Roberto Alonge I contatti misteriosi fra l`uomo e la donna Dirò

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Roberto Alonge I contatti misteriosi fra l`uomo e la donna Dirò
Roberto Alonge
I contatti misteriosi fra l'uomo e la donna
(da AA.VV., Pina Bausch. Teatro dell'esperienza, danza della vita, a
cura di Elisa Vaccarino, Costa & Nolan, Genova, 1993, pp. 123-133)
Dirò subito che le cose più emozionanti del teatro di Pina
Bausch, le cose sue più forti, più commoventi — la sua poesia insomma, per dirla con un'immagine antica che mi sembra giusto riproporre — sia da ricercare non già in territorio politico-sociale, ma piuttosto in una zona di rapporti interpersonali, in un tessuto di incontro (che è naturalmente
di incontro/scontro) fra l'uomo e la donna. Mi pare che il
filo rosso che percorre i momenti più alti della creatività
teatrale di Pina Bausch sia piuttosto qui, nell'affrontamento uomo/donna (che può anche essere considerato un nodo
politico, un nodo politico-sociale estremamente importante, beninteso...).
Direi che questo tema — che mi sembra così capitale —
uomo/donna si afferma molto presto in Pina Bausch, ancora prima che Pina arrivi a una sua autonomia di scrittura
teatrale. Quando sembra ancora al servizio dei grandi drammi musicali (preclassici o moderni). Penso al Blaubart del
1977. Il titolo completo è (traduco in italiano) Ascoltando
una registrazione dell'opera di Bela Bartók "II castello di Bar-
bablù". In Bela Bartók c'è un dialogo cantato fra due soli
interpreti, Barbablù e la sua ultima moglie, Judith. Pina
Bausch moltiplica i personaggi; a partire dai due poli antagonistici del Maschile e del Femminile si ha una sorta di
proliferazione: una dozzina di ballerini e una dozzina di
ballerine. Due blocchi contrapposti di uomini e di donne
che si affrontano all'interno del chiuso spazio di un salone
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del maniero, con pareti scrostate e un ricco, fitto fogliame
che ricopre il pavimento. Il castello di Barbablù, ma in realtà
siamo nel territorio di una foresta, di una giungla. I rapporti
sono quelli che si addicono a una giungla: selvaggi, spietati.
Una danza feroce si accende su quel fogliame e dentro
l'angusta circonferenza dello stanzone: la dozzina di uomini
e la dozzina di donne corrono orizzontalmente — da destra a
sinistra, da sinistra a destra, avanti e indietro — e ogni
volta vanno a sbattere con il corpo contro le due pareti
laterali. Qui c'è una prima indicazione, preziosa, che tornerà nella drammaturgia di Pina: la prigione, il carcere. La
prigione, il carcere come metafora della vita, come dimensione esistenziale. Da cui non è possibile uscire, contro cui
si finisce spezzati. Uno dopo l'altro tutti i ballerini crollano
a terra, sfiancati, prostrati. Cadono e rimangono a terra
lungo i bordi della scena (ai due lati, ma anche sul fondo).
Fantocci spezzati, deposti ai margini della vita. Un'immagine
potente, di desolazione, di sopravvivenza e di durata della
natura cieca, aspra, cruda, al di là del perire degli umani,
del loro ridursi a profili immobili di cadaveri. Anche
questa è un'altra indicazione che ritroveremo in Pina
Bausch (per esempio in CaféMùller): lo spazio vuoto, solitario (qui deserto, ricoperto di fogliame, oppure, in Café Mùller, fitto di sedie e di tavolini, vera foresta di sedie, ma è
poi la stessa cosa) e i ballerini sui margini, lungo il perimetro, lungo il bordo. Pensiamo all'inizio di Café Mùller. il
caffè in penombra, colmo di sedie e di tavolini, solitario,
deserto, e Pina sulla sinistra dello spazio scenico, lungo il
bordo sinistro, ai margini della scena. Ma torniamo a
Blaubart. Tutti i danzatori vanno a spezzarsi nell'urto
contro le pareti. L'ultima a cadere è Judith, è la sposa di
Barbablù, in cui più forte è l'anelito alla fuga. C'è qui
un'altra segnalazione pregnante: è la donna la por-tatrice di
uno slancio vitale più forte, di un anelito più possente di
lotta contro i limiti. Naturalmente anche quest'altra
figurazione — dello sbattere dei corpi contro i muri
esterni del perimetro della scena, questo tendersi all'estremo in una tensione di superamento del limite — è una cifra
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stilistica che contraddistingue il lavoro artistico di Pina
Bausch.
