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Percorsi del collezionismo Le tappe di una raccolta: da Mantegna a Natalija Gončarova a cura di Elisabetta Fadda e Andrea Muzzi Le Lettere 1 Francesco Francia, attr. (1450 ca. - 1517), da Andrea Mantegna Deposizione nel sepolcro, 1515 ca. Tempera e biacca su lino; mm 270x455 È stata aggiunta una cimosa ai bordi rifilati Bibliografia: «Corriere della Sera» 12/9/2006; «Corriere di Verona» 13/9/2006; «L’Arena» 14/9/2006. Esposizioni: Mantova, Palazzo San Sebastiano La scultura al tempo di Andrea Mantegna. Tra classicismo e naturalismo (16 settembre 2006 - 14 gennaio 2007) Acquistata sul mercato antiquario francese, la tela è stata inclusa, ad esposizione avviata, alla mostra La scultura al tempo di Andrea Mantegna. Tra classicismo e naturalismo1 tenutasi al Palazzo San Sebastiano tra la fine del 2006 e il 2007. Per questo motivo l’opera non figura nel catalogo dell’esposizione e la bibliografia che la riguarda è relativa alla sola rassegna stampa della mostra stessa. In queste pubblicazioni non si formula un’attribuzione in merito all’autore della tela, ma se ne sottolinea piuttosto l’evidente dipendenza da una celebre incisione di Andrea Mantegna: la Deposizione (fig. 1), una delle sette stampe attribuitegli da Giorgio Vasari. Quest’ultima, riconosciuta come autografa a partire da Kristeller2, assieme alle altre del gruppo (Cristo risorto tra i Santi Andrea e Longino, La Madonna dell’umiltà, Il Baccanale con Sileno, il Baccanale con tino e la Zuffa di dei marini) sarebbe secondo K.Christiansen3 parte di un vero e proprio album di modelli destinati alle botteghe degli artisti. Tuttavia, diversamente da quanto indicato da Vasari, gli studi recenti riconoscono a Mantegna la sola invenzione dei soggetti di queste stampe e la loro committenza, essendo infatti documentata4 l’esistenza di incisori salariati dallo stesso artista, che dovevano garantirgli tra l’altro il lavoro in esclusiva. L’iconografia proposta nella Deposizione di Mantegna, e ribadita nella tela di collezione privata, è assolutamente unica, in quanto riunisce la raffigurazione del Golgota con il Trasporto del corpo di Cristo, la Lamentazione e la Deposizione, in una sintesi maestosa senza precedenti che rievoca il linguaggio classico degli antichi sarcofaghi. Il larghissimo successo di questa invenzione (e la funzione supposta da Christiansen) è testimoniato dal notevole numero di copie esistenti (anche con varianti o adattamenti dell’intera composizione o di alcune sue parti) nelle tecniche più varie; dalla pittura, al disegno, all’incisione, alle placchette, alla maiolica, al rilievo scultoreo. La tecnica, a grisaille che contraddistingue la Deposizione in esame, trova ampi precedenti nel catalogo di Mantegna: ad esempio nella straordinaria Sibilla e profeta del museo di Cincinnati5 in cui – come nel nostro caso – la pittura sottilissima trova supporto su un lino fine per simulare l’immagine di un bassorilievo scultoreo. Sulla scorta degli studi di Michael Jacobsen6, di Keith Christiansen7 e di Giovanni Agosti8 è possibile seguire la fortuna di immagini e temi mantegneschi tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento ormai inoltrato. Intorno al 1480 Cima da Conegliano copia ad esempio dall’incisone del Mantegna la posa di San Pietro e del Battista nel Polittico di Olera, nell’altare di San Rocco a Brera e nell’altare di Conegliano del 1492-93, tanto che Humphrey9 pensava che si potesse ipotizzare che Cima fosse uno degli incisori di Mantegna. La stampa di Mantegna ha ispirato anche la figura di Sant’Andrea di Michele da Verona nell’affresco in Sant’Anastasia a Verona e senza Mantegna non si potrebbe spiegare la Maddalena urlante affrescata – nella distrutta cappella Garganelli in San Pietro a Bologna – da Ercole de Roberti tra il 1478 e il 1486, e nota attraverso alcuni frammenti superstiti e copie seicentesche. Il gran numero di copie e derivazioni sono chiara testimonianza della fortuna dell’invenzione di Mantegna e dell’interesse di artisti e collezionisti Fig. 1. Andrea Mantegna, Deposizione, incisione. 