive. Come comportarci visto il diverso
significato?
Ci viene in aiuto il grande scrittore tedesco Goethe che
parlando di Lieder strofici così si esprime: «È compito del
cantante [del coro, del direttore, diremmo noi] e non del
compositore, evidenziare sulla scorta di un’unica melodia, i
significati più disparati delle singole strofe…»
Il brano propone un altro problema: alle battute 4 e 12 c’è una
corona che si colloca alla conclusione del primo e terzo verso.
Credo sia importante non dare particolare durata a tali corone
33
personale piena di ammirazione e commozione: guarda
quanti fiori.
La seconda osservazione riguarda la presenza nel testo
dell’espressione “la-oh” (fra il terzo e quarto verso) e inserito
invece ben quattro volte nella partitura.
Le due osservazioni sono direttamente legate perché molte
volte capita di ascoltare esecuzioni in cui il “la-oh”, tradotto in
musica da valori ampi (alle battute 4 e 8 la seconda sillaba
vale addirittura una minima puntata, valore utilizzato anche
alla conclusione della strofa), crea ampie soste che spezzano
irrimediabilmente il fluire del canto.
Bepi De Marzi mostra una cura particolare nell’elaborare la
melodia e l’armonia.
Un’attenzione rispettosa
verso il testo e la musica
è fondamentale.
se non si vuole spezzare il canto: il testo suggerisce una
inscindibile unione fra primo e secondo verso e poi fra terzo e
quarto. Una sosta eccessivamente prolungata creerebbe una
cesura del tutto inopportuna. Ci conforta in questa affermazione
la scelta operata dall’armonizzatore che in entrambi i casi
propone un’armonia di dominante che crea un senso di
sospensione e che necessita di una risoluzione. Al contrario, la
conclusione dei versi pari che corrispondono alla chiusura di un
concetto è affidata a un accordo di tonica prolungata per ben
quattro quarti (i valori più lunghi di tutto il brano).
Prendiamo ora in considerazione la composizione di Bepi De
Marzi Rifugio bianco. Concentriamo la nostra indagine sui
primi quattro versi:
Pena passà la valle
e dopo un fià de bosco
se slarga i prà nel cielo,
la-oh,
varda quanti fiori.
Si possono fare due osservazioni. Nei primi tre versi si
descrive l’ambiente in cui si svolge l’escursione: il sentiero
si inoltra in una valle, attraversa un bosco, e poi man mano
che si sale la vegetazione diventa più contenuta sino a
ridursi a soli prati. Prati che si stendono a perdita d’occhio
e sembrano congiungersi con il cielo. Segue una riflessione
Si osservino alcuni passaggi:
– l’inizio viene affidato a due voci all’unisono, poi se ne
aggiunge una terza e una quarta e in breve la fascia
sonora si amplia sino a un intervallo di decima (si tenga
presente che le parti scritte in chiave di violino vanno
pensate una ottava sotto); quasi a voler suggerire l’aprirsi
della valle;
– l’espressione “se slarga i prà nel cielo” è resa con un
andamento contrario delle linee melodiche dei tenori primi
e dei bassi, giungendo sino al suono più acuto e
all’apertura più ampia sin qui utilizzata, una tredicesima
(possiamo quasi parlare di “madrigalismo”);
– subito c’è un ripiegamento e il conseguente restringimento
sino a una quinta su un’armonia di sopratonica di la
bemolle maggiore (o di tonica di si bemolle minore); il
verso successivo, quasi una riflessione ad alta voce, segna
un ulteriore ripiegamento con conclusione sull’armonia di
tonica di la bemolle maggiore; ma il testo non è concluso
34
– il direttore deve essere umile e deve quindi cercare di
raccogliere il maggior numero di informazioni (storiche e
musicali) su quello che si appresta a dirigere. Toscanini
sosteneva che la prima qualità di un direttore è l’umiltà!
e allora De Marzi ricorre a un ennesimo “la-oh” per
introdurre una situazione di apertura con l’armonia di
dominante;
– non è importante se l’autore sia arrivato a queste
soluzioni in maniera conscia o inconscia (è sempre
possibile domandarglielo), quello che conta è il dato di
fatto e quindi la constatazione di una attenzione ai singoli
versi che concorrono a una espressione generale; le
singole frasi musicali devono quindi trovare una loro
spiegazione nel contesto della strofa che a mio parere
disegna un arco tensivo che trova il culmine alla battuta
11, per poi ripiegarsi nelle battute successive;
– i singoli “la-oh” devono essere quindi rispettati, ma
caricati di una tensione che deve condurci fino lassù, dove
“se slarga i prà nel cielo”; giunti al culmine lo spettacolo
non lascia indifferenti e spontanea nasce una
osservazione, “varda quanti fiori”, un’osservazione che
non è gridata ma che ciascuno vive dentro di sé, nel
profondo del proprio cuore; risultano quindi opportune le
indicazioni dinamiche che suggeriscono un diminuendo e il
restringimento dello spazio sonoro.
Le osservazioni proposte si basano su elementi oggettivi
(melodia, armonia, ampiezza della fascia sonora, dinamica…)
e nascono dall’indagine di quanto la musica propone.
Spesso chi canta o dirige si lascia guidare dall’istinto,
convinto che “il proprio modo di sentire” sia una guida
sicura e infallibile. L’affermazione è suggestiva, occorre però
tenere presenti alcuni aspetti fondamentali:
– l’istinto funziona molto bene se è musicale;
– il coro non è solo la somma di tante voci, ma anche di
tante “teste” e i modi di intendere possono essere molto
diversi;
– il direttore non solo deve indicare attacchi, conclusioni,
tempo dinamica, ma deve suggerire una interpretazione
che è il frutto di uno sforzo comune;
Un’attenzione rispettosa verso il testo e la musica è
fondamentale.
Si tenga ancora presente che il semplice testo letterario ha
una sua musicalità, frutto del suono della parola e degli
accenti della stessa. Accenti che il musicista deve rispettare
se non vuole storpiarle incautamente o se non vuole ottenere
effetti grotteschi.
La scelta di un metro (più comunemente, ma imprecisamente
definito tempo) determina una regolare successione di accenti
forti e deboli che nella musica con testo letterario devono
guidarci nella pronuncia e nel canto.
Si osservi la cura con cui Bepi De Marzi rispetta il testo,
disponendolo entro un metro ternario e scegliendo valori e
melodie adatte a esaltarne il significato:
Non tutti gli accenti hanno la stessa importanza. Se esiste
una gerarchia all’interno della parola, ne esiste una ancora
più importante all’interno della frase: pensate quale
monotonia, quale antimusicalità risulterebbe da una
successione di accenti tutti uguali. Un anziano insegnante di
musica corale e direzione di coro del conservatorio di Milano,
il compianto maestro Amerigo Bortone, ci faceva esercitare a
individuare l’accento più importante di un verso e poi a
costruire una melodia che rispecchiasse il risultato di quanto
scoperto. Ogni compositore dotato di musicalità dovrebbe
arrivare spontaneamente a elaborare una frase in cui sia
presente una gerarchia di valori, di accenti. Quando ciò
avviene la musica scorre fluida e “spontanea”.
I mezzi con cui si possono ottenere effetti musicali sono tanti:
canto popolare
35
nonostante a battuta 2 entrino i baritoni e a battuta 3 i bassi,
l’aumento del numero delle voci non deve incidere sul fluire
dei suoni. Così il salto discendente (do - lab) della battuta 1
non deve portare a un accento sul suono inferiore, perché,
oltre a creare probabili problemi di intonazione, spezzerebbe
sul nascere sia il testo sia la frase musicale.
valori e ritmo, linea melodica, armonia, ampiezza della fascia
sonora, collocazione nello spazio diastematico… A volte tutti
convergono verso un unico risultato, altre volte occorre
scoprire cosa ha privilegiato il compositore.
Si osservi il primo verso. Ho evidenziato con due asterischi (*)
quello che ritengo essere il culmine del verso (il termine
“valle” specifica cosa si è attraversato: “pena passà” …cosa?
“…la valle”). Bepi De Marzi colloca la parola valle all’inizio di
una battuta su un armonia che suggerisce la dominante.
Nel secondo verso mi sembra opportuno evidenziare “fià”
(per l’apertura delle voci); nel terzo, il movimento contrario
delle voci (soprattutto le esterne) carica di valore
l’espressione “prà”, dopo di che il testo letterario si rivolge
direttamente a noi, suggerendoci di osservare la moltitudine
di fiori che ci circonda. La dinamica si attenua sempre di più e
le voci si avvicinano fra loro restringendo lo spazio sonoro:
tutto diventa più intimo e allora, dopo aver dato giusto rilievo
a “quan-ti”, nulla deve turbare lo scorrere della musica.
Un’ultima osservazione riguarda il tempo ternario che si
presta a figure musicali di questo tipo: metà - quarto oppure
quarto - quarto puntato - ottavo.
La nota breve collocata al termine della battuta non deve
portare alcun accento. Il terzo tempo è debole e quindi,
Le osservazioni proposte possono certamente far discutere
(se fossi riuscito a creare una discussione avrei raggiunto lo
scopo dell’intervento, perché solo mettendosi in discussione
si può crescere) e qualcuno potrebbe trovare più appropriato
evidenziare altre sillabe. Come in un ascensione in montagna
è fondamentale individuare i punti nevralgici di una salita (il
lago, la sella, la cresta, la gola, lo scivolo di neve, il crepaccio
terminale…) da cui occorre passare (o che occorre individuare)
se non si vuole perdere l’orientamento, così in una
interpretazione occorre stabilire un ordine di importanza degli
eventi musicali (una corona, un accordo, un cambio di
dinamica, un’entrata, un’espressione verbale o musicale) da
cui derivano tutti gli altri che si dispongono in un ordine e
secondo una logica preventivamente stabiliti.
Solo una visione complessiva del pezzo riesce a dare il giusto
valore ai singoli episodi, i quali, a loro volta, creano la
sostanza musicale che serve a creare l’interpretazione.
Possiamo concludere con un invito a leggere i testi
attentamente, a cercare di avere il maggiore numero di notizie
possibili sull’origine e sulle trasformazioni dei canti, ad
analizzare musicalmente il brano in modo da mettersi al
servizio del pezzo di musica e lasciare… che la musica parli
da sola.
Ci sembra illuminante la citazione di Ralph Kirckpatrick (noto
clavicembalista e studioso della musica di Domenico
Scarlatti): «Suonare le note non è lasciare che la musica parli
da sola. Lasciare che la musica parli da sola significa che
l’esecutore deve capirla, che sia in grado di identificarsi con
essa nei suoi stessi termini, che tutte le sue possibilità di
sentimento e d’immaginazione siano acuite e disciplinate,
esercitate e controllate e spinte al limite per esprimere ciò che
è insito nella musica, e non semplicemente le note o una
serie di effetti esteriori».
1 L. Bernstein, Giocare con la musica, Excelsior 1881, Milano, 2007,
p. 188.
2 Come canta la montagna, dal repertorio del Coro A.N.A. di Milano,
Ass. Naz. Alpini - Sez. Milano, 1980.
3 Coro Monte Cauriol, Il Canzoniere, Sagep, Genova, 1985, pag. 9.
4 Quest’ultimo aspetto può portarci molto lontano, perché non
riguarda solo le scelte delle armonie, del piano tonale…, ma in modo
più ampio coinvolge la diversa visione e il diverso pensiero che può
guidare l’armonizzazione (per coro virile, coro misto, armonie
semplici con andamenti in terza e sesta, scelte armoniche più ardite,
trattamento omoritmico o giochi imitativi…).
5 Il punto di domanda è presente nel testo proposto a parte, ma non è
indicato nella partitura nella versione del Canzoniere del 1995,
mentre è presente in quella del 2009.
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Un’eco tra le valli
Intervista ad armando corso
a cura di Mauro Zuccante
Gentile maestro Armando Corso, la notorietà di cui lei gode
nell’ambito corale è soprattutto dovuta al fatto di essere lo
storico direttore (ma potremmo dire l’anima motrice) del Coro
Monte Cauriol di Genova. Partiamo perciò da qui. Un coro
alpino radicato in terra di mare. Pare un controsenso. Ci
spieghi.
A Genova e in Liguria in generale ci sono molte associazioni
alpinistiche che organizzano gite, escursioni, arrampicate,
scalate anche difficili. Il C.A.I. ligure a Genova è uno dei più
grossi, c’è molta passione per la montagna. Forse per un
contrasto: si vive tutto l’anno in mare, ma quando si può si
fanno gite; vicino sull’Appennino, oppure un po’ più lontano
sulle Apuane e poi d’estate o in Valle d’Aosta o in Dolomiti.
Si pratica anche molto sci. C’è molta passione per la
montagna. Ci sono molti cori: sei cori di montagna, a Genova.
Ma poi ci sono ancora a Savona, Imperia e qualcuno a La
Spezia.
Difficile negare che il canto corale alpino abbia
accompagnato l’arco vitale di una generazione
segnata dagli avvenimenti bellici e dalle vicende
della ricostruzione. Le prospettive di apertura
geografica e culturale attuali sembrano
inevitabilmente allontanarci da quel passato.
Nonostante ciò, si registrano segnali di ripresa di
interesse verso questa forma di canto corale,
proprio da parte di gruppi formati da giovani
cantori. Come spiega questo fenomeno? Ritiene
che il canto alpino possa avere un futuro?
Certamente. Noi abbiamo cominciato con il repertorio della
Società Alpinisti Tridentini. Avevamo gli spartiti e il libro del
Coro della SAT. Da lì siamo partiti e siamo fortemente ancorati
come base a quel tipo di canto. Naturalmente abbiamo
aggiunto molte cose. Nell’ultimo Canzoniere abbiamo raccolto
circa 245 armonizzazioni, la maggior parte nostre e poche di
altri, in particolare di Dodero. Abbiamo sempre cercato di
pescare nel canto popolare, canto di montagna, canto di gite,
canto giovanile, di escursioni. Molti di noi hanno camminato
per tutta la gioventù e qualcuno ancora adesso, quindi
sentiamo molto questi canti. Sentiamo anche il bisogno ogni
tanto di allargare. Abbiamo qualche spiritual, canti natalizi,
canti religiosi e anche canti popolari di altre regioni.
Naturalmente scegliamo cose molto belle. Noi riscontriamo un
interesse nei giovani. Tant’è vero che noi abbiamo cominciato
in 10-12 – anzi, per la verità, il primo gruppo nel 1949 era solo
di 4 e sono sopravvissuto solo io di quel gruppo – però
adesso siamo più di 60 e dobbiamo frenare le richieste.
Abbiamo molti giovani che vogliono entrare. Forse alcuni
hanno tradizione di famiglia. Non dico di canto, ma di
alpinismo o escursionismo, oppure di vita militare negli Alpini.
I cori alpini si formano, in genere, in ambito prettamente
amatoriale; e amatoriale è, di frequente, la formazione del
loro direttore. Se non sbaglio, anche lei non è musicista di
professione. Crede che il presupposto di sano diletto
contribuisca a valorizzare l’autenticità di chi si esprime
attraverso il canto corale alpino?
Sicuramente sì. Non nego che per i professionisti la musica
nelle sue varie forme sia proprio la vita. Ma nel coro tutti noi
abbiamo una vita professionale diversa, che va dall’operaio, al
perito, al geometra, al laureato in ingegneria, come me,
oppure in economia e commercio, oppure in giurisprudenza,
molti in medicina. Il coro era nato a ingegneria, quando
eravamo studenti. Quindi, c’è una cultura abbastanza elevata
nel coro e questo l’abbiamo visto anche in altri cori di città
importanti, come Milano, Trento e altre. Il fatto di essere
È necessario avere molta misura,
rispetto per lo stile, rispetto per
questi canti.
liberi, perché abbiamo altre professioni, ci rende veramente
consoni con un bisogno interno di questo tipo di vocalità e di
musica, che non è stato imparato in un conservatorio, ma
magari cantando in montagna, cantando in gita. Io ho
cominciato perché ero sfollato a Rovereto nel Trentino con i
miei compagni di liceo. Abbiamo fatto gite e cantavamo in
cima. Lì ho sentito alcune delle cante che non conoscevo, ad
esempio Sul rifugio. In molti di noi non c’è l’aver sentito
questi canti e gradirli, ma c’è l’aver vissuto la montagna, aver
passato la serata fuori dal rifugio a guardare le stelle, o il
plenilunio e così via. Quindi, cerchiamo di restituire qualche
cosa di autentico che abbiamo dentro, che abbiamo vissuto.
Di certo non si impara lo stile del canto corale alpino
frequentando i conservatori di musica. A eseguire il canto
alpino s’impara piuttosto sul campo, dall’esperienza diretta di
chi già lo pratica. L’istruzione di un coro alpino presuppone il
possesso di un insieme di perizie che non sempre coincidono
con le competenze necessarie per la direzione di un coro di
portraiT
tipo accademico. È d’accordo? Se sì, in cosa consistono le
qualità peculiari di un direttore di coro alpino?
Sicuramente all’inizio c’è non una preparazione, ma un istinto e
una certa musicalità da parte di tutti i cantori e del malcapitato
direttore. Alle volte uno lo è perché, tra tanti ciechi, l’orbo, cioè
uno che ce l’ha, diventa il re. E questo è successo a me e ad
altri. Altri invece hanno una preparazione accademica nella
musica. Però prevale sicuramente l’istinto che porta a cantare in
questo modo chi già lo ha fatto in gita, in montagna, in rifugio
o durante la gioventù, o nella vita militare. E poi affinando un
po’ opportunamente le proprie istintive qualità di orecchio,
canore e di vocalità porta a entrare in sintonia con questo modo
di cantare, che ci permette di esprimere tanti sentimenti umani,
restituire proprio umanità, che poi è la base di tutto questo
discorso.
Il Coro Monte Cauriol viene annoverato tra le compagini che
hanno fatto la fortuna del canto alpino. Vorrei chiederle su
quali aspetti espressivi lei ha lavorato più insistentemente, per
differenziare lo stile del Coro Monte Cauriol da quello delle
altre formazioni storiche, che potremmo definire “di
riferimento” nello stesso genere corale.
C’è un dato fondamentale. Su 250 armonizzazioni, più un
centinaio di quelle della SAT (che non sono perciò nel nostro
Canzoniere), parlo quindi di tutte quelle che noi eseguiamo, c’è
per noi radicata la convinzione che un canto di questo tipo
debba essere stato levigato da secoli di tradizione orale, in
modo che tutte le falsità, le asperità sono state tolte e ne esce
proprio qualche cosa di puro, di estremamente valido, che
sentito una volta rimane nella testa di chi ha un po’ di orecchio,
di musicalità. Quindi noi privilegiamo assolutamente canti non
d’autore, salvo rarissime eccezioni, cito Stelutis alpinis, La
Paganella, La montanara e qualche altra. Ma in generale
privilegiamo i canti che sappiamo sono rimasti nelle orecchie
della gente, delle famiglie. Siamo andati in giro, anche in
Trentino, a farci cantare nelle osterie i canti, lo stesso a Trieste
e così via. Abbiamo sentito le preferenze e anche l’entusiasmo
di chi le cantava senza preparazione musicale, ma
evidentemente con un orecchio di base e una certa abitudine,
data una melodia, a fare a orecchio il secondo, il basso. E quindi, secondo noi, questi canti sono molto più validi degli
altri, noi li privilegiamo.
Sveliamo l’arcano della dizione «Armonizzazione: Cauriol», che
contrassegna il maggior numero delle partiture del Canzoniere
del suo coro. In verità, è lei l’autore degli arrangiamenti corali
dei brani che costituiscono il grosso del repertorio del Coro
Monte Cauriol. Quali sono le corrispondenze stilistiche tra le
sue stesure e la prassi esecutiva del Coro Monte Cauriol?
Perché non ho voluto firmare le mie armonizzazione fin da 61
anni fa? Perché ho desiderato fin dall’inizio che il coro le
sentisse proprie, non mie, cioè che non ci fosse un maestro con
degli altri che lo seguivano, ma che fossimo tutti uguali. Perciò
ho cercato, finché qualche sciagurato non ha tirato fuori il mio
nome, di non comparire. Io lo ringrazio naturalmente questo
37
Armando Corso________
Armando Corso si è laureato in
Ingegneria meccanica e navale e ha
pubblicato una cinquantina di lavori
scientifici, ricoprendo ruoli importanti in
vari istituti scientifici e di ricerca. Opera
in ambito jazzistico dal 1947. Ha inciso
con Albert Nicolas, Bobby Hackett e vari
complessi nazionali e ha suonato in
numerosi concerti e festival in Italia e
all’estero, con molti fra i maggiori jazzisti
stranieri, tra cui Bill Coleman, Wild Billa
Davison e Joe Venuti. È fondatore e
direttore dei cori Monte Cauriol,
Mississippi Mainstream Group e Onde
Sonore, tra gli altri. Si esibisce come
solista di pianoforte e fisarmonica, tiene
conferenze-concerti e presentazioni su
vari temi musicali, ha fatto parte di varie
commissioni artistiche ed è stato membro
di giuria a molti concorsi corali nazionali.