E all'interno di questa struttura fondamentale, di tipo concentrazionario, che è la vita, che è l'esistenza umana, il
conflitto fra i sessi, la guerra crudele degli uomini e delle
donne. Quando termina quell'istantanea su cui ho insistito
— dei ballerini immobili, morti, appoggiati alle tre pareti
della scena —, quando i danzatori si rialzano, si rianimano,
è solo per dar inizio a un gioco crudele, di aspro antagonismo: sono le donne che si muovono per prime, è loro l'iniziativa (ancora una maniera di insistere sulla primazia del
vitalismo femminile...): afferrano per i piedi i loro uomini,
li tirano con brutalità, li strascinano per terra. Salvo naturalmente, subito dopo, puntare a una gestualità assai misurata: li prendono per la mano, delicatamente, li rimettono
in piedi e li abbracciano, in uno slancio lento di molle abbandono. Li afferrano per i piedi per colpirli, per ferirli,
per umiliarli; e li afferrano per la mano per abbracciarli, per
ritrovarli. Anche questa è una cifra stilistica tipica di Pina
Bausch: pochi creatori di teatro hanno saputo darci un'immagine così forte e così intensa — pudica e commovente
— dell'abbraccio di un uomo e una donna (anche qui la
memoria va a Café Mùller, ma anche a tante altre pièce della
Bausch). La poesia dell'abbraccio di un uomo e una donna
ce l'ha data solo Pina Bausch. Con tutte le varianti e gli
accenti del caso, naturalmente (qui c'è un movimento ossessivo, straziante: una piccola corsa che la donna fa per arrivare all'uomo, all'abbraccio; poi una corsa all'indietro,
come a riprendere la rincorsa, lo slancio, e una nuova corsa
in avanti).
L'odio e l'amore; l'aggressività e la tenerezza, come due
facce della stessa medaglia, ovviamente. Ma anche la grande scoperta che l'odio e l'amore possono anche essere non
solo due facce, ma una sola faccia della realtà nascosta. Pina
Bausch va al fondo delle cose. Dopo la sequenza sentimentale dell'abbraccio, parte una diversa sequenza — agitata,
frenetica — in cui gli uomini corrono per lo stanzone con
le donne che hanno afferrato e hanno gettato sulle loro
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spalle, come bestie uccise. È una sorta di ratto delle Sabine
che si avvia a questo punto e che culmina in una scena di
amplesso — moltiplicato ovviamente per tutte le coppie
presenti — di grande efficacia e che, ancora una volta, rovescia le attese e ci sorprende (ecco l'effetto brechtiano dello stmniamento...), fornendoci l'immagine icastica e splendida della donna che cavalca l'uomo, in uno scatenamento
orgiastico che è vieppiù esaltato dall'incastro straordinario
con la musica. Pina Bausch inventa — un po' come ne L'ultimo nastro di Krapp di Beckett — un grosso scatolone in
mezzo alla sala che contiene il nastro registrato dell'opera
di Bartók e che Barbablù interrompe, fa ripartire, interrompe di nuovo, con ripetizioni fortemente impressive dello
stesso passaggio musicale. Eccezionale è questa istantanea
della donna che cavalcando l'uomo sdraiato a terra, sotto
di lei, avanza finché dura la musica, si blocca sull'interruzione della musica, riparte con la ripartenza della musica, e così via. Finché, in questo modo, tutte le coppie sono uscite di scena, scomparse dietro gli anfratti e gli angoli
che contrassegnano le tre pareti. Lo spazio si fa perfettamente vuoto, ma solo per un attimo. Dai bordi estremi —
ai lati e in fondo — ricadono in scena le donne, buttate a
terra come trafitte, gementi in una sorta di orgasmo finale
che è anche orgasmo funebre, agonia di una morte subita
da parte dei propri rispettivi Barbablù. Quando si rialzano
è solo per andare a costruire quella eccezionale immagine
che avrete visto nelle fotografie di questa pièce: le donne
letteralmente incollate alle pareti, a mezzo metro da terra,
come inchiodate ai muri, come mosche trafitte e schiacciate
ai vetri (naturalmente questo è tecnicamente possibile perché le ballerine si sostengono a dei piuoli infissi nei muri
o infilano i piedi in incavi segreti della parete).