18 19 che continuarono a ispirarsene anche in pieno Cinquecento (basti pensare, volendo citare il più elevato livello di rielaborazione, la Deposizione Borghese di Raffaello Sanzio). Alla Civica Pinacoteca Malaspina di Pavia10 si conserva ad esempio un dipinto di anonimo lombardo del tardo XV secolo intitolato Seppellimento di Cristo e svenimento della Madonna che ricompone in verticale la composizione della stampa mantegnesca e nel 1988 un quadretto analogo è stato comprato anche dalla Pinacoteca di Brera dalla chiesa di Santa Maria Maddalena a Camuzzago11. A differenza di queste due tavole citate, sorta di ripetizioni colorate della stampa del Mantegna, l’esecuzione raffinata dell’opera in esame sembrerebbe in- dicare invece la mano di un maestro. La tela ora in collezione privata corrisponde nelle dimensioni al modello, senza che tuttavia possa essere considerata un riporto diretto dell’originale mantegnesco su lastra. La differenzia più sostanziale tra la tela in esame e il modello a stampa è l’assenza dell’epigrafe in capitali latine: HUMANI / GENERIS / REDEMPTORI. Un’ulteriore derivazione dall’incisione del Mantegna, in formato quasi quadrato che si conserva a Maastricht al Bonnefantenmuseum12, ci aiuta a comprendere la versione di collezione privata. L’opera a Maastricht è attribuita nel catalogo del museo a Bernardo Parentino, ma Christiansen ne ha dato un giudizio diverso e assai più convincente, ritenendola opera bolognese della cerchia di Francesco Francia. Gli studi più recenti su Francesco Raibolini hanno in effetti sottolineato ampiamente, soprattutto nella grafica, l’indubbia matrice mantegnesca dei suoi lavori. Attivo a Bologna anche come orafo, Francia fuse tra di loro diverse correnti della pittura italiana dello scadere del Quattrocento, del Perugino e dell’area veneta belliniana. Nel 1506 tra i riquadri dipinti dal Raibolini nell’oratorio di Santa Cecilia nella chiesa di San Giacomo a Bologna, gli uomini che trattengono il lenzuolo del corpo di Cecilia (nel Seppellimento della Santa) si muovono come i personaggi tipici di Mantegna, sebbene nella pittura del Francia i nastri svolazzino e si arriccino in forma di veli assai più leggeri. Proprio un nastro in volo è Fig. 2. Francesco Francia, Giuditta, e Oloferne. Paris, Louvre, Département des arts graphiques. 20 l’elemento più caratterizzante della Giuditta e Oloferne (Louvre, inv. 5606R, fig. 2) disegnata dal Francia come studio preparatorio per gli affreschi un tempo nella dimora bolognese dei Bentivoglio (distrutta nel 1507) e un’altra ugualmente svolazzante figura femminile ricorrererà tanti anni dopo nel Compianto (fig. 3) ora a Parma in Galleria Nazionale (inv. 123) eseguito dai figli del Francia, Giacomo e Giulio, che ripetitivamente continueranno a ricalcare lo stile del padre anche dopo la sua morte. La qualità del panneggio della Vergine, con ampi panneggi ripiegati al suolo e lumeggiati di bianco che caratterizza la tela di collezione privata, trova riscontro in ulteriori prove grafiche di Francesco Francia, quali l’Angelo annunciante del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (inv. 579E) e ancor di più in una Madonna col Bambino della Biblioteca Marucelliana di Firenze (inv. Dis A5), attribuita alla cerchia del Francia da Marco Chiarini13 nel 1983. E. F. La scultura al tempo di Andrea Mantegna. Tra classicismo e naturalismo, a cura di V. Sgarbi, con I. Furlan, G. Gentilini, R. Signorini, Milano 2006. 2 P. Kristeller, Andrea Mantegna, Berlin e Leipzig, 1902, p. 406. 3 K. Christiansen, The case for Mantegna as printmaker, «Burlington Magazine», CXXXV 1086, settembre 1993, pp. 604-612. 