Ha ricevuto molti riconoscimenti musicali,
tra cui il Diapason d’Argento nel 1992 e Il
Caravaggio nel 1997. Ha vinto il premio di
poesia indetto dall’Ordine del Cardo per il
componimento Un canto di montagna.
38
sciagurato, questo gruppo di sciagurati, però avrei preferito di no, perché c’è nel
nostro coro un forte senso di appartenenza al coro, sentiamo proprie queste
canzoni. Altri non le cantano, altri le imitano magari adesso da un po’ di tempo.
Ma è molto importante questo aspetto di comproprietà, di orgoglio da parte dei
cantori. Volevo insomma che le sentissero proprie.
Da un coro alpino c’è da aspettarsi una coerente adesione a canti popolari di
derivazione storico-geografica circoscritta. Eppure, nel repertorio del Coro Monte
Cauriol si annoverano alcuni sconfinamenti. Canzoni napoletane, sarde, armene,
americane, gospel, pop e così via. Quali sono le ragioni di queste divagazioni?
Perché ci piacciono e secondo noi sono altrettanto popolari, antiche, valide. Ne ho
parlato con Silvio Pedrotti a suo tempo e mi ha detto «Fate bene. Lo dovete fare.
Perché dovete anche un po’ aprire la vostra
testa verso altre musicalità, altre culture».
Nel caso degli spirituals, siccome io ho una
parallela attività jazzistica, non ho avuto
nessuna difficoltà. Anzi, siamo stati pionieri
in Italia. Perché ora è pieno di cori che
cantano gospel, eccetera, ma noi li
cantavamo 50 anni fa.
La musica non è altro che
un’espressione dell’umanità,
dell’uomo.
Per finire, vorrei formulare la seguente
questione. Abbiamo detto che i cori alpini si formano, di norma, in ambito
amatoriale. Ma le origini del Coro Monte Cauriol ci portano negli ambienti colti
delle aule universitarie genovesi. Analogamente, altri cori alpini si sono formati
tra persone non musiciste di professione, ma comunque di estrazione colta. E
aggiungo che Massimo Mila definì il Coro della SAT «il Conservatorio delle Alpi»,
come a volere attribuire al canto dei satini di Trento un marchio di prodotto
d’arte. Insomma, l’ingrediente popolare nel genere del canto corale alpino in che
misura è filtrato e valorizzato dall’anima colta di chi lo mantiene vivo?
In misura massima. È importantissima la cultura di tutti i coristi, dei vice maestri,
del maestro, perché è necessario avere molta misura, rispetto per lo stile, rispetto
per questi canti, senza voler strafare o debordare. Molti dei coristi – me compreso
– hanno fatto studi, anche studi classici – io ho avuto quella fortuna, ho fatto il
liceo classico, ho studiato filosofia, ho studiato l’estetica, ho studiato Benedetto
Croce – e questo mi ha insegnato tante cose, tante cose su che cosa è valido e su
che cosa è invece cerebrale. Tutto sommato noi siamo dei romantici. Il Coro Monte
Cauriol è formato da persone romantiche, cioè che credono che la musica non sia
altro che un’espressione dell’umanità, dell’uomo: cosa c’è dentro quello che scrive,
che canta, che suona, che dipinge. I suoi pensieri, i suoi sentimenti. Quando io
sento un coro e dico «Ah come sono tecnicamente bravi», la cosa finisce lì. Ma ci
sono stati dei cori oggi 1 – non mi vergogno a dirlo – che mi hanno fatto piangere.
Ma non tutti, alcuni. Sanno esprimere l’umanità che hanno dentro. Forse questa è
la chiave più importante per fare queste cose.
1 Il maestro Armando Corso ha gentilmente risposto alle domande oralmente, in una pausa
dei lavori di giuria, in cui è stato impegnato nell’ultima edizione del Concorso corale
“Seghizzi” di Gorizia.
fragmentA
39
Ave Maria di Caccini… macché Caccini!
di Mario Lanaro
compositore e docente di esercitazioni corali al conservatorio di verona
Quando un brano è sicuramente d’autore? Quante strade può
percorrere una melodia e quindi quante trasformazioni:
pensiamo a O Waly, waly, song scozzese stupendamente
nobilitata dalle armonie di Britten, resa celebre a un pubblico
più vasto dal delicatissimo arrangiamento di J. Taylor, in
chiesa cantata come È giunta l’ora, per approdare poi alla tv
come spot pubblicitario Le fattorie.
Mi è capitato di arrangiare per voce e pianoforte a quattro
mani la famosa Ave Maria di G. Caccini, oramai presenza fissa
nei concerti corali e solistici, addirittura in concorsi e nei cd
antologici dei nostri cori. È la ripetizione di un vocalizzo su
un’accattivante progressione di settime, none e tredicesime,
col solo saluto iniziale “A-ve Ma-ri-a”, sillabe che potrebbero
essere sostituite da qualsiasi altro testo. Trascrivevo da una
fotocopia, a sua volta fotocopiata da fotocopia, con le
indicazioni del titolo e autore in russo e italiano, tra varie
correzioni. Non ne ero convinto, volevo aggiungere di mia
iniziativa “da uno spunto di G. Caccini”, ma anche così il tutto
restava incerto.
Con le prime ricerche arrivo dapprima a un dvd che riporta:
Caccini/Vavilov e di seguito a notizie varie che riassumo:
Vladimir Vavilov (5 maggio 1925 - 3 novembre 1973)
chitarrista, liutista e compositore russo, attivo a San
Pietroburgo. Noto come esecutore e compositore che ha la
bizzarra abitudine di attribuire proprie opere ad altri
compositori, del Rinascimento e del Barocco. Vavilov incide lo
struggente (o meglio… di-struggente) brano per l’etichetta
russa Melodiya, attribuendolo subito ad autore anonimo; la
falsa attribuzione al “nostro Giulio” (che nasce, pare, a Tivoli
nel 1550) risale dopo la morte dello stesso Vavilov (per la
cronaca, morirà in povertà) da parte dell’organista M. Shakhin
(uno degli esecutori della prima registrazione), che distribuì la
partitura ad altri musicisti. In seguito, l’organista O. Yanchenko arrangiò l’aria per la cantante I. Arkhipova, che
la incise nel 1987, dando al brano diffusione mondiale.
Ne parlo con colleghi cantanti e un’allieva di San Pietroburgo
mi conferma, un po’ divertita, che si tratta proprio di un falso.
Grazie a Enrico Zanovello, collega altrettanto attento e
curioso, mi son trovato tra le mani il cd Lute music (cod.
CDMAN181, Manchester, www.classicalcd.ru/catalogmore.
php?id=1073). Ecco le note di presentazione della raccolta:
«Ristampa della raccolta di musica per liuto, che divenne una
delle più grandi truffe della storia della registrazione del XX
secolo. La maggior parte delle tracce registrate nel 1968 da
“Melody” su LP, perpetuata in successive edizioni, proviene
dalla penna dell’artista Vladimir Vavilov, Leningrado,
chitarrista e compositore fallito, che nasconde
deliberatamente la
paternità delle
composizioni. Le
musiche di questo
album sono spesso
state utilizzate come
colonne sonore, o per
fondi sonori, come la
canzone inglese
Greensleeves, l’Ave
Maria di G. Caccini o la
Chanson di Francesco di
Milano, da diventare veri
e propri “hits”.»
[…] C’è da chiedersi: perché Vavilov resta nell’anonimato?
Avrebbe mai immaginato tanta notorietà (e guadagno) con i
suoi falsi d’autore? Mi chiedo: il fatto di trovarla nelle
compilation dei vari Bocelli, Sumi Jo, Church e altri gruppi
affermati è sufficiente per legittimarla? E l’aderenza stilistica?
Ci convince l’armonia, la melodia, il testo appena iniziato e
non sviluppato? Esistono così tanti arrangiamenti e
orchestrazioni di questo brano per cui nessuno ne dubita più:
è sicuramente Caccini! Originale? non saprei! Bello? ma… sai…
funziona!
In qualche raro caso l’indicazione è precisa, ma mai nelle
nostre rassegne corali, e addirittura vengono indicate le date
del povero Caccini. La cosa è ancor più grave quando questo
accade in concorsi nazionali e internazionali, dove ci dovrebbe
essere maggior controllo prima di accettare i brani che coro o
cantante solista presentano. E il Francesco da Milano? Stessa
sorte? Chiedo aiuto ai colleghi di liuto.
Chiarezza, precisione, curiosità, ricerca e confronto tra diverse
edizioni, desiderio di risalire alla fonte, o almeno provarci!
Non accontentarci, specialmente quando il brano ci viene
passato su fotocopiadafotocopiadafotoc… Un invito: nel
prossimo programma di sala indichiamo: Ave Maria “di
Caccini”, musica di Vladimir Vavilov (1925-1973). Grazie!
E Arcadelt? Ma come… anche la sua Ave Maria è “falsa”?… se
l’abbiamo sempre cantata? Questo, però, è un altro discorso. 1
Buon canto!
1 L’autore si riferisce al noto brano a 4 voci dovuto alla penna di
Pierre-Louis-Pilippe Dietsch (1808-1865), contrabbassista e direttore
d’orchestra. Arcadelt compose in realtà una chanson profana a tre voci
(Nous voyons che les hommes), sulla base della quale il musicista francese, con l’aggiunta di una voce, scrisse la sua Ave Maria. Notizie
più dettagliate su “La Cartellina”, n. ____________ (ndr)
un grande festival
per giovani voci
grande
festiv
di Stefano Klamert
Oltre milleduecento giovani cantori, trentatré cori scolastici provenienti da ogni
parte d’Italia, undici atelier di studio guidati da altrettanti docenti di chiara fama:
sono solo alcuni dei numeri che hanno segnato il grande successo – se vogliamo,
anche inaspettato – della ottava edizione del Festival di Primavera, che in due
finesettimana – dal 15 al 17 aprile per le scuole medie e dal 22 al 25 aprile per le
scuole superiori – ha inondato di musica la cittadina di Montecatini Terme. Quale modo migliore, per cogliere la ricchezza di questa iniziativa, se non cedere
la parola a chi il festival lo ha vissuto, con impegno ed entusiasmo, nello spirito
de “la scuola si incontra cantando”!
Il Festival di Primavera è sicuramente uno degli appuntamenti di maggior rilievo nel panorama corale
nazionale, specialmente per quanto riguarda le manifestazioni dedicate ai cori scolastici. Ogni
momento del festival è dedicato ai giovani, ma ognuno di questi momenti è dedicato loro in modo
diverso, proprio con l’obiettivo di mostrare quanto ricca sia la musica e in particolare il canto corale.
Tale ottica dovrebbe far parte di ogni direttore di cori giovanili quale strumento fondamentale per
coinvolgere e valorizzare l’enorme potenziale umano presente nelle strutture scolastiche. Come
sottolineato da Sandro Bergamo nell’ultimo editoriale di Choraliter, ci si lamenta spesso che le
istituzioni fanno poco o niente per incentivare la musica nella scuola: vero, come è altrettanto vero che
le possibilità per far crescere i giovani nella e con la musica ci sono ugualmente, e le iniziative di
Feniarco e delle associazioni regionali ne sono un esempio.
Due aspetti della strategia vincente di Feniarco sono da una parte il creare delle occasioni per
permettere ai cori di esibirsi e confrontarsi attivamente con altre realtà corali diverse, dall’altra creare
dei progetti che possano fungere da punti di riferimento per la coralità amatoriale e in particolare per
quella scolastica.
L’ultimo di questi progetti è il Coro Accademia Feniarco. Nato come coro laboratorio della quinta
Accademia Europea per Direttori di Coro e Cantori svoltasi a Fano nel mese di settembre 2009, nella
ASSOCIAZIONE
serata di giovedì 22 aprile questo coro
“particolare” ha inaugurato il secondo weekend
del Festival di Primavera, dedicato alle scuole
superiori (la settimana precedente si era svolto il
festival per le scuole medie). Coro particolare per
alcuni motivi, di cui mi preme sottolinearne uno: il
repertorio eseguito al concerto era composto
quasi interamente da brani pop (sia italiano
contemporaneo che americano degli anni ’70-’80),
ma gli arrangiamenti (curati per la maggior parte
da Alessandro Cadario, al quale è stata affidata
con successo la direzione del coro) avevano
trasformato i brani originali a tutti gli effetti in
madrigali: indipendenza delle voci, figure
retoriche, madrigalismi e tutte le altre
caratteristiche tipiche della scrittura di Monteverdi
erano fortemente presenti in brani dove mai si
penserebbe di ritrovarli; per citarne alcuni, Infinito
(Raf), Giudizi Universali (Bersani) o Iris
molti aspetti ne è molto simile, e soprattutto che
sarebbe sufficiente fornire ai giovani gli strumenti
necessari per poter apprezzare i diversi stili
musicali sviluppatisi attraverso i secoli scorsi e
che – come naturale evoluzione – hanno portato
nel ’900 anche al jazz, al pop e al rock’n’roll.
Nova et vetera, potremmo chiamare tale scelta, la
stessa adottata da alcuni dei cori partecipanti per
il proprio programma dei concerti sul territorio, che
hanno spaziato dal Rinascimento al Romanticismo,
dal Barocco al ’900 storico fino agli spiritual e a
elaborati arrangiamenti di colonne sonore, e la
buona resa delle esecuzioni ha dimostrato che i
giovani d’oggi sono capaci di fare tanto anche nella
(ingiustamente) bistrattata musica colta, lasciando
intuire quanto ancora potranno fare se
debitamente supportati dalle istituzioni.
Ultimo appuntamento del festival è stato il Gran
Concerto di Primavera, tenutosi, come il concerto
inaugurale, presso il Palazzo dei
Congressi di Montecatini Terme: in
tale occasione sono stati
presentati i risultati dei lavori
degli atelier, iniziati il giovedì
pomeriggio e svoltisi durante tutto
l’arco del weekend. Ben cinque i
laboratori attivati, che hanno
spaziato su generi molto diversi
percorrendo l’arco degli ultimi otto
secoli: dalla musica medievale alla
polifonia romantica, dalla polifonia
rinascimentale ai canti etnici della
world music fino agli elaborati
arrangiamenti pop creati dal
docente olandese Rogier Ijmker, il
primo docente straniero della
storia del Festival di Primavera.
Merita spendere due parole per
sottolineare alcune scelte (in
particolare due) fatte dalla Feniarco in merito
all’organizzazione degli atelier.
La prima è stata quella di consentire l’iscrizione ai
laboratori per coro e non per singolo corista,
come invece accade non di rado in contesti simili:
in questo modo viene data sicuramente meno
libertà di scelta alla singola persona, ma in
compenso è il coro come entità di gruppo (il vero
destinatario del festival e degli atelier) a vivere
un’esperienza in più, lavorando con un docente
esperto su un genere (spesso) non molto
approfondito nell’attività ordinaria durante l’anno
e portando a casa un’esperienza sicuramente utile
e utilizzabile da subito per il repertorio e l’attività
del coro stesso. Per evitare sovraffollamenti è
stato posto comunque un numero massimo (e
nde
val
(Antonacci), che si conclude addirittura con uno
stretto degno delle fughe di Bach. A proposito di
Monteverdi e di madrigali, il programma
prevedeva anche l’esecuzione di alcuni brani
seicenteschi: un madrigale appunto di Monteverdi
(Cor mio mentre vi miro), eseguito come da
tradizione da un quintetto di solisti, e una
villanella di Orlando di Lasso (Matona mia cara),
eseguita anch’essa da un gruppo ridotto. Tale
accostamento di generi così diversi potrebbe in
prima battuta sembrare fuori luogo, ma alla fine
si è rivelata una scelta didattica molto efficace:
infatti uno degli scopi del concerto era mostrare
(e dimostrare) alle nuove generazioni che la
musica antica non ha nulla da invidiare ai nuovi
generi (in particolare pop e rock’n’roll), anzi, per
41
42
Access! European Youth Forum on Music
Musica a 360°! Access è il primo forum europeo sulla musica
esclusivamente rivolto ai giovani. Si terrà dal 15 al 17 ottobre 2010 a
Torino, Capitale Europea dei Giovani per il 2010. Attraverso seminari
specializzati i partecipanti avranno l’opportunità di ampliare le
proprie competenze e conoscenze sul mondo musicale.
Access è un’iniziativa del Working Group Youth (WGY), comitato di
giovani che opera all’interno dell’European Music Council. Il forum è
realizzato in collaborazione con Europa Cantat Youth Committee e
con Feniarco.
Al forum sono invitati a iscriversi tutti i giovani di età inferiore ai 30
anni con un genuino interesse per la musica e che abbiano già
maturato una certa esperienza in questo mondo. Un’opportunità per
studiare, creare e lavorare in ottica europea. Sarà possibile incontrare
professionisti del settore ed esplorare una vasta gamma di temi
come: music and arts management, social networking, educazione
musicale, musica e cambiamenti sociali, musica e politiche giovanili.
Un importante risultato e di lunga durata che questo appuntamento
porterà con sé sarà l’elaborazione della European Agenda for Youth
and Music, un documento che definirà gli attuali interessi e le future
aspirazioni dei giovani nel campo della musica in Europa e oltre. Tale programma poi sarà diffuso a livello mondiale e fungerà da
riferimento per le organizzazioni musicali europee, per le politiche
europee e come stimolo per i giovani.
Prima della manifestazione, un forum online sarà lanciato per
permettere ai partecipanti di conoscersi a vicenda e iniziare a
lavorare sull’Agenda. La lingua di lavoro sarà l’inglese.
Tutte le info su www.emc-imc.org
minimo) di iscrizioni per ogni laboratorio, in
modo che ogni docente avesse a disposizione
un organico consistente con cui poter lavorare.
Una cosa soprattutto mi ha colpito: non pochi
sono stati i casi di coristi arrivati il giovedì
pomeriggio alla prima lezione dell’atelier
decisamente perplessi e un po’ “impauriti” su
ciò che potevano aspettarsi da un genere
musicale non in cima al loro gradimento. La cosa piacevole è stato notare che al termine
del festival erano questi stessi coristi i più
dispiaciuti per dover interrompere il lavoro
sviluppato nei tre giorni, proprio perché un
genere nuovo e apparentemente “vecchio” si è
invece rivelato interessante, stimolante e
coinvolgente, ancora più della musica con cui
oggi siamo bombardati dai media.
Altra peculiarità di questo festival è stato l’invio
delle partiture degli atelier ai cori partecipanti
con circa un mese di anticipo, cosicché i singoli
cori potessero iniziare a leggere i brani per
conto proprio e arrivare al festival con le parti
già imparate; anche questa una scelta vincente
della Feniarco, scelta volta a permettere al
docente dell’atelier di dedicare le ore a
disposizione a lavorare direttamente sul “far
musica”, bypassando un lungo lavoro di lettura
“a tastino” di tutti i brani (cinque pezzi a sei
voci non sono pochi da leggere in meno di tre
giorni…) che toglierebbe tempo prezioso
all’obiettivo vero e proprio dell’atelier, cioè
quello di far risaltare i tratti peculiari di un
genere musicale/periodo storico, di
confrontarne le diversità con altri generi e di
farli apprezzare a coristi mediamente non
esperti. Forse la grande importanza di questo
vantaggio potenziale non è stata recepita da
alcuni cori partecipanti al Festival, i quali si
sono presentati alla prima prova degli atelier
senza aver mai guardato le relative partiture;
ciononostante, grazie alla bravura dei docenti,
capaci di cogliere le difficoltà e ottimizzare i
tempi, i risultati dell’intenso lavoro svolto nei
tre giorni si sono visti e sono stati apprezzati
da tutti gli altri partecipanti al festival e dal
numeroso pubblico che ha assistito al concerto
finale. Al termine della serata tutti i cori (più di
500 persone) hanno cantato assieme An Irish
Blessing sotto la direzione di Lorenzo Donati:
con queste parole tutti i coristi, i loro direttori, i
docenti e il meraviglioso ed efficientissimo staff
si sono augurati reciprocamente buona fortuna
per gli impegni futuri e si sono dati l’arrivederci
per l’edizione 2011.