S'intende che non sempre è dato ritrovare questo taglio duro, crudele, di contrapposizione frontale, micidiale, nel rapporto uomo/donna. Penso a un altro spettacolo dello stesso
1977, di qualche mese posteriore a Blaubart, e cioè a Komm
tanz mit mir. Spettacolo aperto, costruito su un montaggio
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di vari numeri, quanto invece Blaubart era chiuso, maniacalmente monotematico, per così dire. Ma soprattutto
spettacolo dominato da una atmosfera più disponibile, più
leggera, più ludica. La scena si apre su un uomo vestito di
bianco, seduto su una sedia a sdraio, occhiali scuri. Il bianco
di questo personaggio maschile; e poi il rosso vivo del
vestito della ballerina, Josephine Ann Endicott. L'uomo e
la donna, il Maschile e il Femminile, ancora una volta. Ma
questa volta con una leggerezza di tocco, con una simpatia
di contatto, di gestica. Non Paffrontamento feroce, spietato, dell'uomo contro la donna, ma, qui, la donna che per
tutto il tempo cerca di attirare l'attenzione dell'uomo, di
sedurlo, ballandogli davanti agli occhi, sculettandogli sotto
il naso, seguendolo, facendogli il verso, facendogli le boccacce. Si direbbe che siamo approdati, qui, a un rapporto
meno doloroso, meno sofferto. Ma le cose poi, a ben vedere, non sono così lineari neanche qui. Jo Ann Endicott,
nella sua strategia di conquista dell'uomo, finisce per utilizzare la presenza di uno strano gruppo di dieci altri uomini. Dieci uomini tutti ugualmente vestiti di nero, con pesanti cappotti neri e grandi cappelli neri calati sinistramente
sugli occhi. Il bianco del primo uomo, il nero degli altri
dieci. Fra il bianco e il nero si situa il rosso di Jo Ann. Ecco
un'altra pista destinata a ritornare spesso nell'universo
Bausch. La donna è collocata all'interno di un torbido
triangolo fra due poli maschili. Vediamo Jo Ann avanzare
o arretrare a braccetto fra i suoi dieci cavalieri neri. Vediamo qualche scorcio ambiguo (ma qui risolto prevalentemente su una tonalità divertita, giocosa) della donna accerchiata, circondata, dal gruppo dei dieci, che le stanno intorno, che si aprono improvvisamente i cappotti, come degli esibizionisti, e poi si serrano avanzando in cerchio verso di lei con un urlo di conquista. Non è ancora un'immagine di violenza, perché qui la donna appare divertita, ed è
lei — per così dire — a provocare gli uomini, ma è già la
prefigurazione di un rapporto inquietante fra la donna isolata e il mucchio selvaggio dei maschi. I dieci che corrono verso
di lei, stretta in mezzo a loro, tutta vestita di rosso, ha co-
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munque la brutalità animalesca di una sorta di carica di tori
su una metaforica muleta.
