Jacob Burckhardt LA CIVILTÀ DEL RINASCIMENTO IN ITALIA Lo

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Jacob Burckhardt LA CIVILTÀ DEL RINASCIMENTO IN ITALIA Lo
Jacob Burckhardt
LA CIVILTÀ DEL RINASCIMENTO IN ITALIA
Lo svolgimento dell’individualità*
L’antitesi col Medio-Evo
Nell’indole degli Stati, delle repubbliche e dei principati, di cui fin qui s’è
tenuto discorso, sta, se non l’unica, certo la più potente causa, per cui gl’Italiani,
prima d’ogni altro popolo, si trasformarono in uomini moderni e meritarono per
questo di esser detti i figli primogeniti della presente Europa.
Nel Medio-Evo i due lati della coscienza – quello che riflette in sé il mondo
esterno e quello che rende l’immagine della vita interna dell’uomo – se ne stavano
come avvolti in un velo comune, come in sogno o dormiveglia. Il velo era tessuto
di fede, d’ignoranza infantile, di vane illusioni: veduti attraverso di esso, il mondo e
la storia apparivano rivestiti di colori fantastici, ma l’uomo non aveva valore se non
come membro di una famiglia, di un popolo, di un partito, di una corporazione, di
una razza o di un’altra qualsiasi collettività. L’Italia è la prima a squarciar questo
velo e a considerare e a trattare lo Stato e, in genere tutte le cose terrene, da un
punto di vista oggettivo; ma al tempo stesso si risveglia potente nell’Italiano il
sentimento del soggettivo: l’ uomo si trasforma nell’individuo spirituale, e come tale si
afferma. Così una volta il Greco si era emancipato di fronte ai Barbari, e così
anche in altri tempi l’Arabo si isolò dalle altre stirpi dell’Asia. Non sarà malagevole
il dimostrare come sopratutto le condizioni politiche hanno a questo contribuito.
Risveglio della personalità
Già anche in epoche di molto anteriori, è facile notare qua e là in Italia uno
sviluppo della personalità indipendente, quando al tempo stesso nei paesi al di là
delle Alpi o non succede o non si rende manifesto. Il celebre gruppo di ribaldi del
secolo X che ci è dipinto da Liutprando, nonché più tardi alcuni contemporanei di
Gregorio VII e alcuni avversari dei primi imperatori di Svevia, presentano tipi di
questo genere. Ma col finire del secolo XIII l’Italia comincia addirittura a
formicolare d’uomini indipendenti: l’anatema, che prima avea pesato
sull’individualità, è tolto per sempre, e a migliaia sorgono le personalità dotate d’un
carattere affatto proprio. Il gran poema di Dante sarebbe stato impossibile in
qualunque altro paese appunto per questo, che tutto il resto d’Europa sentiva
J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze 1984, pp. 125126; 130-135.
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ancora il peso di quell’anatema di razza: per l’Italia adunque il divino poeta,
proprio attraverso la pienezza della sua individualità, è diventato l’araldo più fedele
e nazionale del proprio tempo. Ma la rappresentazione di tesori d’umanità nel
campo della letteratura e dell’arte sarà più innanzi oggetto di apposita trattazione:
qui ci basti di rilevar il fatto come fenomeno psicologico. Esso si mostra ora
apertamente in tutta la sua decisione e pienezza; l’Italia del secolo XIV conobbe
poco la falsa modestia e l’ipocrisia in generale, perché nessun uomo fu schivo di
emergere, di essere, e di apparire, diverso dagli altri.
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Completamento della personalità
Uno sguardo molto acuto e profondamente versato nella storia della civiltà
non durerebbe fatica a seguir passo passo nel secolo XV lo svolgersi successivo di
individualità per ogni verso perfette. Vero è che nessuno potrebbe dir con certezza
se tali individualità sieno giunte a quell’armonico accordo del lato interno col lato
esterno della loro vita avendo di fronte uno scopo consapevole ed espresso: ad
ogni modo, è fuor di ogni dubbio che molte vi giunsero, almeno per quanto ciò è
conciliabile coll’imperfezione di ogni cosa terrena. E se, per dare un esempio, è
assolutamente impossibile il fare una distinzione esatta di ciò che Lorenzo il
Magnifico dovette alla fortuna, da ciò che gli proveniva dalle proprie doti e dal
proprio carattere, nell’Ariosto invece (e specialmente nelle Satire) si ha il contrario,
il caso cioè di una potente individualità, nella quale cospirano mirabilmente la
dignità dell’uomo e l’orgoglio del poeta, l’ironia di fronte ai propri godimenti, il
finissimo sarcasmo e la più profonda benevolenza.