43
cantare insieme
o insieme per
cantare
il direttore di coro come
gestore di dinamiche relazionali
CANTAR
di Fabiana Gatti
e Simone Scerri
Introduzione
Il 2009 ha visto Feniarco e i suoi direttori
impegnati in un progetto chiamato InDirection;
in realtà la sua storia inizia nel settembre 2006,
quando due psicologi amici e colleghi, Fabiana
Gatti e Simone Scerri, iniziano a coltivare l’idea
di occuparsi di cori dal punto di vista psicosociale. La prima, Fabiana Gatti, è docente di
Tecniche di comunicazione e gestione dei piccoli
gruppi presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano e ha una solida esperienza nella
ricerca sociale e nella formazione; il secondo,
Simone Scerri, lavora come psicologo in ambito
educativo e socio-sanitario ed è appassionato di
musica corale: ha cantato in diversi gruppi vocali
a cappella, dirige un coro di voci miste, conduce
un laboratorio corale all’interno di un
Dipartimento di Salute Mentale. Dalla loro
pluriennale collaborazione nasce l’idea di
formare un team di lavoro attorno a questo
nuovo tema. Il contatto con Giorgio Morandi è
provvidenziale per arrivare a Feniarco; l’interesse
e il coinvolgimento del presidente Fornasier e dei
suoi collaboratori permettono di attivare un
lavoro che dura oltre due anni, necessari
all’avvio vero e proprio del progetto: Fabiana
Gatti e Simone Scerri sono impegnati nel mettere
a punto il progetto di ricerca, lo staff di Feniarco
è impegnato negli aspetti organizzativi e
burocratici: dai contatti con le associazioni
regionali a quelli con il Ministero.
Il progetto
InDirection nasce con l’obiettivo di fare emergere
le abilità di natura non-musicale richieste ai
direttori di coro nello svolgimento della loro
attività, così da promuovere una visione più
complessa della loro professione e ipotizzare
nuove proposte formative a essi rivolte.
Il presupposto di partenza è che il direttore si
relaziona con lo strumento elettivo del coro – la
voce – in modo indiretto: il suo “strumento” è
44
costituito dai cantori e dalle loro voci. Il direttore si interfaccia
con il suono non solo attraverso il gesto, ma anche attraverso
la relazione interpersonale che instaura con i singoli coristi e
con il coro inteso come unità.
Spesso i direttori sono chiamati a gestire situazioni complesse
da un punto di vista organizzativo, relazionale e psicologico in
senso ampio, una gestione che spesso si basa sull’intuizione
personale più che su tecniche consolidate.
Si è ritenuto perciò opportuno svolgere una prima fase di
ricerca per portare alla luce tutti quegli aspetti che regolano la
vita di un coro e che, pur non essendo di natura direttamente
musicale, ne influenzano la vita: la qualità delle prove, lo stato
delle relazioni interne, la qualità e la programmazione delle
esibizioni pubbliche sono solo degli esempi.
La poliedricità del ruolo di direttore di coro può essere
valorizzata e sostenuta soltanto se gli aspetti musicali e quelli
non-musicali del suo operato trovano una sinergia, dato che il
buon presidio di entrambe le componenti consente a esse di
rinforzarsi a vicenda; inoltre, poiché riteniamo che la coralità
sia strettamente legata al benessere dell’individuo, sono state
considerate tutte quelle esperienze rappresentate da cori a
forte valenza sociale (cori composti da persone anziane,
diversamente abili ecc.).
Alla luce di quanto fin qui esposto, la fase di ricerca ha
perseguito obiettivi sia di tipo conoscitivo (rilevare quali
aspetti di natura non-musicale vengono vissuti dai direttori
come criticità all’interno del loro lavoro; riconoscere quali
strategie vengono utilizzate abitualmente dai direttori per
risolvere le criticità; mettere a fuoco le specificità della
Coro a valenza
prevalentemente artistica
conduzione di cori con attività prevalentemente sociale;
verificare l’esistenza di esigenze formative specifiche da parte
dei direttori, specialmente se giovani) che pragmatico
(promuovere una cultura della direzione corale che ne
comprenda gli aspetti psicologici e relazionali; progettare ed
erogare azioni formative relative agli aspetti sopra menzionati,
al fine di potenziare le abilità di leadership e gestione delle
dinamiche di gruppo, rivolte in particolare ai giovani direttori;
fornire strumenti utili alla conduzione di cori con attività
prevalentemente sociale; migliorare la qualità del clima di
gruppo nei cori con ricadute positive in termini musicali).
Dal punto di vista metodologico si è scelto di realizzare una
ricerca qualitativa esplorativa secondo l’approccio della
Grounded theory di Glaser e Strauss (1967), al fine di costruire
una teoria cucita sul fenomeno di studio, tramite un approccio
induttivo e fondato sui dati. La fonte legittima dei dati sono
state dunque le persone che vivono l’esperienza del dirigere
un coro: il loro punto di vista costituisce la comprensione delle
esperienze immediate.
A questo scopo sono stati condotti otto focus group online
che hanno coinvolto 71 direttori (distribuiti su tutte le regioni
italiane) suddivisi rispetto ad alcune variabili che influiscono
sulla gestione delle dinamiche di gruppo: età e genere dei
coristi; finalità del coro. La dimensione “repertorio del coro”
non è stata utilizzata per la definizione dei focus group (FG)
data la sua estrema variabilità, ma è stata introdotta come
argomento di discussione. Ciascun FG ha coinvolto dagli 8 ai
12 partecipanti. La composizione del campione è così
sintetizzabile:
Coro
misto
Voci
pari
Coro a valenza prevalentemente sociale
Gli esiti del lavoro di ricerca sono confluiti in un testo
corredato da note e osservazioni di matrice prettamente
psicologica, edito da Feniarco. Sono state inoltre progettate e
realizzate quattro edizioni di un corso di formazione articolato
in due sessioni (la prima di due giorni e la seconda – followup – di una giornata). Tali corsi hanno coinvolto 89 direttori e
sono stati condotti tramite tecniche attive in quattro diverse
zone geografiche d’Italia (Torino, Castelfranco Veneto, Roma
e Bari).
La fase di ricerca
I 71 direttori coinvolti grazie a Feniarco e alle associazioni
corali regionali hanno partecipato alla ricerca rispondendo a
una serie di domande che di settimana in settimana venivano
Voci
bianche
Voci
giovanili
Voci
adulte
1
1
1
Maschili
1
Femminili
Eterogeneo
2
1
1
postate dai moderatori/ricercatori dei forum online: la
modalità del forum consentiva ai partecipanti non soltanto di
rispondere alle domande ma anche di leggere le risposte dei
colleghi, andando così a commentare e creando un confronto
di gruppo. Le domande andavano a toccare obiettivi, nodi
critici e strategie utilizzate in diverse fasi della vita del coro
(prove, pre-concerto, esibizioni pubbliche ecc.).
Il corpus su cui è stata effettuata l’analisi tramite Atlas.Ti
(software per l’analisi quali-quantitativa del contenuto) era di
558 messaggi. Tutto il materiale depositato nei forum è stato
codificato dai ricercatori in categorie (suddivise in seguito in
tre aree tematiche: il direttore, il coro e l’attività) che
rispecchiano gli enti più significativi emersi.
ASSOCIAZIONE
Sintesi dei risultati emersi
Come già detto, la logica che ha guidato la metodologia della
ricerca è stata qualitativa. I dati non vanno quindi letti
secondo l’ottica della significatività statistica, quanto della
necessità di rintracciare la varietà dei fenomeni descritti e la
loro frequenza nel campione. I dati emersi dal lavoro di
codifica, pertanto, si riferiscono a informazioni dichiarate dai
soggetti stessi: alcune domande lasciavano liberi i partecipanti
di dire quello che ritenevano importante; quindi non sempre
tutti i direttori hanno fornito le stesse informazioni. Pertanto la
descrizione e l’interpretazione dei seguenti dati è avvenuta in
termini assoluti e non percentuali, essendo fondata sui dati
dichiarati dal campione.
Sintetizziamo qui i principali dati relativi al campione della
ricerca.
Rispetto al genere dei direttori, hanno partecipato 42 maschi e
29 femmine, con percorsi formativi differenti ma che
contemplano in molti casi l’esperienza pregressa da coristi, gli
studi in conservatorio ed esperienze musicali “altre” oltre a
quella corale. Sono stati reclutati principalmente direttori di
giovane esperienza proprio perché questo era uno degli
obiettivi del progetto – direttori che nella maggior parte dei
casi svolgono questa attività da professionisti e non
semplicemente come hobby. I cori di riferimento dei direttori,
nella maggior parte dei casi con repertorio misto, erano diversi
per numerosità con una prevalenza di cori con oltre 16
componenti.
Tra le aree indagate vi è quella degli obiettivi che i direttori
hanno sui loro cori, da cui emerge come preponderante il
tentativo di formare un gruppo che riesca a creare al suo
interno una rete di relazioni “amicali”, in cui le differenze
possono essere “armonizzate” garantendo quindi la possibilità
di lavorare in serenità. Poiché sono emersi numerosi obiettivi
che possono essere raggruppati in tre macroaree, riteniamo
utile riportare un grafico che le sintetizzi (grafIco 1):
– dimensione relazionale, al cui interno si trovano le
sottocategorie “amicizia <dentro>”, “amicizia
<fuori>”, “divertirsi”, “armonizzare la diversità
(educazione sociale)”;
– dimensione individuale (espressiva), al cui interno si
trovano le sottocategorie “esprimersi in musica”,
“comunicare emozioni agli altri” e “divertirsi”;
– dimensione oggettuale, al cui interno si trovano le
sottocategorie “esibizione/concerti/incisioni”, “fare
cultura”, “cura dell’intonazione e della vocalità”, “valoriz­
zazione della tradizione e interesse per repertorio corale” e
“servizio (liturgia, cerimonie)”. La “dimensione oggettuale”
fa infatti riferimento esplicito agli oggetti di lavoro.
Rispetto ai coristi, uno dei dati fondamentali riguarda la
mancanza di una loro alfabetizzazione musicale: potremmo
sintetizzare dicendo che nella maggior parte dei casi direttori
professionisti lavorano con coristi principianti, che paiono
trovare motivazione alla partecipazione sia in aspetti sociorelazionali (“socialità/esperienze umane”, “possibilità di
200
45
Dimensione
relazionale
181
180
152
160
140
127
120
Dimensione
oggettuale
Dimensione
individuale
100
80
60
40
20
Grafico 1
Obiettivi sul coro per dimensioni
0
350
304
Fattori
tecnicoorganizzativi
300
Fattori
relazionali
250
200
150
131
100
50
0
Grafico 2
Fattori critici per aree
esprimersi e comunicare con gli altri”, “momento di evasione”,
“scoprire l’esterno”) che in aspetti prettamente musicali
(“esperienze artistiche”, “migliorare le proprie abilità vocali”,
“possibilità di esibirsi”, “servizio”).
Interessante è stata poi l’analisi dei fattori critici emersi, che
per esigenze di sintesi riportiamo qui raggruppati in due
macroaree, quella relazionale e quella tecnico-organizzativa
(grafico 2). Connessa ai fattori critici vi è l’analisi delle
strategie comunemente utilizzate dai direttori, che anche in
questo caso possono essere così sintetizzate:
– strategie connesse alla dimensione emozionale/relazionale
(categorie “condivisione nella scelta”, “sdrammatizzare” e
“distensione”);
– strategie connesse alla dimensione tecnica (categorie
“prove extra per chi ha difficoltà”, “prove separate per
sezioni o per sesso”, “registrazione di ogni prova e
ascolto”, “parti inviate via e-mail”, “prove extra preesibizione” e “ascolto nuovo brano eseguito da altri”).
Dopo una prima analisi descrittiva delle principali aree emerse,
sono state condotte alcune analisi volte a verificare come le
dimensioni osservate si influenzino vicendevolmente. Questo
ha permesso di cogliere per esempio una sorta di omogeneità
rispetto al genere dei direttori nelle aree più razionali e
46
consapevoli (le problematiche rilevate, le abilità ritenute
necessarie, le strategie usate coscientemente), ma una
significativa differenza su aree e atteggiamenti relazionali,
meno consapevoli e per questo particolarmente significativi.
Solo portando alla luce e rendendo espliciti atteggiamenti su
cui non vi è chiara consapevolezza è stato poi possibile
lavorare nella fase formativa.
Un altro incrocio interessante è stato quello tra i “momenti”
che vedono il coro impegnato (prove, pre-concerto, esibizioni,
concorsi…) e tutte le categorie fin qui descritte: questo lavoro
ha permesso di definire il peso dei diversi fattori critici in
relazione a tali momenti, al fine di definire quali strategie
siano più funzionali per trattarli. Infine anche l’incrocio tra gli
obiettivi in gioco (quelli del direttore e quelli dei coristi) e i
fattori critici ha guidato la riflessione nell’individuare le
strategie di volta in volta più opportune.
Il percorso formativo
Il percorso formativo ha coinvolto 89 direttori di coro aderenti
a Feniarco provenienti da tutto il territorio nazionale.
La metodologia utilizzata ha previsto l’alternanza di lezioni
frontali per gli aspetti teorici, role-playing, discussione di casi
e auto-casi, lavori di confronto e discussione in sottogruppi e
in plenaria.
Il fil rouge tenuto negli incontri, costruito sulla base delle
priorità emerse nella fase di ricerca, si è strutturato secondo
un “tetralogo”, ossia quattro regole, quattro fattori di
attenzione facilmente memorizzabili e che potessero fungere
da richiamo degli aspetti più importanti per guidare un coro
dal punto di vista non musicale.
Se i ricercatori-formatori hanno elaborato le regole e i
sottopunti in cui sono state sviluppate, sono stati i direttori
nei diversi gruppi a “riempirle” con strategie, casi ed esempi
pratici, che qui non riporteremo ma che sono contenute nel
libro edito da Feniarco.
Prima regola: sii consapevole …
a. degli obiettivi che vuoi raggiungere per te stesso
attraverso il coro;
b. degli obiettivi che vuoi raggiungere per il coro;
c. dei tuoi modelli/rappresentazioni (cosa sia un “buon” coro,
un buon repertorio, una buona esibizione…).
Seconda regola: riconosci la persona, riconosci le persone
Insegnamento e apprendimento: durante le prove valuta
sempre l’energia fisica e mentale disponibile nei coristi
(attenzione ai segnali di stanchezza, al rendimento sotto la
media, alla facile distraibilità ecc.) per non richiedere ciò che
in quel momento è fuori dalle loro possibilità, innescando una
catena negativa e per attuare eventuali strategie alternative
nella gestione della prova.
Fornisci feedback: di tanto in tanto da’ dei feedback ai singoli
coristi, alle sezioni, al gruppo intero per rinforzare la loro
motivazione e per dimostrare riconoscimento/attenzione;
quando dai feedback, concentrati sull’oggetto e non sulla
persona: in caso di feedback negativi, per rimarcare che è la
prestazione a essere negativa e non la persona (significa che ci
sono margini di miglioramento); in caso di feedback positivi,
per evitare sentimenti di gelosia/invidia nel resto del gruppo.
Meglio feedback positivi rivolti alle persone solo quando ci si
rivolge a tutto il coro, e non alle singole persone o sezioni. Se
si presenta la necessità di fornire continuamente feedback
negativi, interrogati sulla tua parte di responsabilità nell’anda­
mento della situazione e, una volta individuata, esplicitala
come ipotesi, cioè chiedi a tua volta dei feedback ai tuoi coristi
(es: come si sentono in una data situazione, che cosa pensano
della loro esecuzione, quali difficoltà incontrano ecc.).
Gestione ansia pre-concerto: non sottovalutare le
manifestazioni d’ansia nel pre-concerto (le tue e quelle dei
coristi), non fingere che non esistano, anzi prendile in
considerazione per trasformarle in un’opportunità di lavoro.
Lavora con il coro dal punto di vista mentale, ricapitola i punti
a cui prestare attenzione, richiama alla memoria il lavoro
svolto durante le prove, ricorda al coro quali sono i suoi punti
di forza su cui fare leva. Lavora con il coro dal punto di vista
emotivo/fisico, se ve ne è la possibilità, proponi esercizi che
stimolino il rilassamento la concentrazione di gruppo
attraverso l’uso della respirazione e della voce: in questo
modo lavorerai su più fronti: ridurre l’ansia, focalizzare il
gruppo sull’obiettivo, lavorare sul suono.
Gestione delle persone: affida alcune funzioni ai tuoi coristi
disponibili a ricoprirli, laddove possibile (es: logistica,
organizzazione trasferte, materiali ecc.) per costruire una
“squadra” attraverso l’assegnazione di ruoli specifici e
differenziati, per stimolare senso di responsabilità dei coristi
verso il gruppo, per dedicarti in modo più mirato alle tue
funzioni di leader: guidare il gruppo verso l’obiettivo,
mantenere/conservare il gruppo, rappresentare il gruppo.
Terza regola: tutela l’oggetto
Condividi il senso del lavoro: ossia condividi con il gruppo di
coristi gli obiettivi generali del vostro lavoro (es: programma
dell’anno, scelta del repertorio, obiettivi artistici, obiettivi
didattici ecc.) per aiutarli a dare un senso al percorso che
svolgono insieme e a guadagnare motivazione, per ricordare
(in modo indiretto ma ricorrente) che il coro non è soltanto un
gruppo di amici, ma anche un gruppo di lavoro con obiettivi
su cui impegnarsi, per definire i confini/identità del gruppo,
stimolando il senso di appartenenza, per attivare in modo
coerente e mirato le energie e le risorse dei coristi. Quando la
situazione lo consente (es: se c’è tempo a disposizione)
condividi con il gruppo i micro-obiettivi a cui di volta in volta
lavorate, per far riconoscere nel tempo (in modo indiretto ma
ricorrente) quali sono le aree su cui un coro deve lavorare
(intonazione, suono, dinamiche ecc.), aumentando nei coristi
consapevolezza, possibilità di autoapprendimento e di
autovalutazione, per suddividere gli obiettivi generali in
sotto-obiettivi più facilmente riconoscibili dai coristi (e, in
questo modo anche la consapevolezza di averli/non averli
raggiunti sarà più semplice da guadagnare); per rendere
ASSOCIAZIONE
partecipi i coristi del metodo di lavoro che vi siete dati,
stimolando senso di appartenenza e motivazione. Se
possibile, per spiegare/condividere gli obiettivi non dilungarti
oltre il necessario (“usa poche parole per ciò che può essere
spiegato con poche parole”) per offrire ai coristi tutte le
opportunità fin qui descritte senza appesantirli troppo; per
mantenere la concentrazione del gruppo sul lavoro musicale;
per evitare far sembrare il direttore più importante della
musica e/o degli obiettivi di lavoro.
Quarta regola: cura le relazioni con l’esterno
Gestione di funzioni: affida alcune funzioni ai tuoi coristi
disponibili a ricoprirli, laddove possibile (es: logistica,
organizzazione trasferte, materiali ecc.), per aumentare il
riconoscimento del coro all’esterno come “gruppo di lavoro”
(organizzato, competente, affidabile…), per dedicarti in modo
più mirato alle tue funzioni di leader e “diluire” eventuali
contrasti (salvaguardare il riconoscimento della competenza
musicale del direttore).
Allarga la prospettiva: favorisci momenti di scambio con altri
insegnanti per stimolare la motivazione ad apprendere e ad
approfondire la pratica corale; favorisci momenti di ascolto
per offrire modelli di riferimento e per stimolare un
atteggiamento di ricerca e la passione per la coralità; segnala
ai tuoi coristi concerti, seminari e iniziative di natura corale
presenti sul territorio cercando di favorirne la partecipazione,
per favorire lo sviluppo sia della dimensione amicale/
socializzante del gruppo che di quella legata al lavoro
musicale (in questo modo le due dimensioni si rafforzeranno
a vicenda) e per stimolare un atteggiamento di ricerca e la
passione per la coralità.
Cura le relazioni con il presidente, famigliari dei coristi,
istituzioni: quali bisogni/aspettative? Quali “linguaggi”? Quali
ricadute sui coristi? Rapporta obiettivi e scelte a queste
variabili, per non “dividere” il corista tra necessità differenti e
troppo difficili da gestire.
Conclusioni
Il lavoro di ricerca e quello di formazione hanno prodotto
moltissimi spunti e l’entusiasmo di coloro che vi hanno preso
parte sembra dirci che il progetto si è posto nella giusta
direzione, andando a toccare aspetti molto vivi nel lavoro dei
direttori e su cui è quanto mai necessario portare l’attenzione.