Questo discorso di un conturbante triangolo che lega la
donna a due poli maschili lo ritroviamo l'anno dopo, nel
1978, che è l'anno di Café Mullet. Penso a una sequenza
importante che Pina Bausch definisce "molto triste" ma
che spinge solitamente il pubblico al riso, per una sorta di
"reazione nervosa"1. Cos'è esattamente che succede? Lasciamo raccontare la stessa Pina Bausch: "C'è un momento
dello spettacolo, quando Dominique e Malou si abbracciano, e entra Jan e li separa, e mette Malou sulle braccia di
Dominique, e Malou scivola a terra, e poi si rialza e con
Dominique si riabbracciano, e la sequenza si ripete, ancora
e ancora, per molte volte" 2 . Non dice di più Pina
Bausch. E non dice nemmeno esattamente quello che succede.
Ma cos'è che succede, precisamente? Una scena di separazione, certo. Il terzo che viene a dividere la coppia, che manipola la coppia, che impone alla coppia una modalità di
rapporto, che impone la ragazza sulle braccia dell'uomo. Ma il
secondo uomo a un certo punto se ne va, e la coppia, finalmente libera, non fa altro che ripetere e riproporre quella stessa immagine (la ragazza sulle braccia dell'uomo, che
poi scivola, si rialza, si rimette sulle braccia, ecc. ecc). La
coppia ripete per una sorta di coazione a ripetere. Entrambe
le scene — prima a tre e poi a due — si svolgono in assoluta
assenza di musica. Quando sono però in azione Malou e
Dominique si sente un ansimare crescente dei due ballerini,
quasi un gemito che finisce per assumere gli accenti dell'orgasmo sessuale. Un intreccio inquietante lega violenza
e sessualità, gioco di coppia e gioco perverso e malsano di
triangolo. Ma qui c'è un punto però che vale la pena sfiorare, sia pure con molta discrezione e molti dubbi. Il numero
delle volte in cui la sequenza è ripetuta non è (non ha l'aria
di essere) un numero casuale: per nove volte il secondo uomo mette nella braccia di Dominique la donna; e per sette
volte Malou e Dominique, rimasti soli, ripetono la sequenza. Nove e sette. Due numeri cari alla cultura esoterica. Il
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sette indica la perfezione. E nove è multiplo di tre, che è
il numero della Trinità. Bisognerebbe naturalmente condurre un'indagine serrata — testuale e intertestuale — per
verificare se si tratta di una struttura profonda della fantasia creativa di Pina Bausch. Certo, alcune insistenze trinarie (sequenze ripetute tre volte, non di meno e non di più)
sono accertabili per esempio in Blaubart. Ma l'inchiesta è
tutta da condurre. In ogni modo mi viene in mente ciò che
Pina dice alla Bentivoglio in un altro punto della sua intervista: "Io qualche volta 'copro' molto... [...]. Capita che
vuoi parlare di qualcosa, e che arrivi molto vicino a quello
che vuoi dire. Ma capisci anche che è così importante che
ti sembra stupido per sino mostrarlo. Allora è come se lo vestissi di qualcos'altro perché scoprirlo ti sembra delicato,
hai paura. È qualcosa di troppo più grande. Non vorrei essere fraintesa, o sembrare arrogante, ma credo che sia così.
C'è qualcosa di molto più serio di quanto il pubblico, in generale, può vedere. C'è, è lì, ma non è esibito, perché io
ho voluto coprirlo. Ogni volta è come se ci fosse un grande
conflitto tra quello che vuoi rendere chiaro e quello dietro
a cui vuoi nasconderti..."3.
Forse è eccessivo questo mio azzardo a voler ritrovare un
filo esoterico nel lavoro teatrale di Pina Bausch. Ma confesso che non riesco a rinunciare all'impressione complessiva e
conclusiva di un teatro del corpo, di un teatro del peso del
corpo. Vorrei dire — con un'immagine un po' religiosa —
un teatro che dice il peso della carne. Vi ricordate come comincia Café Mailer? Si apre la porta laterale, di sinistra (di
sinistra rispetto allo spettatore) e nell'oscurità del caffè entra Pina Bausch, in una sottoveste lieve, un po' spettrale.