4 A. Canova, Gian Marco Cavalli incisore per Andrea Mantegna e altre notizie sull’oreficeria e la tipografia a Mantova nel XV secolo, in «Italia medievale e umanistica», XLII, 2001, pp. 149-179; Idem, Gian Marco Cavalli e andrea Mantegna: nuovi documenti mantovani, in «Italia medievale e umanistica», XLIII, 2002, pp. 201 – 229; Idem, Mantegna invenit in Mantegna, catalogo della mostra (Parigi, 26 settembre 2008 - 5 gennaio 2009) a cura di G. Agosti e D. Thiébaud, Parigi 2008, p. 238. 1 K. Christiansen, Andrea Mantegna, a cura di J. Martineau, edizione italiana del catalogo della mostra (Londra, Royal Academy of Arts, gennaio - aprile 1992), Milano 1992, pp. 400-402. 6 M.A. Jacobsen, The Engravings of Mantegna, New York, N.Y., Columbia Univ., Diss., 1976. 7 The Case for Mantegna as Printmaker, cit. 1993, pp. 604-612) 8 G. Agosti, Su Mantegna 6, «Prospettiva» 85, gennaio 1997, pp. 59-90. 9 P. Humphrey, Cima da Conegliano, Cambridge 1983, pp. 117, 127, 139, 159. 10 Pavia, Pinacoteca Malaspina, catalogo, Pavia 1981, n. 131. 11 Si veda P. Marani in Pinacoteca di Brera; scuole lombarde e piemontese (1300 – 1535), Milano 1988, n. 104, pp. 153-55. 12 De Jong Janssen in Catalogue of the Italian Paintings in the Bonnefantenmuseum, Maastricht 1995, pp. 72-73. 13 Disegni e incisioni della raccolta Marucelli, catalogo della mostra, Firenze 15 ottobre 1983 - 5 gennaio 1984, a cura di C. Brunetti, M. Chiarini, M. Sframeli, Firenze 1983. 5 Fig. 3. Giacomo e Giulio Francia, Compianto. Parma, Galleria Nazionale. 21 2 Parmigianino (Francesco Mazzola detto il, Parma 1503 - Casalmaggiore 1540) Madonna col Bambino, 1529 ca. Matita rossa e gessetto bianco; mm 210x150 Nel verso l’iscrizione a penna e inchiostro, in grafia antica, “Parmigianino” Bibliografia: M. Di Giampaolo, Un disegno del Parmigianino per il ‘Matrimonio mistico di Santa Caterina’ del Louvre, in «Prospettiva» 110/111, 2003 (2004), pp. 128-129. Questo foglio costituisce una delle più interessanti e recenti aggiunte al catalogo della grafica del Parmigianino. Venne pubblicato da Mario Di Giampaolo nel 2004 in un breve articolo, dove lo studioso indicava lo stretto rapporto di questo prezioso studio con una tavola incompiuta dell’artista parmense acquisita nel 1992 dal Museo del Louvre (rappresentante il Matrimonio mistico di Santa Caterina con una figura maschile variamente interpretata: si veda la scheda dell’opera di Sylvie Béguin1), e la vicinanza stilistica ad alcuni studi per Madonna col Bambino dove Parmigianino analizza un analogo rapporto di tenerezza fra le due figure (Firenze Gabinetto e Stampe degli Uffizi nn. 1978F e 1976F e Chatsworth, collezione Devonshire n. 917B2). L’attribuzione del disegno fu prontamente confermata dalla Béguin in una comunicazione scritta nella quale veniva inoltre ribadito e analizzato il rapporto con la tavola del Louvre che abbiamo ricordato. Il gruppo della Madonna col Bambino del quadro sembra derivato piuttosto strettamente dal nostro disegno: l’unica variazione è costituita soltanto dalla diversa impostazione delle gambe del Bambino – che conferisce nel nostro foglio un assetto più solenne alla piccola figura – e nello sguardo della Madonna che dall’osservazione affettuosa del figlio si sposta, nel dipinto, verso la figura maschile accanto, forse San Giacomo o San Giuseppe o il devoto committente. Anche nel resto dello studio non appare nessun accenno agli altri personaggi che poi compariranno nel quadro, anzi possiamo osservare, come fece Sylvie Béguin, che l’atteggiamento del Bambino non nega né permette di ipotizzare che, in questa fase di elaborazione, l’artista avesse già in mente il gesto della consegna dell’anello a Santa Caterina. È evidente che non è possibile affermare se nel momento in cui ha eseguito il disegno, il Parmigianino avesse già progettato tutta la scena dipinta nel quadro del Louvre, o se l’artista in seguito adottasse un disegno concepito per un’altra composizione. L’impostazione della Madonna con il Bambino riflette sicuramente l’interesse del Parmigianino per Raffaello, in particolare per la Madonna Aldobrandini (o altrimenti chiamata Garavagh dal nome del suo ultimo proprietario), oggi alla National Gallery di Londra, opera che poté vedere