Occorre ricordare che nel contesto italiano – ma anche in
quello europeo – è la prima volta che si approfondiscono con
sistematicità e scientificità gli aspetti non-musicali del lavoro
dei direttori di coro: quali le strade percorribili per diffondere
non solo i risultati del lavoro, ma anche la cultura della
direzione corale che esso può veicolare? L’iniziale incontro tra
Università Cattolica e Feniarco pose il gruppo di fronte a una
strada impegnativa ma appassionante: a distanza di qualche
anno la soddisfazione riguarda sia gli esiti del lavoro svolto
che la qualità della collaborazione reciproca. Una
soddisfazione che rappresenta uno stimolo verso nuove
strade da percorrere.
47
VI Convegno Nazionale delle
Commissioni Artistiche Regionali
Villa Manin di Passariano (Ud),
22-23 maggio 2010
L’approfondimento di
temi specifici anche –
e, spesso, soprattutto
– grazie all’apporto di
studiosi, ricercatori ed
esperti del settore,
unito allo spirito del
confronto costruttivo
tra le diverse
esperienze messe in
atto nelle differenti realtà, costituisce un passo importante
per la crescita e lo sviluppo di qualunque attività umana. Il mondo corale, nella sua varietà e ricchezza, non fa certo
eccezione.
Con questo spirito, la Feniarco ripropone a cadenza
biennale un convegno nazionale che coinvolge i
rappresentanti delle commissioni artistiche regionali,
“operatori sul campo” e portavoce delle rispettive
associazioni territoriali, che nell’ultima edizione – la sesta,
ormai – si sono riuniti nella prestigiosa cornice di Villa
Manin a Passariano di Codroipo (Ud) il 22 e 23 maggio
scorso.
Due intense giornate di lavoro, articolate in due distinti
momenti. Nel pomeriggio del sabato, sono stati
ufficialmente presentati gli interessanti e stimolanti
risultati del progetto nazionale InDirection, incentrato sullo
studio degli aspetti di natura non-musicale legati alla
direzione di coro. A relazionare sono stati i ricercatori
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prof.ssa
Fabiana Gatti e dott. Simone Scerri, già impegnati nella
conduzione del progetto e autori dell’omonimo volume
edito da Feniarco che ha trovato, nel convegno di Villa
Manin, la sua ufficiale presentazione al pubblico. A conclusione dei lavori pomeridiani, il gradito intervento
musicale del Gruppo Vocale Ansibs di Staranzano (Go), che
ha offerto ai convenuti un rapido e frizzante excursus nel
repertorio dei folksongs a cappella.
Nella mattinata di domenica sono invece intervenuti i
delegati delle Commissioni Artistiche Regionali, i quali
hanno relazionato sull’attività delle rispettive regioni,
evidenziando sia la varietà che contraddistingue la vita
corale italiana nelle sue molteplici declinazioni sul
territorio, varietà che deriva spesso dalle profonde
diversità di culture, tradizioni e repertori presenti nelle
nostre regioni, sia molteplici linee comuni di intervento che
contraddistinguono l’attività corale associativa e che si
snodano, come un unico leitmotiv, su tutto il territorio
nazionale.
readyTOsing
ASSOCIAZIONE
49
Una preziosa fucina per la musica corale
Il seminario per giovani compositori di Aosta
di Luisa Antoni
Tra il 18 e il 24 luglio si è svolta ad Aosta la sesta
edizione del seminario per giovani compositori che ha
visto la collaborazione organizzativa di diversi attori
italiani e stranieri, dalla federazione nazionale Feniarco,
all’organizzazione internazionale Europa Cantat, sino
all’Assessorato Regionale Istruzione e Cultura della
Valle d’Aosta e alla Fondazione Istituto Musicale Valle
d’Aosta. A coordinare sul territorio e a tenere le fila di
tutto l’Associazione regionale dei cori della Valle
d’Aosta (Arcova), la cui presidente Marinella Viola è
stata la prima a prendere la parola e a salutare i
numerosi ospiti italiani e stranieri.
Durante la conferenza stampa di presentazione
dell’ambizioso progetto sono intervenuti Alvaro Vatri,
vicepresidente della Feniarco, i tre docenti – la
finlandese Mia Makaroff, il francese Thierry Lalo e
l’italiano Pierangelo Valtinoni – e i direttori dei due cori
laboratorio Carlo Pavese e Luigina Stevenin. Sin da
subito si è mostrata l’estrema varietà di approcci e di
offerta formativa, varietà che ha incontrato la piena
adesione dei 26 partecipanti ai corsi (22 attivi e 4
uditori), provenienti da ben nove diverse nazioni. Il vicepresidente Vatri ha sottolineato che in un periodo
di sviluppo della coralità, come quello che stiamo
vivendo negli ultimi anni, c’è bisogno di un
rinnovamento del repertorio e il fine principale di
questo seminario è proprio la messa in opera di
creatività musicali per comporre nuovi brani, da
proporre ai cori.
La particolarità del seminario di composizione corale è
data dalla partecipazione di cori laboratorio che, come
ha giustamente sottolineato Carlo Pavese, aiutano a
farne un bottega di sperimentazione, una specie di
fucina, in cui i compositori possono sentire e
verificare sul campo l’effetto sonoro di ciò che
mettono su carta. Un arricchimento notevole e una
novità per il seminario valdostano è stata la
partecipazione – quest’anno per la prima volta – del
coro di bambini Canto Leggero dell’Istituto Musicale di
Aosta (diretto da Luigina Stevenin) che ha coadiuvato
il laboratorio di Mia Makaroff. La presenza di ben 35
giovani coristi ha indubbiamente ravvivato il corso e
ha dato la possibilità ai compositori di ritagliare dei
brani a misura di bambino. Oltre al coro di voci
bianche è stato ospite del seminario anche il Torino
Vocalensemble, diretto da Carlo Pavese, che sin dagli
inizi nel 2000 è stato protagonista di numerose
iniziative interessanti che lo
hanno portato ad avere in
repertorio ben 150
composizioni, tra cui 15
prime assolute. Il coro
torinese era già stato coro
laboratorio del seminario
valdostano nel 2004.
A inizio lavori ogni insegnante
ha tracciato la via da seguire:
attraverso lezioni collettive e
individuali i docenti hanno
saputo motivare e stimolare i compositori che in tre
giorni al massimo hanno dovuto definire i propri brani.
A ogni docente era affidato un ambito specifico: la
Makaroff ha lavorato sulle composizioni per cori di
bambini, Lalo ha curato la parte jazzistica, mentre a
Valtinoni è stata affidato il compito di proporre
elaborazioni su materiali dati. In un lavoro a ritmi
serrati (mattino, pomeriggio e sera) si è giunti al
concerto finale: ma già al secondo giorno di lavori –
dopo aver funto da coro laboratorio quasi tutto il
giorno – il Torino Vocalensemble si è presentato con un
concerto serale alla Chiesa di Santa Croce, proponendo
una scelta di brani contemporanei, il cui ascolto si è
indubbiamente posto come propedeutico anche ai corsi
stessi, oltre che proporsi come godimento estetico.
Al concerto finale – che è stato inserito nella rassegna
“Aosta Classica” e ha avuto luogo alla “Cittadella dei
giovani” – hanno partecipato i due cori, il Torino
Vocalensemble e Canto Leggero, e un trio jazz (il
gruppo H 2O2 di Quincinetto, Torino) che ha interagito
con i coristi per la parte riguardante le produzioni della
bottega di vocal jazz. Oltre un’ora e mezza di musica
che ha visto il coro di bambini prodursi in gesti,
movimenti e recitazione, oltre che canto, e il coro di
Torino che ha saputo rendere al meglio le poliedriche
composizioni dei singoli corsisti. Un applauso caloroso
ha gratificato gli esecutori, i docenti e i compositori,
ma un applauso altrettanto caloroso va anche
all’organizzazione che ha tenuto saldamente tra le
mani le fila di una situazione complessa, dando a tutti
il modo di realizzare al meglio le proprie potenzialità e
creando anche momenti di socializzazione che hanno
prodotto contatti internazionali, in cui i corsisti hanno
intessuto amicizie che si spera creino in futuro scambi
e confronti corali europei.
50
L’EDIZIONE DEI GRANDI NUMERI
44º Concorso nazionale corale Trofei Città di Vittorio Veneto
Dal 28 al 30 maggio scorso si è svolta la quarantaquattresima edizione del
concorso nazionale corale Trofei Città di Vittorio Veneto. Sarà ricordata come
l’edizione dei grandi numeri: infatti, dopo il forzato stop dello scorso anno, i cori
italiani sono tornati numerosi a frequentare la competizione vittoriosi e in totale
la Commissione artistica ha ammesso al prestigioso appuntamento corale
quarantuno complessi. Le regioni italiane rappresentate sono state dieci.
Accanto alle consolidate categorie Musiche originali d’autore (11 partecipanti) e
Cori di voci bianche (10 partecipanti), si è registrata un’incoraggiante adesione
alla neonata categoria di Cori giovanili (12 partecipanti); inoltre, va evidenziato il
ripristino della categoria Canto popolare (8 partecipanti), che, storicamente,
caratterizza il concorso.
Insomma, dati numerici più che rassicuranti sullo stato di salute dello storico
appuntamento corale. Il favore decretato dai cori costituisce un motivo di
soddisfazione per enti e persone che hanno curato l’evento. Il concorso è stato
organizzato dal Comune di Vittorio Veneto e si è avvalso del patrocinio della
Regione del Veneto, della Provincia di Treviso, dell’Ufficio scolastico regionale,
della Feniarco, dell’Asac, della Sezione e del Coro ANA di Vittorio Veneto e del
sostegno di alcuni sponsor.
A caratterizzare la manifestazione di quest’anno, conferendole un’importante
dimensione etica, è stato il progetto “Hospice - Casa Antica Fonte”, un’iniziativa
di solidarietà che ha l’obiettivo di creare una struttura residenziale per persone
affette da gravi patologie.
Sul piano più squisitamente artistico va doverosamente considerato che alla
quantità si è aggiunta la qualità dei cori partecipanti. Un dato, questo, che
emerge oggettivamente da una prima rapida lettura delle classifiche. Infatti, la Commissione giudicatrice (composta da Franco Monego, presidente,
Aldo Cicconofri, Mario Mora, Fabiana Noro e Paolo Piana) ha ritenuto di
assegnare tutti i premi (di cui ben quattro attribuzioni ex aequo) e con punteggi
medi piuttosto elevati.
Una riflessione in merito all’istituzione del Premio speciale per il miglior coro
scolastico.
I cori prettamente scolastici, ai quali era riservata nelle passate edizione una
manifestazione non competitiva, si sono esibiti all’interno della categoria
destinata ai più consolidati cori giovanili, con esiti comprensibilmente impari.
Giustamente però la Commissione giudicatrice ha voluto marcare il valore e il
merito del lavoro che viene svolto nelle scuole a favore della disciplina corale.
La sessione conclusiva del concorso è stata, come da tradizione, quella
dell’esibizione dei cori primi classificati nelle quattro categorie (in realtà cinque
cori, considerati gli ex aequo), i quali (con l’aggiunta del Coro misto Città di
Roma, diretto da Mauro Marchetti, vincitore nel 2009 del Primo premio al
Concorso Nazionale di Arezzo) si sono disputati il 16° Gran Premio Efrem
Casagrande. Al termine dell’ascolto la Giuria si è espressa a maggioranza a
favore del Coro maschile CET - Canto e tradizione di Milano, diretto da
Alessandro Ledda.
Clima di grande soddisfazione su tutti i fronti, dunque, nel quale trovano un eco
ottimistico le accorate parole di auspicio pronunciate dalla conduttrice della
manifestazione, la dott.ssa Loredana Buffoni, a favore dell’edizione numero 45
in programma per il prossimo anno.
CRONACA
51
Risultati
Cat. A - Progetto-programma: musiche originali d’autore
1° ex-aequo - Coro femminile Vivaldi di Roma, direttore Amedeo Scutiero
Titolo del progetto: Tradizione e fratture del linguaggio nella
musica corale contemporanea
Il coro è ammesso di diritto al Concorso Polifonico Nazionale di Arezzo 2011.
1° ex-aequo - Coro femminile Clara Schumann di Trieste, direttrice Chiara Moro
Titolo del progetto: Mahler-Lauer: Lieder und Gesange das
Knaben Wunderhorn, per coro femminile e pianoforte
Il coro è ammesso di diritto al Concorso Polifonico Nazionale di Arezzo 2011.
2° ex-aequo - Coro misto Insieme Corale Ecclesia Nova di
Boscochiesanuova (VR), direttore Matteo Valbusa
Titolo del progetto: Musica sacra nel terzo millennio
Il coro ha conseguito anche il Premio al miglior coro veneto
iscritto all’Asac Veneto, offerto dall’Asac.
2° ex-aequo - Coro misto Coro da Camera di Varese, direttore Gabriele Conti
Titolo del progetto: Messe a confronto, aspettando il nuovo
secolo
3° Coro misto Janua Vox - Accademia Vocale di Genova, direttrice Roberta Paraninfo
Titolo del progetto: Ti prendo fra le mani il chiaro volto
Cat. B - Progetto-programma: Canto popolare
1° (Premio Banca Prealpi) - Coro maschile CET - Canto e
tradizione di Milano, direttore Alessandro Ledda
Titolo del progetto: I canti popolari armonizzati da Arturo
Benedetti Michelangeli per il coro della SAT di Trento
(1954-1983)
2° Coro maschile Città di Ala (TN), direttore Enrico Miaroma
Titolo del progetto: Il canto popolare trentino: generazioni a
confronto
3° Coro misto Lojze Bratuz̆ di Gorizia, direttore Bogdan Kralj
Titolo del progetto: Il canto popolare della Val Resia
Cat. C - Progetto-programma riservato a cori di voci bianche
1° Coro di voci bianche Artemusica di Valperga (TO), direttrice Debora Bria
Titolo del progetto: Composizioni sacre e profane
dell’Ottocento e del Novecento
2° Coro di voci bianche Garda Trentino di Riva del Garda (TN),
direttore Enrico Miaroma
Titolo del progetto: Compositori italiani contemporanei
3° ex-aequo - Coro di voci bianche Carminis Cantores di Puegnago
del Garda (BS), direttore Ennio Bertolotti
Titolo del progetto: Titoli diversi dentro la stessa favola che si
chiama fantasia
3° ex-aequo - Coro di voci bianche Fran Venturini di Domjo (TS),
direttrice Susanna Zeriali
Titolo del progetto: Girotondo intorno al mondo: il gioco
della… pace
Cat. D - Progetto-programma: cori giovanili
1° Coro femminile DPZ Kras̆ki Slavcek di Aurisina (TS), direttore Mirko Ferlan
Titolo del progetto: Il contrappunto in epoche diverse
2° ex-aequo - Coro misto Giovanile Artemusica Vocal Ensemble di Valperga (TO), direttrice Debora Bria
Titolo del progetto: Compositori del Novecento
2° ex-aequo - Coro misto I Giovani Cantori dell’Accademia Vocale
di Genova, direttrice Roberta Paraninfo
Titolo del progetto: Ponentemente. Per un coro che cresce
3° Coro misto Valsugana Singers di Borgo Valsugana (TN),
direttore: Giancarlo Comar
Premi speciali
Premio al Direttore di coro dalle particolari doti interpretative,
offerto dal Coro e dalla Sezione ANA di Vittorio Veneto in
memoria del M° Efrem Casagrande:
Matteo Valbusa, direttore dell’Insieme Vocale Ecclesia Nova di Boscochiesanuova (VR)
Premio speciale per l’insieme vocale e strumentale di particolare
interesse:
Amazing Gospel Choir di Este (PD), diretto da Marica Fasolato.
Titolo del progetto: Suggestioni e dimensione corale del canto
spiritual e gospel.
Premio speciale per il programma più interessante:
Coro misto Janua Vox - Accademia Vocale di Genova, direttrice Roberta Paraninfo
Premio speciale Hospice Casa Antica Fonte:
Coro di voci bianche Fran Venturini di Domjo (TS), direttrice Susanna Zeriali
Premio speciale per il miglior coro scolastico:
Coro dell’Istituto Comprensivo di Lavis (TN), direttore Ludovico Conci
52
percorsi italiani
al 49º Concorso internazionale Seghizzi
di Rossana Paliaga
Per il concorso internazionale di canto corale Seghizzi il 2010
è stato un anno importante, nel quale i festeggiamenti per il
90º anniversario di fondazione della storica associazione
intitolata al musicista goriziano hanno caratterizzato il
programma complementare delle manifestazioni con una serie
di concerti da camera dedicati alla musica dei primi decenni
del ’900.
Sono già una consuetudine ultraquarantennale invece gli
incontri musicologici, svolti quest’anno in forma di incontri
con i musicisti della giuria internazionale, l’ultimo dei quali ha
sviluppato il tema dei criteri di valutazione nei concorsi corali
internazionali attraverso l’esperienza dell’elaborazione di un
sistema unitario per i cantoni svizzeri esposta da Hansruedi
Kämpfen. La scelta dell’argomento è stata particolarmente
opportuna al termine di un concorso nel quale non sono state
distanze macroscopiche, ma piccoli e fondamentali particolari
a creare le graduatorie delle premiazioni con risultati a volte
non pienamente condivisibili. Che si tratti della lunga lista di
fattori di valutazione del protocollo di lavoro svizzero o di
schede formalmente diverse ma imperniate su principi simili,
il sistema riduce a una definizione razionale quanto il
pubblico percepisce istintivamente con parametri
essenzialmente emozionali. Un male (o un bene) necessario
per poter trasformare in numeri quelle che sono a volte
sfumature di differenza grazie alle quali c’è chi sale sul podio
e chi si deve accontentare di un diploma di partecipazione.
Hanno saputo trovare la strada della vittoria il coro
sudcoreano di inossidabile precisione Pilgrim Mission
(categoria musica romantica, premio per l’esecuzione di un
brano di ispirazione religiosa, premio speciale per il repertorio
contemporaneo e 22º Grand Prix Seghizzi) e il coro giovanile
giapponese Seisen (musica contemporanea, musica di
ispirazione popolare, premio voci pari), capace di un grande
sfoggio di virtuosismo tecnico in rapporto all’età delle coriste.
L’unico rappresentante italiano ad avere ottenuto un risultato
più che soddisfacente a livello di medagliere è stato il
quintetto The blossomed voice (primo premio nella categoria
rinascimentale, premio Feniarco, premio gruppi cameristici e
premio Corte Estense). Hanno attirato l’attenzione più di
quanto non esprimano i loro secondi premi nelle graduatorie
il coro femminile canadese Belle Canto (premio per il
programma di maggiore interesse artistico) dall’ottima
preparazione vocale, il coro lettone Maska dall’insieme
elegante e armonioso (premio Nuovi talenti all’estroso,
giovanissimo direttore Janis Ozols) e l’ottimo coro giovanile
ungherese Magnificat, diretto dall’efficace Valeria Szebelledi
(premio Usci al direttore di coro).
La 49ª edizione del Seghizzi verrà ricordata per il grande
ritorno dei cori italiani che dopo anni di assenza e
partecipazioni sporadiche hanno deciso di confrontarsi con la
coralità internazionale. Il gruppo Sant’Alene de Tula si è
esibito come rappresentante della preziosa tradizione vocale
sarda del canto a tenore, corredato dalla disposizione
circolare e da tutti i gesti caratterizzanti del genere su un
programma di brani scritti secondo i canoni del repertorio
popolare e su testi dialettali dal direttore Giovanni Marongiu.
La narrazione musicale con tempi e modi di antica memoria
ha portato la ruvida autenticità del linguaggio del folclore in
un contesto dedicato fondamentalmente a stilizzazioni colte.
Si è presentato in una sola categoria per la propria natura
specifica anche l’ensemble Blu Gospel di Sarego che si ispira
alle modalità del gospel anche nel frequente impiego di
solisti, ma senza poter fare affidamento sulle necessarie doti
vocali.
Il pluripremiato quintetto The Blossomed Voice di Villadossola
ha presentato l’eclettismo di un ensemble che attinge al XVI e
al XX secolo, forte non di voci importanti, ma di una grande
compattezza d’insieme (fin dalla disposizione serrata dei
cantanti), modulata su una limitata tavolozza dinamica.
L’ensemble ha offerto la possibilità sempre più rara in un
contesto amatoriale di ascoltare brani di epoca rinascimentale
in esecuzione a parti reali, che gli è valsa la vittoria con un
programma di grandi classici del genere.