Entra con le palme delle mani in avanti; avanza barcollando, caracollando. Figura sognante, di sonnambula, o forse
— diciamo meglio — di cieca. L'atmosfera è oscura. Una
cieca che si aggira nell'oscurità. O l'oscurità che esprime la
tenebra in cui vive la cieca. Pina si muove lungo il margine
sinistro. Non c'è musica. C'è solo il suono della porta che
si chiude, secca, alle spalle di Pina. Uno spazio claustrofobico si è serrato intorno a una vittima. E poi c'è il suono
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delle sedie spostate, travolte dal lento incedere a tentoni
della cieca. All'inizio non c'è luce e non c'è musica. C'è solo
oscurità e silenzio. Poi entra — non dalla porta laterale, ma
dalla porta girevole posta sullo sfondo, frontalmente agli
spettatori — Meryl Tankard, la dama dai capelli rossi e
dalle scarpe a spillo, anch'esse rosse. E subito si fa la luce. Se
Pina barcolla, Meryl Tankard (la dama rossa) si muove con
sicurezza. La musica questa volta è l'echeggiare quasi
frenetico dei suoi tacchi sul pavimento. Si sposta con rapidità in mezzo alle sedie ed esce con un altro secco rumore
di porta rinchiusa. Ma intanto è già comparsa Malou Airaudo: anche lei in sottoveste chiara, anche lei che avanza incerta, con le palme protese in avanti. Un'altra figura di cieca, dentro lo spazio cieco e claustrofobico di questo caffè
stracolmo di sedie e di tavolini. Pina come doppio di Malou, è stato detto giustamente4. Ma Malou è un'immagine
di femminilità che dentro il grigio carcere esistenziale si
muove e si batte, con rapide avanzate nello spazio rese possibili da quella sorta di servo di scena (che nella prima edizione dello spettacolo era reso da Borzik, il compagno di
Pina Bausch, e che poi sarà interpretato da Jean Laurent
Sasportes) il quale si preoccupa di spostare via via sedie e
tavolini, al fine di disegnare e di favorire i percorsi di Malou. C'è una donna che si slancia, nella foresta di sedie, e
che riesce a non scontrarsi con le sedie grazie agli interventi
di quello che ho chiamato il servo di scena; e c'è una donna
che resta ai margini della vita, nell"'ansia di una remota
solitudine"5. La musica di Purcell parte con la prima
avanzata di Malou (subito protetta dal lavorio di prevenzione
del servo di scena). CaféMùller diventa la storia di una ricerca
di sé, di una ricerca del proprio corpo. Malou in primo piano
e Pina sullo sfondo duplicano una scansione di corpi che si
muovono, che cadono a terra, che si rialzano, che sbattono
contro il muro di sinistra. C'è un limite dello spazio, c'è il
perimetro di una prigione che è ovviamente una prigione
esistenziale. Ma c'è un limite del corpo, c'è la miseria del
corpo, la sua perenne aspirazione al contatto, all'amore.