a Roma negli anni del suo soggiorno (1524-1527), prima della fuga dalla città in conseguenza del Sacco del 1527, evento, a quanto racconta il Vasari, duramente vissuto dall’artista. Il disegno e il quadro del Louvre risalgono a un periodo di poco successivo a questi momenti drammatici, e quindi è databile all’interno del periodo bolognese: infatti lo stile è accostabile a quello della Madonna di Santa Margherita della Pinacoteca Nazionale di Bologna, alla Madonna Seilern (Courtauld Institute) e alla Sacra Famiglia con San Giovannino di Capodimonte, tutte opere collocabili in tale fase. La tavola del Courtauld Institute, per la quale è stata proposta anche una datazione alla fine del soggiorno romano, credo non accettabile proprio per la vicinanza stilistica alla Pala della Pinacoteca di Bologna (su tale datazione si veda la scheda dell’opera di E. Fadda3), può farci capire, meglio del dipinto incompiuto del Louvre prima ricordato, lo stile al quale tendeva in questo momento il Parmigianino, con forti e liberi colpi Fig. 1. Il Parmigianino, Matrimonio mistico di Santa Caterina con una figura maschile, olio su tela. Parigi, Museo del Louvre. 22 23 di bianco sul colore, che nel disegno sono evocati dai rialzi e dai tratti rapidi della matita rossa. Struggente poi risulta l’idea secondo la quale il panneggio della Madonna si gonfia quasi fosse una nuvola sulla quale siede il Bambino, un tema di matrice correggesca, che testimonia la problematica “fedeltà” del Parmigianino al Maestro. Al di là dell’apprezzamento dei caratteri stilistici, questo disegno, in stretto rapporto con un’opera conosciuta (e databile verso il 1529), ci permette un’ulteriore indagine su quanto l’ambientazione iniziale fosse conservata nella composizione della Madonna col Bambino della tavola, anche se, come abbiamo già detto, le corrispondenze sono piuttosto strette. L’unico elemento divergente dal punto di vista della col- locazione della scena, a parte la già accennata assenza di riferimenti alle figure laterali, è il modo in cui il Parmigianino risolve il primo piano davanti alle figure: nel disegno preparatorio vi è l’indicazione piuttosto precisa di un piano regolare che sporge e sul quale è accomodata la Madonna, appoggio che nel dipinto è come eluso dalla continuazione del suo panneggio. L’artista quindi è partito da una concezione molto vicina a quella della Madonna Aldobrandini di Raffaello, dove la Madonna è seduta su di una sorta di mobile. Sembra quindi che il Parmigianino, seguendo il modello raffaellesco, avesse ideato una scena al chiuso per poi trasformarla nella più complessa ambientazione paesistica che evidentemente ha superato ogni indicazione di arredamento: in Fig. 2. Il Parmigianino, Madonna col Bambino, disegno. Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi. 24 luogo dei tratti paralleli della matita rossa che alludono delicatamente a una parete, è emersa nel quadro una ricca vegetazione che inquadra una veduta lontana. A. M. S. Béguin, scheda in Parmigianino e il Manierismo europeo, catalogo della mostra (Parma - Vienna 2003) a cura di L. Fornari Schianchi e S. Ferino-Pagden, Cinisello Balsamo (Mi) 2003, pp. 210-211. 2 M. Di Giampaolo, scheda 40 in Il Parmigianino e il fascino di Parma, Catalogo della mostra a cura di M. Di Giampaolo e A. Muzzi, Firenze 2003, pp. 80-81. 3 E. Fadda, scheda in M. Di Giampaolo E. Fadda, Parmigianino. Catalogo completo dei dipinti, Santarcangelo di Romagna 2003, n. 34, p. 111. 