L’Insieme vocale Vox Cordis di Arezzo è probabilmente il
gruppo che ha dimostrato più creatività e varietà nelle proprie
esibizioni fin dall’esordio con quattro situazioni diverse nel
CRONACA
53
programma jazz e pop e un omaggio all’amore in un percorso dal corteggiamento al
matrimonio nelle elaborazioni di canti tradizionali toscani. Lorenzo Donati ha voluto mettere
alla prova i propri coristi in quasi tutte le categorie, con una doppia esibizione nel repertorio
rinascimentale, dove il gruppo madrigalistico è stato capace di emozionare con intensità
espressiva e buona consapevolezza stilistica, e in quello contemporaneo, dove il gruppo
misto si è prodotto in un repertorio vario, originale e ironico interamente basato su autori
italiani tra i quali lo stesso Donati. La
capacità comunicativa, la concentrazione,
l’adesione dei coristi alla ricchezza di
spunti e alla sensibilità musicale del
direttore sono state sempre convincenti,
ma il coro è stato tradito da alcune
sbavature negli attacchi, nell’omogeneità
e nello spessore vocale dell’insieme
(particolarmente evidenti rispetto alle
esigenze del repertorio romantico).
Se il direttore toscano è riuscito a ottenere risultati validi plasmando un materiale vocale
eterogeneo, Roberta Paraninfo ha scelto con il giovane Genova Vocal Ensemble un percorso
diverso che si basa sulla selezione a priori dei coristi e sulla loro preparazione vocale. Il
curioso organico da camera femminile con una sola voce maschile ha fondato le proprie
esibizioni su efficaci interventi solistici o a parti reali e si è distinto per cura del suono, gusto
e freschezza di espressione, inoltre per la capacità di divertirsi nel gioco musicale. Quasi
l’Italia sta scoprendo
l’idea stessa della
competizione internazionale.
impeccabile la loro prova nel repertorio barocco e classico con alcune parti dalla Messa Sub
Titulo Sancti Leopoldi di J.M. Haydn. La cura del dettaglio e la versatilità del gruppo sono
state confermate anche nel programma contemporaneo.
Dei cinque rappresentanti italiani i tre che hanno preso parte alle principali categorie
competitive delle sezioni storiche hanno saputo stare al passo con i concorrenti provenienti
da Canada, Corea del Sud, Russia, Ungheria, Filippine, Lettonia, Polonia, Romania e Giappone
ed è stato proprio il livello fondamentalmente omogeneo dei cori selezionati per la
54
Risultati
Categoria 1a/b (Rinascimento e
Barocco)
1° The Blossomed Voice (Italia)
2° Maska Youth Choir (Lettonia)
3° De la Salle University Chorale
(Filippine)
4° Genova Vocal Ensemble (Italia)
5° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.)
6° Gruppo Madrigalistico Vox Cordis
(Italia)
XXII Grand Prix Seghizzi 2010
3° Trofeo delle Nazioni
1° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.)
2° Seisen High School Choir
(Giappone)
3° Magnificat Youth Choir (Ungheria)
4° Belle Canto (Canada)
5° Maska Youth Choir (Lettonia)
6° De la Salle University Chorale
(Filippine)
Categoria 1c (Romanticismo)
1° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.)
2° Belle Canto (Canada)
3° Magnificat Youth Choir (Ungheria)
4° Chamber Choir of Wroclaw
Medical University (Polonia)
5° Insieme Vocale Vox Cordis (Italia)
6° Genova Vocal Ensemble (Italia)
Premi speciali
Premio del pubblico, categoria 2a:
Magnificat Youth Choir (Ungheria)
Premio del pubblico, categoria 2b:
De la Salle University Chorale
(Filippine)
Trofeo di composizione “Seghizzi”:
Alessandro Kirschner
Premio Voci pari: Seisen High School
Choir (Giappone)
Premio Feniarco al complesso
italiano con il maggior punteggio:
The Blossomed Voice (Italia)
Premio Domenico Cieri per il
programma di maggior interesse
artistico: Belle Canto (Canada)
Premio Rachele Basuino per la
miglior esecuzione di un brano
tra le composizioni polifoniche di
ispirazione religiosa: Pilgrim
Mission Choir (Corea del Sud)
Premio Usci Friuli Venezia Giulia
attribuito dalla Commissione
Artistica al miglior direttore di
coro: Valeria Szebelledi
(Ungheria)
Premio speciale Gruppi cameristici al
gruppo cameristico meglio
classificato nella categoria 1: The Blossomed Voice (Italia)
Premio Cecilia Seghizzi per il miglior
repertorio contemporaneo in
particolare italiano ed europeo:
Pilgrim Mission Choir (Corea del
Sud)
Premio Nuovi talenti: Janis Ozolos
Premio per la Miglior esecuzione di
un brano polifonico di un
compositore della corte estense:
The Blossomed Voice (Italia)
Premio nazionale Seghizzi “Una vita
per la direzione corale”: Franco Monego
Categoria 1d (Novecento)
1° Seisen High School Choir
(Giappone)
2° Magnificat Youth Choir (Ungheria)
3° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.)
4° Belle Canto (Canada)
5° Chamber Choir of Wroclaw
Medical University (Polonia)
6° Coro Voci bianche del
conservatorio Rostov sul Don
(Russia)
Categoria 2a/b (Musica leggera,
jazz e blus e Musica popolare)
1° Seisen High School Choir
(Giappone)
2° Belle Canto (Canada)
3° Maska Youth Choir (Lettonia)
4° Pilgrim Mission Choir (Corea d. S.)
5° De la Salle University Chorale
(Filippine)
6° Magnificat Youth Choir (Ungheria)
Categoria 3 (Musica contemporanea)
Pilgrim Mission Choir (Corea del
Sud) - A. Kirschner, Gloria
Chamber Choir of Wroclaw Medical
University (Polonia) - I. Antognini,
My Song
Seisen High School Choir (Giappone) - A. Cortello, Lux
Aeterna
competizione di quest’anno (venti in
tutto) a distribuire in maniera a volte
inaspettata i voti della giuria
internazionale. Al di là delle impressioni
in sala e ripulendo le prime reazioni a
caldo da un fondo di campanilismo
anche attraverso discussioni con esperti
del settore e gli stessi membri della
giuria, occorre accettare, con lecite
riserve, la combinazione imprevedibile di
sensibilità e approcci diversi dei giurati,
ma soprattutto il principio fondamentale
delle logiche matematiche nelle
valutazioni: il buon risultato espressivo e
stilistico passa attraverso la padronanza
dei mezzi tecnici che sono l’unico criterio
obiettivo di valutazione, quindi è
automatico che un coro di grande
musicalità ma con imprecisioni
nell’esecuzione non potrà mai superare
una “macchina da concorso”. La
graduatoria è stata inoltre condizionata
fortemente (e per motivi economici)
dall’esigenza di riunire in una classifica
unica le categorie con programma
rinascimentale e barocco, come anche le
categorie di elaborazioni jazz e popolari,
penalizzando così gruppi che avrebbero
meritato una collocazione diversa per la
specifica esibizione di categoria rispetto
alla classifica globale.
I numeri non hanno soddisfatto le
aspettative e probabilmente
l’apprezzamento generale a livello di
pubblico e le parole lusinghiere spese
dalla giuria non ripagano il notevole
investimento in questa impegnativa
avventura. L’Italia sta scoprendo l’idea
stessa della competizione internazionale,
che non rientra negli obiettivi di molti
ottimi cori amatoriali e all’interno della
quale i più coraggiosi si trovano spesso
scoperti nel confronto con “esperti” del
settore. Il talento non manca, ma il cuore
in questi casi va armato di rigore,
selezione, lucidità, anche calcolo, senza
rinunciare ad autenticità e creatività che,
al di fuori di ogni stereotipo, ci rendono
speciali.
CRONACA
55
Un microcosmo di emozioni
Il 39° Florilège Vocal di Tours
di Rossana Paliaga
concorso è riuscito a consolidare nel tempo all’interno
di un territorio, dimostrando nel caso di Tours un
interesse molto vivace e una base di competenza
confermata da orientamenti specifici, tali da far
registrare il tutto esaurito non soltanto in occasione
della prova finale a programma libero, ma anche nella
categoria dedicata alla musica rinascimentale che ha
un significato particolare per l’antica tradizione storica
e culturale della città.
Tours non è una stazione di transito, ma un
capolinea. Nemmeno il passeggero più distratto può
sbagliare, perchè qui i treni si fermano, sotto la
luminosa struttura modernista dell’architetto Laloux
che nelle maioliche alle pareti ricorda al turista, se
mai se ne fosse dimenticato, che si trova nel cuore
della Valle della Loira, da dove si dipartono le strade
verso i suoi numerosi castelli. A chi segue le orme di
Leonardo nella sua ultima dimora di Amboise o di
Caterina de’ Medici attraverso le arcate sull’acqua del
castello di Chenonceaux si aggiungono nel mese di
maggio i viaggiatori della coralità, quelli per i quali il
capolinea di Tours non è un nuovo punto di partenza
ma l’arrivo nel cuore di uno dei grandi momenti di
confronto della coralità internazionale, il Florilège
Vocal.
Dal 28 al 30 maggio si è svolta la 39ª edizione di un
concorso «radicato nel paesaggio della Turenna» e
che secondo le parole del vicepresidente della regione
Jean Germain continua da quasi quarant’anni «a far
sognare senza mai cessare di reinventarsi» e che
attraverso i cori partecipanti riesce a «commuovere,
sorprendere e toccare il cuore». Ci è riuscito anche
quest’anno, nonostante la crisi si faccia sentire sulle
possibilità dei cori di viaggiare e come tutti i grandi
concorsi corali internazionali è stato ancora una volta
un momento di incontro e arricchimento reciproco non
soltanto per i cori partecipanti, ma anche per il
pubblico. Ed è proprio il pubblico a dare la misura
della considerazione della quale gode la coralità
amatoriale (intesa in senso alto) e del ruolo che un
Le categorie
Il concorso prevede quattro categorie per i cori di
adulti di cui due obbligatorie a scelta del
partecipante: voci miste, voci pari, gruppi vocali a
voci miste (quest’anno non attivata), programma
libero (che permette generalmente ai cori di
esprimersi nel loro repertorio abituale). A queste va
aggiunta l’unica categoria specifica per tipo di
repertorio, dedicata al programma rinascimentale.
I cori devono cimentarsi obbligatoriamente in una
prova di qualificazione nelle quattro categorie
principali che permette l’accesso alla prova finale.
I cori scelti dalla giuria nella rosa dei finalisti
Tours non è una stazione
di transito, ma un capolinea.
partecipano con una prova ulteriore all’assegnazione
del Grand Prix della città di Tours.
All’interno delle distribuzioni per categoria in termini
di organico si sviluppano prove di programma storico
dove senza obblighi precisi viene incoraggiato
l’approccio a stili diversi per permettere di valutare
competenza e versatilità del coro. La categoria
facoltativa rinascimentale richiede chiaramente una
frequentazione specifica del repertorio e una buona
conoscenza delle sue caratteristiche di esecuzione,
esigenze che nel campo dei cori amatoriali riducono
drasticamente il numero di candidati.
La novità importante dell’edizione di quest’anno è
stato il perfezionamento della categoria dedicata ai
cori di voci bianche con l’aggiunta della categoria
specifica per i cori giovanili, entrambe costituite da
56
due prove, delle quali la seconda per il
premio del pubblico. Queste categorie
rivestono grande importanza come gesto
di considerazione verso un settore della
coralità poco valorizzato da
manifestazioni di alto livello.
Cori e premi
Il Florilège ha scelto una sigla
significativa: prima dell’inizio di ogni
categoria la toccata dall’Orfeo di
Monteverdi invita infatti coristi e
pubblico a entrare nel vivo, quasi un
richiamo simbolico e propiziatorio ad
accordare la lira per incantare e lasciarsi
incantare. Al difficile compito sono stati
chiamati nove cori di adulti provenienti
da Repubblica Ceca, Regno Unito,
A brevissima distanza nel traguardo e
tradito probabilmente dai rischi di uno
spiccato spirito competitivo non è
passato inosservato l’altro grande
protagonista del Florilège 2010, il coro
Mikrokosmos di Vierzon. Il gruppo,
specializzato nel repertorio
contemporaneo, si caratterizza per
temperamento incisivo e grande
ambizione; i programmi sono ricercati e
virtuosistici, in un tentativo continuo di
vincere sfide musicali e dimostrare una
dedizione semiprofessionale all’attività
corale. In questa determinazione i coristi
esprimono una comunione di intenti con
il fondatore del coro e direttore Loïc
Pierre, rispondendo alla sua direzione
decisa ed efficace con un suono
Il Florilège continua a far sognare
senza mai cessare di reinventarsi.
Francia (con due rappresentanti),
Singapore, Estonia, Spagna, Norvegia e
Belgio.
La giuria ha evidenziato i quattro cori
che si sono distinti anche nel giudizio
del pubblico. La vittoria ha sorriso
ampiamente al coro Kup Talea di Tolosa
(primo premio nelle categorie cori misti,
a programma libero e Rinascimento),
formato da giovani musicisti diretti e
preparati con grande cura e serietà da
Gabriel Baltes. Il Grand Prix conquistato
è stato quasi un passaggio di testimone,
dato che il prossimo Grand Prix europeo
si svolgerà proprio nella città spagnola.
Il coro dalla consistente espressività
sonora ha attirato l’attenzione anche per
la non comune qualità vocale dell’ottima
sezione maschile e si è dimostrato
capace di differenziare in maniera
convincente gli stili proposti. Vitalità,
precisione, intensità espressiva,
flessibilità e, perché no, anche simpatia
e grande energia sono le caratteristiche
portate sul palcoscenico di Tours da
questo coro che ha saputo conquistare
pubblico e giuria con la passione di un
lavoro accurato.
equilibrato, grande precisione ritmica e
consapevolezza esecutiva, ma è stata
proprio la pur motivata ostentazione a
far perdere al coro la bussola
dell’espressione e del giusto equilibrio
che ha portato altrove la palma della
vittoria. Il medagliere probabilmente non
ha soddisfatto le aspettative con un
secondo premio nella categoria cori
misti e un terzo premio nella categoria a
programma libero.
Si è distinto con la buona preparazione
dei coristi e approcci meditati il gruppo
Coro di Londra che ha avuto accesso al
gala del Grand Prix ma si è dovuto
accontentare del terzo premio nella
categoria a voci miste e di un premio
speciale nel repertorio rinascimentale.
Il risultato non sorprende se si considera
la particolarità delle scelte interpretative
dell’estroso direttore Mark Griffiths che
tende a costruire un fraseggio nel quale
l’attenzione meticolosa ai particolari
rischia di creare un effetto frammentato,
tale da far perdere a volte di vista la
totalità dell’arco melodico. Il coro si è
espresso al meglio nel repertorio antico
e in quello contemporaneo, dimostrando
invece un corpo troppo esile per le
esigenze del romanticismo.
Il quartetto dei cori migliori è stato
completato dal coro universitario Hwa
chong choir di Singapore diretto da Ai
Hooi Lim (secondo posto nella categoria
a programma libero e premio del
pubblico), un gruppo corretto e
disciplinato, ma spesso portato a
scivolare sulle esigenze di stile e a
cedere sulla tensione della conduzione.
I risultati meno soddisfacenti per qualità
delle esecuzioni sono stati quelli
riportati dalla categoria di cori a voci
pari, dove la giuria ha deciso di non
assegnare primo e secondo premio,
consegnando il terzo al coro femminile
Embla di Trondheim in Norvegia, gruppo
affiatato e diretto con gentilezza dalla
propria fondatrice Norunn Illevold Giske.
Nelle categorie dedicate ai più giovani i
quattro cori giovanili partecipanti
provenivano da Repubblica Ceca,
Ucraina e Polonia, i cori di voci bianche
da Repubblica Ceca, Regno Unito,
Ungheria e Ucraina. In questo contesto
sono due i gruppi da ricordare: il coro
femminile di voci bianche Taplow di
Maidenhead (Inghilterra), secondo
classificato, e il coro giovanile polacco
Resonans con tutti di Zabrze che ha
conquistato il primo premio e il premio
per la migliore esecuzione di un brano in
lingua francese. Il segreto del primo
risiede nel rapporto speciale delle
piccole coriste con la direttrice Gillian
Dibden, una comunicazione fatta di
fiducia ed entusiasmo che si trasmette
al pubblico con un suono
particolarmente espressivo. Il polacco
Waldemar Galazka ha svolto un lavoro
puntuale con il suo coro misto che si è
distinto anche nella categoria non
competitiva, dove ha confermato
levigatezza del suono e musicalità con
un programma polifonico importante. In generale la difficoltà maggiore
riscontrata in queste due categorie è
stata mantenere nella disciplina
l’autenticità dell’entusiasmo giovanile; la maggior parte dei cori si è arenata
infatti nelle secche di una correttezza
piuttosto legnosa e povera di stimoli
musicali. Tra i cori di voci bianche è
salito sul gradino più alto del podio il
CRONACA
57
cittadinanza e che mira a consolidare la popolarità
della manifestazione nel territorio attraverso un
contatto diretto con il grande pubblico. La Place de la
Résistance ha accolto quest’anno per la prima volta il
grande concerto che solitamente attira una folla
numerosa, stavolta in parte dissuasa dal tempo
incerto.
gruppo ungherese Cantemus, apprezzato nella sua
diligenza tutta femminile anche dal pubblico che gli ha assegnato il premio speciale.
La giuria ha premiato inoltre la direttrice dei cori
Primavera (secondo classificato nella categoria
giovanile) e Rosic̆ka (voci bianche) di Brno Katarina
Mas̆lejova, giudicata la migliore direttrice di coro del
concorso nella sua doppia prova grazie a un bel gesto
e a una prudente impostazione classica con la quale
ha ottenuto la precisione di coristi educati e reattivi.
I luoghi
Due sono le arene principali della competizione di
Tours ed entrambe indicano chiaramente quale sia il
genere di considerazione auspicato dagli organizzatori
nei confronti della manifestazione.
Le selezioni aperte al pubblico pagante si svolgono
nell’elegante cornice del Grand Théâtre di Tours,
costruito nel 1869 e dotato di una sala all’italiana. La cornice è prestigiosa, l’acustica più che
soddisfacente per il pubblico, sebbene sul
palcoscenico i coristi lamentino difficoltà nella resa
ideale dell’equilibrio d’insieme.
I cori si sono esibiti anche nel capiente auditorium da
mille posti dell’Espace Malraux nella vicina località di
Joué-lès-Tours che è stata sede delle qualificazioni del
programma libero e della rassegna di cori di voci
bianche e giovanili.
Il programma rinascimentale è stato valorizzato da
un’eccezione adeguata e gradita sia da parte dei cori
che del pubblico che comprende l’importanza di
questo tipo di attenzione; alla dimensione più raccolta
del genere è stato infatti destinato lo spazio ridotto
del salone del Conseil Général d’Indre-et-Loire a Tours.
Gli organizzatori e il pubblico locale riservano un ruolo
rilevante al gran finale della manifestazione che segue
le premiazioni. Tutti i cori partecipanti sono invitati
infatti a esibirsi in una grande rassegna all’aperto, uno
spettacolo gratuito regalato dal Florilège alla
I programmi
La vetrina dei concorsi internazionali è sempre una
buona occasione per diffondere la letteratura corale
del paese ospitante. Per i partecipanti al concorso di
Tours è stato naturale mettere in campo molti autori
francesi, inoltre il programma dei cori scelti per la
sfida del Grand Prix deve per regolamento
comprendere almeno una composizione di autore
francese. Anche nella categoria dedicata al
Rinascimento vige l’obbligo di interpretare un’opera
che metta in musica un testo di Ronsard ed esiste la
possibilità di concorrere per un premio speciale
intitolato a Ockeghem (quest’anno non assegnato). La
scelta di musicisti o poeti francesi apre la via anche
ad altri premi speciali, tra i quali uno riservato a cori
non francofoni che si distinguano per interpretazione e
pronuncia di una composizione in lingua francese,
scelta obbligata per la prima prova dei cori di voci
bianche e giovanili. Anche il Ministero della cultura
Un momento di incontro
e di arricchimento reciproco.
offre un premio per la migliore interpretazione di
un’opera francese composta prima del 1920.
In generale i programmi proposti nelle varie categorie
hanno rivelato la curiosità dei direttori e la voglia di
uscire da percorsi standardizzati, anche con prime
esecuzioni mondiali e brani di grande effetto come
l’Incantation du feu di Veljo Tormis, il cui suggestivo
primitivismo è stato affrontato dal coro di Vierzon.
Per quanto riguarda i cori di voci bianche e giovanili,
sono stati messi alla prova da programmi molto
consistenti nella categoria competitiva, ma è un
peccato non siano riusciti a uscire dallo spirito
competitivo nella meno condizionante categoria
dedicata esclusivamente al premio del pubblico e che
avrebbe dovuto soddisfare l’intento di mettere da
parte i programmi “da concorso” per attirare la
simpatia degli ascoltatori con esecuzioni più rilassate
di repertori più accattivanti.