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Un ultimo campione di analisi. Café Mùller debutta nel
maggio del 1978: nel dicembre dello stesso anno debutta
Kontakthof. C'è una sequenza, verso la fine, che ripropone
con forza e con centralità icastica il tema del rapporto uomo/donna. In scena è Meryl Tankard che — scrive la Bentivoglio6 — "abbandonata e inespressiva come una bambola sgonfia, si offrirà a una lunga serie di carezze e solleticamenti e provocazioni tattili operate su di lei con minuzia
chirurgica dall'intero gruppo degli uomini". L'intero gruppo degli-uomi-ni vuoi, dire inrealtà dieci uomini: eia donna
è, sì, "abbandonata", ma niente affatto "inespressiva". La
ripresa video permette di cogliere meglio il suo volto dolorante, sofferente, rigato di lacrime. Ci sono venti mani di
uomini intorno a un corpo di donna, che è stato ridotto alla
passività di una bambola di carne. Le carezze sono piccoli
toccamenti rapidi che scendono su ampie zone del corpo
della donna: i capelli, la fronte, le guance, le orecchie, il naso, il collo, gli omeri, le braccia, i piedi. Secondo Susanne
Schlicher (se la traduzione in italiano è stata fedele), "un
gruppo di uomini corteggia una donna in mezzo a loro, accarezzandola, facendole il solletico, vezzeggiandola con piccoli gesti che, per la loro ripetizione, si rivelano assillanti,
eccessivi, possessivi, egocentrici"7. Io direi francamente
che c'è qualche cosa di più. Direi che in realtà siamo di
fronte a una grande, crudele, scena di stupro di massa, che
risalta però proprio perché le intimità erogene del corpo
femminile sono rigorosamente censurate: non il seno, non
l'intimità delle gambe, non il ventre. C'è uno spostamento,
uno slittamento di segno. Prevale inizialmente un tono di
apparente dolcezza. La prima impressione potrebbe essere
quella di un gruppo di amici che si avvicina a una donna
in gramaglie per farle delle condoglianze. Potrebbero sembrare piccoli contatti fisici di solidarietà umana, di compassione, di simpatia (in senso etimologico). C'è un alternarsi
di uomini intorno alla donna, ognuno dei quali viene a proporre il suo gesto di affetto. Ma è solo un'impressione fugace e fuorviante. In realtà ciò che si staglia subito, con grande
evidenza, è il coacervo di mani maschili protese contem-
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poraneamente sulle varie parti del corpo della donna. Gli
uomini circondano la donna, la accerchiano, ai fianchi, alle
spalle, ma poi anche sul davanti. La donna è nascosta per
alcuni attimi all'occhio dello spettatore; è risucchiata, riassorbita, annullata dentro il gruppo nero degli uomini che la
sollevano fra le braccia, la depongono a terra, seduta come
un pupazzo di legno, la rimettono in piedi, la ricollocano
ancora a terra, la sdraiano supina, chinandosi sopra di lei.
È un rito lento e feroce di mani che la palpeggiano, che la
frugano. Qualche dito si infila sotto le spalline di un candido vestito da sera rosa, castamente scollato. Un gradevolissimo motivetto anni Trenta accompagna per tutto il tempo,
con un effetto di straniamento fortissimo, la sequenza, che
risulta così di una crudeltà impietosa e dura, al limite dell'insopportabilità (e tanto più insopportabile perché apparentemente non succede nulla di grave). Il senso del ritmo
e delle scansioni spaziali è perfetto. Al termine della scena
il gruppo chiuso di uomini si allarga improvvisamente a raggerà, abbandonando la vittima, e iniziando un'ampia camminata circolare su tutto il perimetro della scena. Il passaggio è scandito da un cambio della colonna sonora, che diventa un tango e coinvolge tutte le altre dieci donne dello
spettacolo, mentre Meryl Tankard, rimasta sola e abbandonata da tutti, a capo chino, si abbassa a cercare e a rimettersi una scarpa che aveva perduto in questa sorta di fredda
aggressione e se ne va via stancamente, come una Cenerentola umiliata ed offesa.
Ecco, a me pare che nel teatro di Pina Bausch ci sia soprattutto questo discorso sul confronto uomo/donna. Si è parlato spesso di un femminismo di Pina Bausch. A me queste
etichette sembrano quello che sono, banali etichette, schemini interpretativi di comodo, riduttivi e semplificatori.
Ciò che conta è che da questo teatro si sprigiona una grande, intensa, continuamente variata e cadenzata poesia dell'amore e del non amore tra l'uomo e la donna.
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1 L'intervista alla Bausch è nel volume di L. Bentivoglio, II teatro di
~Pìna Bausch, Milano 1991, nuova edizione, p. 18.
2 Ibidem.
3 Ivi, p. 19.
4 Cfr. Ivi, p. 98.
5 Ibidem.
<s
Ivi, p. 107.
^
S. Schlicher, L'avventura del Tanz Theater. Storia, spettacoli, prota-
gonisti, tr. it., Genova 1989, pp. 112-113.
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