Uomini universali
Ora, quando questo prepotente impulso veniva a cadere in una natura
straordinariamente gagliarda e versatile, tale da appropriarsi ad un tempo tutti gli
elementi della cultura di quell’età, s’aveva allora l’uomo universale, che appartiene
esclusivamente all’Italia. Uomini di sapere enciclopedico ve ne furono per tutto il
Medio-Evo in più paesi, perché il sapere era più ristretto: e per la stessa ragione
sino al secolo XII s’incontrano artisti universali, perché i problemi dell’architettura
erano relativamente semplici ed uniformi, e nella scultura e nella pittura il
contenuto prevaleva sulla forma. Nell’Italia del Rinascimento invece noi ci
scontriamo in singoli artisti, i quali in tutti i rami dànno creazioni affatto nuove e
perfette nel loro genere, e al tempo stesso emergono singolarmente anche come
uomini. Altri sono universali e abbracciano, al di là della propria arte, anche uno
spirituale dominio smisuratamente vasto.
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Dante, il quale ancor vivo dagli uni era qualificato come poeta, dagli altri
come filosofo, e da altri ancora come teologo, versa in tutti i suoi scritti tal piena di
prepotente individualità, che il lettore se ne sente al tutto soggiogato, anche
prescindendo dall’importanza degli argomenti. Qual forza di volontà non
presuppone l’elaborazione così imperturbabilmente misurata e simmetrica della
Divina Commedia! Ma se si guarda al suo contenuto, non vi è forse in tutto il
mondo fisico e morale un solo punto di qualche importanza, che egli non abbia
investigato e intorno al quale la sua opinione – spesse volte condensata in poche
parole – non sia la più autorevole di quel tempo. Anche nell’arte plastica le sue
teorie hanno la forza di principii, e ciò ha ben maggiore importanza dei pochi versi
ch’egli ci lasciò sugli artisti d’allora; ma non andò molto, che egli divenne anche la
fonte delle più alte ispirazioni.
Carattere del XV secolo
Il secolo XV è innanzi tutto e per eccellenza il secolo degli uomini dotati di
versatilità. Non v’è biografia di quel tempo, che, parlando di qualche uomo illustre,
non metta in mostra, oltre alle qualità sue principali, altre qualità secondarie e pure
oltrepassanti i limiti del dilettantismo. Il mercatante e l’uomo di Stato fiorentino
sono spesso dotti nelle due lingue antiche: i più celebri umanisti sono chiamati ad
istruire lui e i suoi figli nella Politica e nell’Etica di Aristotile: anche le figlie
ricevono una cultura superiore, e in generale in questi circoli appunto bisogna
cercare gli inizi di una educazione privata, che esce dal comune. Dal canto suo
l’umanista viene eccitato ad allargare la sfera delle sue cognizioni, in quanto il suo
sapere filologico non era semplicemente, come oggidì, la conoscenza oggettiva
della classica antichità, ma un’arte, che trovava applicazione continua nella vita.
Egli studia Plinio, a modo di esempio, e raccoglie un museo di storia naturale; sulla
geografia degli antichi diventa un cosmografo nel senso moderno; secondo il
modello della loro storiografia, scrive la storia de’ suoi tempi; traduce le commedie
di Plauto, e ne dirige al tempo stesso la rappresentazione; imita quanto meglio può
tutti i generi più vivi ed efficaci della letteratura antica sino al dialogo di Luciano, e
in mezzo a tutto ciò serve lo Stato qual cancelliere o diplomatico, e non sempre
con suo proprio vantaggio.
L.B. Alberti
Ma sopra questi uomini dorati di attitudini così molteplici emergono alcuni
veramente universali. Prima di farci a studiare partitamente le condizioni della vita
sociale e della coltura d’allora, ci sia concesso di porre qui, sul limitare del secolo
XV, l’immagine di uno di quegli uomini strapotenti: Leon Battista Alberti. La sua
biografia – che non abbiamo se non a frammenti – parla assai poco di lui come
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artista e nient’affatto del suo significato nella storia dell’architettura. Or si vedrà ciò
che egli è stato, anche fatta astrazione da queste sue glorie speciali.