58
UNA VOCE DAL FLORILÈGE
Intervista a Hervé Magnan
Il vice-presidente del Florilège Hervé Magnan
è uno dei motori ai vertici di uno staff
organizzativo che ha garantito uno
svolgimento sempre scorrevole e preciso del
concorso in tutte le sue fasi. Alla sua
conoscenza diretta delle dinamiche di questa
manifestazione abbiamo affidato le risposte
ad alcune curiosità.
Tra i partecipanti di questa edizione abbiamo
potuto ascoltare due cori francesi di ottimo
livello. Possiamo definirli rappresentativi del
livello medio della coralità in Francia?
Negli ultimi anni abbiamo vissuto in Francia un
vero e proprio rinascimento del canto corale e
all’interno di questo rinnovato interesse va notata
la tendenza a ricercare una certa qualità.
Evidentemente il Florilège, in quanto
manifestazione internazionale, esprime un livello
superiore alla media, ma possiamo affermare che
ci sono molti gruppi corali attivi sul territorio
nazionale e tra di loro molti cori di buona qualità.
Quest’anno non è stata attivata la categoria dei
gruppi vocali. Una lacuna che riflette certamente
una situazione riscontrabile a livello
internazionale.
Dal punto di vista della partecipazione i
programmi di ogni concorso sono comunque e
sempre legati a fattori più o meno casuali, ogni
volta è un rischio. Questo riguarda anche le
provenienze; quest’anno abbiamo molti
partecipanti da est e nord Europa, ma la tavolozza
delle nazioni cambia di anno in anno. La nostra
organizzazione si fa carico di vitto e alloggio dei
cori, che devono però pagarsi il viaggio. Credo
che quest’anno in particolare la crisi abbia colpito
tutti e questo abbia influito sulle scelte riguardo
ai trasporti.
In che direzione si sta sviluppando il concorso?
Quest’anno abbiamo inserito una nuova categoria
dedicata ai cori giovanili. Ogni anno cerchiamo di
creare nuove categorie e di attirare in questo
modo nuovi cori, quindi spero potremo continuare
su questa strada di costante rinnovamento e
sviluppo. Ovviamente non le rivelerò ancora quale
sarà la novità della prossima edizione.
Giuria
Con la composizione della giuria internazionale il Florilège ha
voluto creare un ulteriore biglietto da visita a consolidare
l’immagine prestigiosa della manifestazione. La varietà delle
specializzazioni e delle provenienze, i titoli artistici e onorifici,
curricula importanti sembrano essere i fattori che hanno
guidato la scelta degli organizzatori: il Cavaliere dell’Ordine
nazionale del Merito e consigliere artistico del Florilège Valérie
Fayet, i Cavalieri per meriti artistici François Bazola (direttore di
coro del celebre ensemble di musica antica Les Arts Florissants)
e Richard Quesnel (compositore dell’Università di Cambridge), il
direttore d’orchestra e di coro sloveno, detentore di due Grand
Prix, Stojan Kuret, la direttrice di una delle formazioni
permanenti di Radio France Sofi Jeannin dalla Svezia, il
compositore e direttore del Coro radiofonico fiammingo di
Bruxelles Bo Hölten e, come rappresentante dell’Italia, il
docente, direttore di coro e apprezzato compositore toscano
Lorenzo Donati. A completare il gruppo di esperti che hanno
valutato i cori c’erano inoltre il presidente dell’Unione corale
estone Aarne Saluveer, l’esperta di cori giovanili e di voci
bianche Darina Krosneva dalla Bulgaria, inoltre il rappresentante
del Ministero della cultura francese Gérard Garcin e il
musicologo, presidente del Florilège, Jacques Barbier nel ruolo
di sovrintendente.
Proprietà stilistica, padronanza tecnica, scelta del programma,
qualità vocale e presentazione sono stati i criteri standard di
valutazione. Meno scontati sono stati invece i ritmi di lavoro
della giuria, che si sono rivelati particolarmente agili e non
hanno mai fatto arenare lo svolgimento del concorso in lunghe
attese per i risultati.
«Evito sempre di rimanere il giorno dopo la conclusione nel
luogo dove ho vissuto l’esperienza di un festival o un concorso,
ogni cosa mi sembrerebbe troppo silenziosa, come svuotata»,
mi confessa un collega irlandese prima di tornare a casa. Ma
vale sempre la pena di provare questa malinconia che ripone
sensazioni e insegnamenti nel bagaglio dell’esperienza corale
che non è mai fatta “soltanto” di musica. E si accostano in un
intenso florilegio anche i ricordi di suoni e musiche che dal
finestrino del treno del ritorno si accordano alla dolcezza del
paesaggio, seguendo i percorsi dei cespugli di rose arrampicati
sui muri delle piccole case bianche dai tetti d’ardesia. Anche
queste immagini entrano a far parte come un delicato
ornamento di profumi e colori di quell’esperienza collettiva
definita tempo fa dal suo presidente «il bouquet corale
immarcescibile del Florilège».
CRONACA
59
Il Garda in Coro
2º concorso internazionale per cori di voci bianche
Dopo cinque giorni di intensa attività, si è
felicemente conclusa la seconda edizione del
Concorso internazionale di voci bianche Il Garda in
Coro, svoltasi dal 20 al 24 aprile a Malcesine sul
Garda (Vr).
La grande affluenza di cori ha promosso questa
manifestazione anche a livello internazionale,
quale occasione di incontro fra i bambini e
ragazzi, dei loro direttori e dei numerosi
appassionati arrivati appositamente a Malcesine
per questa occasione.
Ben 24 cori di voci bianche, provenienti da tutto il
mondo si sono iscritti alla competizione e 21 di
questi vi hanno preso parte nonostante i problemi
causati dalle calamità naturali, che si sono
ripercossi fortunatamente solo in modo lieve sulla manifestazione. Un incremento notevole, rispetto alla
prima edizione sia in numero che in qualità dei cori partecipanti, confermato dalle esibizioni dei cori
stessi, tra i quali erano presenti alcuni dei nomi internazionali e nazionali più prestigiosi. Il valore
assoluto che le diverse compagini corali hanno potuto dimostrare nel corso delle numerose esibizioni di
concorso è stato notevole.
Il concorso ha quindi ampiamente confermato la sua validità internazionale, grazie alla partecipazione
di cori provenienti da Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria, Russia, Lituania, Finlandia, Svezia,
Germania, Austria e naturalmente dall’Italia; molte nazioni erano rappresentate da più di una
formazione presente a conferma dell’ottima fama di cui gode il concorso in Italia e all’estero. La Giuria
del concorso era costituita da alcuni dei più importanti nomi a livello internazionale, accuratamente
scelti per questa funzione dalla Direzione Artistica del concorso, nelle persone di Voicu Popescu,
direttore del coro di voci bianche della Radio di Romania e membro delle Olimpiadi Mondiali Corali, e
Wilma Ten Wolde, direttore del Coro di voci bianche e giovanile d’Olanda e insegnante al Conservatorio
Reale di Hague. Il maestro Bruno Zanolini non è potuto invece essere presente e il suo posto è stato
preso dal maestro Orlando Di piazza, Direttore Artistico dell’associazione, insieme al maestro Enrico
Miaroma.
La numerosa e alta qualità dei cori presenti ha reso il lavoro sicuramente difficile, ben tre delle cinque
giornate a disposizione hanno visto impegnata la giuria per la definizione e assegnazione dei numerosi
premi e riconoscimenti in palio.
Fra i cori premiati, si sono distinti in modo particolare, il coro a voci bianche polacco Torun Music
School Children Choir - Gioia di cantare diretto da Renata Szerafin-Wójtowicz, vincitore del primo
premio nella categoria repertori sacro, secondo ex-equo nella categoria repertorio profano e per questo
meritevole dell’assegnazione del Gran Premio Il Garda in Coro quale coro che ha raggiunto il punteggio
più alto di tutto il concorso. Il coro parteciperà di diritto al concerto inaugurale della 3 a edizione
internazionale 2012. La direttrice Renata Szerafin-Wójtowicz ha ricevuto il premio speciale quale
migliore direttore di tutto il concorso offerto dalle Edizioni Musicali Europee. Il coro, con una grande
prova nella categoria repertorio sacro, ha saputo imporsi così con grande classe.
Nella categoria repertorio profano spicca la conferma dell’importante piazzamento più alto del coro
Mladinski Pevski Zbor Glasbene S̆ole Fran Korun Koz̆eljski di Velenje (Slovenia), diretto da Matjaz̆
Vehovec, vincitore della categoria e terzo classificato anche nella categoria repertorio sacro. La
conferma di questo coro ricalca il successo ottenuto nel 2008 alla prima edizione internazionale del
concorso Il Garda in Coro.
60
Il coro Ondrasek Czech Children Choir diretto da Josef Zajicek
proveniente dalla Repubblica Ceca, ha ottenuto l’importante
riconoscimento in entrambe le categorie, secondo classificato
nella categoria repertorio sacro e terzo ex-equo nella categoria
repertorio profano, insieme al coro di voci bianche italiano di
Bergamo Gli Harmonici. Il direttore Fabio Alberti ha inoltre
ricevuto il riconoscimento speciale dalla Giuria come Giovane
Direttore Emergente.
Fra i cori premiati troviamo infine il Coro di voci bianche della
Scuola di musica di Capodistria (Slovenia) diretto da Maja
Cilens̆ek, ottimo secondo classificato ex-equo nella categoria
repertorio profano (il coro partecipava a un’unica categoria), e
assegnatario del premio speciale Feniarco consegnato
ufficilamente dal presidente Sante Fornasier, per la migliore
esecuzione di un brano di autore italiano vivente (La Bici di
Piero Caraba) e del premio speciale Consorzio Funivia
Malcesine-Monte Baldo, per il miglior repertorio proposto nella
categoria repertorio profano.
Lo stesso premio, ma per il miglior repertorio proposto nella
categoria repertorio sacro è stato assegnato al coro svedese
Adolf Fredriks Diskantkör diretto da Karin Bäckström.
Il premio speciale offerto dall’Associazione Albergatori di
Malcesine per il coro proveniente dalla località più lontana è
stato assegnato al coro russo Moscow Boys Choir Debut di
Mosca per i quasi 3000 km percorsi e il premio speciale per il
coro più giovane al coro di voci bianche Fran Venturini di
Domjo-Trieste.
Ottime le prestazioni anche di molti altri cori sia italiani che
stranieri, seppure non risultati tra i premiati, a dimostrazione
della ulteriore qualità dei gruppi partecipanti.
La cerimonia di premiazione finale ha visto riunite le maggiori
rappresentanze istituzionali pubbliche e private patrocinanti
l’evento e la presenza ufficiale del presidente Feniarco Sante
Fornasier.
Numerose sono state, sia a Malcesine che nei paesi limitrofi, le
proposte di intrattenimento concertistico e di svago create
appositamente per i bambini durante la manifestazione, tutte
coadiuvate dal valido supporto del comitato organizzatore e
dell’intero staff dell’associazione Il Garda in Coro presieduta da
Renata Peroni.
L’edizione internazionale del concorso Il Garda in Coro, giunta
quest’anno alla sua seconda edizione, tornerà a Malcesine
nell’aprile del 2012. Lo spazio è ora aperto e riservato al
territorio nazionale e la sua sesta edizione, in programma a
Malcesine dal 19 al 22 maggio 2011.
(dal comunicato stampa dell’Associazione Il Garda in Coro)
50ª Rassegna internazionale di musica sacra “Virgo Lauretana”
Dal 7 all’11 aprile 2010 si è svolta a Loreto la cinquantesima
edizione della Rassegna internazionale di musica sacra “Virgo
Lauretana” che ha visto la partecipazione di 14 cori (oltre 500
cantori) provenienti da 11 paesi: Ungheria, Italia, Francia, Libano,
Germania, Romania, Slovacchia, Grecia, Bulgaria, Polonia, Ucraina
e Armenia. La commissione per la selezione dei cori partecipanti,
su oltre 70 richieste di partecipazione (della quale ha fatto parte
anche il vicepresidente di Feniarco Alvaro Vatri), è stata
presieduta dal maestro Mons. Domenico Bartolucci, il quale ha
composto, per la circostanza, una Missa Brevis in honorem
Beatae Virginis Lauretanae eseguita da tutti i cori partecipanti
nella solenne celebrazione a conclusione della rassegna, l’11 aprile. Monsignor Bartolucci è particolarmente legato alla
Rassegna di Loreto, infatti fin dal 1961, anno della prima edizione,
vi ha preso parte con la Cappella Musicale Pontificia Sistina per il concerto straordinario conclusivo. «Mi auguro che la
Rassegna possa costituire un’occasione di incontro – dice Mons. Bartolucci – ma anche e soprattutto un incentivo e un
impegno per tutti a lavorare in favore di un recupero
dell’autentica tradizione musicale della Chiesa».
La rassegna nacque nel 1961 ad opera del Comm. Augusto
Castellani, allora quarantenne, presidente dell’Azienda di Turismo
di Loreto, che ebbe l’intuizione, unita alla ferma volontà di istituire
a Loreto, sua città natale, una manifestazione musicale di elevato
livello artistico che potesse servire a promuovere il culto dell’arte
musicale e al tempo stesso a far
risuonare ovunque il nome di
Loreto. Nel gennaio 1960 fondò
così l’Ente Rassegne Musicali
“Nostra Signora di Loreto” e nella
settimana dopo la Pasqua, dal 6 al
10 aprile 1961, organizzò la prima
Rassegna Internazionale di
Cappelle Musicali. Nei quarant’anni
della sua direzione, anno dopo
anno, sino al 2000, si sono avvicendate a Loreto 650 corali,
provenienti da 46 nazioni di 4 continenti, con oltre 25.000 cantori:
un vero “incontro di popoli” nel segno del canto corale sacro.
Per il “giubileo d’oro” della rassegna è stata realizzata una
medaglia commemorativa, opera dello scultore Ermenegildo
Pannocchia di Montelupone (Mc), che raffigura da un lato la
“sagoma” della Madonna di Loreto con la dalmatica appena incisa
posta sopra a un tetragramma pronto ad essere riempito di note,
dall’altra parte la sagoma della Basilica lauretana dove sette
canne d’organo fungono da portale, per indicare l’ingresso in
chiesa e attraverso la musica sacra. I due aspetti sono stati
concepiti come assolutamente complementari l’uno dell’altro, che si integrano a vicenda, in modo da costituire, con le due
rappresentazioni, una unità di concetto e di pensiero.
Alvaro Vatri
CRONACA
61
Marco Crestani, In memoriam
di Mauro Zuccante
Gli studi e la passione per la
musica corale hanno
orientato Marco Crestani a
privilegiare il coro come
ideale veicolo per la propria
arte. Fu compositore,
direttore di coro e animatore
del movimento corale. Ha
scritto di lui Marco
Materassi: «Una trasparente
sincerità d’espressione e una solida coscienza artigianale
del comporre come “servizio” reso alla musica, e nello
specifico alla coralità e ai suoi cultori, appaiono essere i
tratti unificanti […] di Marco Crestani».
Tra i primi esiti significativi del mestiere di Marco Crestani
vanno menzionate le elaborazioni di canti popolari italiani
e stranieri. Al musicista marosticano va riconosciuto il
merito di aver contribuito in modo significativo, alla
definizione di una prassi e di uno stile corale di
riferimento nel trattamento del folclore. In particolare, in
Crestani si apprezza l’innesto di canti scelti da tradizioni
diverse, soprattutto sarda e occitana. Indimenticabili gli
arrangiamenti di Triste ei lo cèu, Tristu Passirillanti, Pasci,
Angionedda e Hava nagila.
Marco Crestani sapeva entrare nella sede di un coro
amatoriale alpino con l’immediatezza di chi ha familiarità
con quelle persone e quell’ambiente. Una volta
consumato il rito della captatio benevolentiae con un
paio di battute da caserma, entrava nel merito di quel
genere di canto che frequentava fin dalla giovinezza e di
cui conosceva a menadito le coloriture espressive. Era
stato il fondatore del Coro CAI di Marostica e aveva
successivamente diretto il Coro Monte Grappa di
Bassano. Scudisciava le pigre ugole dei cantori con
l’impeto di un capitano degli alpini. Ad ascoltare il brano
E gira che te gira – sua libera invenzione sulla falsariga
dei canti alpini – si coglie fino a che grado di autenticità
egli avesse introiettato quel modello canoro e quello stile
corale.
La formazione organistica ha condotto Crestani a
confrontarsi con la musica liturgica. Anche su quello che
pur rimane un terreno minato (almeno dal Concilio
Vaticano II a oggi), egli si è mosso con perizia,
confezionando pagine in cui l’immediatezza e la
semplicità del canto non risultano svilite a livello di
facilità e banalità, ma conservano un certo grado di
decoro musicale e ispirazione spirituale.
Un fraterno legame di amicizia lo univa al collega padre
Terenzio Zardini. Forse in virtù di questo, si sentiva al
riparo dall’accusa di irriverenza, quando si lanciava in
infuocate invettive contro l’insipienza musicale delle
gerarchie ecclesiastiche. Monsignori, preti e sacrestani
chitarristi non la scampavano.
La produzione di Crestani tende ad assumere, negli ultimi
decenni, connotati più colti: prevalgono composizioni che
fanno riferimento a grandi autori della modernità (Kodaly,
Hindemith), senza però dimenticare la lezione dei sommi
polifonisti del passato e del canto gregoriano. La scrittura
lineare, l’autonomia delle voci e la ricerca di giochi
contrappuntistici e ritmici, prevalgono ora sugli aspetti
armonici e timbrici. Queste le premesse che motivano la
composizione dei brani più riusciti per complessità e
originalità di ispirazione (Rex autem David, Antiphonae,
Sequentia Paschalis, Enfant, si j’etais roi, Les
compagnons).
«Posso, Mauro,
farmi un regalo per i
miei 70 anni?!». Così
sembrava
giustificarsi, allorché
mi annunciava
l’intenzione di
pubblicare Momenti di polifonia sacra e profana. Un cd
monografico caparbiamente autoprodotto, che sanciva un
affrancamento dalle forme corali generalmente
considerate meno avvaloranti. Lo preoccupava
l’apprezzamento di musicista a tutto tondo, che sapeva
esprimersi parimenti nei generi alti e bassi.
Fu a lungo insegnante di Cultura musicale generale
presso il conservatorio di Verona. Nello spiegare le
fondamenta del linguaggio musicale occidentale Marco
Crestani aveva il dono della chiarezza e della semplicità.
Un “maestro elementare” come non se ne trovano più.
Faceva il suo mestiere con l’umiltà e con l’orgoglio di chi
si fa carico di trasmettere ai principianti i rudimenti con
limpida intelligibilità. «Fai i complimenti a chi ti ha
insegnato in modo così chiaro la teoria armonica», mi
disse Renato Dionisi alla prima lezione di composizione
musicale.
La fisionomia di Marco Crestani mi ricordava i lineamenti
di Arnold Schönberg. Entrambi avevano un volto severo,
ma gli occhi furbetti e le sopracciglia incidevano
sull’ampia fronte di Crestani curvature scherzose e
beffarde, tracce delle storielle d’ogni genere che sapeva
raccontare con spirito irresistibile, meglio di chiunque
altro. «Dài, Maestro, ’naltra barzeleta!»
Una trasparente
sincerità
d’espressione.
62
Notizie dalle regioni
A.R.C.A.
Associazione Regionale Cori d’Abruzzo
Via Montesecco, 56/A - Spoltore (Pe)
Presidente: Gianni Vecchiati
Dal canto tradizionale alla polifonia contemporanea
L’importante cornice della Sala Consiliare della Provincia di Pescara ha visto lo svolgimento,
il 10 aprile, dell’annuale assemblea dei soci dell’associazione regionale abruzzese con l’approvazione del bilancio consuntivo 2009 e preventivo 2010. Le varie attività svolte e illustrate
nella relazione, nonostante il momento particolare attraversato dalla regione, e la crescente
adesione al sodalizio, hanno provato ancora una volta la comune volontà di crescita e di
condivisione del lavoro atteso da parte della coralità abruzzese. Nel corso del partecipato
momento sociale è stato tenuto a “battesimo” il coro Enrich’s Pop Choir del maestro Ruggieri
che ha voluto dedicare ai presenti una breve ma gradita performance e ha avuto poi largo
spazio l’atteso avvenimento corale di Torino 2012 con la proiezione del filmato del Festival
di Utrecht.