1 3 Atelier di Jan Van Scorel (1495 - 1562) Adamo ed Eva, 1530 ca. Penna, inchiostro nero su carta bucherellata; mm 380x255 Marchio del collezionista; in basso 380/254 10/C. Leggero controfondo lungo i bordi. Marchio non identificato Bibliografia: inedito Il disegno riproduce le figure di uno dei compartimenti del soffitto della prima tra le Stanze Vaticane, quella della Segnatura, in cui Raffello Sanzio ha raffigurato il Peccato originale in un riquadro a finto mosaico (fig. 1). La fitta puntinatura che nel foglio segue il profilo delle figure testimonia che il disegno è stato usato per riportarne i contorni su un altro supporto, tavola o tela. Sebbene la ripresa dal modello raffaellesco sia palmare, la fisionomia del volto di Eva, così come il fitto tratteggio della penna, teso a esaltare l’anatomia da “torso” dei due nudi eroici, assieme alla resa delle proporzioni delle figure, assai diversa rispetto al canone classico, inducono a ritenere che l’autore del foglio sia un artista straniero. La posizione ribassata del braccio di Eva rispetto all’invenzione di Raffaello Sanzio ha come precedenti la celebre incisione eseguita da Albrecht Dürer nel 1504 con Adamo ed Eva e ugualmente, la stampa con lo stesso soggetto realizzata da Luca di Leida nel 1529. A ben vedere, la compresenza di elementi nordici e raffaelleschi è caratteristica tipica dei cosiddetti “romanisti” – termine coniato da Alfred Michiels – con cui (non senza un intento dispregiativo) vengono definiti gli artisti fiamminghi che, intrapreso il viaggio in Italia, ag- giornarono la loro pittura sui modelli romani di Raffello e Michelangelo. Tra costoro, introdusse per primo il nudo mitologico Jan Gossaert detto Mabuse, autore tra l’altro di innumerevoli varianti dipinte raffiguranti i Progenitori. Il viaggio di Gossaert a Roma, intrapreso nel 1508, fu assai breve e sarà Jan Van Scorel a fare da “battistrada” (per usare il termine a lui attribuito da Karel Van Mander) e a introdurre nei Paesi Bassi il Rinascimento italiano, prima del trasferimento nelle Fiandre di Tommaso Vincidor. Incontrato Mabuse a Utrecht nel 1509, Scorel giunse in Italia nel 1520, forse prima della morte di Raffaello. Bert Fig. 1. Raffaello Sanzio, Peccato originale. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Stanza della Segnatura. 25 3. Atelier di Jan Van Scorel, Adamo ed Eva. Meijer1 proponeva di identificarlo col “Fiammingo chiamato Giovanni” menzionato dal Vasari tra gli aiuti di Raffaello (erroneamente identificato da altri come Johann Ruysch), sebbene fino all’aprile del 1520 – data di morte dell’urbinate – Scorel fosse attivo a Venezia. Jan van Scorel era comunque a Roma nel 1522 e in concomitanza con un avvenimento irripetibile per un artista fiammingo: l’elezione a Papa di Adriano VI di Utrecht. Quest’ultimo, a lui da sempre legato da una stretta amicizia, gli diede non solo l’ufficio del datario, ma lo nominò conservatore del Belvedere a cui fu consentito l’accesso esclusivo. Qui, tra i capolavori raccolti da Giulio II, tra il Torso del Belvedere e il Laocoonte, lo descrivono infatti al lavoro le antiche fonti2. Le opere in Vaticano giocarono un ruolo fortissimo nella sua formazione e lo portarono a conoscere anche le pratiche dell’atelier dei successori di Raffello, che saprà a sua volta applicare nella sua vastissima bottega di Harlem. L’unica opera di grandi dimensioni giunta fino a noi che sia riconducibile alla sua attività fra il 1524 e il 1530 è l’Adamo ed Eva del Frans Hals Museum di Haarlem (fig. 2), assegnata in genere alla sua bottega. Pur seguendo la tradizione fissata per questo soggetto da Dürer e Gossaert, nella definizione della coppia, con Adamo seduto ed Eva in piedi sovrastante, è evidente la diretta derivazione dall’affresco di Raffaello nella Stanza della Segnatura. Il Fig. 2. Jan Van Scorel, Adamo ed Eva. Haarlem, Frans Hals Museum. 26 disegno preparatorio del dipinto ad Haarlem, evidenziato dai riflettogrammi a infrarossi3, risulta delineato sovrapponendo linee sottili e nette e colpi ombreggiati paralleli come il disegno di collezione privata, la cui esecuzione dovette pertanto avvenire nell’ambito dello stesso atelier. E. F. 1 B. Meijer, An Unknown Landscape Drawing by Polidoro da Caravaggio and a a Note on Jan Van Scorel’s Stay in Italy, «Paragone» XXV, 1974. 291, pp. 62-73. 2 Cfr. M. Faries, La bottega di Jan Van Scorel ad Harlem, in La bottega dell’artista tra Medioevo e Rinascimento, a cura di R. Cassanelli, Milano 1998, p. 299. 3 Faries 1998, cit. 27