In tutte le discipline che rendono bella c lodata la vita di un uomo, Leon
Battista era il primo sino dalla sua fanciullezza. Della sua perizia in tutti gli esercizi
ginnastici raccontansi cose incredibili, come egli, per esempio, saltando a piè pari
scavalcasse le persone ritte in piedi, come una volta nel Duomo gettasse una
moneta tanto alta, che la si senti risonare toccando la volta, come non ci fosse
cavallo indomito che sotto di lui non tremasse e ubbidisse, e simili; ed infatti egli
voleva apparire irreprensibile in tre cose: nel camminare, nel cavalcare e nel
parlare. Egli apprese la musica senza maestro, eppure le sue composizioni furono
ammirate dai più competenti dell’arte. Stretto dal bisogno, studiò per lunghi anni
ambo le leggi, sino a caderne ammalato per spossatezza; e quando a ventiquattro
anni si accorse di un indebolimento della sua memoria nel ritenere le parole, ma si
sentì ancor vigoroso l’intelletto per penetrare nella sostanza delle cose, s’applicò
alla fisica ed alla matematica, e al tempo stesso volle rendersi esperto in tutte le
professioni possibili, interrogando artisti, eruditi, operai d’ogni specie sui segreti e
sulla pratica di ogni mestiere. A tutto ciò aggiungeva egli una particolare perizia nel
disegno e nel modellare, specialmente ritratti somigliantissimi anche di pura
memoria. Particolar meraviglia destò il misterioso suo congegno a guisa di camera
ottica, nel quale faceva apparire ora le stelle e il notturno sorgere della luna a
illuminare scoscese montagne, ora vasti paesaggi con ridenti colli e seni di mare in
lontananze sconfinate, con flotte che s’avanzavano, o rischiarate dallo splendore
del sole o avvolte di vapori a guisa di nuvole. In mezzo a tutto ciò con gioia
accoglieva anche quanto gli altri facevano, appunto perché in ogni produzione
dell’ingegno umano, che si uniformasse alle leggi del bello, egli riconosceva come
un qualche cosa di divino. La sua attività letteraria comincia co’ suoi scritti d’arte,
che segnano altrettante pietre miliari c testimonianze di prim’ordine del risorgere
della forma, specialmente nell’architettura, e si estende quindi a composizioni in
prosa latina, a novelle e simili, delle quali talune furono credute opere di scrittori
antichi, a scherzosi colloqui conviviali, elegie ed egloghe, e per ultimo ad un
trattato in quattro libri in lingua italiana Sul governo della famiglia, e perfino ad un
elogio funebre del suo cane. I suoi motti, tanto seri che faceti, parvero abbastanza
importanti da dover esser raccolti, e se ne ha un saggio in molte colonne, che
possono vedersi nella biografia surriferita. Al pari di tutte le nature veramente
ricche, egli non faceva mistero a nessuno del suo sapere, e comunicava a chiunque
gratuitamente le sue più grandi invenzioni. Infine la più profonda essenza della sua
natura può esser fissata in questo: in una profondissima simpatia e partecipazione
di vita – quasi un accordo di sistema nervoso – con tutte le cose. Alla vista di alberi
possenti o di campi ondeggianti di spighe egli si sentiva commosso sino al pianto:
dinanzi ad un vecchio dall’aspetto dignitoso egli si sentiva preso di rispetto, come
davanti ad una «delizia di natura» e non si saziava mai di contemplarlo: anche gli
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animali più perfetti erano per lui oggetto di simpatia, come particolarmente favoriti
dalla natura, e per ultimo più d’una volta l’incanto di un bel paesaggio bastò, da
infermo, a ridonargli la salute. Nessuna meraviglia adunque se tutti coloro che lo
videro stretto in un rapporto così misteriosamente intimo colla natura, gli
attribuirono anche il dono della profezia. Si pretende infatti ch’egli abbia predetto
molti anni innanzi e con esattezza una crisi sanguinosa in casa d’Este, nonché la
sorte che era riserbata a Firenze ed ai Papi per una serie di anni, e gli si attribuiva
altresì una facoltà particolare di leggere in qualunque momento sul viso degli
uomini i loro più segreti pensieri. S’intende da sé che una forza di volontà
straordinariamente intensa era la facoltà che prevaleva in tutta la sua personalità e
ne costituiva la forza di coesione. Infatti, come i grandi uomini del Rinascimento,
anch’egli diceva: «Gli uomini ogni cosa possono con le sole proprie forze appena
vogliano».
E con tutto ciò l’Alberti, messo a riscontro con Leonardo da Vinci, non
potrebbe dirsi che un principiante di fronte ad un esperto perfetto, un dilettante di
fronte ad un maestro. Così avessimo l’opera del Vasari completata, anche rispetto
a lui, da una biografia come l’abbiamo per l’Alberti! Ma l’immensità dell’ingegno di
Leonardo non si potrà mai che presentir da lontano.
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