Leofara, borgo immerso nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della
Laga, dall’8 all’11 luglio ha ospitato lontano dai “rumori della quotidianità”, tra la squisita
ospitalità e l’ottima cucina, la presenza di 10 direttori, provenienti da diverse regioni italiane,
e di circa venti coristi convenuti per il corso “Dal canto tradizionale alla polifonia contemporanea”. Il titolo del corso suggerisce certamente l’ampio spettro musicale tracciato dal
laboratorio. L’elevata professionalità e la vitalità artistica dal maestro Pier Paolo Scattolin
hanno contribuito alla realizzazione di un “secondo incontro” ricco di interesse sia per quanto
riguarda gli aspetti strettamente legati alla gestualità direttoriale che interpretativa. Da
sottolineare la presenza di un ospite di valore innegabile, il Co.Cam.Bo (Coro da Camera di
Bologna), che si è unito ai corsisti cantori e ai direttori costituendo un coro laboratorio
eccezionale e invidiabile.
A.R.C.C.
Associazione Regionale Cori Campani
Via Trento, 170 - 84131 Salerno
Presidente: Vicente Pepe
Crescere cantando e… cantare parlando!
Un bel successo quello suscitato dal primo Corso di formazione corale sulle voci bianche
organizzato dall’Arcc l’11 aprile a Pomigliano d’Arco, sia per il numero consistente dei 100
cantori partecipanti, sia per l’entusiasmo e la professionalità della docente Roberta Paraninfo
che ha coinvolto tutti, grandi e piccoli. La presenza di molti direttori di cori e insegnanti di
musica nelle scuole ha sottolineato il vero senso delle proposte formative organizzate
dall’Arcc, ovvero riuscire a dare input e stimoli nuovi per formare al meglio chi si pone alla
direzione di cori di voci bianche e giovanili.
Il 22 e 23 maggio nella Sala Consiliare del Comune di Vallo della Lucania (Sa) si è poi tenuto
il secondo Corso di formazione “Cantar-Parlando” organizzato dall’Arcc, rivolto a coristi e
direttori di coro e tenuto dal docente Antonino Tagliareni.
REGIONI
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
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A.R.C.L.
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 39 - San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Franco Colussi
Associazione Regionale Cori del Lazio
Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma
Presidente: Alvaro Vatri
Giovani voci nella primavera del canto
Ventaglio di progetti
Domenica 6 giugno presso la Sala Tripcovich di Trieste si è conclusa
l’edizione 2010 di Primavera di Voci, progetto regionale dedicato ai
cori di voci bianche e ai cori scolastici, organizzato dall’Usci Friuli
Venezia Giulia con la collaborazione di Usci Gorizia, Usci Pordenone,
Usci Trieste, Uscf Udine e Zskd-Uccs. Il grande Concerto di Gala finale
ha visto la partecipazione di otto cori segnalati nell’ambito delle
rassegne provinciali, tenutesi l’11 aprile a Bagnoli (Ts), il 18 aprile a
Farra d’Isonzo (Go), il 25 aprile a Codroipo (Ud), l’8 maggio a Trieste
e il 16 maggio a Casarsa della Delizia (Pn). L’interesse e il successo
che la rassegna riscuote a ogni nuova edizione costituisce il segno
tangibile di una fervida attività corale e rappresenta allo stesso tempo sia una preziosa occasione formativa per bambini e ragazzi di
ogni età, che un importante momento di raccordo con le istituzioni
scolastiche. Il prestigioso palcoscenico della Sala Tripcovich, forte
stimolo per gli oltre duecentocinquanta piccoli cantori partecipanti
al Concerto di Gala, ha offerto dunque un ricco panorama delle più
giovani fasce della coralità regionale, evidenziando una buona qualità di esecuzioni e un’interessante proposta di repertori.
Prosegue inoltre anche quest’anno il ciclo di Note di conversazione,
incontri e dibattiti sulla musica corale, avviato nel 2009. Due gli
appuntamenti svoltisi in questa prima metà dell’anno: sabato 15
maggio, nella sede di Palazzo Altan a San Vito, il prof. Giampaolo
Gri dell’Università degli Studi di Udine ha tenuto una conferenza sul
tema “I cori di fronte alla tradizione popolare: folklore, folklorismo,
ricerca folklorica”, mentre mercoledì 23 giugno, a Udine, è stato
presentato il volume “Il çant dal Friul” - Dischi e registrazioni storiche
del Friuli, di Bruno Rossi, un importante lavoro di ricerca discografica
ed etnografica sulle registrazioni linguistiche e musicali e sui dischi
e musicassette pubblicati fino all’anno 2000 in Friuli.
Ottimi i riscontri che continuano a suscitare anche la rete di Corsi
di formazione per direttori di coro, organizzata con la stretta collaborazione di Usci Pordenone e Uscf Udine, e i seminari di Voce e
consapevolezza corporea, che all’esplorazione della propria voce
cantata coniugano l’applicazione del metodo Feldenkrais. Segnaliamo infine che in questi mesi estivi si sta concludendo la sedicesima
edizione di Verbum Resonans, seminari internazionali di canto gregoriano, affiancati da un importante cartellone di concerti e messe.
Un resoconto più ampio e dettagliato sarà dato sul prossimo
numero.
Si è riunita domenica 25 aprile l’assemblea generale dell’Arcl, convocata abitualmente due volte l’anno, per adempiere, oltre ai doveri
formali, alla funzione di incontro informativo e progettuale, per passare
al vaglio i progetti formativi, promozionale e di ricerca e individuare
criteri condivisi da adottare nelle attività. È stato anche dato il benvenuto a 11 cori di nuova iscrizione.
Il 22 e 23 maggio, all’Abbazia di Valvisciolo, si è svolto il terzo appuntamento del seminario “Elementi di canto gregoriano: Teoria e prassi”,
tenuto dal prof. Nino Albarosa e organizzato in collaborazione con
l’Associazione Pontina Musica Sacra e l’Associazione Culturale Arsi &
Tèsi di Latina. Il seminario ha proseguito l’introduzione al repertorio
gregoriano intrapresa con i seminari tenutisi a Roma e a Valvisciolo
nel maggio del 2008 e del 2009. Si è proceduto considerando alcuni
brani in un unico processo di approccio, secondo notazione, modalità,
struttura melodico-verbale ed esecuzione in canto, anche con riferimenti al contesto liturgico.
La quarta edizione della rassegna “Terrapontina in…canto”, dopo la
sospensione nel 2009 per la concomitanza con il Raduno Nazionale
degli Alpini, ha visto la partecipazione di sei cori, riunitisi a Latina il
17 aprile scorso, a testimonianza di una soddisfacente crescita musicale della coralità pontina.
La rassegna “Corinfesta per la Festa Europea della Musica” ha coinvolto dal 19 al 22 giugno 36 cori, con appuntamenti concertistici in
luoghi prestigiosi come i Mercati di Traiano e l’Aula Magna della Sapienza Università di Roma, offrendo così alla città di Roma un evento
corale di notevole rilievo. Ricco e variegato il panorama repertoriale,
con progetti-programma stimolanti che hanno abbracciato tutti i generi
e le epoche.
Felice esito anche per il Concorso corale regionale “Città di Formello”,
organizzato con la collaborazione del Comune di Formello e dell’Archeoclub d’Italia e svoltosi il 27 giugno con la partecipazione di 11
formazioni, l’attivazione di 3 categorie e una giuria composta da Roberta Paraninfo (Genova), Franco Radicchia (Perugia) e Costantino
Savelloni (Roma). I risultati sono consultabili sul sito www.arcl.it. Il
Festival corale “Città di Formello”, con il Trofeo del Ventennale Arcl, è
stato rinviato a settembre.
Da segnalare infine che il bollettino mensile on-line Lazioincoro, scaricabile in pdf dal sito, si è arricchito dell’inserto a cura della Commissione Giovanile, che contiene un’intervista, un’analisi di un brano
musicale e recensioni di vario genere. Per l’autunno è previsto un
ulteriore restyling grafico per renderlo più omogeneo.
64
A.R.CO.M.
Associazione Regionale Cori Marchigiani
Via Panoramica Ardizio, 95 - Pesaro
Presidente: Aldo Cicconofri
Voci bianche in itinere
Si è svolta a Senigallia il 15 maggio scorso la XII Rassegna regionale di cori di voci bianche.
Questa manifestazione, ideata e proposta dall’Arcom, è itinerante e si svolge di anno in anno
in una diversa città delle Marche. Quest’anno la candidatura della città di Senigallia è stata
sostenuta dall’impegno dell’Associazione Culturale “G. Longarini” che ha maturato una bella
esperienza in campo corale attraverso l’attività del suo Coro di voci bianche Do-Re-Mi-Fa-Sol.
Durante la mattinata i cori dei bambini si sono esibiti ciascuno in concerto presso una della
scuole della città, eseguendo per i loro coetanei repertori che comprendevano brani stilisticamente molto diversi ma tutti adatti per il pubblico a cui venivano presentati: canti popolari,
filastrocche, spirituals, brani originali per cori di voci bianche su testi poetici. Il momento
centrale della giornata, che prevedeva il saluto delle autorità e alcuni brani eseguiti insieme
da tutti i 330 bambini partecipanti in Piazza del Duca, a causa del maltempo si è svolto in
via alternativa nel Teatro La Fenice. Nel pomeriggio, sempre in teatro, i dieci cori partecipanti
si sono susseguiti presentando ciascuno i brani più emblematici del proprio repertorio.
A.Co.M.
Associazione Cori del Molise
Via Appennini - 86025 Montagano (Cb)
Presidente: F. Antonio Laurelli
Quando la scuola incontra il canto
Sabato 15 e domenica 23 maggio a Isernia si è svolta la XVI Rassegna corale regionale
dell’Acom, con la partecipazione di sei formazioni corali. La manifestazione ha riscosso grande
successo di pubblico e di critica, opportunamente impreziosita dai programmi molto diversificati eseguiti dai cori partecipanti.
Di particolare rilievo, il primo Festival dei cori scolastici si è tenuto il 22 aprile presso l’Auditorium annesso al Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Is). La manifestazione promossa
dall’Associazione Cori Molise e dall’Ufficio Scolastico Regionale, con la collaborazione dell’Istituto Comprensivo “G.A. Colozza”, il Patrocinio della Regione, della Provincia, dell’Arcidiocesi
di Campobasso e dell’Unicef (ufficio provinciale) ha visto la sensibile partecipazione di sette
cori di altrettanti istituti della regione oltre al coro Coeli Lilia non partecipante al concorso e
il coro francese Maitrise de Seine Maritime di Yvetot, ospite della manifestazione, radunando
oltre 350 bambini e ragazzi che si sono alternati sul palcoscenico sostenuti dai loro maestri,
dirigenti scolastici e genitori.
FE.R.S.A.CO.
Federazione Regionale Sarda Associazioni Corali
Via Ariosto, 7 - Porto Torres
Presidente: Antonio Sanna
Per formare i formatori
Dall’8 al 10 luglio si è svolto il Corso per direttori di coro di voci bianche organizzato dalla
Fersaco, momento di approfondimento della tecnica della direzione corale specifica con la
docente Grazia Abbà, che in particolare ha sviluppato i seguenti contenuti: le caratteristiche
fisiologiche dell’apparato fonico; le caratteristiche specifiche della voce bianca; il vocalizzo:
quali finalità e quale utilizzo; la tecnica vocale applicata allo studio della partitura; proposte
di repertorio funzionali alla graduale acquisizione e interiorizzazione del canto polifonico.
65
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avvenimenti corali
LA RIVISTA DEL CORISTA
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discografia&SCAFFALE
Coro del Liceo Classico “E. Cairoli” di Varese
Canzoni & Canzoni
direttore, Alessandro Cadario
«L’idea di accostare antico e moderno non è nuova, la novità di questo disco è
nell’idea di arrangiamenti in stile polifonico-contrappuntistico delle canzoni pop.
Realizzati come materiale didattico per ampliare il repertorio dei cori giovanili con
brani pop di un certo impegno e qualità, gli arrangiamenti in stile madrigalesco
vogliono anche dare coerenza al programma: quasi un’evoluzione della canzone
italiana dal Rinascimento a oggi. Canzoni madrigalesche d’autore». Così il maestro
Alessandro Cadario scrive nelle brevi note di presentazione del cd Canzoni & Canzoni realizzato dal Coro del Liceo Classico “E. Cairoli” di Varese da lui diretto. Il
cd contiene nove brani: cinque brani pop, arrangiati dallo stesso maestro Cadario,
e quattro rinascimentali. Si apre con Estate di Giuliano Sangiorgi, seguita da Chi
la Gagliarda di Baldassare Donato, e poi Infinito di Raf, Matona mia cara di Orlando
di Lasso, Ogni mio istante di Giuliano Sangiorgi, So ben mi ch’à bon tempo di
Orazio Vecchi, Giudizi universali di Samuele Bersani, Il ballerino di Giacomo Gastoldi e si chiude con Oceano di LeoZ, Sandri Malavasi. Un progetto accattivante
che intercetta i gusti musicali delle giovani generazioni e li proietta ed espande
in una dimensione culturale ad ampio spettro il cui esito è uno stimolo alla crescita
culturale ed estetica dei giovani e la dimostrazione efficace delle valenze della
pratica corale come strumento di formazione e di aggregazione. Il coro del Liceo
“Cairoli” di Varese nasce nell’ambito del progetto di educazione musicale promosso
fin dall’anno 2004 nell’istituto. Affidato dall’inizio alla guida di Alessandro Cadario,
si caratterizza subito per una intensa attività e disponibilità al confronto che lo
porta a partecipare a numerose edizioni del Festival di Primavera, organizzato da
Feniarco, a realizzare tour musicali a Roma e in Liguria e a effettuare registrazioni
per la Rai. Nel 2008 riceve importanti riconoscimenti a Salerno e a Varese (Solevoci
Competition), a cui segue la realizzazione del cd nel giugno del 2009. L’ampia
formazione musicale e le significative esperienze di direzione e composizione del
giovane direttore rappresentano un fattore importante per lo sviluppo del progetto
e per il consolidamento negli studenti del senso di appartenenza e di condivisione,
corroborato dai successi colti nei concorsi e dai meritati apprezzamenti pubblici.
La pratica corale nella scuola è un fenomeno che sta progredendo, non certo senza
ostacoli, ma soprattutto rivela una sicura crescita qualitativa, grazie anche all’attenzione, agli strumenti e alle occasioni che la coralità amatoriale italiana le riserva.
L’auspicio è che realtà come quella del Liceo “Cairoli”, e altre analoghe esperienze,
non si disperdano una volta lasciati i banchi della scuola. Ma comunque rimane
l’importanza, come sottolinea il dirigente scolastico del Liceo “Cairoli” Tam Daniela
Baj, di aver offerto ai giovani l’occasione «per affinare il gusto per il bello, l’armonia
e, in definitiva, per la vita».
Alvaro Vatri
discogr
RUBRICHE
Fabiana Gatti - Simone Scerri
InDirection
Cantare insieme, insieme per cantare:
la gestione delle dinamiche interpersonali di un coro
Feniarco, 2010
Feniarco e Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con
il contributo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
hanno realizzato InDirection, interessante progetto di ricerca
che ha indagato in modo approfondito le principali problematiche di natura non-musicale collegate alla direzione di un coro,
ovvero le dinamiche di interrelazione del direttore con il
gruppo.
La ricerca si è concentrata sulla figura del direttore che, oltre a
essere il riferimento musicale del coro, assume di fatto altri
ruoli (guida del gruppo, educatore, formatore, organizzatore…)
che, al pari del primo, incidono significativamente sui risultati
del gruppo e richiedono una preparazione specifica.
La ricerca, condotta da Fabiana Gatti e Simone Scerri dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è rivolta a un
campione di 90 direttori attivi in Italia che si sono confrontato
in un forum on line rispondendo alle domande proposte dai
ricercatori.
L’indagine ha riguardato 3 aree tematiche principali:
– il direttore (età, sesso, formazione, esperienza, obiettivi, abilità non-musicali);
– il coro (numerosità, repertorio, numero prove settimanali,
formazione dei coristi, motivazioni);
– l’attività (fattori facilitanti, fattori critici, strategie)
e ha prodotto interessantissimi risultati analizzati e presentati
in modo chiaro e preciso nel volume.
Alla fase di raccolta e analisi dei dati è seguita la fase degli
incontri face to face (Torino, Castelfranco Veneto, Roma e Bari)
dove i direttori hanno fatto un’esperienza di formazione attiva
sperimentando ruoli, situazioni, analisi delle criticità e delle
strategie per affrontarle dal punto di vista psicologico.
Il 22 e 23 maggio scorsi, a Villa Manin di Passariano, in occasione del VI Convegno Nazionale Feniarco delle Commissioni
artistiche regionali, Fabiana Gatti e Simone Scerri hanno presentato il volume e gli interessanti risultati della ricerca
InDirection che ha evidenziato come le abilità non-musicali del
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leader del gruppo abbiano grande rilevanza nel raggiungimento
degli obiettivi musicali che ogni direttore si pone.
Questo studio apre un nuovo capitolo sulla formazione del direttore: partendo dalla consapevolezza della relazione con il
gruppo, dall’analisi delle dinamiche che si generano al suo interno, si arriva a comprendere che la “cura del proprio strumento coro”, essendo costituito da persone, richiede al direttore
una grande capacità relazionali e comunicative. Una maggiore
consapevolezza su questo piano permette infatti di supportare
il gruppo, farlo rendere al meglio, gestirne le dinamiche interne
e le criticità che inevitabilmente emergono, sostenere la motivazione sia del coro che delle figure chiave (direttori, presidenti,
organizzatori ecc.).
rafia&
Carlo Berlese
68
MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
“Il tempo corre via dolcemente, ma la musica ci mantiene forti… perché nel nostro
cuore noi condivideremo sempre la meraviglia di un canto”.
Nella calura estiva insistente, solo raramente mitigata da temporali improvvisi e
brevi, il pensiero in questo momento vola in due direzioni: verso tutti coloro –
individui o cori – per i quali l’estate è momento intenso di attività corale in luoghi
di villeggiatura; verso i musicisti corali di pianura e città che in luglio e agosto
abbandonano l’attività e tentano di temprarsi per l’inizio del nuovo anno. Per tutti
l’augurio è che l’estate sia decisamente buona, foriera di messi corali abbondanti
ed entusiasmanti da cogliere a lungo nella meraviglia dei nostri canti.
Libri
Musica di Quirino Principe, pubblicato da Electa nel 2010 (pp. 238, € 19). Non è
specificamente un libro di “coralità” ma merita la segnalazione a chi della musica
corale ha fatto il proprio gioioso hobby principale. Per chi ama, durante l’estate,
fermarsi e leggere in santa pace è un libro in formato quasi tascabile, Musica è…
da non perdere! Ben rappresenta il convinto ultimo omaggio alla musica reso da
un grande Quirino Principe. Per leggerlo servono tempo, tranquillità e concentrazione. Opere d’arte figurativa e citazioni letterarie passano, una affiancata all’altra,
sottolineando lo stretto rapporto che (dice lo stesso autore nell’introduzione) lega
pittura e musica in un gioco di rimandi sorprendenti. Versi di Rilke, Dante, Novalis
e D’Annunzio si rincorrono con gli aforismi di Hofmannstahl pescati qua e là nei
romanzi di Proust e Mann sotto lo sguardo di miniature francesi, capolavori di
Guardi, Liechtenstein, Renoir e Casorati contornati da statue greche. Una vera festa
per lo spirito e per gli occhi.
Creating Artistry Through Choral Excellence (Creare abilità artistica attraverso
l’eccellenza corale) di Henry Leck, edito da Hal Leonard Publishing Corporation (27
febbraio 2009), 266 pp.
Fondatore e direttore artistico del Coro di ragazzi di Indianapolis e direttore delle
attività corali della Butler University, Henry Leck, con la sua dedizione all’eccellenza
corale e la sua idea che i bambini possono eseguire musica con abilità artistica e
conoscenza, ha influenzato migliaia di giovani musicisti e insegnanti. Questo testo
globale, scritto con Flossie Jordan, è per i direttori di coro una guida intuitiva
all’addestramento di chi vuole sviluppare le abilità didattiche, quelle di direzione,
le tecniche di direzione, la conoscenza del repertorio e l’abilità organizzativa necessaria per avere successo. In aggiunta il libro comprende un cd-rom con decine
di moduli e documenti utili per l’organizzazione di un coro di ragazzi: la selezione,
l’amministrazione, i volontari del direttivo, il finanziamento dell’istituzione e molto
altro ancora.
Marianische Gesänge II - Marian Hymns II (Canti Mariani), 18 mottetti per voce e
organo, di Autori Vari, curato da Peter Wagner ed edito da Bärenreiter (2010, Vol.
2, pp. IX-79).
Una notevole curiosità del volume sono certamente i due brani di Haydn e Bruckner
che presentano due esempi (ora in disuso) di canto gregoriano armonizzato alla
maniera di un corale, nota per nota. Il volume è un’interessante raccolta di mottetti
per voce e organo riservati al culto mariano. A seguito del primo volume riservato
alla Salve Regina, questa antologia propone le tre antifone mariane Alma Redem-
RUBRICHE
ptoris Mater, Ave Regina Coelorum e Regina Coeli e l’inno mariano per eccellenza Ave Maris Stella. Il periodo storico preso in
considerazione va dalla seconda metà del Settecento fino agli
ultimi anni del secolo scorso, con i compositori M. Haydn, Mendelssohn, Adam, Liszt, Gounod, Bruckner, Rheinberger, Dvoràk,
Grieg, Elgar, Strategier e Langlais. In totale sono 18 pezzi di cui
dieci arrangiati dal curatore.
Film
The Singing Revolution
(La rivoluzione del canto)
«Immaginate, nel famosissimo film
Casablanca, la scena in cui gli avventori francesi cantano La Marsigliese a dispetto dei tedeschi, poi
moltiplicate il suo potere per un
fattore di migliaia, e avete appena
iniziato a immaginare la forza di
The Singing Revolution».
La maggior parte della gente non
pensa a cantare quando fa la rivoluzione. Ma il canto è stato l’arma
decisiva della scelta di centinaia di migliaia di Estoni quando
con un ruolo critico ma poco conosciuto cercarono di affrancarsi
da decenni di occupazione sovietica. La Rivoluzione del Canto
è un ispirante resoconto della rinascita drammatica di una
nazione. È la storia dell’insopprimibile aspirazione del genere
umano verso la libertà e l’autodeterminazione. Se l’avesse
scritta Hollywood, nessuno ci crederebbe. Eppure questa
storia di speranza, di non-violenza e di perseveranza ha
strappato ovazioni nei teatri di molti paesi.
CD-DVD
Musica da guardare? Sì, forse questa volta questa espressione
si può usare. Veder Cantare può diventare un valore aggiunto
se attribuito a un gruppo ultraquarantenne (40° compleanno
nel 2008) come i King’s Singer. Girava una breve clip in rete,
ora ecco il dvd dove vediamo che la mimica – sicuramente provata e studiata come i programmi musicali – non è qualcosa di
superfluo. Da un lato ribadisce e rende ben visibile la bravura
di gruppi del genere che lievita quando il virtuosismo dei singoli
non è maggiore dell’affiatamento collettivo. Affiatamento che
in questo caso, schietto o costruito che sia, è comunque strepitoso. Si passa da Janequin ai folksong inglesi in un programma
fatto sia di brani originali, sia di trascrizioni. La bravura di dosare
gli ingredienti non ci sorprende più nei King’s Singers in cui la
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sostanza musical-polifonica è anche mimetismo vocale, voglia
di divertirsi con la voce. Bravura, intonazione assoluta e precisione ritmica devono essere equipaggiate da una buona dose
di autoironia, come si vede benissimo sui loro volti, nella divisa
concertistica (una cravatta gialla solo apparentemente uguale
per tutti!), nella sornioneria e negli ammiccamenti con cui preparano e svolgono alla perfezione i loro compiti di polifonisti
senza pregiudizi di repertorio o timori tecnici.
Progettare un concerto tematico
Anche da noi si comincia a parlare di questo argomento.
Immaginiamo di mettere insieme un programma secondo il tema
“I quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco”.
Premesso che si ipotizza un coro di 40 voci miste e si pensa a
musica di qualsiasi periodo storico, già con una prima ricerca
non è difficile trovare molti canti relativi all’acqua, ma per i rimanenti elementi i risultati sono alquanto limitati.
Un ottimo primo suggerimento manda a MUSICA, la banca dati
mondiale che al momento ha catalogato circa 160.000 partiture
corali e che con facilità permette una ricerca tematica.
Ma non è male l’idea di espandere un po’ la ricerca rendendo
il tema ancor più internazionale: perché non prendere in considerazione la possibilità di
aggiungere due elementi
presi dalla tradizione cinese
piuttosto che da quella greca? Metallo e legno (gli altri
tre elementi cinesi sono terra, fuoco e acqua).
Una possibile ulteriore
espansione, usando le tavole periodiche, non è impossibile ma diventa difficile:
probabilmente non esistono
molti brani corali che parlino
per esempio del “protactinium” (da “protoactinium”, un elemento chimico – dal simbolo Pa – numero atomico 91, che identifica
un prodotto di decadimento dell’uranio 235, ndr).
Volete un esempio concreto di programma?
Da subito sappiate che molti dei brani indicati esulano dalla
norma di un concerto corale classico, ma – effettivamente presentato – il programma è stato ben ricevuto, sia dal coro che
lo ha studiato, sia dal pubblico che lo ha ascoltato. Eccolo:
Elementi in generale: Ave Maris Stella, anonimo del IX secolo;
Breaths ye saye, M. Barnwel (n. 1947).
Aria: Soffia, soffia, vento d’inverno, E. Lou Demer (n. 1927); Con el
viento, Rinascimento spagnolo; Cavallo Vento, P. Oliveros (n. 1932).
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Acqua: Savo voda, tradizionale croato; La Pioggia, S. Hatfield (n. 1956); Seal, Ninnananna, E. Whitacre (n. 1970); Bobobo Songs, canto tradizionale del Ghana.
Fuoco: Rise up, O flame, C. Praetorius (m. 1609); Gabhaim Molta Bride, tradizionale
irlandese; Kore Chant, A. Dembska.
Terra: O Virgo splendens, Spagna, XIV secolo; Quei 25 centesimi che hai pagato,
S. Ogan Gunning (1910-1983), arr. M. Johnson Smith; La Terra, l’Aria, il Fuoco,
l’Acqua, anonimo; Lay earth burden, D. P. Calwell/S. Ivory.
Cantare lega il bimbo alla mamma e alla sua voce
Piaceri negati! Cari colleghi cantori… c’è chi può! Noi… non può!
«Canto in un coro e sono incinta da sei mesi. Lo scorso fine settimana ho partecipato a due concerti ed è andata molto bene. Mi sono portata appresso un cuscino
bianco in una cassa bianca (le nostre sedie erano bianche) e quando dovevamo
sederci mi sono seduta su di essa perché le sedie erano veramente scomode.
Quando una è incinta, sa trovare molte soluzioni per
stare comoda. Nel concerto ho avuto anche una parte
da solista per cui, dalla fila più arretrata del coro, ho
dovuto scendere verso il microfono. Con l’aiuto di qualcuno che semplicemente mi ha dato la mano è andata
benissimo. Ho gustato ogni momento del concerto e
ora mi sento molto più vicina ai colleghi di coro. Ciò di
cui vogliono parlare è la musica che stiamo cantando
e il bimbo che io porto in grembo.
Una delle cose che mi ha detto il mio dottore è che, fin
quando me la sento, non devo smettere di fare ciò che
facevo prima di essere incinta. Io sono impegnata anche
in un gruppo teatrale e andremo in scena con la nuova
recitazione quando mi mancherà al parto da un mese a due settimane. Io non
lascerò che l’essere incinta mi impedisca nemmeno questo.
La gravidanza non è una malattia e non deve essere trattata come una cosa fragile.
È un bellissimo accento alla vita! Se la vostra cantante vuole continuare a cantare,
lasciatela fare. E lasciatemi dire anche che cantare può essere molto rilassante
per il bambino. Io mi accorgo che ogni volta che canto o che mi siedo al pianoforte
la mia bimba diminuisce molto il suo scalciare. Beh, fino a quando non tocco una
nota molto alta, perché allora lei ricomincia.
Il cantare è un ottimo mezzo per legare il bambino alla mamma e al suono della
sua voce. È una cosa grande, credetemi!» (e-mail di Melissa Davis)
Questo canto non mi piace!
Fra i vari problemi che un direttore di coro si deve porre, c’è anche quello di sviluppare la fiducia dei cantori verso il maestro e per quanto riguarda la scelta
qualitativa del repertorio deve avere un piano ben sviluppato.
Per quanto attiene il primo aspetto, bisogna immunizzare il coro contro la pessima
malattia universalmente nota come il “morbo di odio-questo-brano”.
Innanzitutto bisogna che tutto il coro sia ben cosciente che, ogni brano che canta,
almeno a una persona piace da matti e almeno a una persona risulta essere il
RUBRICHE
brano meno amato. Una musica che esprime vere emozioni
colpisce delle persone vere che possono anche reagire in modi
simili o addirittura opposti. Bisogna sfidare i membri del coro,
addirittura prima di aver letto tutto il pezzo, a trovare che cosa
ci sia di speciale in questo brano musicale perché a qualcuno
possa essere piaciuto molto. Nell’Ave Verum Corpus di Byrd,
cosa c’è di così speciale per cui ancor oggi molti cantori non
vedono l’ora di vivere l’esperienza di studiarlo e di cantarlo?
Talvolta basta avere negli occhi un amichevole sprazzo di luce
mentre con un fare un po’ da carbonaro si dice: “Oh, non hai
ancora scoperto cosa c’è di meraviglioso in questo brano!”. È un divertimento!
Cibi, bevande e canto
Un cantore attento deve chiedersi se c’è qualche connessione
fra la migliore situazione di voce e ciò che si mangia o si beve
prima di usarla. È bene sapere, quindi, che qualsiasi cibo o
bevanda che “colpisce” certe parti del corpo o che lascia materiale in certi organi importanti per la produzione della voce
va a incidere sulla voce stessa.
L’alcool, per esempio, produce l’effetto di aumentare la pressione del sangue. Se preso in dose abbondante ha sulle corde
vocali un effetto di sovraffaticamento. L’alcool influisce anche
sul cervello il quale controlla il nostro corpo, compresi tutti i
meccanismi vocali. Qualsiasi cibo e bevanda (come il latte e il
cioccolato) che tende a combinarsi con la saliva e la rendono
vischiosa, prima di uno spettacolo è da evitare. Cibi e bevande
con effetto diuretico (quelli contenenti caffeina, per esempio)
prima di uno spettacolo non vanno presi.
Prima di una esibizione canora è consigliabile evitare anche cibi
e bevande (come l’ananas) che rendono l’interno della bocca
più… ruvido.
Sentirsi a proprio agio sul palco
Ecco cosa pensa sull’argomento il direttore americano Paula
Roberts, di Edmonton AB.: «Vi presento alcune cose che io faccio col mio coro e che sinceramente aiutano i cantori a sentirsi
a proprio agio sul palco. Innanzitutto faccio le cose a modo mio,
e ai cantori deve essere ben chiaro, fin dalla vigilia del concerto,
che cosa ci si aspetta da loro. Mi assicuro che siano a proprio
agio e sicuri sul canto del repertorio. Noi memorizziamo tutto.
Noi facciamo jazz, pop, musica latina e contemporanea che si
presta a questo approccio. Fra l’altro, devono conoscere la
musica!
Cerco di ricreare la presentazione del palco durante le prove di
coro almeno 4-6 settimane prima del concerto o anche di più
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se dobbiamo fare qualche coreografia speciale. Questo significa
sapere quanto è grande lo spazio a nostra disposizione, decidere dove devono stare le persone, usando i leggii (ma non
sempre è possibile se i leggii non sono di proprietà!). Solo così
non ci saranno sorprese una volta saliti sul palco.
Se io dirigo, i cantori sanno che devono guardare me, non il
pubblico, anche se è una canzone da mimare. Devono capire
che il pubblico ci sta guardando mentre viviamo l’esperienza di
fare un canto tutti insieme e c’è uno scambio diretto fra me e
il coro. La regola può avere delle eccezioni, ma queste devono
essere concordate in precedenza. Io so che se loro mi guarderanno saranno in grado di restituirmi ciò che io do loro. Quindi
se sono rilassata, se respiro con loro, se li sostengo e li guido
attraverso le emozioni e le complicazioni musicali di ogni pezzo,
essi dovrebbero restituirmi lo stesso feeling. Sanno che il nostro
compito è quello di raccontare la storia del canto. Questo dovrebbe portare sui loro volti l’espressione giusta. Naturalmente
io stessa cerco di avere questa espressione. Essi sanno come
devono salire e scendere dal palco, perché lo esercitiamo, così
come insieme proviamo il nostro inchino al pubblico.
Sono sicura che c’è dell’altro, ma questi sono i pensieri che mi
sono venuti ora. Che vi siano utili!».
In breve da…
IFCM
La Federazione Internazionale per la Musica Corale la scorsa
primavera ha preso importanti decisioni. Per sopravvenuti
impegni il presidente Lupwishi Mbuyamba ha dato le dimissioni e il Consiglio Direttivo all’unanimità ha votato Michael
Anderson quale presidente ad interim e Daniel Garavano
primo vicepresidente. Auguri, buon lavoro signor presidente
e signor vicepresidente, anche da Mondocoro!
Il 26 marzo scorso dopo 20 anni ha invece chiuso le sue
attività il Centro Internazionale per la Musica Corale di Namur
in Belgio, soccombendo a quella crisi economica che ha colpito tutto il mondo. IFCM pero ha garantito la continuità del
Symposium Mondiale della Musica Corale che è programmato in Argentina nel 2011, del Bollettino Corale Internazionale
(attualmente diretto dal maestro Andrea Angelini di Rimini),
del Coro Mondiale Giovanile (World Youth Choir), della pubblicazione di Repertorio Corale internazionale, della partecipazione in Musica International (il database che al momento
cataloga poco meno di 160.000 partiture corali in tutto il
mondo) e in Choralnet.
La Federazione Mondiale per la Musica Corale (IFCM) in col-
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laborazione con Europa Cantat e con Gioventù Musicale Internazionale annuncia il primo Concorso di Composizione Corale “Un Brano Corale per la pace”
avente lo scopo di promuovere la creazione e una ampia distribuzione di un
nuovo repertorio corale e, soprattutto, di promuovere la pace fra i popoli di
questa terra tramite la musica. È disponibile il regolamento (anche presso il
redattore di Mondocoro). Per ora basti l’indicazione che il concorso è riservato
a giovani compositori con meno di 35 anni di età.
EUROPA CANTAT
Nei giorni 26-28 novembre 2010 a Namur in Belgio, su invito della Federazione
Corale Vallona di Bruxelles, avrà luogo l’assemblea annuale di Europa Cantat.
L’evento cade a un anno di distanza dall’assemblea di Sofia che ha visto diversi
momenti molto importanti per la federazione europea dei cori: rinnovo delle
cariche direttive; approvazione del programma di attività per i prossimi anni;
delibera di fusione delle due maggiori organizzazioni corali europee, Europa
Cantat e AGEC (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände) nella nuova
European Choral Association - Europa Cantat che inizierà la sua attività ufficiale
nel 2011. Con la fusione le due organizzazioni si augurano di unire la loro
importante conoscenza ed esperienza per offrire al mondo corale il migliore
servizio possibile formando la più grande organizzazione corale europea che
rafforzerà in Europa la posizione della musica corale.
Il giorno 21 dicembre 2009 Europa Cantat ha lanciato la sua nuova pagina web
con un nuovo design e nuove strutture. È possibile consultarla al solito indirizzo
www.europacantat.org per trovarvi regolarmente importanti informazioni e
aggiornamenti sulle attività del 2010 e future.
Europa Cantat ha creato anche una pagina Facebook che potete trovare in
www.facebook.com. L’invito è quello di diventare fan.
Nell’anno in corso (il 14 e 15 maggio) è caduto il 50º anniversario di fondazione
di Europa Cantat. La ricorrenza sarà ricordata come l’evento merita nel prossimo
numero di Choraliter, ma già da ora anticipiamo i più cordiali auguri di buon
compleanno.
Lunghi articoli… in breve
L’angolo del compositore di ICB (informatore di IFCM) è dedicato a “Colin
Mawby davanti allo specchio”, un interessante articolo/intervista uscito dalla
penna di Andrea Angelini, direttore della rivista stessa, che ha potuto intervistare il musicista in occasione del Festival Corale Internazionale di Rimini. L’articolo di due pagine fitte è arricchito dalla partitura integrale di Vox in Rama
audita est che può essere liberamente fotocopiata dai lettori di ICB (ICB n. 2,
2nd Quarter 2010, pag. 31).
Il mondo dei cori di ragazzi e di giovani. “Crescere cantando. Alternativa per
la vita” è l’articolo di Germàn Camilo Salazar Losada, giovane manager [classe
1986!] della fondazione della Schola Cantorum di Masnizale, in Columbia.
Associazione
Cori della
Toscana
Anno XI n. 32 - maggio-agosto 2010
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Alvaro Vatri, Paolo Loss,
Vera Marenco, Walter Coppola, Paolo Zaltron,
Giulio Monaco, Dario Tabbia, Piero Caraba,
Sergio Bianchi, Mario Lanaro, Stefano Klamert,
Fabiana Gatti, Simone Scerri, Luisa Antoni,
Rossana Paliaga, Carlo Berlese
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
In copertina: Festival di Primavera 2010
(foto Renato Bianchini)
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
Editoriale
Un anno di Choraliter nella sua nuova versione, un
anno di Italiacori.it, il nuovo magazine di Feniarco,
hanno contribuito a dare più informazione, a far
conoscere meglio il mondo corale, a rafforzare il
nostro senso di appartenenza a un movimento
culturale importante?
Crediamo di sì, se dobbiamo basarci sugli
apprezzamenti che ci giungono da più parti,
dall’interno della nostra associazione ma anche
dall’esterno e perfino dall’esterno del mondo
corale. L’attività editoriale e pubblicistica di
Feniarco dimostra che l’amatorialità è una
dimensione giuridico-economica, non un livello
qualitativo: anzi, quando a muovere è la passione, si va molto oltre le risorse
economiche disponibili.
Il nuovo anno presenta ulteriori novità. Dedicheremo stabilmente uno spazio
alla coralità “popolare” (che mettiamo tra virgolette per comprendervi i molti,
talora contrastanti significati che si danno a questo termine). Ospiteremo, oltre
ai dossier, anche altri contributi, che amplieranno le tematiche affrontate in
ciascun numero. Su ogni numero ospiteremo l’intervista a un direttore, la cui
esperienza possa essere un utile elemento di confronto per tutti. E, con il bando
che pubblichiamo in questo numero, si avvia la selezione per il prossimo cd.
Ora ci attendiamo anche dai nostri lettori un più esplicito sostegno:
l’abbonamento. Questo ci aiuterà a sopportare costi che, è facile intuirlo, sono
più alti che nella precedente versione, per il maggior numero di pagine e per la
quadricromia, per il maggior tempo richiesto a progettare e realizzare ciascun
numero, per l’aggiunta del magazine Italiacori.it. Dal 1 aprile 2010, inoltre, le
tariffe postali per l’editoria hanno purtroppo subito un repentino e netto
incremento, quadruplicando i costi di spedizione delle riviste e recando così un
duro colpo alle associazioni.
I nostri abbonamenti saranno la base più solida su cui fondare il nostro lavoro a
favore della coralità, tanto più che alle volte si ha l’impressione di non averne
altre, di basi, su cui contare. Oltre duemila cori scolastici (censimento del
Ministero dell’Istruzione) sono la dimostrazione di una richiesta di musica, alla
quale lo stesso Ministero risponde eliminando anche quel poco che di musica
c’era nelle scuole superiori. Un movimento corale in crescita numerica, oltre che
qualitativa, è una richiesta di cultura musicale alla quale la Rai risponde
riducendo, a ogni ristrutturazione del palinsesto, gli spazi dedicati alla musica
d’arte, riempiendo di parole e di musica commerciale anche Radiotre.
C’è davvero bisogno di un movimento corale forte e ampio per affermare
sempre di più, anche in Italia, il diritto alla musica.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
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Regione Toscana
6/9 aprile 2011
scuole medie
Provincia di Pistoia
Comune di
Montecatini Terme
13/16 aprile 2011
scuole superiori
Italiafestival
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c
legge 662/96 dci Pordenone
Autorizzazione Tribunale di Pordenone
del 25.01.2000 n° 460 Reg. periodici
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
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n. 32 - maggio-agosto 2010
n. 32 - maggio-agosto 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c - legge 662/96 - dci Pordenone - in caso di mancato recapito inviare al CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi
50 cori da tutta Italia
50 cori da tutta Italia
le ragioni
dell’espressione
gilberto bosco
CANTARE
Insieme
insieme per cantare
gorizia
percorsi
italiani
40 concerti
con diversi repertori
1400 partecipanti
1400
partecipanti
40 concerti
con diversi repertori
39º florilege
vocal di tours
un microcosmo
di emozioni
Il programma completo su www.feniarco.it
Comune
di Atrani
Comune
di Baronissi
Comune
di Cava
dei Tirreni
Comune
di Fisciano
Comune
di Minori
Feniarco
Provincia
di Salerno
Comune
di Vallo
della Lucania
a più voci
confronto sulla
vocalità del coro